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Sabato X settimana del Tempo Ordinario Anno A

Sabato della X settimana del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,33-37)
Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,33-37)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”; “No, no”; il di più viene dal Maligno». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Scrive san Paolo: “Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi ma per colui che è morto e risuscitato per loro”. La IV preghiera eucaristica riprende questo concetto: “E perché non viviamo più per noi stessi, ma per lui che è morto e risorto per noi, ha mandato lo Spirito Santo…”.
C’è una specie di scambio: Cristo è morto per noi affinché noi possiamo vivere per lui. San Paolo prende molto sul serio questa morte di Cristo per tutti. Dice: “Uno è morto per tutti, quindi tutti sono morti”. Cristo prende la nostra morte, ma per trasformarla.
Siamo morti in un’offerta, e questo fa della morte un passaggio verso Dio. È la grande grazia che riceviamo in Cristo.
Il secondo passo utilizzato dalla liturgia è quello sulla riconciliazione: “E stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo”. Nella formula della assoluzione sacramentale ritroviamo proprio questa espressione: “Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione di Cristo…”.
La redenzione ha la sua origine in Dio Padre. “Tutto questo viene da Dio”, dice san Paolo: la grazia, l’amore, la novità di vita, tutto ha la sorgente in Dio. Cristo è fedele al Padre e adempie la sua volontà, ci salva con il Padre. “Tutto questo viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo”. Dio è veramente per gli uomini un padre che vuole il loro bene, e che ha sacrificato il proprio unico figlio per la loro salvezza.”Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo scrive san Giovanni nella sua prima lettera come vittima di espiazione per i nostri peccati, perché noi avessimo la vita per lui”.
Ringraziamo insieme il Signore e riflettiamo su questa profonda verità, per la nostra consolazione.

Venerdì X settimana del Tempo Ordinario Anno A

Venerdì della X settimana del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,27-32)
Avete inteso che fu detto: Ma io vi dico:

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,27-32)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

“Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te… Se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te…”. Queste parole così dure, così spietate sono state dette da colui che si definisce “mite e umile di cuore”, da Gesù che ci assicura che il suo giogo è dolce e il suo carico leggero. La misericordia non è debolezza. Cristo, infinita misericordia, è morto sulla croce per liberarci dal peccato, e non ammette complicità con esso.
Questo mistero di morte per la risurrezione è espresso da san Paolo in un’altra forma: gli Apostoli devono proclamare la vittoria di Cristo in un clima di persecuzione. “Siamo tribolati da ogni parte, siamo sconvolti, perseguitati, colpiti…”. Sembra illogico, ed è sconcertante. Sconcertante se non si mette in rapporto con il mistero di Cristo. E Paolo aggiunge: “Sempre e dovunque portando nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo”. Nei vasi di creta della nostra povera umanità per il mistero di Cristo è stato posto il tesoro della sua risurrezione, “perché appaia che la potenza viene da Dio e non da noi”.
E assurdo per un cristiano volere una vita tranquilla, senza difficoltà, senza prove, senza turbamenti: non è stata la strada del Signore e non può essere la nostra.
Il Signore ci aiuti a vedere in ogni sofferenza la sua croce, cioè un varco verso la vita.
Le parole dure del Vangelo sono messe nelle nostre mani come un coltello per salvarci da atteggiamenti di accondiscendenza e di cedimento verso la nostra società permissiva, che vuole solo la soddisfazione immediata, la felicità apparente che sembra venire dalla droga, dal divorzio, dall’aborto. Sono proclamate di liberazioni” e non si vede che, di delitto in delitto, si va verso la completa degradazione della dignità umana.
Nell’umiltà della nostra vita quotidiana chiediamo al Signore di essere sempre illuminati dalla luce del suo mistero, per poter essere “luce del mondo”.

Giovedì X settimana del Tempo Ordinario Anno A

Giovedì della X settimana del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,20-26)
Avete inteso che fu detto agli antichi: Ma io vi dico:

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,20-26)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

San Paolo si ispira al racconto della creazione per esprimere lo splendore della vocazione cristiana nella magnifica pagina della lettera ai Corinzi: “E Dio che disse: “Rifulga la luce dalle tenebre”, rifulse nei nostri cuori per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo”.
Chi è in Cristo è una nuova creatura: è infatti immagine di Dio, nella rassomiglianza con Cristo. L’uomo è stato creato a immagine di Dio: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”, ma soltanto Cristo è l’immagine perfetta; noi siamo chiamati a riflettere, come in uno specchio, la gloria del Signore per venire trasformati in quella medesima immagine “di gloria in gloria”.
Ci sono due elementi per attuare questa nostra vocazione. U primo è la contemplazione del Signore. Per rispecchiare la sua gloria è necessario contemplarlo, stare davanti a lui. “Venite a lui e sarete raggianti” dice un salmo. La preghiera, la meditazione della sua parola sono i mezzi normali per essere così trasformati a somiglianza del Signore Gesù e a immagine di Dio. Un secondo elemento è l’azione dello Spirito del Signore. Non siamo noi che possiamo operare questa trasformazione; se volessimo con le nostre sole forze imitare il Signore, la nostra rimarrebbe una imitazione superficiale, non autentica. Se invece siamo docili all’azione dello Spirito, veramente veniamo trasformati nell’intimo.
Il Vangelo richiama un punto essenziale di questa trasformazione. Gesù ci invita ad aprire il nostro cuore alla carità del suo, a superare la giustizia degli scribi e dei farisei, non orientata alla perfezione dell’amore. “Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non uccidere”… Ma io vi dico: “Chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio””. E si spiega anche l’accenno all’offerta: “Se presenti la tua offerta all’altare e li ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia li il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello…”. Ciò è ancor più necessario dopo l’istituzione dell’Eucaristia: venire all’altare è venire alla sorgente dell’amore, è venire per accogliere tutto il corpo di Cristo, è comunione con lui e con i fratelli. “Dio in Cristo ha riconciliato a sé il mondo” scrive ancora san Paolo. Per riflettere come in uno specchio la gloria del Signore dobbiamo lasciare che la sua mitezza permei il nostro cuore.

Mercoledì X settimana del Tempo Ordinario Anno A

Mercoledì della X settimana del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,17-19)
Non sono venuto ad abolire la Legge,
ma a dare pieno compimento.

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TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,17-19)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento.
In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.
Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Paolo esprime tutto il suo entusiasmo per la nuova alleanza, incomparabile dono della Trinità agli uomini: Dio Padre, Figlio, Spirito Santo li invitano a entrare nella loro intimità. L’Apostolo nomina le tre persone dicendo che è per mezzo di Cristo che egli ha fiducia davanti a Dio (il Padre), che lo ha reso ministro di una alleanza dello Spirito. Cristo, il Padre, lo Spirito. E questo dono della nuova alleanza si realizza specialmente nell’Eucaristia, in cui il sacerdote ripete le parole di Gesù: “Questo calice è il sangue della nuova alleanza”.
Anche noi dovremmo essere, come Paolo, pieni di entusiasmo per l’alleanza nuova, questa splendida realtà che viviamo, l’alleanza data dalla Trinità alla Chiesa, l’alleanza nuova che rinnova tutte le cose, che ci mette continuamente in una novità di vita, facendoci partecipare al mistero della morte e della risurrezione di Cristo. Il sangue della nuova alleanza, che riceviamo nell’Eucaristia, ci unisce a lui, mediatore della nuova alleanza.
San Paolo fa un confronto tra l’antica e la nuova alleanza. L’alleanza antica egli dice era incisa in lettere su pietre. È un’allusione trasparente all’alleanza del Sinai, quando Dio aveva inciso sulla pietra i comandamenti, la sua legge, che doveva essere osservata per rimanere nell’alleanza con lui. Paolo oppone questa alleanza l’alleanza “della lettera” all’alleanza “dello Spirito”.
L’alleanza della lettera è incisa su pietre ed è fatta di leggi esteriori, l’alleanza dello Spirito è interiore ed è scritta nei cuori, come dice il profeta Geremia.
Si tratta, più precisamente, di una trasformazione del cuore: Dio ci dà un cuore nuovo per infondervi uno Spirito nuovo, il suo Spirito. La nuova alleanza è dunque l’alleanza dello Spirito, dello Spirito di Dio. È lui la nuova alleanza, è lui la nuova legge interiore. Non più una legge fatta di comandamenti esteriori, ma una legge consistente in un impulso interiore, nel gusto di fare la volontà di Dio, nel desiderio di corrispondere in tutto all’amore che viene da Dio e ci guida a Dio, all’amore che rende partecipi della vita della Trinità.
La lettera uccide dice san Paolo lo Spirito dà vita”. La lettera uccide proprio perché si tratta di precetti che, se inosservati, provocano la condanna. Lo Spirito invece dà vita perché rende capaci di fare la volontà di Dio e la volontà divina è sempre vivificante, lo Spirito è una vita, un dinamismo interiore. Per questo la gloria della nuova alleanza è molto superiore a quella dell’antica.
A proposito dell’alleanza antica Paolo parla di ministero della morte pensando alle pene comminate in essa per impedire ai figli di Israele di errare: poiché la forza interiore non c’era, l’unico risultato era di procurare la morte. E tuttavia questo ministero della morte fu circondato di gloria: gli Israeliti non potevano fissare lo sguardo sul volto di Mosè quando discese dal Sinai, né quando tornava dalla tenda del convegno, tanto esso risplendeva. San Paolo argomenta allora: “Quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito!”. Non si tratta di ministero della morte, ma della vita: se il ministero della condanna era glorioso, quanto più lo sarà quello che giustifica! Da un lato la morte, dall’altro la vita, da un lato la condanna, dall’altro la giustificazione; da un lato una gloria effimera, dall’altro una gloria duratura, perché la nuova alleanza ci stabilisce per sempre nell’amore.

Martedì X settimana del Tempo Ordinario Anno A

Martedì della X settimana del Tempo Ordinario Anno A

CLICCA QUI 13 giugno Sant’ Antonio di Padova

Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,13-16)
Voi siete il sale della terra. Voi siete la luce del mondo.

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TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,13-16)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

È un grande privilegio per un Apostolo del Signore poter applicare a sé il magnifico testo di Isaia che Gesù a Nazaret ha applicato a se stesso: “Lo Spirito del Signore è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai poveri…”.
Veramente lo Spirito era su Antonio di Padova, che ha portato il lieto annuncio, il Vangelo, ai poveri con un successo straordinario. E ha fasciato le piaghe dei cuori spezzati, ha annunciato la liberazione dei prigionieri, in modo così luminoso, così straordinario, che è stato canonizzato dopo un solo anno dalla sua morte. È una cosa che oggi sarebbe impossibile, ma che dice bene quanto profonda fosse la venerazione del popolo cristiano.
In questo testo di Isaia, in cui vediamo chiaramente l’azione dello Spirito consolatore che fascia le piaghe del cuore, che consola gli afflitti, vorrei sottolineare l’annuncio di libertà, che ci fa vedere lo Spirito all’opera come creatore, così come lo invoca l’inno di Pentecoste.
Tutti siamo prigionieri di tanti condizionamenti, provenienti dal nostro temperamento, dalle circostanze, dallo stato di salute, dai rapporti interpersonali che non sempre sono armoniosi… E cerchiamo la liberazione.
Ma la vera liberazione viene in modo inatteso, in modo paradossale dallo Spirito di Dio, che non risolve i problemi, ma li supera, portandoci a vivere più in alto.
Nella vita di sant’Antonio possiamo constatare questa liberazione operata dallo Spirito. Antonio avrebbe potuto essere grandemente deluso, depresso, perché tutti i suoi progetti sono stati scombussolati. Voleva essere missionario, voleva perfino morire martire e proprio per questo si era imbarcato per andare fra i musulmani. Ma il suo viaggio non raggiunse la meta: invece di sbarcare nei paesi arabi fu sbarcato fra i cristiani, in Sicilia e poi rimase in Italia.
Avrebbe potuto passare il resto della sua vita a compiangere se stesso: “Non posso realizzare la mia vocazione ! “. E invece fiori dove il Signore lo aveva inaspettatamente piantato: cominciò subito a predicare, a fare il bene che poteva, e acquistò una fama straordinaria.

Lunedì X settimana del Tempo Ordinario Anno A

Lunedì della X settimana del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,1-12)
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,1-12)
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Il tema è la consolazione dopo la desolazione. “Beati gli afflitti perché saranno consolati” è una delle beatitudini; san Paolo nella lettera ai Corinzi porta l’esempio di se stesso: è appena passato attraverso una grande tribolazione, tanto che più avanti dirà che disperava perfino della vita, ma in questa tribolazione ha ricevuto la consolazione di Dio e ora lo benedice: “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione”. E un messaggio di gioia e di consolazione molto prezioso.
Però dobbiamo renderci conto che la condizione per essere consolati è proprio di accettare prima la tribolazione, la desolazione: Dio non può consolare se non quelli che sono desolati.
Questo è il senso di tutte le beatitudini. È necessaria una situazione negativa, perché Dio in essa possa compiere la sua opera positiva. “Beati gli afflitti non coloro che sono nella felicità, nella gioia beati gli afflitti perché saranno consolati”. E san Paolo: “Come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione”. Bisogna lottare con Dio nella desolazione per ricevere la vittoria, la consolazione divina, perché non c’è vittoria senza combattimento. Impariamo dunque a vedere la desolazione come condizione per ricevere la gioia divina.
Certo, la desolazione pesa ed è insieme una tentazione di non credere più a Dio, di non aver fiducia, quando invece Dio in quella circostanza vuol consolarci, e ci consola se lottiamo con lui, rimanendo fermi nella fede e nella speranza.
Lottare come? Lottare nella preghiera, una preghiera difficile, perché nella vera desolazione non c’è più voglia di pregare, ma una preghiera intensa, vera, fatta rimanendo vicino alla croce di Gesù. Allora le nostre sofferenze diventano veramente “le sofferenze di Cristo in noi”, preludio della vittoria e della consolazione, che ci fa cantare: “Gustate e vedete quanto è buono il Signore!”. Soltanto dopo la vittoria si può avere la certezza gioiosa e beatificante della bontà di Dio.
In san Paolo l’esperienza della tribolazione e della consolazione è una esperienza apostolica: “Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione” perché combattimento e vittoria egli li vive per diffondere e consolidare la fede. E la consolazione “si dimostra nel sopportare con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo”. E dunque un cammino che egli traccia per tutti i fedeli, da vero Apostolo.
Domandiamo al Signore la luce per capire il valore delle tribolazioni e l’aiuto a rimanere, nelle prove, fermi nella fede, fermi accanto alla croce di Cristo, finché giunga la vittoria, nella consolazione divina.

DOMENICA DELLA SANTISSIMA TRINITA’ ANNO A

DOMENICA DELLA SANTISSIMA TRINITA’ ANNO A
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 3,16-18)
Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 3,16-18)

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Spesso ci si immagina un “Dio” lontano, astratto, ridotto quasi a un sistema di idee.
Soprattutto quando ci si accosta alla dottrina della Trinità.
E invece. E invece, l’essere concretissimo di Dio è comunione che liberamente si effonde. Anzi, ci chiama a varcare la soglia della sua vita intima e beatificante.
Non riusciamo a capire perché Dio si sia interessato di noi: più di quanto, forse, noi ci interessiamo a noi stessi.
Proprio mentre eravamo peccatori, il Padre ha mandato il suo Figlio per offrirci la vita nuova nello Spirito. Liberamente. Per amore. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”.
Cristo non si impone. Non costringe ad accettarlo. Si consegna alla nostra decisione.
È questa la vertigine della vita umana. Possiamo passare accanto al Signore Gesù che muore e risorge, senza degnarlo di uno sguardo nemmeno distratto.
E, tuttavia, non possiamo fare in modo che egli non esista come il Dio fatto uomo che perdona e salva. “Chi non crede è già stato condannato”.
Ma se ci apriamo alla sua dilezione…
Allora Cristo si rivela come colui che ha suscitato in noi tutte le attese più radicali. E colma a dismisura queste attese.
È la redenzione. È la grazia. È lo Spirito che abita in noi e ci conforma al Signore Gesù.
La vita nuova, che ci viene donata, apparirà in tutta la sua gloria oltre il tempo. Inizia qui, ed è la “vita eterna”.

Sabato IX settimana del Tempo Ordinario Anno A

Sabato della IX settimana del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,38-44)
Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,38-44)

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Il Vangelo di oggi ci fa vedere come dobbiamo unire nella nostra vita di cristiani l’umiltà, la povertà, la carità. All’inizio il Signore ci mette in guardia contro la tentazione di cercare la stima degli uomini, come gli scribi, che perfino nel culto ne vanno in cerca: “Amano avere i primi seggi nelle sinagoghe, ostentano di fare lunghe preghiere” e non pensano che il vero culto a Dio è l’umiltà. Certo, non è un male desiderare la stima degli altri, è normale, però se il nostro agire è mosso solo dalla ricerca della stima non ne siamo più degni. Se amiamo “ricevere saluti nelle piazze, avere i primi posti nei banchetti”, siamo egoisti e superbi e nel rischio di “ricevere una condanna grave”: sono parole di Gesù.
La carità che piace a Dio è piena di umiltà, priva di ogni autocompiacimento. Dobbiamo stimare molto tutte le azioni nelle quali carità e umiltà sono unite, perché in esse la carità è custodita dall’umiltà e l’umiltà non è vuota, ma serve alla carità. In questa pagina della Scrittura vediamo con quale delicatezza il Signore fa l’elogio di questa donna povera e vedova, due attributi che nella società del tempo attiravano disprezzo. Io ricordo di aver ascoltato le lamentele di una vedova che, avendo fatto un’offerta modestissima perché era molto povera, era stata disprezzata ed era veramente desolata. Le raccontai questa scena del Vangelo, mostrandole che il Signore non misura le offerte secondo la quantità di denaro, ma secondo la generosità del cuore e guarda con maggior amore quelli che danno con umiltà, senza ricevere la ricompensa della stima altrui. Li stima di più di quelli che possono dare molto e ricevono una ricompensa immediata nella gratitudine, negli onori che si tributano ai ricchi generosi. E ricordo che questa donna fu veramente consolata, al pensiero di essere così ben capita dal Signore stesso. Due spiccioli di una povera vedova valgono di più davanti al Signore di una somma grandissima data da un ricco che nell’offrire non si priva di nulla: “Tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.
Questa è proprio l’elemosina che è “assai meglio che accumulare tesori, libera dalla morte, purifica dai peccati” perché e un atto di carità vera.
Chiediamo al Signore che nelle nostre azioni ci sia sempre l’unione della carità e dell’umiltà, perché esse siano sempre gradite ai suoi occhi.

Venerdì IX settimana del Tempo Ordinario Anno A

Venerdì della IX settimana del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,35-37)
La folla numerosa lo ascoltava volentieri.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,35-37)

In quel tempo, insegnando nel tempio, Gesù diceva: «Come mai gli scribi dicono che il Cristo è figlio di Davide? Disse infatti Davide stesso, mosso dallo Spirito Santo:
“Disse il Signore al mio Signore:
Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
sotto i tuoi piedi”.
Davide stesso lo chiama Signore: da dove risulta che è suo figlio?».
E la folla numerosa lo ascoltava volentieri. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

La nostra fede non si fonda su una parola della Scrittura, su un solo Libro di essa, su una sola profezia. Si fonda invece su tutta la Scrittura, tutti i suoi libri, tutte le sue profezie, ogni sua parola. Essa è formata da una miriade di verità, alcune delle quali solo in apparenza sono in contrapposizione con le altre, mentre in realtà sono i molteplici punti che formano la linea del Mistero di Dio, di Cristo Gesù, dello Spirito Santo, dell’uomo, dell’eternità, del tempo, della vita, della morte, della vittoria sulla morte, della vita eterna. Diecimila verità fanno un solo mistero di Dio e dell’uomo.
La Scrittura ci offre verità dopo verità, profezia dopo profezia, parola dopo parola. A noi l’obbligo, sorretti e guidati dallo Spirito Santo di unificare ogni più piccola rivelazione al fine di comporre tutta la verità del mistero.
Come si evince dai testi il Messia viene da Dio per generazione eterna e dalla discendenza di Davide per generazione terrena. Il mistero diviene ancora più fitto se leggiamo cosa ci narrano gli Evangelisti Matteo e Luca. Secondo la loro parola ispirata il Messia è nato solo da Donna, dalla Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo. Da Giuseppe Gesù è stato adottato. Certo la sua è adozione speciale, particolare, è in tutto simile all’adozione di Dio verso ogni battezzato, ma Gesù non nasce dalla sua carne. Il mistero va ben oltre ogni profezia. È la verità di Gesù che dona compiutezza di verità ad ogni parola della Scrittura.
Quanto Gesù dice agli scribi nel tempio di Gerusalemme vuole rivelare non solo agli scribi di ieri, ma a tutti coloro che nel nuovo regno di Dio sono teologi, maestri, professori, dottori, evangelisti, profeti, catechisti, ministri della parola, che il suo mistero è così alto, così spesso, così profondo che la stessa Scrittura è obbligata a rivelarlo per verità separate. Anche se noi prendiamo tutte le sue verità e le uniamo le une alle altre, il mistero di Gesù è ancora infinitamente oltre, perché il suo è il mistero nel quale sono resi perfetti sia il mistero di Dio che il mistero dell’uomo e di tutta la creazione. La nostra mente è troppo piccola per poter penetrare e decifrare tutto ciò che è Gesù Signore. Ogni giorno lo Spirito Santo ci deve offrire qualche altra luce.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci conoscere Gesù Signore.

Giovedì IX settimana del Tempo Ordinario Anno A

Giovedì della IX settimana del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12,28-34)
Amerai il Signore tuo Dio e il tuo prossimo come te stesso.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12,28-34)

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio».
E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Ci dà sempre gioia ascoltare il Signore dirci che il primo comandamento è amare e che anche il secondo è amare: amare Dio e il prossimo, e che non c’è comandamento maggiore. Ci dà gioia perché corrisponde in pieno al desiderio del nostro cuore che è fatto per amare, che vuole amare. Dio, comandandoci di amare, viene incontro a questo profondo desiderio dell’uomo.
Potrebbe sorgere in noi una domanda: se questo desiderio è così profondo in noi, che necessità c’era di farne un comando? Non è neppure possibile comandare l’amore, l’amore non si comanda, è spontaneo, o c’è o non c’è.
In un certo senso è vero che non si può comandare di amare. Se Dio non avesse messo nel cuore dell’uomo l’anelito profondo verso l’amore, il suo comandamento sarebbe veramente stato inutile. Noi dobbiamo prima ricevere da Dio il dono di amare, per potere poi osservare questo comandamento. Però esso non è inutile, perché l’amore non è un dinamismo spontaneo: esige la nostra collaborazione, esige che mettiamo al suo servizio tutte le nostre capacità di pensiero, di affetto, di azione. Amare con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta la forza non ci è dato subito, dobbiamo lentamente crescere nell’amore. Il nostro amore è debole, è limitato, è mescolato a cose che lo inquinano e l’esperienza ce lo conferma continuamente. E per questa ragione che il comandamento è necessario e che in noi l’amore ha bisogno di tutte le attenzioni e di tutti gli sforzi, come una pianticella fragile ha bisogno di cure per svilupparsi.
Nel libro di Tobìa (Tb 6,10-11;7,1.9-17;8,4-9) abbiamo un bellissimo esempio, molto importante per l’educazione dell’amore. L’amore dell’uomo per la donna, della donna per l’uomo è un dono di Dio, che ha posto in noi questa profonda tendenza. Ma questo amore, nello stato di decadenza in cui il peccato ci ha posto, è terribilmente viziato dall’egoismo; il desiderio sessuale è un aiuto all’amore, ma in un altro senso può diventare un grave ostacolo, se si cerca nell’altro soltanto la propria soddisfazione. Tobia e Sara ne sono coscienti e si dimostrano fedeli all’amore. Dice infatti Tobia a Sara: “Sara, levati, preghiamo Dio… Noi siamo figli di santi e non possiamo unirci alla maniera di quelli che non conoscono Dio”. E nella preghiera a Dio: “Signore, tu sai che io prendo in moglie questa mia parente non per passione, ma solo per il desiderio di una discendenza”. Vediamo dunque, in questa drammatica storia, come il dinamismo che ci spinge verso l’amore può essere in noi profondamente bisognoso di purificazione.
Questo è vero per l’amore dell’uomo per la donna nel matrimonio, e lo è anche nelle altre relazioni interpersonali. Sempre noi abbiamo tendenza a strumentalizzare gli altri per i nostri fini, ad “usarli” invece di amarli, a cercare in loro ciò che ci piace, ciò che soddisfa un nostro bisogno. Per essere fedeli al comandamento dell’amore dobbiamo resistere a questa tendenza, non dobbiamo lasciare che l’amore sia profanato dall’egoismo, ma lavorare con pazienza a purificarlo.