29 Aprile 2018 V DOMENICA DI PASQUA ANNO B

Chi rimane in me, e io in lui,
porta molto frutto

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 15,1-8)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Nei discorsi di addio del Vangelo secondo san Giovanni (capitoli 13-17) l’evangelista prende spunto dalle parole di Gesù per riflettere, con il carisma che gli è proprio, sulla vita dei credenti dal tempo dell’Ascensione al ritorno del Signore. Egli si riconosce talmente legato al Signore attraverso lo Spirito di Dio che parla ai suoi ascoltatori e ai suoi lettori usando l'”io” di Cristo. Per mezzo della sua voce, il Signore rivela a coloro che credono in lui qual è la loro situazione, ordinando loro di agire in modo giusto.
È durante la festa liturgica delle domeniche che vanno da Pasqua alla Pentecoste che la Chiesa propone alla lettura questi discorsi, per mostrare ai credenti cos’è infine importante per la loro vita. Attraverso un paragone, il Signore ci rivela oggi che tutti quelli che gli sono legati mediante la fede vivono in vera simbiosi. Come i tralci della vite, che sono generati e nutriti dalla vite stessa, noi cristiani siamo legati in modo vitale a Gesù Cristo nella comunità della Chiesa. Vi sono molte condizioni perché la forza vitale e la grazia di Cristo possano portare i loro frutti nella nostra vita: ogni tralcio deve essere liberato dai germogli superflui, deve essere sano e reagire in simbiosi fertile con la vite.
Per mezzo del battesimo, Cristo ci ha accolti nella sua comunità. E noi siamo stati liberati dai nostri peccati dalla parola sacramentale di Cristo. La grazia di Cristo non può agire in noi che nella misura in cui noi la lasciamo agire. La Provvidenza divina veglierà su di noi e si prenderà cura di noi se saremo pronti. Ma noi non daremo molti frutti se non restando attaccati alla vite per tutta la vita. Cioè: se viviamo coscienziosamente la nostra vita come membri della Chiesa di Cristo. Poiché, agli occhi di Dio, ha valore duraturo solo ciò che è compiuto in seno alla comunità, con Gesù Cristo e nel suo Spirito: “Senza di me non potete far nulla”. Chi l’ha riconosciuto, può pregare Dio di aiutarlo affinché la sua vita sia veramente fertile nella fede e nell’amore.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta. Volume 9 Capitolo 600

«Perché, Signore, Tu ti manifesti a noi e non al mondo?», chiede Giuda Taddeo.

«Perché mi amate e osservate le mie parole. Chi così farà, sarà amato dal Padre e Noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui, in lui. Mentre chi non mi ama non osserva le mie parole e fa secondo la carne e il mondo. Ora sappiate che ciò che Io vi ho detto non è parola di Gesù Nazareno ma parola del Padre, perché Io sono il Verbo del Padre che mi ha mandato.

Io vi ho detto queste cose parlando così, con voi, perché voglio Io stesso prepararvi al possesso completo della Verità e Sapienza. Ma ancora non potete capire né ricordare. Però, quando verrà a voi il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà in mio Nome, allora voi potrete capire, ed Egli tutto vi insegnerà, e vi ricorderà quanto Io vi ho detto.

Io vi lascio la mia pace. Io vi do la mia pace. Ve la do non come la dà il mondo. E neppure come fino ad ora ve l’ho data: saluto benedetto del Benedetto ai benedetti. Più profonda è la pace che ora vi do. In questo addio. Io vi comunico Me stesso, il mio Spirito di pace, così come vi ho comunicato il mio Corpo e il mio Sangue, perché in voi resti una forza nella imminente battaglia.

Satana e il mondo sferrano guerra al vostro Gesù. È la loro ora. Abbiate in voi la Pace, il mio Spirito che è spirito di pace, perché Io sono il Re della pace. Abbiatela per non essere troppo derelitti. Chi soffre con la pace di Dio in sé soffre, ma non bestemmia e dispera.

Non piangete. Avete pure sentito che ho detto: “Vado al Padre e poi tornerò”. Se mi amaste sopra la carne, vi rallegrereste, perché Io vado dal Padre dopo tanto esilio… Vado da Colui che è maggiore di Me e che mi ama. Io ve l’ho detto ora, prima che ciò si compia, così come vi ho detto tutte le sofferenze del Redentore prima di andare ad esse, affinché, quando tutto si compia, voi crediate sempre più in Me. Non turbatevi così! Non sgomentatevi. Il vostro cuore ha bisogno di equilibrio…

Poco più ho da parlarvi… e ancora tanto ho da dire! Giunto al termine di questa mia evangelizzazione, mi pare di non avere ancora nulla detto e che tanto, tanto, tanto ancora resti da fare. Il vostro stato aumenta questa mia sensazione. E che dirò allora? Che Io ho mancato al mio ufficio? O che voi siete così duri di cuore che a nulla esso è valso? Dubiterò? No. Mi affido a Dio, e a Lui affido voi, miei diletti. Egli compirà l’opera del suo Verbo.

Non sono come un padre che muore e non ha altra luce che l’umana. Io spero in Dio. E pure sentendo in Me urgere tutti i consigli di cui vi vedo bisognosi e sentendo fuggire il tempo, vado tranquillo alla mia sorte. So che sui semi caduti in voi sta per scendere una rugiada che li farà tutti germogliare, e poi verrà il sole del Paraclito, ed essi diverranno albero potente.

Sta per venire il principe di questo mondo, colui col quale Io non ho nulla a che fare. E, se non fosse per fine di redenzione, non avrebbe potuto nulla su Me. Ma ciò avviene affinché il mondo conosca che Io amo il Padre e Lo amo fino alla ubbidienza di morte, e perciò faccio ciò che mi ha ordinato.

È l’ora di andare. Alzatevi. E udite le ultime parole. Io sono la vera Vite. Il Padre ne è il Coltivatore. Ogni tralcio che non porta frutto Egli lo recide e quello che porta frutto lo pota perché ne porti più ancora.

Voi siete già purificati per la mia parola. Rimanete in Me ed Io in voi per continuare ad essere tali. Il tralcio staccato dalla vite non può fare frutto. Così voi se non rimanete in Me. Io sono la Vite e voi i tralci. Colui che resta unito a Me porta abbondanti frutti. Ma se uno si stacca diviene ramo secco e viene buttato nel fuoco e là brucia. Perché, senza l’unione con Me, voi nulla potete fare.

Rimanete dunque in Me e le mie parole restino in voi, poi domandate quanto volete e vi sarà fatto. Il Padre mio sarà sempre più glorificato quanto più voi porterete frutto e sarete miei discepoli.

Come il Padre mi ha amato, così Io con voi. Rimanete nel mio amore che salva. Amandomi sarete ubbidienti, e l’ubbidienza aumenta il reciproco amore. Non dite che Io mi ripeto. So la vostra debolezza. E voglio che vi salviate.

Io vi dico queste cose perché la gioia che vi ho voluto dare sia in voi e sia completa. Amatevi, amatevi! Questo è il mio Comandamento nuovo. Amatevi scambievolmente più di quanto ognuno ami se stesso. Non vi è maggior amore di quello di colui che dà la sua vita per i suoi amici. Voi siete i miei amici ed Io do la vita per voi. Fate ciò che Io vi insegno e comando.

Non vi chiamo più servi. Perché il servo non sa ciò che fa il suo padrone, mentre voi sapete ciò che Io faccio. Tutto di Me sapete. Vi ho manifestato non solo Me stesso, ma anche il Padre ed il Paraclito e tutto quanto ho sentito da Dio.

Non siete stati voi che vi siete scelti. Ma Io vi ho scelti e vi ho eletti, perché andiate fra i popoli, e facciate frutto in voi e nei cuori degli evangelizzati, e il vostro frutto rimanga e il Padre vi dia tutto ciò che gli chiederete in mio Nome.

Non dite: “E allora, se Tu ci hai scelti, perché hai scelto un traditore? Se tutto Tu sai, perché hai fatto questo?”. Non chiedetevi neppure chi è costui. Non è un uomo. È Satana. L’ho detto all’amico fedele e l’ho lasciato dire dal figlio diletto. È Satana. Se Satana non si fosse incarnato, l’eterno scimmiottatore di Dio, in una carne mortale, questo posseduto non avrebbe potuto sfuggire al mio potere di Gesù. Ho detto: “posseduto”. No. È molto di più: è un annullato in Satana».

«Perché, Tu che hai cacciato i demoni, non lo hai liberato?», chiede Giacomo d’Alfeo.

«Lo chiedi per amore di te, temendo essere tu quello? Non lo temere».

«Io, allora?».

«Io?».

«Io?».

«Tacete. Non dico quel nome. Uso misericordia e voi fate ugualmente».

«Ma perché non lo hai vinto? Non potevi?».

«Potevo. Ma, per impedire a Satana di incarnarsi per uccidermi, avrei dovuto sterminare la razza dell’uomo avanti la Redenzione. Che avrei allora redento?».

«Dimmelo, Signore, dimmelo!». Pietro è scivolato in ginocchio e scuote freneticamente Gesù come fosse in preda a delirio. «Sono io? Sono io? Mi esamino? Non mi pare. Ma Tu… Tu hai detto che ti rinnegherò… Ed io tremo… Oh! che orrore essere io!…».

«No, Simone di Giona. Non tu».

«Perché mi hai levato il mio nome di “Pietra”? Sono dunque tornato Simone? Lo vedi? Tu lo dici!… Sono io! Ma come ho potuto? Ditelo… ditelo voi… Quando è che ho potuto divenire traditore?… Simone?… Giovanni?… Ma parlate!…».

«Pietro, Pietro, Pietro! Ti chiamo Simone perché penso al primo incontro, quando eri Simone. E penso come sei sempre stato leale dal primo momento. Non sei tu. Lo dico Io: Verità».

«Chi, allora?».

«Ma è Giuda di Keriot! Non lo hai ancora capito?», urla il Taddeo che non riesce più a contenersi.

«Perché non me lo hai detto prima? Perché?», urla anche Pietro.

«Silenzio. È Satana. Non ha altro nome. Dove vai, Pietro?».

«A cercarlo».

«Posa subito quel mantello e quell’arma. O ti devo scacciare e maledire?».

«No, no! Oh! Signor mio! Ma io… ma io… Sono forse malato di delirio, io? Oh! Oh!». Pietro piange, gettato per terra ai piedi di Gesù.

«Io vi do comando di amarvi. E di perdonare. Avete capito? Se anche nel mondo è l’odio, in voi sia solo l’amore. Per tutti. Quanti traditori troverete sulla vostra via! Ma non li dovete odiare e rendere loro male per male. Altrimenti il Padre odierà voi. Prima di voi fui odiato e tradito Io. Eppure, voi lo vedete, Io non odio.

Il mondo non può amare ciò che non è come esso. Perciò non vi amerà. Se foste suoi, vi amerebbe; ma non siete del mondo, avendovi Io presi da mezzo al mondo. E per questo siete odiati. Vi ho detto: il servo non è da più del padrone. Se hanno perseguitato Me, perseguiteranno voi pure. Se avranno ascoltato Me, ascolteranno pure voi. Ma tutto faranno per causa del mio Nome, perché non conoscono, non vogliono conoscere Colui che mi ha mandato.

Se non fossi venuto e non avessi parlato, non sarebbero colpevoli. Ma ora il loro peccato è senza scusa. Hanno visto le mie opere, udito le mie parole, eppure mi hanno odiato, e con Me il Padre. Perché Io e il Padre siamo una sola Unità con l’Amore. Ma era scritto: “Mi odiasti senza ragione”. Però, quando sarà venuto il Consolatore, lo Spirito di verità che dal Padre procede, sarà da Lui resa testimonianza di Me, e voi pure mi testimonierete, perché dal principio foste con Me.

Questo vi dico perché, quando sarà l’ora, non rimaniate accasciati e scandalizzati. Sta per venire il tempo in cui vi cacceranno dalle sinagoghe e in cui chi vi ucciderà penserà di fare culto a Dio con ciò. Non hanno conosciuto né il Padre né Me. In ciò è la loro scusante. Non ve le ho dette così ampie prima di ora, queste cose, perché eravate come bambini pur mo’ nati. Ma ora la madre vi lascia. Io vado. Dovete assuefarvi ad altro cibo. Voglio lo conosciate.

Nessuno più mi chiede: “Dove vai?”. La tristezza vi fa muti. Eppure è bene anche per voi che Io me ne vada. Altrimenti non verrà il Consolatore. Io ve lo manderò. E quando sarà venuto, attraverso la sapienza e la parola, le opere e l’eroismo che infonderà in voi, convincerà il mondo del suo peccato deicida e di giustizia sulla mia santità. E il mondo sarà nettamente diviso nei reprobi, nemici di Dio, e nei credenti. Questi saranno più o meno santi, a seconda del loro volere. Ma il giudizio del principe del mondo e dei suoi servi sarà fatto. Di più non posso dirvi, perché ancora non potete intendere.

Ma Egli, il divino Paraclito, vi darà la Verità intera, perché non parlerà di Se stesso. Ma dirà tutto quello che avrà udito dalla Mente di Dio e vi annunzierà il futuro. Prenderà ciò che da Me viene, ossia ciò che ancora è del Padre, e ve lo dirà. Ancora un poco da vedersi. Poi non mi vedrete più. E poi ancora un poco, e poi mi vedrete.

Voi mormorate fra voi ed in cuor vostro. Udite una parabola. L’ultima del vostro Maestro.

Quando una donna ha concepito e giunge all’ora del parto, è in grande afflizione perché soffre e geme. Ma quando il piccolo figlio è dato alla luce ed ella lo stringe sul cuore, ogni pena cessa e la tristezza si muta in gioia, perché un uomo è venuto al mondo.

Così voi. Voi piangerete e il mondo riderà di voi. Ma poi la vostra tristezza si muterà in gioia. Una gioia che il mondo mai conoscerà.

Voi ora siete tristi. Ma, quando mi rivedrete, il vostro cuore diverrà pieno di un gaudio che nessuno avrà più potere di rapirvi. Una gioia così piena che vi offuscherà ogni bisogno di chiedere e per la mente e per il cuore e per la carne. Solo vi pascerete di rivedermi, dimenticando ogni altra cosa. Ma proprio da allora potrete tutto chiedere in mio Nome, e vi sarà dato dal Padre perché abbiate sempre più gioia. Domandate, domandate. E riceverete.

Viene l’ora in cui potrò parlarvi apertamente del Padre. Sarà perché sarete stati fedeli nella prova e tutto sarà superato. Perfetto quindi il vostro amore, perché vi avrà dato forza nella prova. E quanto a voi mancherà Io ve lo aggiungerò prendendolo dal mio immenso tesoro e dicendo: “Padre, lo vedi. Essi mi hanno amato credendo che Io venni da Te”. Sceso nel mondo, ora lo lascio e vado al Padre, e pregherò per voi».

«Oh! ora Tu ti spieghi. Ora sappiamo ciò che vuoi dire e che Tu sai tutto e rispondi senza che nessuno ti interroghi. Veramente Tu vieni da Dio!».

«Adesso credete? All’ultima ora? È tre anni che vi parlo! Ma già in voi opera il Pane che è Dio e il Vino che è Sangue non venuto da uomo, e vi dà il primo brivido di deificazione. Voi diverrete dèi se sarete perseveranti nel mio amore e nel mio possesso. Non come lo disse Satana ad Adamo ed Eva, ma come Io ve lo dico. È il vero frutto dell’albero del Bene e della Vita.

Il Male è vinto in chi se ne pasce, ed è morta la Morte. Chi ne mangia vivrà in eterno e diverrà “dio” nel Regno di Dio. Voi sarete dèi se permarrete in Me. Eppure ecco… pur avendo in voi questo Pane e questo Sangue, poiché sta venendo l’ora in cui sarete dispersi, voi ve ne andrete per vostro conto e mi lascerete solo… Ma non sono solo. Ho il Padre con Me. Padre, Padre! Non mi abbandonare! Tutto vi ho detto… Per darvi pace. La mia pace. Ancora sarete oppressi. Ma abbiate Fede. Io ho vinto il mondo».

Gesù si alza, apre le braccia in croce e dice con volto luminoso la sublime preghiera al Padre. Giovanni la riporta integralmente. Gli apostoli lacrimano più o meno palesemente e rumorosamente. Per ultimo cantano un inno.

Gesù li benedice. Poi ordina: «Mettiamoci i mantelli, ora. E andiamo. Andrea, dì al capo di casa di lasciare tutto così, per mio volere. Domani… vi farà piacere rivedere questo luogo». Gesù lo guarda. Pare benedire le pareti, i mobili, tutto. Poi si ammantella e si avvia, seguito dai discepoli. Al suo fianco è Giovanni, al quale si appoggia.

«Non saluti la Madre?», gli chiede il figlio di Zebedeo.

«No. È tutto già fatto. Fate, anzi, piano».

Simone, che ha acceso una torcia alla lumiera, illumina l’ampio corridoio che va alla porta. Pietro apre cauto il portone ed escono tutti nella via e poi, facendo giocare un ordigno, chiudono dal di fuori. E si pongono in cammino.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

IV Domenica di Pasqua anno A

V

Il Buon Pastore dà la propria vita per le pecore.

Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 10,11-18)

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il Buon Pastore. Il Buon Pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario -che non è pastore e al quale le pecore non appartengono- vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono Me, così come il Padre conosce Me e Io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle Io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché Io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno Me la toglie: Io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». Parola del Signore.

RIFETTIAMO

La figura del Buon Pastore tracciata da Gesù è fin troppo rassicurante, è Lui stesso che si identifica in questo ruolo e lo separa nettamente da quello del mercenario. Il Buon Pastore ama le sue pecore, le conosce una per una e non le abbandona in nessuna circostanza. A tal proposito leggiamo in una parabola l’elevato amore di Gesù per una sola pecorella smarrita.

“Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta? Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli” (Mt 18,12-1

III Domenica di Pasqua anno A

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Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 24,35-48

Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture e disse: «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

Volume 10 – Capitoli 620-621 (21 febbraio 1944)

Dice Gesù: «Le preghiere ardenti di Maria hanno anticipato di qualche tempo la mia Risurrezione. Io avevo detto: “Il Figlio dell’Uomo sta per essere ucciso, ma il terzo giorno risorgerà”. Ero morto alle tre del pomeriggio di venerdì. Sia che calcoliate i giorni come nome, sia li calcoliate come ore, non era l’alba domenicale quella che doveva vedermi sorgere. Come ore, erano unicamente trentotto ore invece di settantadue quelle che il mio Corpo era rimasto senza vita. Come giorni, doveva almeno giungere la sera di questo terzo giorno per dire che ero stato tre giorni nella tomba.

Ma Maria ha anticipato il miracolo. Come quando col suo orare ha schiuso i Cieli con anticipo di qualche anno sull’epoca prefissa, per dare al mondo la sua Salvezza, così ora Ella ottiene l’anticipo di qualche ora per dar conforto al suo Cuore morente.

Ed Io, alla prima alba del terzo giorno, sono sceso come sole che scende e del mio fulgore ho sciolto i sigilli umani così inutili davanti alla potenza di un Dio, della mia forza ho fatto leva per ribaltare l’inutilmente vegliata pietra, del mio apparire ho fatto folgore che ha atterrato le tre volte inutili guardie messe a custodia di una Morte che era Vita, che nessuna forza umana poteva impedire d’esser tale.

Ben più potente della vostra corrente elettrica, il mio Spirito è entrato come spada di Fuoco divino a riscaldare le fredde spoglie del mio Cadavere, e al nuovo Adamo lo Spirito di Dio ha alitato la vita, dicendo a Se stesso: “Vivi. Lo voglio”.

Io che avevo risuscitato i morti quando non ero che il Figlio dell’Uomo, la Vittima designata a portare le colpe del mondo, non dovevo potere risuscitare Me stesso ora che ero il Figlio di Dio, il Primo e l’Ultimo, il Vivente eterno, Colui che ha nelle sue mani le chiavi della Vita e della Morte? Ed il mio Cadavere ha sentito la Vita tornare in Lui.

Guarda: come uomo che si sveglia dopo il sonno dato da una enorme fatica, Io ho un profondo respiro. Né ancora apro gli occhi. Il Sangue torna a circolare nelle vene poco rapido ancora, riporta il pensiero alla mente. Ma vengo da tanto lontano! Guarda: come uomo ferito che una potenza miracolosa risana, il Sangue torna nelle vene vuote, empie il Cuore, scalda le membra, le ferite si rimarginano, spariscono lividi e piaghe, la forza torna.

Ma ero tanto ferito! Ecco, la Forza opera. Io sono guarito. Io sono svegliato. Io sono ritornato alla Vita. Fui morto. Ora vivo! Ora sorgo!

Scuoto i lini di morte, getto l’involucro degli unguenti. Non ho bisogno di essi per apparire Bellezza eterna, eterna Integrità. Io mi rivesto di veste che non è di questa Terra, ma tessuta da Colui che mi è Padre e che tesse la seta dei gigli verginali. Sono vestito di splendore. Mi orno delle mie Piaghe che non gemono più Sangue ma sprigionano luce. Quella luce che sarà la gioia di mia Madre e dei beati e il terrore, la vista insostenibile dei maledetti e dei demoni sulla Terra e nell’ultimo giorno.

L’Angelo della mia vita d’uomo e l’Angelo del mio dolore sono prostrati davanti a Me e adorano la mia Gloria. Ci sono tutti e due i miei Angeli. L’uno per bearsi della vista del suo Custodito, che ora non ha più bisogno d’angelica difesa. L’altro, che ha visto le mie lacrime, per vedere il mio sorriso; che ha visto la battaglia, per vedere la mia vittoria; che ha visto il mio dolore, per vedere la mia gioia.

Ed esco nell’ortaglia piena di bocci di fiori e di rugiada. E i meli aprono le corolle per fare arco fiorito sul mio capo di Re, e le erbe fanno tappeto di gemme e di corolle al mio piede che torna a calpestare la Terra redenta dopo esser stato innalzato su essa per redimerla. E mi saluta il primo sole, e il vento dolce d’aprile, e la lieve nuvola che passa, rosea come guancia di bambino, e gli uccelli fra le fronde. Sono il loro Dio. Mi adorano.

Passo fra le guardie tramortite, simbolo delle anime in colpa mortale che non sentono il passaggio di Dio.

È Pasqua, Maria! Questo è bene il “Passaggio dell’Angelo di Dio”! Il suo Passaggio da morte a vita. Il suo Passaggio per dare Vita ai credenti nel suo Nome. È Pasqua! È la Pace che passa nel mondo. La Pace non più velata dalla condizione di uomo. Ma libera, completa nella sua tornata efficienza di Dio.

E vado dalla Madre. È ben giusto che ci vada. Lo è stato per i miei Angeli. Ben di più lo è per quella che, oltre che mia custode e conforto, mi è stata datrice di vita. Prima ancora di tornare al Padre nella mia veste d’Uomo glorificata, vado dalla Madre. Vado nel fulgore della mia veste paradisiaca e delle mie Gemme vive. Ella mi può toccare, Ella le può baciare, perché Ella è la Pura, la Bella, l’Amata, la Benedetta, la Santa di Dio.

Il nuovo Adamo va all’Eva nuova. Il male è entrato nel mondo per la donna, e dalla Donna fu vinto. Il Frutto della Donna ha disintossicato gli uomini dalla bava di Lucifero. Ora, se essi vogliono, possono esser salvi. Ha salvato la donna rimasta così fragile dopo la ferita mortale.

E dopo che alla Pura, alla quale per diritto di santità e di maternità è giusto vada il Figlio-Dio, mi presento alla donna redenta (Maria Maddalena), alla capostipite, alla rappresentante di tutte le creature femminee che sono venuto a liberare dal morso della lussuria. Perché dica ad esse che si accostino a Me per guarire, che abbiano fede in Me, che credano nella mia Misericordia che comprende e perdona, che per vincere satana, che fruga loro le carni, guardino la mia Carne ornata dalle cinque ferite.

Non mi faccio toccare da lei. Ella non è la Pura che può toccare, senza contaminarlo, il Figlio che torna al Padre. Molto ha ancora da purificare con la penitenza. Ma il suo amore merita questo premio. Ella ha saputo risorgere per sua volontà dal sepolcro del suo vizio, strozzare satana che la teneva, sfidare il mondo per amore del suo Salvatore, ha saputo spogliarsi di tutto che non fosse amore, ha saputo non essere più che amore che si consuma per il suo Dio. E Dio la chiama: “Maria”. Odila rispondere: “Rabboni!”. Vi è il suo cuore in quel grido.

A lei, che l’ha meritato, do l’incarico di esser messaggera della Risurrezione. E ancora una volta sarà un poco schernita come avesse vaneggiato. Ma non le importa nulla, a Maria di Magdala, a Maria di Gesù, del giudizio degli uomini. Mi ha visto risorto, e ciò le dà una gioia che attutisce ogni altro sentimento.

Vedi come amo anche chi fu colpevole, ma volle uscire dalla colpa? Neppure a Giovanni Io mi mostro per primo. Ma alla Maddalena.

Giovanni aveva già avuto il grado di figlio da Me. Lo poteva avere perché era puro e poteva essere figlio non solo spirituale, ma anche dante e ricevente, alla e dalla Pura di Dio, quei bisogni e quelle cure che sono connesse alla carne.

Maddalena, la risorta alla Grazia, ha la prima visione della Grazia Risorta.

Quando mi amate sino a vincere tutto per Me, Io vi prendo il capo ed il cuore malato fra le mie mani trafitte e vi alito in volto il mio Potere. E vi salvo, vi salvo, figli che amo. Voi tornate belli, sani, liberi, felici. Voi tornate i figli cari del Signore. Faccio di voi i portatori della mia Bontà fra i poveri uomini, coloro che testimoniate della mia Bontà ad essi per farli persuasi di essa e di Me.

Abbiate, abbiate, abbiate Fede in Me. Abbiate amore. Non temete. Vi faccia sicuri del Cuore del vostro Dio tutto quanto ho patito per salvarvi.

E tu, piccolo Giovanni, sorridi dopo aver pianto. Il tuo Gesù non soffre più. Non ci sono più né sangue né ferite. Ma luce, luce, luce e gioia e gloria. La mia luce e la mia gioia siano in te sinché verrà l’ora del Cielo».

(3 aprile 1945)

Il sole di un sereno mattino d’aprile empie di brillii i boschetti di rose e gelsomini del giardino di Lazzaro. E le siepi di bosso e d’alloro, il ciuffo di un’alta palma che ondeggia lieve al limite di un viale, il foltissimo lauro presso la peschiera, sembrano lavati da una mano misteriosa, tanto la copiosa rugiada notturna ne ha deterse e irrorate le foglie, che ora paiono coperte di uno smalto nuovo tanto sono lucide e nette. Ma la casa tace come fosse piena di morti. Le finestre sono aperte, ma non una voce, non un rumore viene dalle stanze, in penombra perché tutte le tende sono calate.

Nell’interno, oltre il vestibolo nel quale si aprono molte porte tutte aperte -ed è strano vedere senza nessun apparato le sale solitamente usate per i conviti più o meno numerosi- vi è un ampio cortile lastricato e circondato da un portico sparso di sedili. Su questi, e persino seduti sul suolo, su stuoie, o anche sul marmo stesso, sono numerosi discepoli. E fra essi vedo gli apostoli Matteo, Andrea, Bartolomeo, i fratelli Giacomo e Giuda d’Alfeo, Giacomo di Zebedeo e i discepoli pastori con Mannaen, oltre ad altri che non conosco. Non vedo lo Zelote, non Lazzaro, non Massimino.

Infine questo entra con dei servi e distribuisce a tutti del pane con cibi diversi, ossia ulive o formaggio, o miele, e anche latte fresco per chi lo vuole. Ma non c’è voglia di mangiare, per quanto Massimino esorti tutti a farlo. L’accasciamento è profondo. I visi si sono in pochi giorni infossati, fatti terrei sotto il rossore del pianto. Specie gli Apostoli e quelli fuggiti fin dalle prime ore mostrano un aspetto avvilito, mentre i pastori con Mannaen sono meno accasciati, anzi, meno vergognosi, e Massimino è solo virilmente addolorato.

Entra quasi di corsa lo Zelote e chiede: «È qui Lazzaro?».

«No, è nella sua stanza. Che vuoi?».

«Sul limite del sentiero, presso la fontana del Sole, è Filippo. Viene dalla piana di Gerico. È sfinito. E non vuole venire avanti, perché… come tutti, si sente peccatore. Ma Lazzaro lo persuaderà».

Si alza Bartolomeo e dice: «Vengo anche io…».

Vanno da Lazzaro che, chiamato, esce con un volto straziato dalla stanza semibuia, dove certo ha pianto e pregato.

Escono tutti e traversano prima il giardino, poi il paese nella parte che si dirige già verso le pendici del monte Uliveto, e poi raggiungono il limite di questo paese dalla parte dove esso termina col terminare del pianoro su cui è costruito, per proseguire unicamente colla via montana che scende e sale a scalinate naturali per le montagne, che degradano verso la pianura a est e salgono verso la città di Gerusalemme a ovest.

Qui è una fontana dal largo bacino, dove certo armenti e uomini si dissetano. Il luogo è in quest’ora solitario e fresco, perché molta ombra di alberi folti è intorno alla cisterna piena di un’acqua pura, che sempre si rinnova scendendo da qualche sorgiva montana e trabocca tenendo umido il suolo.

Filippo è seduto sull’orlo più alto della fonte, a capo basso, spettinato, polveroso, con i sandali rotti che pendono dal piede scorticato.

Lazzaro lo chiama, con pietà: «Filippo, vieni a me! Amiamoci per amor suo. Stiamo uniti nel suo Nome. È amarlo ancora fare questo!».

«Oh! Lazzaro! Lazzaro! Io sono fuggito… e ieri, oltre Gerico, ho saputo che è morto!… Io… io non mi posso perdonare di essere fuggito…».

«Tutti siamo fuggiti. Meno Giovanni che è rimasto a Lui fedele e Simone che ci ha radunati per ordine suo dopo che da vili fuggimmo. E poi… di noi Apostoli, nessuno fu fedele», dice Bartolomeo.

«E te lo puoi perdonare?».

«No. Ma penso riparare come posso col non cadere nell’abbattimento sterile. Dobbiamo unirci fra noi. Unirci a Giovanni. Sapere le sue ultime ore. Giovanni lo ha sempre seguito», risponde a Filippo il compagno Bartolomeo.

«E non fare morire la sua Dottrina. Bisogna predicarla al mondo. Tenere viva quella almeno, posto che, troppo pesanti e tardi, non sapemmo provvedere in tempo a salvarlo dai suoi nemici», dice lo Zelote.

«Non potevate salvarlo. Nulla lo poteva salvare. Egli me lo ha detto. Lo ridico un’altra volta», dice sicuro Lazzaro.

«Tu lo sapevi, Lazzaro?», chiede Filippo.

«Lo sapevo. La mia tortura è stata di sapere, dalla sera del sabato, la sua sorte da Lui, e nei particolari, nel sapere come noi avremmo agito…».

«No. Tu no. Tu hai solo ubbidito e sofferto. Noi abbiamo agito da vili. Tu e Simone siete i sacrificati all’ubbidienza», prorompe Bartolomeo.

«Sì. All’ubbidienza. Oh! come è pesante fare resistenza all’amore per ubbidienza all’Amato! Vieni, Filippo. Nella mia casa sono quasi tutti i discepoli. Vieni tu pure».

«Mi vergogno di apparire al mondo, ai compagni…».

«Tutti uguali siamo!», geme Bartolomeo.

«Sì. Ma io ho un cuore che non si perdona».

«Ciò è orgoglio, Filippo. Vieni. Egli mi ha detto la sera del sabato: “Essi non si perdoneranno. Dì loro che Io li perdono, perché so che non sono loro che agiscono liberamente. Ma è satana che li travia”. Vieni».

Filippo piange più forte, ma cede. E, curvo come fosse divenuto vecchio in pochi giorni, va a fianco di Lazzaro fino al cortile dove tutti lo attendono. E lo sguardo che egli dà ai compagni, e quello che i compagni danno a lui, è la confessione più chiara del loro accasciamento totale.

Lazzaro lo nota e parla: «Una nuova pecora del gregge di Cristo, intimorita dalla venuta dei lupi e fuggita dopo la cattura del Pastore, è stata raccolta dall’amico di Lui. A questa dispersa, che ha conosciuto l’amarezza dell’essere sola, senza neppure il conforto di piangere lo stesso errore fra i fratelli, io ripeto il suo testamento di amore.

Egli, lo giuro alla presenza dei cori celesti, mi ha detto, con tante altre cose che la vostra umana debolezza presente non può sopportare perché, veramente, sono di una desolazione che mi lacerano da dieci giorni il cuore -e se non sapessi che la mia vita serve al mio Signore, benché così povera e manchevole come è, mi abbandonerei alla ferita di questo dolore di amico e di discepolo che tutto ha perduto, Lui perdendo- mi ha detto: “I miasmi di Gerusalemme corrotta renderanno folli anche i miei discepoli. Essi fuggiranno e verranno da te”.

Infatti, vedete che tutti siete venuti. Tutti, potrei dire. Perché, meno Simon Pietro e l’Iscariota, tutti siete venuti verso la mia casa e il mio cuore di amico. Ha detto: “Tu le radunerai. Le rincuorerai le mie pecore disperse. Dirai loro che Io le perdono. Ti affido il mio perdono per loro. Non si daranno pace di essere fuggiti. Dì loro di non cadere nel più grande peccato del disperare del mio perdono”.

Così ha detto. E io, perdono per Lui vi ho dato. E ne ho avuto rossore di darvi in suo Nome questa cosa così santa, così sua, che è il Perdono, ossia l’Amore perfetto, perché perfettamente ama chi al colpevole perdona. Questo ministero ha confortato la mia aspra ubbidienza… Perché là avrei voluto essere, come Maria e Marta, le mie dolci sorelle.

E se Lui fu crocifisso sul Golgota dagli uomini, io qui, ve lo giuro, sono crocifisso dall’ubbidienza, ed è ben straziante martirio. Ma se serve a dargli conforto allo Spirito, se ciò serve a salvargli i suoi discepoli sino al momento in cui Egli li radunerà per perfezionarli nella Fede, ecco, io immolo una volta ancora il mio desiderio di andare almeno a venerarne la salma prima che il terzo giorno muoia.

Lo so che dubitate. Non dovete. Io non so le sue parole del banchetto pasquale altro che per quello che voi mi avete detto. Ma più le penso, più alzo uno per uno questi diamanti delle sue verità, e più sento che essi hanno un sicuro riferimento al domani immediato. Egli non può avere detto: “Vado al Padre e poi tornerò” se non avesse veramente a tornare.

Non può avere detto: “Quando mi rivedrete sarete pieni di gaudio” se fosse scomparso per sempre. Egli lo ha sempre detto: “Io risusciterò”.

Voi mi avete detto che disse: “Sui semi gettati in voi sta per cadere una rugiada che li farà tutti germogliare, e poi verrà il Paraclito che li farà divenire alberi potenti”. Non disse così? Oh! non fate che ciò avvenga solo per l’ultimo dei suoi discepoli, per il povero Lazzaro che non fu con Lui che raramente! Quando Egli tornerà, fate che trovi germogliati i suoi semi sotto la rugiada del suo Sangue.

In me è tutta una accensione di luce, è tutto un erompere di forze dall’ora tremenda in cui Egli salì sulla Croce. Tutto si illumina, tutto nasce e mette stelo. Non c’è parola che mi resti nel suo povero significato umano. Ma tutto ciò che da Lui o di Lui udii, ecco che ora prende vita, e realmente la mia landa brulla si muta in fertile aiuola dove ogni fiore ha il suo Nome e dove ogni succo trae vita dal suo Cuore benedetto.

Io credo, Cristo! Ma perché questi credano in Te, in ogni tua promessa, nel tuo perdono, in tutto quanto è Te, ecco, ti offro la mia vita. Consumala, ma fa che la tua Dottrina non muoia! Frantuma il povero Lazzaro. Ma riunisci le membra disperse del nucleo apostolico. Tutto ciò che Tu vuoi, ma in cambio sia viva ed eterna la tua Parola, e ad essa ora e sempre vengano coloro che solo per Te possono avere la vita eterna».

Lazzaro è realmente ispirato. L’amore lo trasporta ben in alto. Ed è tanto forte il suo trasporto che solleva anche i compagni. Chi lo chiama a destra e chi a sinistra, quasi fosse un confessore, un medico, un padre.

Il cortile della ricca casa di Lazzaro, non so perché, mi fa pensare alle dimore dei patrizi cristiani in tempi di persecuzione e di eroica Fede… È curvo su Giuda d’Alfeo, che non riesce a trovare una ragione per calmare il suo affanno di avere lasciato il Maestro e cugino, quando qualcosa lo fa rialzare di scatto. Si volge intorno e poi dice netto: «Vengo, Signore». La sua parola di pronta adesione di sempre. Ed esce, correndo come dietro a qualcuno che lo chiami e preceda.

Tutti si guardano stupiti. Si interrogano.

«Che ha visto?».

«Ma non c’è nulla!».

«Hai udito una voce tu?».

«Io no».

«E io neppure».

«E allora? Lazzaro è forse malato di nuovo?».

«Forse… Ha sofferto più di noi, e ha tanto dato di forza a noi, vili! Forse ora lo ha preso il delirio».

«Infatti è molto sciupato nel volto».

«E il suo occhio nel parlare ardeva».

«Sarà Gesù che lo ha chiamato al Cielo».

«Infatti Lazzaro gli ha offerto la vita poco fa… Come un fiore lo ha subito colto… Oh! noi miseri! E che faremo ora?».

I commenti sono disparati e dolorosi.

Lazzaro traversa il vestibolo, esce nel giardino, sempre correndo, sorridendo, mormorando, e c’è la sua anima nella sua voce: «Vengo, Signore». Giunge ad un folto di bossi che fanno un recesso verde, noi diremmo un chiosco verde, e cade a ginocchi, col volto al suolo gridando: «Oh! mio Signore!».

Perché Gesù, nella sua bellezza di Risorto, è sul limitare di questo verde recesso e gli sorride… e gli dice: «Tutto è compiuto, Lazzaro. Sono venuto a dirti grazie, amico fedele. Sono venuto a dirti di dire ai fratelli di venire subito alla casa della Cena. Tu -un altro sacrificio, amico, per amor mio- tu resta, per ora, qui… So che ne soffri. Ma so che sei generoso. Maria, tua sorella, è già consolata, perché l’ho vista e mi ha visto».

«Non soffri più, Signore. E questo mi ripaga di ogni sacrificio. Ho… sofferto a saperti nel dolore… e a non esserci…».

«Oh! c’eri! Il tuo spirito era ai piedi della mia croce ed era nel buio del mio sepolcro. Tu mi hai evocato più presto, come tutti quelli che mi hanno totalmente amato, dal profondo dove ero. Ora Io ti ho detto: “Vieni, Lazzaro”. Come nel giorno della tua risurrezione. Ma tu da molte ore mi dicevi: “Vieni”. Sono venuto. E ti ho chiamato. Per trarti, a mia volta, dal profondo del tuo dolore. Và. Pace e benedizione a te, Lazzaro! Cresci nell’amore di Me. Tornerò ancora».

Lazzaro è sempre rimasto in ginocchio senza osare un gesto. La maestà del Signore, per quanto temperata d’amore, è tale che paralizza il solito modo di fare di Lazzaro.

Ma Gesù, prima di scomparire in un gorgo di luce che Lo assorbe, fa un passo e sfiora con la sua Mano la fronte fedele. È allora che Lazzaro si desta dal suo stupore beato e si alza e, correndo precipitosamente dai compagni, con una luminosità di gioia negli occhi e una luminosità sulla fronte sfiorata dal Cristo, grida:

«È risorto, fratelli! Mi ha chiamato. Sono andato. L’ho visto. Mi ha parlato. Mi ha detto di dirvi di andare subito alla casa della Cena. Andate! Andate! Io resto perché Egli lo vuole. Ma il mio giubilo è completo…».

E Lazzaro piange nella sua gioia, mentre spinge gli Apostoli ad andare per primi dove Egli comanda.

«Andate! Andate! Vi vuole! Vi ama! Non temete di Lui… Oh! è più che mai il Signore, la Bontà, l’Amore!».

Anche i discepoli si alzano… Betania si svuota. Resta Lazzaro col suo grande cuore consolato…

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

II DOMENICA DI PASQUA O DELLA DIVINA MISERICORDIA ANNO B

Gesù, stette in mezzo e disse loro: Pace a voi!
E i discepoli gioirono al vedere il Signore

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Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 20,19-31)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. Parola del Signore.

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RIFLESSIONI

I profeti chiamarono il Messia “principe della pace” (Is 9,5); affermarono che una pace senza fine avrebbe caratterizzato il suo regno (Is 9,6; 11,6). In occasione della nascita di Cristo, gli angeli del cielo proclamarono la pace sulla terra agli uomini di buona volontà (Lc 2,14). Gesù stesso dice: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo” (Gv 14,27).
Sul monte degli Ulivi, contemplando la maestà di Gerusalemme, Gesù, con le lacrime agli occhi e con il cuore gonfio, rimproverò il suo popolo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace!” (Lc 19,42). La pace è il dono apportato dal Redentore. Egli ci ha procurato questo dono per mezzo della sua sofferenza e del suo sacrificio, della sua morte e della sua risurrezione. San Paolo afferma: “Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani siete diventati vicini grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia” (Ef 2,13-14). Quando, risuscitato dai morti, si mostrò agli apostoli, Gesù offrì loro innanzi tutto la pace, prezioso dono del riscatto. Quando si mostrò a loro, disse ai suoi discepoli: “Pace a voi!”. Vedendoli spaventati e sperduti, li rassicurò dicendo loro che era proprio lui, risuscitato dai morti, e ripeté loro: “Pace a voi!”. Gesù ha voluto fare questo dono prezioso del riscatto – la pace – e l’ha fatto, non solo agli apostoli, ma anche a tutti quelli che credevano e avrebbero creduto in lui. È per questo che mandò gli apostoli a proclamare il Vangelo della redenzione in tutti i paesi del mondo, dando loro il potere di portare la pace dell’anima per mezzo dei sacramenti del battesimo e del pentimento, per mezzo dell’assoluzione dai peccati. Inoltre, in quell’occasione, Cristo soffiò sugli apostoli e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete, i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (Gv 20,21-23).
Beati coloro che credono in Dio senza averlo mai visto con i loro occhi, percepito con i loro sensi, compreso completamente con la loro intelligenza. La fede è una grazia; essa supera la conoscenza. La fede è un abbandonarsi con fiducia, non è un dato scientificamente dimostrato. Noi crediamo perché Dio si è rivelato e questa rivelazione è confermata dalla testimonianza di coloro che poterono essere presenti per decisione di Cristo e per ispirazione dello Spirito Santo, e cioè gli scrittori sacri, autori dei libri ispirati, e la Chiesa, alla cui testa si trova, in maniera invisibile, il Redentore stesso. Da ciò possiamo capire che la fede è meritoria e dunque benedetta. Infatti, accettare un sapere scientifico certo non costituisce in nessun modo un merito, mentre credere in qualcosa che non possiamo capire rappresenta un sacrificio e, perciò, un merito.
La benedizione della fede consiste nel fatto che essa ci unisce a Dio, ci indica la vera via di salvezza e ci libera così dall’angoscia del dubbio. La fede rende salda la speranza e, grazie ad essa, ci preserva dalla sfiducia, dalla tristezza, dallo smarrimento. La fede ci avvicina al soprannaturale e ci assicura così l’aiuto divino nei momenti più difficili. La fede ci innalza dalla vita materiale all’esistenza spirituale e ci riempie così di una gioia celeste.
Sulla terra, l’uomo è angosciato dal dubbio, dall’incertezza, dalla disperazione. Ma la fede lo libera da tutto questo. La fede lo rende pacifico e felice. Che cosa dobbiamo temere se Dio è con noi? La fede ci unisce a Dio e stabilisce uno stretto legame con lui. L’armonia con Dio sbocca, a sua volta, in un accordo con il proprio io, accordo che assicura una vera e propria pace interiore. Per giungere ad essa abbiamo bisogno, oltre che della fede, del pentimento che ci libera dai peccati riscattandoci. Perché è la colpa, il senso di colpa che suscita in noi l’inquietudine, e provoca tormenti spirituali, e ci procura rimorsi: tutto ciò è dovuto ad una coscienza appesantita dai peccati. La colpa non ci lascia in pace. Dice bene il profeta: “Non c’è pace per i malvagi” (Is 48,22). Mentre il salmo ci rassicura: “Grande pace per chi ama la tua legge” (Sal 119,165).

Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune

 

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 10 – Capitoli 628.1-6 e 629.1-13

 

I dieci sono nel cortile della casa del Cenacolo. Parlano fra loro e poi pregano. E poi tornano a parlare.

Dice Simone Zelote: «Sono veramente afflitto della sparizione di Tommaso. Non so più dove cercarlo».

«Ed io neppure», dice Giovanni.

«Dai parenti non c’è. E non è stato visto da nessuno. Che lo abbiano preso?».

«Se così fosse, il Maestro non avrebbe detto: “Dirò il resto quando ci sarà l’assente”».

«È vero. Io però voglio ancora andare a Betania. Forse si aggira per quelle montagne senza osare mostrarsi».

«Vai, vai, Simone. Tu ci hai tutti riuniti e… salvati col riunirci, perché ci hai portati da Lazzaro. Avete sentito che parole ebbe il Maestro per lui? Ha detto: “Il primo che in mio Nome ha perdonato e guidato”. Perché non lo mette al posto dell’Iscariota?», chiede Matteo.

«Perché non vorrà dare al perfetto amico il posto del traditore», risponde Filippo.

«Ho sentito poco fa, quando ho fatto un giro per i mercati e ho parlato ai venditori di pesce, che… -sì, mi posso fidare di loro- che quelli del Tempio non sanno che fare del corpo di Giuda. Non so chi fu… ma questa mattina all’alba i guardiani del Tempio hanno trovato dentro al sacro recinto il suo corpo putrido, con ancora la fune al collo. Io penso siano stati dei pagani a staccarlo e a gettarlo là dentro chissà come», dice Pietro.

«A me invece hanno detto ieri sera alla fonte, ho sentito dire, anzi, che da ieri sera hanno frombolato le viscere del Traditore fin contro la casa di Anna. Pagani, certo. Perché nessun ebreo avrebbe toccato, dopo più di cinque giorni, quel corpo. Chissà come era putrido!», dice Giacomo d’Alfeo.

«Oh! un orrore fin dal sabato!». Giovanni impallidisce al ricordo.

«Ma come finì in quel posto? Era suo?».

«E chi ha mai saputo niente di esatto da Giuda Iscariota? Vi ricordate come era chiuso, complicato…».

«Puoi dire: bugiardo, Bartolomeo. Mai era sincero. Per tre anni fu con noi, e noi che tutto avevamo in comune, davanti a lui eravamo come davanti all’alto muro di una fortezza».

«Di una fortezza? Oh! Simone! Dì di un labirinto!», esclama Giuda d’Alfeo.

«Oh! Sentite! Non parliamo di lui! Mi pare di averlo a evocare e che debba venire a darci disturbo. Io vorrei cancellare il suo ricordo da me e da ogni cuore. Ebreo o gentile che sia. Ebreo, per non arrossire di avere partorito dalla nostra razza questo mostro. Gentile, perché fra loro non ci sia chi ci può dire un giorno: “Fu uno di Israele il suo traditore”.

Io sono un ragazzo. E non dovrei parlare davanti a voi per primo. Sono l’ultimo e tu, Pietro, sei il primo. E qui c’è lo Zelote e Bartolomeo, istruiti, e ci sono i fratelli del Signore. Ma, ecco, io vorrei presto mettere uno al dodicesimo posto, uno che santo fosse, perché, finché vedrò quel posto vuoto nel gruppo nostro, io vedrò la bocca dell’inferno coi suoi fetori fra noi. E ho paura che ci travii…».

«Ma no, Giovanni! Sei rimasto impressionato dalla bruttezza del suo delitto e del suo corpo appeso…».

«No, no. Anche la Madre ha detto: “Ho visto satana vedendo Giuda di Keriot”. Oh! facciamo presto a cercare un santo da mettere a quel posto!».

«Senti, io non scelgo nessuno. Se Lui, che era Dio, ha scelto un Iscariota, che sceglierà mai il povero Pietro?».

«Eppure dovrai bene…».

«No, caro. Io non scelgo nulla. Lo chiederò al Signore. Basta di peccati fatti da Pietro!».

«Tante cose dobbiamo chiedere. L’altra sera siamo rimasti come ebeti. Ma dobbiamo farci insegnare. Perché… Come faremo a capire se una cosa è peccato proprio? O se non lo è? Vedi come il Signore parla diverso da noi sui pagani. Vedi come scusa più una viltà e un rinnegamento di quanto non scusi il dubbio sul possibile perdono… Oh! io ho paura di fare male», dice sconsolato Giacomo d’Alfeo.

«Veramente ci ha tanto parlato. Eppure mi pare di sapere niente. Sono ebete da una settimana», confessa sconsolato l’altro Giacomo.

«Io pure».

«Io pure».

«E anche io».

Sono tutti nelle stesse condizioni e, stupiti, si guardano l’un l’altro. Ricorrono alla ormai abituale soluzione: «Andremo da Lazzaro», dicono. «Forze là troveremo il Signore e… Lazzaro ci aiuterà».

Bussano al portone. Tacciono tutti ascoltando. E hanno un «oh!» di stupore vedendo entrare nel vestibolo Elia insieme a Tommaso. Un Tommaso così stranito che non pare più lui.

I compagni gli si affollano intorno gridando il loro giubilo: «Lo sai che è risorto e che è venuto? E aspetta te per tornare!».

«Sì. Me lo ha detto anche Elia. Ma non ci credo. Io credo a ciò che vedo. E vedo che per noi è finita. Vedo che siamo tutti dispersi. Vedo che non c’è più neppure un sepolcro noto dove piangerlo. Vedo che il Sinedrio si vuole disfare, e del complice di cui decreta il seppellimento, come fosse un animale sozzo, ai piedi dell’ulivo dove si è impiccato, e dei seguaci del Nazareno. Io sono stato fermato nel venerdì, alle porte, e mi hanno detto: “Anche tu eri uno dei suoi? È morto, ormai, Torna a battere l’oro”. E sono scappato…».

«Ma dove? Ti abbiamo cercato da per tutto!».

«Dove? Sono andato verso la casa di mia sorella a Rama. Poi non ho osato entrare perché… per non essere rimproverato da una donna. Allora ho vagato per le montagne giudee e ieri sono finito a Betlemme, nella sua grotta. Quanto ho pianto… Mi sono addormentato fra le macerie e là mi ha trovato Elia, che era venuto… non so perché».

«Perché? Ma perché nelle ore di gioia o di dolore troppo grande si va dove più si sente Dio. Io molte volte, in questi anni, ero andato là, di notte, come un ladro, per sentirmi carezzare l’anima dal ricordo del suo vagito. E poi scappavo al primo sole per non essere lapidato. Ma ero già consolato. Ora sono andato là per dire a quel luogo: “Io sono felice” e per prendere quanto posso di esso. Abbiamo deciso così. Noi vogliamo predicare la sua Fede. Ma ce ne darà forza un pezzo di quel muro, un pugno di quella terra, una scheggia di quei pali. Non siamo santi tanto da osare di prendere la terra del Calvario…».

«Hai ragione, Elia. Lo dovremo fare noi pure. E lo faremo. Ma Tommaso?…».

«Tommaso dormiva e piangeva. Gli ho detto: “Svegliati e non piangere più. È risorto”: Non mi voleva credere. Ma tanto ho insistito che l’ho persuaso. Eccolo. Ora è fra voi ed io mi ritiro. Raggiungo i compagni diretti in Galilea. La pace a voi».

Elia se ne va.

«Tommaso, è risorto. Io te lo dico. Fu con noi. Mangiò. Parlò. Ci benedisse. Ci perdonò. Ci ha dato potestà di perdonare. Oh! perché non sei venuto prima?».

Tommaso non si scuote dal suo abbattimento.

Crolla il capo, testardo. «Io non credo. Avete visto un fantasma. Siete tutti folli. Le donne per prime. Un uomo morto, da sé non risorge».

«Un uomo no. Ma Egli è Dio. Non lo credi?».

«Sì. Lo credo che è Dio. Ma, appunto perché lo credo, penso e dico che, per quanto sia tanto buono, non può esserlo al punto di venire fra chi Lo ha così poco amato. E dico che, per quanto sia tanto umile, deve averne abbastanza di avvilirsi nella nostra carnaccia. No. Sarà, certo lo è, trionfante in Cielo e, forse, apparirà come Spirito. Dico: forse. Non meritiamo neppure questo! Ma Risorto in carne e ossa, no. Non lo credo».

«Ma se Lo abbiamo baciato, visto mangiare, udito la voce, sentito la sua mano, visto le ferite!».

«Niente. Io non credo. Non posso credere. Dovrei vedere per credere. Se non vedo nelle sue mani il foro dei chiodi e non vi metto dentro un dito, se non tocco le ferite dei piedi e se non metto la mano dove la lancia ha aperto il costato, io non credo.

Non sono un bambino o una donna. Io voglio l’evidenza. Quello che la mia ragione non può accettare lo rifiuto. E io non posso accettare questa vostra parola».

«Ma Tommaso! Ti pare che ti si voglia ingannare?».

«No. Poverini. Anzi! Beati voi che siete tanto buoni da volermi portare ad avere la pace che siete riusciti a darvi con questa vostra illusione. Ma… io non credo alla sua Risurrezione».

«Non temi di essere punito da Lui? Sente e vede tutto, sai?».

«Chiedo che mi persuada. Ho una ragione, e l’uso. Lui, Padrone della ragione umana, raddrizzi la mia se è deviata».

«Ma la ragione, Lui lo diceva, è libera».

«Ragion di più perché io non la faccia schiava di una suggestione collettiva. Io vi voglio bene e voglio bene al Signore. Lo servirò come posso e starò con voi per aiutarvi a servirlo. Predicherò la sua dottrina. Ma non posso credere altro che vedendo».

E Tommaso, cocciuto, non intende altro che se stesso. Gli parlano di tutti quelli che Lo hanno visto, e come Lo hanno visto. Lo consigliano a parlare con la Madre. Ma lui crolla il capo, seduto su un sedile di pietra, più pietra lui del sedile. Testardo come un bambino ripete: «Crederò se vedrò».

La grande parola degli infelici che negano ciò che è tanto dolce e santo credere ammettendo che Dio può tutto.

Passano delle ore e gli apostoli sono raccolti nel Cenacolo. Intorno alla tavola dove fu consumata la Pasqua. Però, per rispetto, il posto centrale, quello di Gesù, è stato lasciato vuoto.

Anche gli apostoli, ora che non c’è più chi li accentra e distribuisce per volere proprio e per elezione d’amore, si sono messi diversamente. Pietro è ancora al suo posto. Ma al posto di Giovanni è ora Giuda Taddeo. Poi viene il più anziano degli apostoli, che non so ancora chi sia, poi Giacomo, fratello di Giovanni, quasi all’angolo del tavolo dalla parte destra, secondo me che guardo. Vicino a Giacomo, ma sul lato corto del tavolo, è seduto Giovanni. Dopo Pietro, invece, viene Matteo e, dopo questo, Tommaso, poi uno di cui non so il nome, poi Andrea, poi Giacomo fratello di Giuda Taddeo e un altro, che non conosco di nome, dagli altri lati. Il lato lungo di fronte a Pietro è vuoto, essendo gli apostoli più vicini sui sedili di quanto non fossero per Pasqua.

Le finestre sono sprangate e le porte pure. Il lume, acceso con due soli becchi, sparge una luce tenue sulla sola tavola. Il resto del vasto stanzone è nella penombra.

Giovanni, che ha alle spalle una credenza, ha l’incarico di porgere ai compagni ciò che desiderano del loro parco cibo, composto di pesce, che è sulla tavola, pane, miele e formaggini freschi. È nel girarsi di nuovo verso il tavolo, per dare al fratello il formaggio che egli ha richiesto, che Giovanni vede il Signore.

Gesù è apparso in maniera molto curiosa.

La parete dietro le spalle dei commensali, tutta di un pezzo meno che nell’angolo della porticina, si è illuminata al centro, ad un’altezza di un metro circa dal suolo, di una luce tenue e fosforica come è quella che emanano certi quadretti che sono luminosi solo nel buio della notte. La luce, alta quasi due metri, ha forma ovale, come fosse una nicchia. Nella luminosità, come avanzasse da dietro veli di nebbia luminosa, emerge sempre più netto Gesù.

Non so se riesco a spiegarmi bene. Pare che il suo Corpo fluisca attraverso lo spessore della parete. Questa non si apre. Resta compatta, ma il Corpo passa ugualmente. La luce pare la prima emanazione del suo Corpo, l’annuncio del suo avvicinarsi. Il Corpo dapprima è a lievi linee di luce, così come io vedo in Cielo il Padre e gli Angeli Santi: immateriale.

Poi si materializza sempre più, prendendo in tutto l’aspetto di un corpo reale. Del suo divino Corpo glorificato.

Io ho messo molto a descrivere, ma la cosa è avvenuta in pochi secondi.

Gesù è vestito di bianco, come quando risorse e apparve alla Madre. Bellissimo, amoroso e sorridente.

Sta con le braccia lungo i lati del Corpo, un poco staccate da esso, con le Mani verso terra e dalla palma volta verso gli apostoli. Le due Piaghe delle Mani paiono due stelle di diamanti, da cui escono due raggi vivissimi. Non vedo i Piedi, coperti dalla veste, né il Costato. Ma dalla stoffa del suo abito non terreno trapela luce, là dove essa cela le divine Ferite.

In principio sembra che Gesù non sia che Corpo di candore lunare, poi, quando si è concretizzato, apparendo fuori dell’alone di luce, ha i colori naturali dei suoi capelli, occhi, pelle. È Gesù, insomma, Gesù-Uomo-Dio, ma fatto più solenne ora che è risorto.

Giovanni Lo vede quando Egli è già così. Nessun altro si era accorto dell’apparizione. Giovanni scatta in piedi lasciando cadere sulla tavola il piatto delle formaggelle tonde e, appoggiando le mani all’orlo della tavola, si piega un poco verso questa e obliquamente, come per calamita che lo attiri verso se stessa, e getta un «Oh!» sommesso e pur intenso.

Gli altri, che avevano alzato il capo dai loro piatti al cadere rumoroso del piatto delle formaggelle e allo scatto di Giovanni e l’avevano guardato stupiti, vedendo la sua posa estatica seguono il suo sguardo. Torcono il capo o si girano su se stessi, a seconda di come si trovano rispetto al Maestro, e vedono Gesù. Si alzano tutti in piedi, commossi e beati, e corrono a Lui, che accentuando il sorriso avanza verso di loro, camminando, ora, sul suolo come tutti i mortali.

Gesù, che prima fissava unicamente Giovanni, e credo che questi si sia voltato attratto da quello sguardo che l’accarezzava, guarda tutti e dice: «Pace a voi».

Tutti ora gli sono intorno, chi in ginocchio ai suoi piedi, e fra questi sono Pietro e Giovanni -anzi Giovanni bacia un lembo della veste e se la posa sul viso come per esserne carezzato- chi più indietro, in piedi, ma molto curvo in atto di ossequio.

Pietro, per fare più presto ad arrivare, ha fatto un vero salto al disopra del sedile, scavalcandolo, senza attendere che Matteo, uscendo per primo, lasciasse libero il posto. Bisogna ricordare che i sedili servivano a due persone per volta.

L’unico che resta un poco lontano, impacciato, è Tommaso. Si è inginocchiato presso la tavola. Ma non osa venire avanti e pare, anzi, tenti nascondersi dietro all’angolo di essa.

Gesù, dando le sue Mani a baciare -gli apostoli gliele cercano con bramosia santa e amorosa- gira lo sguardo sulle teste chine come cercasse l’undicesimo. Ma lo ha visto dal primo momento e fa così solo per dare tempo a Tommaso di rinfrancarsi e venire.

Vedendo che l’incredulo, vergognoso del suo non credere, non osa farlo, lo chiama: «Tommaso. Vieni qui».

Tommaso alza il capo, confuso, quasi piangente, ma non osa venire. Abbassa di nuovo il capo.

Gesù fa qualche passo nella sua direzione e torna a dire: «Vieni qui, Tommaso». La voce di Gesù è più imperiosa della prima volta.

Tommaso si alza riluttante e confuso e va verso Gesù.

«Ecco colui che non crede se non vede!» esclama Gesù. Ma nella sua voce è un sorriso di perdono.

Tommaso lo sente, osa guardare Gesù e vede che sorride proprio, allora prende coraggio e va più in fretta.

«Vieni qui, ben vicino. Guarda. Metti un dito, se non ti basta guardare, nelle ferite del tuo Maestro».

Gesù ha porto le Mani e poi si è aperto la veste sul petto scoprendo lo squarcio del Costato. Ora la luce non emana più dalle Ferite. Non emana più da quando, uscendo dal suo alone di luce lunare, si è messo a camminare come Uomo mortale, e le Ferite appaiono nella loro cruenta realtà: due fori irregolari, di cui il sinistro va fino al pollice, che trapassano un polso e un palmo alla sua base, e un lungo taglio, che nel lato superiore è lievemente ad accento circonflesso, al Costato.

Tommaso trema, guarda e non tocca. Muove le labbra, ma non riesce a parlare chiaramente.

«Dammi la tua mano, Tommaso» dice Gesù con tanta dolcezza. E prende con la sua destra la mano destra dell’apostolo e ne afferra l’indice e lo conduce nello squarcio della sua Mano sinistra, ve lo ficca ben dentro, per fargli sentire che il palmo è trapassato, e poi dalla Mano lo porta al Costato. Anzi, afferra ora le quattro dita di Tommaso, alla loro base, al metacarpo, e pone queste quattro grosse dita nello squarcio del Petto, facendole entrare, non limitandosi ad appoggiarle all’orlo, e ve le tiene guardando fisso Tommaso. Uno sguardo severo e pur dolce, mentre continua: «… Metti qua il tuo dito, poni le dita e anche la mano, se vuoi, nel mio Costato, e non essere incredulo ma fedele». Questo dice mentre fa quanto ho detto prima.

Tommaso -pare che la vicinanza del Cuore divino, che egli quasi tocca, gli abbia comunicato coraggio- riesce finalmente a parlare e a spiccare le parole, e dice, cadendo a ginocchio con le braccia alzate e uno scoppio di pianto di pentimento: «Signore mio e Dio mio!». Non sa dire altro.

Gesù lo perdona. Gli pone la destra sul capo e risponde: «Tommaso, Tommaso! Ora credi perché hai veduto… Ma beati coloro che crederanno in Me senza aver visto! Quale premio dovrò dare loro se devo premiare voi, la cui Fede è stata soccorsa dalla forza del vedere?…».

Poi Gesù pone il braccio sulla spalla di Giovanni, prendendo Pietro per mano, e si accosta al tavolo. Siede al suo posto. Ora sono seduti come la sera di Pasqua. Però Gesù vuole che Tommaso si sieda dopo Giovanni.

«Mangiate, amici» dice Gesù.

Ma nessuno ha più fame. La gioia li sazia. La gioia del contemplare.

Allora Gesù prende le sparse formaggelle, le riunisce sul piatto, le taglia, le distribuisce e il primo pezzo lo dà proprio a Tommaso, posandolo su un pezzo di pane e passandolo dietro le spalle di Giovanni; mesce dalle anfore il vino nel calice e lo passa ai suoi amici: questa volta è Pietro il primo servito. Poi si fa dare dei favi di miele, li spezza e ne dà per primo un pezzo a Giovanni, con un sorriso che è più dolce del filante e biondo miele. E di questo, per rincuorarli, ne mangia Lui pure. Non gusta che il miele.

Giovanni, con la mossa solita, appoggia il suo capo contro la spalla di Gesù, e Gesù se lo attira sul suo Cuore e parla tenendolo così.

«Non dovete turbarvi, amici, quando Io vi appaio. Sono sempre il vostro Maestro, che ha condiviso con voi cibo e sonno e che vi ha eletti perché vi ha amati. Anche ora vi amo».

Gesù appoggia molto su queste ultime parole.

«Voi», prosegue, «siete stati meco nelle prove… Sarete meco anche nella gloria. Non abbassate il capo. La sera della domenica, quando venni a voi per la prima volta dopo la mia Risurrezione, Io vi ho infuso lo Spirito Santo… anche a te che non eri presente venga lo Spirito… Non sapete che l’infusione dello Spirito è come un battesimo di fuoco, poiché lo Spirito è Amore e l’amore annulla le colpe? Il vostro peccato, perciò, di diserzione mentre Io morivo vi è condonato».

Nel dire questo, Gesù bacia sulla testa Giovanni, che non disertò, e Giovanni lacrima di gioia.

«Vi ho dato la potestà di rimettere i peccati. Ma non si può dare ciò che non si possiede. Voi dovete dunque esser certi che questa potestà Io la posseggo perfetta e la uso per voi, che dovete esser mondi al sommo per mondare chi verrà a voi, sporco di peccato.

Come potrebbe uno giudicare e mondare se fosse meritevole di condanna e fosse immondezza di suo?

Come potrebbe uno giudicare un altro se fosse con i travi nel suo occhio e i pesi infernali nel suo cuore?

Come potrebbe dire: “Io ti assolvo nel Nome di Dio” se, per i suoi peccati, non avesse Dio con sé?

Amici, pensate alla vostra dignità di Sacerdoti.

Prima Io ero fra gli uomini per giudicare e perdonare. Ora Io me ne vado al Padre. Torno al mio Regno. Non mi è levata facoltà di giudizio. Anzi essa è tutta nelle mie mani, poiché il Padre a Me l’ha deferita. Ma tremendo giudizio. Poiché avverrà quando non sarà più possibile all’uomo di farsi perdonare con anni di espiazione sulla Terra.

Ogni creatura verrà a Me con il suo spirito quando lascerà per morte materiale la carne come spoglia inutile. Ed Io la giudicherò per una prima volta. Poi l’Umanità tornerà con la sua veste di carne, ripresa per comando celeste, per esser separata in due parti. Gli agnelli col Pastore, i capri selvatici col loro Torturatore.

Ma quanti sarebbero gli uomini che sarebbero col loro Pastore se dopo il lavacro del Battesimo non avessero più chi perdona in Nome mio?

Ecco perché Io creo i Sacerdoti. Per salvare i salvati dal mio Sangue. Il mio sangue salva. Ma gli uomini continuano a cadere nella morte. A ricadere nella Morte. Occorre che chi ne ha potestà li lavi continuamente in Esso, settanta e settanta volte sette, perché della morte non siano preda. Voi e i vostri successori lo farete.

Per questo vi assolvo da tutti i vostri peccati. Perché avete bisogno di vedere, e la colpa acceca perché leva allo spirito la Luce che è Dio. Perché avete bisogno di comprendere, e la colpa inebetisce perché leva allo spirito l’Intelligenza che è Dio. Perché avete ministero di purificare, e la colpa insozza perché leva allo spirito la Purezza che è Dio.

Gran ministero il vostro di giudicare e assolvere in Nome mio!

Quando consacrerete per voi il Pane e il Vino e ne farete il Corpo e il Sangue mio, farete una grande, soprannaturalmente grande e sublime cosa. Per compierla degnamente dovrete esser puri, poiché toccherete Colui che è il Puro e vi nutrirete della Carne di un Dio.

Puri di cuore, di mente, di membra e di lingua dovrete essere, perché col cuore dovrete amare l’Eucarestia, e non dovranno esser mescolati a questo amore celeste profani amori che sarebbero sacrilegio.

Puri di mente, perché dovrete credere e comprendere questo mistero d’amore, e l’impurità di pensiero uccide la Fede e l’Intelletto. Resta la scienza del mondo, ma muore in voi la Sapienza di Dio. Puri di membra dovrete essere, perché nel vostro seno scenderà il Verbo così come scese nel seno di Maria per opera dell’Amore.

Avete l’esempio vivente di come deve essere un seno che accoglie il Verbo che si fa carne. L’esempio è la Donna senza colpa d’origine e senza colpa individuale che mi ha portato.

Osservate come è pura la vetta d’Ermon ancor fasciata nel velo della neve invernale. Dall’Oliveto essa pare un cumulo di gigli sfogliati o di spuma marina che si elevi come un’offerta contro l’altro candore delle nuvole, portate dal vento d’aprile per i campi azzurri del cielo. Osservate un giglio che apra ora la bocca della sua corolla ad un riso di profumo. Eppure, l’una e l’altra purezza sono men vive di quella del Seno che mi fu materno. Polvere portata dai venti è caduta sulle nevi del monte e sulla seta del fiore. L’occhio umano non la percepisce, tanto essa è leggera. Ma essa c’è, e corrompe il candore.

Più ancora, guardate la perla più pura che venga strappata al mare, alla conchiglia natìa, per adornare lo scettro di un re. È perfetta nella sua iridescenza compatta che ignora il contatto profanatore di ogni carne, formatosi come si è nell’incavo madreperlaceo dell’ostrica, isolata nello zaffiro fluido delle profondità marine. Eppure è men pura del Seno che mi ebbe.

Al suo centro è il granellino di rena: un corpuscolo minutissimo, ma sempre terrestre. In Colei che è la Perla del Mare non esiste granello di peccato, neppur di fomite di peccato. Perla nata nell’Oceano della Trinità per portare sulla Terra la Seconda Persona, Ella è compatta intorno al suo fulcro, che non è seme di terrena concupiscenza ma scintilla dell’Amore eterno. Scintilla che, trovando in Lei rispondenza, ha generato i vortici della divina Meteora che ora a Sé chiama e attira i figli di Dio: Io, il Cristo, Stella del Mattino.

Questa Purezza inviolata Io vi do a esempio.

Ma quando poi, come vendemmiatori ad un tino, voi tuffate le mani nel mare del mio Sangue e ne attingete di che mondare le stole corrotte dei miseri che peccarono, siate, oltre che puri, perfetti per non macchiarvi di un peccato maggiore, anzi, di più peccati, spargendo e toccando con sacrilegio il Sangue di un Dio mancando a carità e giustizia, negandolo o dandolo con un rigore che non è del Cristo -che fu buono coi malvagi per attirarli al suo Cuore e tre volte buono coi deboli per confortarli alla fiducia- usando questo rigore tre volte indegnamente, perché contro la mia Volontà, la mia Dottrina e la Giustizia.

Come esser rigorosi con gli agnelli quando si è pastori idoli?

O miei diletti, amici che Io mando per le vie del mondo per continuare l’opera che Io ho iniziata e che sarà proseguita finché il Tempio sarà, ricordate queste mie parole. Ve le dico perché le diciate a coloro che voi consacrerete al ministero nel quale Io vi ho consacrati.

Io vedo… Guardo nei secoli… Il tempo e le turbe infinite degli uomini che saranno mi sono tutti davanti… Vedo… stragi e guerre, paci bugiarde e orrende carneficine, odio e ladrocinio, senso e orgoglio. Ogni tanto un’oasi di verde: un periodo di ritorno alla Croce. Come obelisco che segna un’onda pura fra le aride arene del deserto, la mia Croce sarà alzata con amore, dopo che il veleno del male avrà reso malati di rabbia gli uomini, e intorno ad essa, piantate sui bordi delle acque salutari, fioriranno le palme di un periodo di pace e bene nel mondo.

Gli spiriti, come cervi e gazzelle, come rondini e colombi, accorreranno a quel riposante, fresco, nutriente rifugio, per guarire dai loro dolori e sperare nuovamente. Ed esso rinserrerà i suoi rami come una cupola per proteggere da tempeste e solleoni, e terrà lontano serpenti e fiere col Segno che mette in fuga il Male. Così, finché gli uomini vorranno.

Io vedo… Uomini e uomini… donne, vecchi, bambini, guerrieri, studiosi, dottori, contadini… Tutti vengono e passano col loro peso di speranze e di dolori. E molti vedo che vacillano, perché il dolore è troppo e la speranza è scivolata dalla soma per prima, dalla soma troppo grave, e si è sbriciolata al suolo… E molti vedo che cadono ai bordi della via perché altri più forti li sospingono, più forti o più fortunati nel peso che è lieve. E molti vedo che, sentendosi abbandonati da chi passa, calpestati anche, che sentendosi morire, giungono ad odiare e maledire.

Poveri figli! Fra tutti questi, percossi dalla vita, che passano o cadono, il mio Amore ha, intenzionalmente, sparso i samaritani pietosi, i medici buoni, le luci della notte, le voci nel silenzio, perché i deboli che cadono trovino un aiuto, rivedano la Luce, riodano la Voce che dice: “Spera. Non sei solo. Su te è Dio. Con te è Gesù”.

Ho messo, intenzionalmente, queste carità operanti, perché i miei poveri figli non mi morissero nello spirito, perdendo la dimora paterna, e continuassero a credere in Me-Carità vedendo nei miei ministri il mio riflesso.

Ma, o dolore che mi fai sanguinare la Ferita del Cuore come quando fu aperta sul Golgota! Ma che vedono i miei Occhi divini? Non ci sono forse sacerdoti fra le turbe infinite che passano? Per questo sanguina il mio Cuore? Sono vuoti i seminari? Il mio divino invito non suona più, dunque, nei cuori? Il cuore dell’uomo non è più capace di udirlo? No.

Nei secoli vi saranno seminari e in essi leviti. Da essi usciranno Sacerdoti, perché nell’ora dell’adolescenza il mio invito avrà suonato con voce celeste in molti cuori ed essi l’avranno seguito. Ma altre, altre, altre voci saranno poi venute con la giovinezza e la maturità, e la mia Voce sarà rimasta soverchiata in quei cuori.

La mia Voce che parla nei secoli ai suoi ministri perché essi siano sempre quello che voi ora siete: gli apostoli alla scuola di Cristo. La veste è rimasta. Ma il Sacerdote è morto. In troppi, nei secoli, accadrà questo fatto.

Ombre inutili e scure, non saranno una leva che alza, una corda che tira, una fonte che disseta, un grano che sfama, un cuore che è guanciale, una luce nelle tenebre, una voce che ripete ciò che il Maestro gli dice. Ma saranno, per la povera umanità, un peso di scandalo, un peso di morte, un parassita, una putrefazione… Orrore!

I Giuda più grandi del futuro Io li avrò ancora e sempre nei miei Sacerdoti!

Amici, Io sono nella gloria e pure Io piango. Ho pietà di queste turbe infinite, greggi senza pastori o con troppi rari pastori. Una pietà infinita! Ebbene, Io lo giuro per la mia Divinità, Io darò loro il pane, l’acqua, la luce, la voce che gli eletti a quest’opere non vogliono dare. Ripeterò nei secoli il miracolo dei pani e dei pesci. Con pochi, spregevoli pesciolini, e con dei tozzi scarsi di pane –anime umili e laiche- Io darò da mangiare a molti, e ne saranno saziati, e ve ne sarà per i futuri, perché “ho compassione di questo popolo” e non voglio che perisca.

Benedetti coloro che meriteranno d’esser tali. Non benedetti perché sono tali. Ma perché l’avranno meritato col loro amore e sacrificio! E benedettissimi quei Sacerdoti che sapranno rimanere apostoli: pane, acqua, luce, voce, riposo e medicina dei miei poveri figli. Di luce speciale splenderanno in Cielo. Io ve lo giuro, Io che sono la Verità.

Alziamoci, amici, e venite meco, che Io vi insegni ancora a pregare. L’orazione è quella che alimenta le forze dell’apostolo, perché lo fonde con Dio».

E qui Gesù si alza e va verso la scaletta.

Ma, quando è alla sua base, si volge e mi guarda. Oh! Padre! Mi guarda! Pensa a me! Cerca la sua piccola «voce» e la gioia d’esser coi suoi amici non Lo smemora di me! Mi guarda, al disopra delle teste dei discepoli, e mi sorride. Alza la mano benedicendomi e dice: «La pace sia con te».

E la visione finisce.

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

 

Domenica di Pasqua Risurrezione del Signore

QUESTO È IL GIORNO CHE HA FATTO IL SIGNORE: RALLEGRIAMOCI ED ESULTIAMO.

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Egli doveva risuscitare dai morti.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 20,1-9)
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. Parola del Signore.

Sequenza
Alla vittima pasquale,
s’innalzi oggi il sacrificio di lode.
L’Agnello ha redento il suo gregge,
l’Innocente ha riconciliato
noi peccatori col Padre.

Morte e Vita si sono affrontate
in un prodigioso duello.
Il Signore della vita era morto;
ma ora, vivo, trionfa.

«Raccontaci, Maria:
che hai visto sulla via?».
«La tomba del Cristo vivente,
la gloria del Cristo risorto,
e gli angeli suoi testimoni,
il sudario e le sue vesti.
Cristo, mia speranza, è risorto:
precede i suoi in Galilea».

Sì, ne siamo certi:
Cristo è davvero risorto.
Tu, Re vittorioso,
abbi pietà di noi.

RIFLESSIONI

Che cos’è che fa correre l’apostolo Giovanni al sepolcro? Egli ha vissuto per intero il dramma della Pasqua, essendo molto vicino al suo maestro. Ci sembra perciò inammissibile un’affermazione del genere: “Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura”. Eppure era proprio così: non meravigliamoci allora di constatare l’ignoranza attuale, per molti versi simile. Il mondo di Dio, i progetti di Dio sono così diversi che ancor oggi succede che anche chi è più vicino a Dio non capisca e si stupisca degli avvenimenti.
“Vide e credette”. Bastava un sepolcro vuoto perché tutto si risolvesse? Credo che non fu così facile. Anche nel momento delle sofferenze più dure, Giovanni rimane vicino al suo maestro. La ragione non comprende, ma l’amore aiuta il cuore ad aprirsi e a vedere. È l’intuizione dell’amore che permette a Giovanni di vedere e di credere prima di tutti gli altri. La gioia di Pasqua matura solo sul terreno di un amore fedele. Un’amicizia che niente e nessuno potrebbe spezzare. È possibile? Io credo che la vita ci abbia insegnato che soltanto Dio può procurarci ciò. È la testimonianza che ci danno tutti i gulag dell’Europa dell’Est e che riecheggia nella gioia pasquale alla fine del nostro millennio.