26 MAGGIO VI DOMENICA DI PASQUA ANNO C Gv. 14,23-29

Gv 14, 23

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 14,23-29

Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia Parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio Nome, Egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che Io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, Io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che Io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria ValtortaCapitolo 600

[Continua il discorso di Gesù nel Cenacolo. È il Giovedì Santo ed è l’Ultima Cena con gli Apostoli. Quando Giuda uscì dal Cenacolo: «Dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: “Quello che devi fare fallo al più presto”» (Gv 13,27), il Signore iniziò a parlare agli Undici manifestando tutto quello che riteneva molto importante. Gli ultimi insegnamenti di Gesù sono il Testamento spirituale per tutti i suoi seguaci. La parte estratta che meditiamo oggi dalla rivelazione a Maria Valtorta è quella della settimana scorsa, ma qui riporto solo i passaggi che si riferiscono al Vangelo di oggi].

Io vi dico, e ve lo dico con verità: chi crede in Me farà le opere che Io faccio, e ancor di maggiori ne farà, perché Io vado al Padre. E tutto quanto domanderete al Padre in mio nome Io lo farò, perché il Padre sia glorificato nel suo Figlio. E farò quanto mi domanderete in nome del mio Nome.

Il mio Nome è noto, per quello che realmente è, a Me solo, al Padre che mi ha generato e allo Spirito che dal nostro Amore procede. E per quel Nome tutto è possibile. Chi pensa al mio Nome con amore mi ama e ottiene.

Ma non basta amare Me, occorre osservare i miei Comandamenti per avere il vero Amore. Sono le opere quelle che testificano dei sentimenti. E per questo Amore Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Consolatore che resti per sempre con voi, Uno su cui satana e il mondo non può infierire, lo Spirito di Verità che il mondo non può ricevere e non può colpire, perché non Lo vede e non Lo conosce.

Lo deriderà. Ma Egli è tanto eccelso che lo scherno non Lo potrà ferire, mentre, pietosissimo sopra ogni misura, sarà sempre con chi Lo ama, anche se povero e debole. Voi Lo conoscerete, perché già dimora con voi e presto sarà in voi. Io non vi lascerò orfani. Già ve l’ho detto: “Ritornerò a voi”.

Ma, prima che sia l’ora di venirvi a prendere per andare nel mio Regno, Io verrò. A voi verrò. Fra poco il mondo non mi vedrà più. Ma voi mi vedete e mi vedrete. Perché Io vivo e voi vivete. Perché Io vivrò e voi pure vivrete. In quel giorno voi conoscerete che Io sono nel Padre mio, e voi in Me ed Io in voi.

Perché chi accoglie i miei precetti e li osserva, quello è colui che mi ama, e colui che mi ama sarà amato dal Padre mio e possederà Iddio, perché Dio è carità e chi ama ha in sé Dio. Ed Io lo amerò, perché in lui vedrò Iddio, e mi manifesterò a lui facendomi conoscere nei segreti del mio Amore, della mia sapienza, della mia Divinità incarnata.

Saranno i miei ritorni fra i figli dell’Uomo, che Io amo nonostante siano deboli e anche nemici. Ma costoro saranno solo deboli. Ed Io li fortificherò; dirò loro: “Sorgi!”, dirò: “Vieni fuori!”, dirò: “Seguimi”, dirò: “Odi”, dirò: “Scrivi”… e voi siete fra questi».

«Perché, Signore, Tu ti manifesti a noi e non al mondo?», chiede Giuda Taddeo.

«Perché mi amate e osservate le mie parole. Chi così farà, sarà amato dal Padre e Noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui, in lui. Mentre chi non mi ama non osserva le mie parole e fa secondo la carne e il mondo.

Ora sappiate che ciò che Io vi ho detto non è parola di Gesù Nazareno ma parola del Padre, perché Io sono il Verbo del Padre che mi ha mandato. Io vi ho detto queste cose parlando così, con voi, perché voglio lo stesso prepararvi al possesso completo della Verità e Sapienza. Ma ancora non potete capire né ricordare.

Però, quando verrà a voi il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà in mio Nome, allora voi potrete capire, ed Egli tutto vi insegnerà, e vi ricorderà quanto Io vi ho detto.

Io vi lascio la mia pace. Io vi do la mia pace. Ve la do non come la dà il mondo. E neppure come fino ad ora ve l’ho data: saluto benedetto del Benedetto ai benedetti. Più profonda è la pace che ora vi do. In questo addio. Io vi comunico Me stesso, il mio Spirito di pace, così come vi ho comunicato il mio Corpo e il mio Sangue, perché in voi resti una forza nella imminente battaglia.

Satana e il mondo sferrano guerra al vostro Gesù. È la loro ora. Abbiate in voi la Pace, il mio Spirito che è spirito di pace, perché Io sono il Re della pace. Abbiatela per non essere troppo derelitti. Chi soffre con la pace di Dio in sé soffre, ma non bestemmia e dispera.

Non piangete. Avete pure sentito che ho detto: “Vado al Padre e poi tornerò”. Se mi amaste sopra la carne, vi rallegrereste, perché Io vado dal Padre dopo tanto esilio… Vado da Colui che è maggiore di Me e che mi ama. Io ve l’ho detto ora, prima che ciò si compia, così come vi ho detto tutte le sofferenze del Redentore prima di andare ad esse, affinché, quando tutto si compia, voi crediate sempre più in Me. Non turbatevi così!

Non sgomentatevi. Il vostro cuore ha bisogno di equilibrio.

Poco più ho da parlarvi… e ancora tanto ho da dire! Giunto al termine di questa mia evangelizzazione, mi pare di non avere ancora nulla detto e che tanto, tanto, tanto ancora resti da fare. Il vostro stato aumenta questa mia sensazione. E che dirò allora? Che Io ho mancato al mio ufficio? O che voi siete così duri di cuore che a nulla esso è valso? Dubiterò? No.

Mi affido a Dio, e a Lui affido voi, miei diletti. Egli compirà l’opera del suo Verbo. Non sono come un padre che muore e non ha altra luce che l’umana. Io spero in Dio. E pure sentendo in Me urgere tutti i consigli di cui vi vedo bisognosi e sentendo fuggire il tempo, vado tranquillo alla mia sorte. So che sui semi caduti in voi sta per scendere una rugiada che li farà tutti germogliare, e poi verrà il sole del Paraclito, ed essi diverranno albero potente.

Sta per venire il principe di questo mondo, colui col quale Io non ho nulla a che fare. E, se non fosse per fine di redenzione, non avrebbe potuto nulla su Me. Ma ciò avviene affinché il mondo conosca che Io amo il Padre e Lo amo fino alla ubbidienza di morte, e perciò faccio ciò che mi ha ordinato.

È l’ora di andare. Alzatevi. E udite le ultime parole.

Io sono la vera Vite. Il Padre ne è il Coltivatore. Ogni tralcio che non porta frutto Egli lo recide e quello che porta frutto lo pota perché ne porti più ancora. Voi siete già purificati per la mia parola. Rimanete in Me ed Io in voi per continuare ad essere tali. Il tralcio staccato dalla vite non può fare frutto. Così voi se non rimanete in Me. Io sono la Vite e voi i tralci.

Colui che resta unito a Me porta abbondanti frutti. Ma se uno si stacca diviene ramo secco e viene buttato nel fuoco e là brucia. Perché, senza l’unione con Me, voi nulla potete fare. Rimanete dunque in Me e le mie parole restino in voi, poi domandate quanto volete e vi sarà fatto. Il Padre mio sarà sempre più glorificato quanto più voi porterete frutto e sarete miei discepoli.

Come il Padre mi ha amato, così Io con voi. Rimanete nel mio amore che salva. Amandomi sarete ubbidienti, e l’ubbidienza aumenta il reciproco amore. Non dite che Io mi ripeto. So la vostra debolezza. E voglio che vi salviate. Io vi dico queste cose perché la gioia che vi ho voluto dare sia in voi e sia completa. Amatevi, amatevi! Questo è il mio Comandamento nuovo.

Amatevi scambievolmente più di quanto ognuno ami se stesso. Non vi è maggior amore di quello di colui che dà la sua vita per i suoi amici. Voi siete i miei amici ed Io do la vita per voi. Fate ciò che Io vi insegno e comando.

Non vi chiamo più servi. Perché il servo non sa ciò che fa il suo padrone, mentre voi sapete ciò che Io faccio.

Tutto di Me sapete. Vi ho manifestato non solo Me stesso, ma anche il Padre ed il Paraclito e tutto quanto ho sentito da Dio.

Non siete stati voi che vi siete scelti. Ma Io vi ho scelti e vi ho eletti, perché andiate fra i popoli, e facciate frutto in voi e nei cuori degli evangelizzati, e il vostro frutto rimanga e il Padre vi dia tutto ciò che gli chiederete in mio Nome.

Non dite: “E allora, se Tu ci hai scelti, perché hai scelto un traditore? Se tutto Tu sai, perché hai fatto questo?”. Non chiedetevi neppure chi è costui. Non è un uomo. È satana. L’ho detto all’amico fedele e l’ho lasciato dire dal figlio diletto. È satana. Se satana non si fosse incarnato, l’eterno scimmiottatore di Dio, in una carne mortale, questo posseduto non avrebbe potuto sfuggire al mio potere di Gesù. Ho detto: ”posseduto”. No. È molto di più: è un annullato in satana».

«Perché, Tu che hai cacciato i demoni, non lo hai liberato?», chiede Giacomo d’Alfeo.

«Lo chiedi per amore di te, temendo essere tu quello? Non lo temere».

«Io, allora?».

«Io?».

«Io?».

«Tacete. Non dico quel nome. Uso misericordia e voi fate ugualmente».

«Ma perché non lo hai vinto? Non potevi?».

«Potevo. Ma, per impedire a satana di incarnarsi per uccidermi, avrei dovuto sterminare la razza dell’uomo avanti la Redenzione. Che avrei allora redento?».

«Dimmelo, Signore, dimmelo!». Pietro è scivolato in ginocchio e scuote freneticamente Gesù come fosse in preda a delirio. «Sono io? Sono io? Mi esamino? Non mi pare. Ma Tu… Tu hai detto che ti rinnegherò… Ed io tremo… Oh! che orrore essere io!…».

«No, Simone di Giona. Non tu».

«Perché mi hai levato il mio nome di “Pietra”? Sono dunque tornato Simone? Lo vedi? Tu lo dici! … Sono io! Ma come ho potuto? Ditelo… ditelo voi… Quando è che ho potuto divenire traditore?.. . Simone?… Giovanni?… Ma parlate!…».

«Pietro, Pietro, Pietro! Ti chiamo Simone perché penso al primo incontro, quando eri Simone. E penso come sei sempre stato leale dal primo momento. Non sei tu. Lo dico Io: Verità».

«Chi, allora?».

«Ma è Giuda di Keriot! Non lo hai ancora capito?», urla il Taddeo che non riesce più a contenersi.

«Perché non me lo hai detto prima? Perché?», urla anche Pietro.

«Silenzio. È satana. Non ha altro nome. Dove vai, Pietro?».

«A cercarlo».

«Posa subito quel mantello e quell’arma. O ti devo scacciare e maledire?».

«No, no! Oh! Signor mio! Ma io… ma io… Sono forse malato di delirio, io? Oh! Oh!».

Pietro piange, gettato per terra ai piedi di Gesù.

«Io vi do comando di amarvi. E di perdonare. Avete capito? Se anche nel mondo è l’odio, in voi sia solo l’amore. Per tutti. Quanti traditori troverete sulla vostra via! Ma non li dovete odiare e rendere loro male per male. Altrimenti il Padre odierà voi.

Prima di voi fui odiato e tradito Io. Eppure, voi lo vedete, Io non odio. Il mondo non può amare ciò che non è come esso. Perciò non vi amerà. Se foste suoi, vi amerebbe; ma non siete del mondo, avendovi Io presi da mezzo al mondo. E per questo siete odiati.

Vi ho detto: il servo non è da più del padrone. Se hanno perseguitato Me, perseguiteranno voi pure. Se avranno ascoltato Me, ascolteranno pure voi. Ma tutto faranno per causa del mio Nome, perché non conoscono, non vogliono conoscere Colui che mi ha mandato. Se non fossi venuto e non avessi parlato, non sarebbero colpevoli. Ma ora il loro peccato è senza scusa.

Hanno visto le mie opere, udito le mie parole, eppure mi hanno odiato, e con Me il Padre. Perché Io e il Padre siamo una sola Unità con l’Amore. Ma era scritto: “Mi odiasti senza ragione”. Però, quando sarà venuto il Consolatore, lo Spirito di Verità che dal Padre procede, sarà da Lui resa testimonianza di Me, e voi pure mi testimonierete, perché dal principio foste con Me.

Questo vi dico perché, quando sarà l’ora, non rimaniate accasciati e scandalizzati. Sta per venire il tempo in cui vi cacceranno dalle sinagoghe e in cui chi vi ucciderà penserà di fare culto a Dio con ciò. Non hanno conosciuto né il Padre né Me. In ciò è la loro scusante. Non ve le ho dette così ampie prima di ora, queste cose, perché eravate come bambini pur mo’ nati. Ma ora la madre vi lascia. Io vado. Dovete assuefarvi ad altro cibo. Voglio lo conosciate.

Nessuno più mi chiede: “Dove vai?”. La tristezza vi fa muti. Eppure è bene anche per voi che Io me ne vada. Altrimenti non verrà il Consolatore. Io ve Lo manderò. E quando sarà venuto, attraverso la sapienza e la parola, le opere e l’eroismo che infonderà in voi, convincerà il mondo del suo peccato deicida e di giustizia sulla mia santità.

E il mondo sarà nettamente diviso nei reprobi, nemici di Dio, e nei credenti. Questi saranno più o meno santi, a seconda del loro volere. Ma il giudizio del principe del mondo e dei suoi servi sarà fatto.

Di più non posso dirvi, perché ancora non potete intendere. Ma Egli, il divino Paraclito, vi darà la Verità intera, perché non parlerà di Se stesso. Ma dirà tutto quello che avrà udito dalla Mente di Dio e vi annunzierà il futuro. Prenderà ciò che da Me viene, ossia ciò che ancora è del Padre, e ve lo dirà.

Ancora un poco da vedersi. Poi non mi vedrete più. E poi ancora un poco, e poi mi vedrete.

Voi mormorate fra voi ed in cuor vostro. Udite una parabola. L’ultima del vostro Maestro.

Quando una donna ha concepito e giunge all’ora del parto, è in grande afflizione perché soffre e geme. Ma quando il piccolo figlio è dato alla luce ed ella lo stringe sul cuore, ogni pena cessa e la tristezza si muta in gioia, perché un uomo è venuto al mondo.

Così voi. Voi piangerete e il mondo riderà di voi. Ma poi la vostra tristezza si muterà in gioia.

Una gioia che il mondo mai conoscerà. Voi ora siete tristi. Ma, quando mi rivedrete, il vostro cuore diverrà pieno di un gaudio che nessuno avrà più potere di rapirvi. Una gioia così piena che vi offuscherà ogni bisogno di chiedere e per la mente e per il cuore e per la carne. Solo vi pascerete di rivedermi, dimenticando ogni altra cosa.

Ma proprio da allora potrete tutto chiedere in mio Nome, e vi sarà dato dal Padre perché abbiate sempre più gioia. Domandate, domandate. E riceverete.

Viene l’ora in cui potrò parlarvi apertamente del Padre. Sarà perché sarete stati fedeli nella prova e tutto sarà superato. Perfetto quindi il vostro amore, perché vi avrà dato forza nella prova. E quanto a voi mancherà Io ve lo aggiungerò prendendolo dal mio immenso tesoro e dicendo: “Padre, lo vedi. Essi mi hanno amato credendo che Io venni da Te”. Sceso nel mondo, ora lo lascio e vado al Padre, e pregherò per voi».

«Oh! ora Tu ti spieghi. Ora sappiamo ciò che vuoi dire e che Tu sai tutto e rispondi senza che nessuno ti interroghi. Veramente Tu vieni da Dio! ».

«Adesso credete? All’ultima ora? È tre anni che vi parlo! Ma già in voi opera il Pane che è Dio e il Vino che è Sangue non venuto da uomo, e vi dà il primo brivido di deificazione. Voi diverrete dèi se sarete perseveranti nel mio amore e nel mio possesso.

Non come lo disse satana ad Adamo ed Eva, ma come Io ve lo dico. È il vero frutto dell’albero del Bene e della Vita. Il Male è vinto in chi se ne pasce, ed è morta la Morte. Chi ne mangia vivrà in eterno e diverrà “dio” nel Regno di Dio. Voi sarete dèi se permarrete in Me.

Eppure ecco… pur avendo in voi questo Pane e questo Sangue, poiché sta venendo l’ora in cui sarete dispersi, voi ve ne andrete per vostro conto e mi lascerete solo… Ma non sono solo. Ho il Padre con Me. Padre, Padre! Non mi abbandonare!

Tutto vi ho detto… Per darvi pace. La mia pace. Ancora sarete oppressi. Ma abbiate fede. Io ho vinto il mondo».

Gesù si alza, apre le braccia in croce e dice con volto luminoso la sublime preghiera al Padre. Giovanni la riporta integralmente.

Gli apostoli lacrimano più o meno palesemente e rumorosamente. Per ultimo cantano un inno.

Gesù li benedice. Poi ordina: «Mettiamoci i mantelli, ora. E andiamo. Andrea, dì al capo di casa di lasciare tutto così, per mio volere. Domani… vi farà piacere rivedere questo luogo». Gesù lo guarda. Pare benedire le pareti, i mobili, tutto. Poi si ammantella e si avvia, seguito dai discepoli.

Al suo fianco è Giovanni, al quale si appoggia. «Non saluti la Madre?», gli chiede il figlio di Zebedeo.

«No. È tutto già fatto. Fate, anzi, piano».

Simone, che ha acceso una torcia alla lumiera, illumina l’ampio corridoio che va alla porta. Pietro apre cauto il portone ed escono tutti nella via e poi, facendo giocare un congegno, chiudono dal di fuori. E si pongono in cammino.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

19 Maggio 2019 V DOMENICA DI PASQUA ANNO C Gv 13,31-35

gesù cena

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 13,31-35)
Quando Giuda fu uscito dal Cenacolo, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’Uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in Lui. Se Dio è stato glorificato in Lui, anche Dio Lo glorificherà da parte sua e Lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un Comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come Io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

“Vi do un Comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come Io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”.
Amiamo sempre e quando le tentazioni sono forti con maggiore intensità e fiducia.
Il duplice comandamento dell’amore
Il Comandamento dell’amore è un insegnamento lasciato da Gesù Cristo che costituisce il fulcro dell’etica cristiana[1][2] . Ha un ruolo centrale nel Nuovo Testamento[3], dove il comandamento viene ribadito e declinato più volte e in formule diverse.
In tutti i vangeli sinottici[4] è presente il duplice comandamento dell’amore, che ha la particolarità di unire l’amore di Dio e l’amore verso il prossimo[5][6]. L’insegnamento, che riprende in una sintesi originale alcuni passi dell’Antico Testamento[7], semplifica i numerosi precetti che regolavano la vita religiosa del tempo indicando una linea essenziale di condotta per i seguaci di Gesù[8][9]. È noto anche come il “massimo comandamento”[10] o “il comandamento più grande”[8].

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Capitolo 600

(Continua la Cena)

Vi è qualche minuto di assoluto silenzio. Gesù sta a capo chino, carezzando macchinalmente i capelli biondi di Giovanni. Poi si scuote. Alza la testa, gira lo sguardo, ha un sorriso che conforta i discepoli. Dice: «Lasciamo la tavola. E sediamo tutti ben vicini, come tanti figli intorno al padre».

Prendono i letti-sedili che erano dietro la tavola (quelli di Gesù, Giovanni, Giacomo, Pietro, Simone, Andrea ed il cugino Giacomo) e li portano dall’altro lato.

Gesù prende posto sul suo, sempre fra Giacomo e Giovanni. Ma, quando vede che Andrea sta per sedersi al posto lasciato dall’Iscariota, grida: «No, là no». Un grido impulsivo, che la sua somma prudenza non riesce a impedire. Poi modifica dicendo così: «Non occorre tanto spazio. Stando seduti, si può stare su questi soli. Bastano. Vi voglio molto vicini».

Ora, rispetto alla tavola, sono messi in forma ad U con Gesù al centro e avendo di fronte la tavola, spoglia di vivande ormai, e il posto di Giuda.

Giacomo di Zebedeo chiama Pietro: «Siediti qui. Io mi siedo su questo sgabelletto, ai piedi di Gesù».

«Che Dio ti benedica, Giacomo! Ne avevo tanta voglia!», dice Pietro e si serra al suo Maestro, che è così fra la stretta di Giovanni e Pietro, avendo ai piedi Giacomo.

Gesù sorride:

«Vedo che comincia ad operare la parola detta prima. I buoni fratelli si amano. Anche Io ti dico, Giacomo:

“Che Dio ti benedica”. Anche questo tuo atto non sarà dimenticato dall’Eterno e lo troverai lassù.

Tutto Io posso di quanto Io chiedo. Voi lo avete visto. È bastato un mio desiderio perché il Padre concedesse al Figlio di darsi in Cibo all’uomo. Con quanto è accaduto adesso è stato glorificato il Figlio dell’Uomo, perché è testimonianza di potere il miracolo che non è che possibile agli amici di Dio.

Più è grande il miracolo e più è sicura e profonda questa divina amicizia. Questo è un miracolo che, per la sua forma, durata e natura, per gli estremi di esso ed i limiti che tocca, più forte non ce ne può essere. Io ve lo dico: tanto è potente, soprannaturale, inconcepibile all’uomo superbo, che ben pochi lo comprenderanno come va compreso, e molti lo negheranno. Che dirò allora? Condanna per loro? No. Dirò: pietà!

Ma più grande è il miracolo, più grande è la gloria che all’autore dello stesso viene. È Dio stesso che dice:

“Ecco, questo mio diletto ciò che ha voluto ha avuto, ed Io l’ho concesso perché egli ha grande Grazia agli occhi miei”. E qui dice: “Ha una Grazia senza limiti così come è infinito il miracolo da Lui compiuto”.

Parimenti alla gloria che si riversa sull’autore del miracolo da parte di Dio è la gloria che da esso autore si riversa sul Padre. Perché ogni gloria soprannaturale, essendo veniente da Dio, alla sua sorgente ritorna. E la gloria di Dio, per quanto già infinita, sempre più si aumenta e sfavilla per la gloria dei suoi Santi. Onde Io dico: come è stato glorificato il Figlio dell’Uomo da Dio, così Dio è stato glorificato dal Figlio dell’Uomo. Io ho glorificato Dio in Me stesso. A sua volta, Dio glorificherà il suo Figlio in Lui. Ben presto Lo glorificherà.

Esulta, Tu che torni alla tua Sede, o Essenza spirituale della Seconda Persona! Esulta, o Carne che torni ad ascendere dopo tanto esilio nel fango! E non già il Paradiso d’Adamo, ma l’eccelso Paradiso del Padre sta per esserti dato a dimora. Ché, se è stato detto che per lo stupore di un comando di Dio (Giosuè 10, 12-14), dato per bocca di un uomo, si arrestò il sole, che non avverrà negli astri quando vedranno il prodigio della Carne dell’Uomo ascendere e sedersi alla destra del Padre nella sua Perfezione di materia glorificata?

Figliolini miei, per poco ancora Io resto con voi. E voi, dopo, mi cercherete come gli orfani cercano il morto genitore. E piangendo andrete parlando di Lui e picchierete invano al muto sepolcro, e poi ancora picchierete alle porte azzurre dei Cieli, con l’anima vostra lanciata in supplice ricerca d’amore, dicendo:

“Dove il nostro Gesù? Lo vogliamo. Senza Lui non è più luce nel mondo, non letizia, né amore. O ce lo rendete, oppure lasciateci entrare. Noi vogliamo essere dove Egli è”.

Ma non potete per ora venire dove Io vado. L’ho detto anche ai giudei: ”Poi mi cercherete, ma dove Io vado voi non potete venire”. Lo dico anche a voi.

Pensate alla Madre… Neppure Lei potrà venire dove Io vado. Eppure Io ho lasciato il Padre per venire a Lei e farmi Gesù nel suo seno senza macchia. Eppure dall’Inviolata Io sono venuto, nell’estasi luminosa del mio Natale.

E del suo amore, divenuto latte, mi sono nutrito. Io sono fatto di purità e di amore perché Maria mi ha nutrito della sua verginità fecondata dall’Amore perfetto che vive in Cielo.

Eppure per Lei Io sono cresciuto, costandole fatiche e lacrime…

Eppure Io Le chiedo un eroismo quale mai fu compito, e rispetto al quale quello di Giuditta e Giaele sono eroismi di povere femmine contrastanti colla rivale presso la fonte del paese.

Eppure nessuno pari a Lei è nell’amarmi.

E, ciononostante, Io La lascio e vado dove Lei non verrà che fra molto tempo. Per Lei non è il comando che do a voi: “Santificatevi anno per anno, mese per mese, giorno per giorno, ora per ora, per potere venire a Me quando sarà la vostra ora”.

In Lei è ogni Grazia e Santità. È la Creatura che ha tutto avuto e che tutto ha dato. Nulla vi è da aggiungere o da levare. È la Santissima testimonianza di ciò che può Iddio.

Ma per essere certo che in voi sia capacità di potermi raggiungere e di dimenticare il dolore del lutto della separazione dal vostro Gesù, Io vi do un Comandamento nuovo. Ed è che vi amiate gli uni con gli altri. Così come Io ho amato voi, ugualmente voi amatevi l’uno con l’altro. Da questo si conoscerà che siete miei discepoli.

Quando un padre ha molti figli, da che si conosce che tali sono? Non tanto per l’aspetto fisico -perché vi sono uomini che sono in tutto simili ad un altro uomo, col quale non vi è nessun rapporto di sangue e neppure di Nazione- quanto per il comune amore alla famiglia, al padre loro, e fra loro.

Ed anche morto il padre non si disgrega la buona famiglia, perché il sangue è uno ed è sempre quello avuto dal seme del padre, e annoda legami che neppure la morte scioglie, perché più forte della morte è l’amore. Ora, se voi vi amerete anche dopo che Io vi avrò lasciati, tutti riconosceranno che voi siete miei figli, e perciò miei discepoli, e fra voi fratelli avendo avuto un unico padre».

«Signore Gesù, ma dove vai?», chiede Pietro.

«Vado dove tu per ora non mi puoi seguire. Ma più tardi mi seguirai».

«E perché non adesso? Ti ho seguito sempre da quando Tu mi hai detto: “Seguimi”. Ho tutto lasciato senza rimpianto… Ora, andartene senza il tuo povero Simone, lasciandomi privo di Te, mio Tutto, dopo che per Te ho lasciato il mio poco bene di prima, non è giusto né bello da parte tua. Vai alla morte? Sta bene. Ma io pure vengo. Andremo insieme nell’altro mondo. Ma prima ti avrò difeso. Io sono pronto a dare la vita per Te».

«Tu darai la tua vita per Me? Ora? Ora no. In verità -oh! che in verità te lo dico- non avrà ancora cantato il gallo che tu mi avrai rinnegato tre volte. Ora è ancora la prima vigilia. Poi verrà la seconda… e poi la terza.

Prima che scocchi il gallicinio, tu avrai per tre volte rinnegato il tuo Signore».

«Impossibile, Maestro! Credo a tutto ciò che dici. Ma non a questo. Sono sicuro di me».

«Ora, per ora sei sicuro. Ma perché ora hai ancora Me. Hai con te Iddio. Fra poco l’incarnato Iddio sarà preso e non l’avrete più. E satana, dopo avervi già appesantiti -la tua stessa sicurezza è una astuzia di satana, zavorra per appesantirti- vi spaurirà. Vi insinuerà: “Dio non è. Io sono”.

E siccome, per quanto ottusi dallo spavento, ancora ragionerete, voi capirete che quando è satana il padrone dell’ora è morto il Bene ed è operante il Male, abbattuto lo spirito e trionfante l’umano. Allora resterete come guerrieri senza duce, inseguiti dal nemico, e nello sbigottimento dei vinti curverete le schiene al vincitore, e per non essere uccisi rinnegherete il caduto eroe.

Ma, ve ne prego. Il vostro cuore non si turbi. Credete in Dio. E credete anche in Me. Contro tutte le apparenze, credete in Me. Creda nella mia misericordia e in quella del Padre tanto colui che resta come colui che fugge. Tanto colui che tace come colui che aprirà la bocca per dire: “Io non Lo conosco”.

Ugualmente credete nel mio perdono. E credete che, quali che siano in futuro le vostre azioni, nel Bene e nella mia Dottrina, nella mia Chiesa perciò, esse vi daranno un uguale posto in Cielo.

Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se così non fosse, Io ve lo avrei detto. Perché Io vado avanti.

A preparare un posto per voi. Non fanno forse così i buoni padri quando devono portare altrove la loro piccola prole? Vanno avanti, preparano la casa, le suppellettili, le provviste. E poi tornano a prendere le loro creature più care. Così fanno per amore. Perché ai piccoli nulla manchi, e non provino disagio nel nuovo paese. Ugualmente così Io faccio. E per lo stesso motivo.

Ora vado. E quando avrò preparato ad ognuno il posto nella Gerusalemme celeste, verrò di nuovo, vi prenderò con Me perché siate con Me dove Io sono, dove non ci sarà più né morte, né lutti, né lacrime, né grida, né fame, né dolore, né tenebre, né arsione, ma solo luce, pace, beatitudine e canto.

Oh! canto dei Cieli altissimi quando i dodici eletti saranno sui troni coi dodici patriarchi delle tribù d’Israele, e nell’ardenza del fuoco dell’amore spirituale canteranno, eretti sul mare della beatitudine, il cantico eterno che avrà ad arpeggio l’eterno alleluia dell’esercito angelico… Io voglio che dove Io sarò voi siate. E voi sapete dove Io vado e ne conoscete la via».

«Ma Signore! Noi non sappiamo nulla. Tu non ci dici dove vai. Come possiamo noi sapere la via da prendere per venire verso Te e abbreviare l’attesa?», chiede Tommaso.

«Io sono la Via, la Verità, la Vita. Me lo avete sentito dire e spiegare più volte, ed in verità alcuni, che neppure sapevano esservi un Dio, si sono incamminati avanti, per la mia via, e sono già avanti di voi. Oh! dove sei tu, pecora spersa di Dio che Io ho ricondotta all’ovile? E dove tu, risorta d’anima?».

«Chi? Di chi parli? Di Maria di Lazzaro? È di là, con tua Madre. La vuoi? O vuoi Giovanna? Certo è nel suo palazzo. Ma, se vuoi, te l’andiamo a chiamare…».

«No. Non loro… Penso a quella che sarà disvelata solo in Cielo… e a Fotinai… Esse mi hanno trovato. E non hanno più lasciato la mia via. Ad una ho indicato il Padre come Dio vero e lo Spirito come levita in questa individuale adorazione. All’altra, che neppur sapeva di avere uno spirito, ho detto:

“Il mio nome è Salvatore, salvo chi ha buona volontà di salvarsi. Io sono Colui che cerca i perduti, che dà la Vita, la Verità e la Purezza. Chi mi cerca mi trova”.

E ambedue hanno trovato Iddio… Vi benedico, deboli Eve divenute più forti di Giuditta… Vengo, dove voi siete vengo… Voi mi consolate… Siate benedette!.. . ».

«Mostraci il Padre, Signore, e saremo pari a queste», dice Filippo.

«Da tanto tempo Io sono con voi, e tu, Filippo, non mi hai ancora conosciuto? Chi vede Me vede il Padre mio. Come puoi dunque dire: “Mostraci il Padre”? Non riesci a credere che Io sono nel Padre e il Padre è in Me? Le parole che Io vi dico non le dico da Me. Ma il Padre che dimora in Me compie ogni mia opera. E voi non credete che Io sono nel Padre e Lui è in Me? Che devo dire per farvi credere? Ma se non credete alle parole, credete almeno alle opere.

Io vi dico, e ve lo dico con verità: chi crede in Me farà le opere che Io faccio, e ancor di maggiori ne farà, perché Io vado al Padre. E tutto quanto domanderete al Padre in mio nome Io lo farò, perché il Padre sia glorificato nel suo Figlio. E farò quanto mi domanderete in nome del mio Nome.

Il mio Nome è noto, per quello che realmente è, a Me solo, al Padre che mi ha generato e allo Spirito che dal nostro Amore procede. E per quel Nome tutto è possibile. Chi pensa al mio Nome con amore mi ama e ottiene.

Ma non basta amare Me, occorre osservare i miei Comandamenti per avere il vero Amore. Sono le opere quelle che testificano dei sentimenti. E per questo Amore Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Consolatore che resti per sempre con voi, Uno su cui satana e il mondo non può infierire, lo Spirito di Verità che il mondo non può ricevere e non può colpire, perché non Lo vede e non Lo conosce.

Lo deriderà. Ma Egli è tanto eccelso che lo scherno non Lo potrà ferire, mentre, pietosissimo sopra ogni misura, sarà sempre con chi Lo ama, anche se povero e debole. Voi Lo conoscerete, perché già dimora con voi e presto sarà in voi. Io non vi lascerò orfani. Già ve l’ho detto: “Ritornerò a voi”.

Ma, prima che sia l’ora di venirvi a prendere per andare nel mio Regno, Io verrò. A voi verrò. Fra poco il mondo non mi vedrà più. Ma voi mi vedete e mi vedrete. Perché Io vivo e voi vivete. Perché Io vivrò e voi pure vivrete. In quel giorno voi conoscerete che Io sono nel Padre mio, e voi in Me ed Io in voi.

Perché chi accoglie i miei precetti e li osserva, quello è colui che mi ama, e colui che mi ama sarà amato dal Padre mio e possederà Iddio, perché Dio è carità e chi ama ha in sé Dio. Ed Io lo amerò, perché in lui vedrò Iddio, e mi manifesterò a lui facendomi conoscere nei segreti del mio Amore, della mia sapienza, della mia Divinità incarnata.

Saranno i miei ritorni fra i figli dell’Uomo, che Io amo nonostante siano deboli e anche nemici. Ma costoro saranno solo deboli. Ed Io li fortificherò; dirò loro: “Sorgi!”, dirò: “Vieni fuori!”, dirò: “Seguimi”, dirò: “Odi”, dirò: “Scrivi”… e voi siete fra questi».

«Perché, Signore, Tu ti manifesti a noi e non al mondo?», chiede Giuda Taddeo.

«Perché mi amate e osservate le mie parole. Chi così farà, sarà amato dal Padre e Noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui, in lui. Mentre chi non mi ama non osserva le mie parole e fa secondo la carne e il mondo.

Ora sappiate che ciò che Io vi ho detto non è parola di Gesù Nazareno ma parola del Padre, perché Io sono il Verbo del Padre che mi ha mandato. Io vi ho detto queste cose parlando così, con voi, perché voglio lo stesso prepararvi al possesso completo della Verità e Sapienza. Ma ancora non potete capire né ricordare.

Però, quando verrà a voi il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà in mio Nome, allora voi potrete capire, ed Egli tutto vi insegnerà, e vi ricorderà quanto Io vi ho detto.

Io vi lascio la mia pace. Io vi do la mia pace. Ve la do non come la dà il mondo. E neppure come fino ad ora ve l’ho data: saluto benedetto del Benedetto ai benedetti. Più profonda è la pace che ora vi do. In questo addio. Io vi comunico Me stesso, il mio Spirito di pace, così come vi ho comunicato il mio Corpo e il mio Sangue, perché in voi resti una forza nella imminente battaglia.

Satana e il mondo sferrano guerra al vostro Gesù. È la loro ora. Abbiate in voi la Pace, il mio Spirito che è spirito di pace, perché Io sono il Re della pace. Abbiatela per non essere troppo derelitti. Chi soffre con la pace di Dio in sé soffre, ma non bestemmia e dispera.

Non piangete. Avete pure sentito che ho detto: “Vado al Padre e poi tornerò”. Se mi amaste sopra la carne, vi rallegrereste, perché Io vado dal Padre dopo tanto esilio… Vado da Colui che è maggiore di Me e che mi ama. Io ve l’ho detto ora, prima che ciò si compia, così come vi ho detto tutte le sofferenze del Redentore prima di andare ad esse, affinché, quando tutto si compia, voi crediate sempre più in Me. Non turbatevi così!

Non sgomentatevi. Il vostro cuore ha bisogno di equilibrio.

Poco più ho da parlarvi… e ancora tanto ho da dire! Giunto al termine di questa mia evangelizzazione, mi pare di non avere ancora nulla detto e che tanto, tanto, tanto ancora resti da fare. Il vostro stato aumenta questa mia sensazione. E che dirò allora? Che Io ho mancato al mio ufficio? O che voi siete così duri di cuore che a nulla esso è valso? Dubiterò? No.

Mi affido a Dio, e a Lui affido voi, miei diletti. Egli compirà l’opera del suo Verbo. Non sono come un padre che muore e non ha altra luce che l’umana. Io spero in Dio. E pure sentendo in Me urgere tutti i consigli di cui vi vedo bisognosi e sentendo fuggire il tempo, vado tranquillo alla mia sorte. So che sui semi caduti in voi sta per scendere una rugiada che li farà tutti germogliare, e poi verrà il sole del Paraclito, ed essi diverranno albero potente.

Sta per venire il principe di questo mondo, colui col quale Io non ho nulla a che fare. E, se non fosse per fine di redenzione, non avrebbe potuto nulla su Me. Ma ciò avviene affinché il mondo conosca che Io amo il Padre e Lo amo fino alla ubbidienza di morte, e perciò faccio ciò che mi ha ordinato.

È l’ora di andare. Alzatevi. E udite le ultime parole.

Io sono la vera Vite. Il Padre ne è il Coltivatore. Ogni tralcio che non porta frutto Egli lo recide e quello che porta frutto lo pota perché ne porti più ancora. Voi siete già purificati per la mia parola. Rimanete in Me ed Io in voi per continuare ad essere tali. Il tralcio staccato dalla vite non può fare frutto. Così voi se non rimanete in Me. Io sono la Vite e voi i tralci.

Colui che resta unito a Me porta abbondanti frutti. Ma se uno si stacca diviene ramo secco e viene buttato nel fuoco e là brucia. Perché, senza l’unione con Me, voi nulla potete fare. Rimanete dunque in Me e le mie parole restino in voi, poi domandate quanto volete e vi sarà fatto. Il Padre mio sarà sempre più glorificato quanto più voi porterete frutto e sarete miei discepoli.

Come il Padre mi ha amato, così Io con voi. Rimanete nel mio amore che salva. Amandomi sarete ubbidienti, e l’ubbidienza aumenta il reciproco amore. Non dite che Io mi ripeto. So la vostra debolezza. E voglio che vi salviate. Io vi dico queste cose perché la gioia che vi ho voluto dare sia in voi e sia completa. Amatevi, amatevi! Questo è il mio Comandamento nuovo.

Amatevi scambievolmente più di quanto ognuno ami se stesso. Non vi è maggior amore di quello di colui che dà la sua vita per i suoi amici. Voi siete i miei amici ed Io do la vita per voi. Fate ciò che Io vi insegno e comando.

Non vi chiamo più servi. Perché il servo non sa ciò che fa il suo padrone, mentre voi sapete ciò che Io faccio.

Tutto di Me sapete. Vi ho manifestato non solo Me stesso, ma anche il Padre ed il Paraclito e tutto quanto ho sentito da Dio.

Non siete stati voi che vi siete scelti. Ma Io vi ho scelti e vi ho eletti, perché andiate fra i popoli, e facciate frutto in voi e nei cuori degli evangelizzati, e il vostro frutto rimanga e il Padre vi dia tutto ciò che gli chiederete in mio Nome.

Non dite: “E allora, se Tu ci hai scelti, perché hai scelto un traditore? Se tutto Tu sai, perché hai fatto questo?”. Non chiedetevi neppure chi è costui. Non è un uomo. È satana. L’ho detto all’amico fedele e l’ho lasciato dire dal figlio diletto. È satana. Se satana non si fosse incarnato, l’eterno scimmiottatore di Dio, in una carne mortale, questo posseduto non avrebbe potuto sfuggire al mio potere di Gesù. Ho detto: ”posseduto”. No. È molto di più: è un annullato in satana».

«Perché, Tu che hai cacciato i demoni, non lo hai liberato?», chiede Giacomo d’Alfeo.

«Lo chiedi per amore di te, temendo essere tu quello? Non lo temere».

«Io, allora?».

«Io?».

«Io?».

«Tacete. Non dico quel nome. Uso misericordia e voi fate ugualmente».

«Ma perché non lo hai vinto? Non potevi?».

«Potevo. Ma, per impedire a satana di incarnarsi per uccidermi, avrei dovuto sterminare la razza dell’uomo avanti la Redenzione. Che avrei allora redento?».

«Dimmelo, Signore, dimmelo!». Pietro è scivolato in ginocchio e scuote freneticamente Gesù come fosse in preda a delirio. «Sono io? Sono io? Mi esamino? Non mi pare. Ma Tu… Tu hai detto che ti rinnegherò… Ed io tremo… Oh! che orrore essere io!…».

«No, Simone di Giona. Non tu».

«Perché mi hai levato il mio nome di “Pietra”? Sono dunque tornato Simone? Lo vedi? Tu lo dici! … Sono io! Ma come ho potuto? Ditelo… ditelo voi… Quando è che ho potuto divenire traditore?.. . Simone?… Giovanni?… Ma parlate!…».

«Pietro, Pietro, Pietro! Ti chiamo Simone perché penso al primo incontro, quando eri Simone. E penso come sei sempre stato leale dal primo momento. Non sei tu. Lo dico Io: Verità».

«Chi, allora?».

«Ma è Giuda di Keriot! Non lo hai ancora capito?», urla il Taddeo che non riesce più a contenersi.

«Perché non me lo hai detto prima? Perché?», urla anche Pietro.

«Silenzio. È satana. Non ha altro nome. Dove vai, Pietro?».

«A cercarlo».

«Posa subito quel mantello e quell’arma. O ti devo scacciare e maledire?».

«No, no! Oh! Signor mio! Ma io… ma io… Sono forse malato di delirio, io? Oh! Oh!».

Pietro piange, gettato per terra ai piedi di Gesù.

«Io vi do comando di amarvi. E di perdonare. Avete capito? Se anche nel mondo è l’odio, in voi sia solo l’amore. Per tutti. Quanti traditori troverete sulla vostra via! Ma non li dovete odiare e rendere loro male per male. Altrimenti il Padre odierà voi.

Prima di voi fui odiato e tradito Io. Eppure, voi lo vedete, Io non odio. Il mondo non può amare ciò che non è come esso. Perciò non vi amerà. Se foste suoi, vi amerebbe; ma non siete del mondo, avendovi Io presi da mezzo al mondo. E per questo siete odiati.

Vi ho detto: il servo non è da più del padrone. Se hanno perseguitato Me, perseguiteranno voi pure. Se avranno ascoltato Me, ascolteranno pure voi. Ma tutto faranno per causa del mio Nome, perché non conoscono, non vogliono conoscere Colui che mi ha mandato. Se non fossi venuto e non avessi parlato, non sarebbero colpevoli. Ma ora il loro peccato è senza scusa.

Hanno visto le mie opere, udito le mie parole, eppure mi hanno odiato, e con Me il Padre. Perché Io e il Padre siamo una sola Unità con l’Amore. Ma era scritto: “Mi odiasti senza ragione”. Però, quando sarà venuto il Consolatore, lo Spirito di Verità che dal Padre procede, sarà da Lui resa testimonianza di Me, e voi pure mi testimonierete, perché dal principio foste con Me.

Questo vi dico perché, quando sarà l’ora, non rimaniate accasciati e scandalizzati. Sta per venire il tempo in cui vi cacceranno dalle sinagoghe e in cui chi vi ucciderà penserà di fare culto a Dio con ciò. Non hanno conosciuto né il Padre né Me. In ciò è la loro scusante. Non ve le ho dette così ampie prima di ora, queste cose, perché eravate come bambini pur mo’ nati. Ma ora la madre vi lascia. Io vado. Dovete assuefarvi ad altro cibo. Voglio lo conosciate.

Nessuno più mi chiede: “Dove vai?”. La tristezza vi fa muti. Eppure è bene anche per voi che Io me ne vada. Altrimenti non verrà il Consolatore. Io ve Lo manderò. E quando sarà venuto, attraverso la sapienza e la parola, le opere e l’eroismo che infonderà in voi, convincerà il mondo del suo peccato deicida e di giustizia sulla mia santità.

E il mondo sarà nettamente diviso nei reprobi, nemici di Dio, e nei credenti. Questi saranno più o meno santi, a seconda del loro volere. Ma il giudizio del principe del mondo e dei suoi servi sarà fatto.

Di più non posso dirvi, perché ancora non potete intendere. Ma Egli, il divino Paraclito, vi darà la Verità intera, perché non parlerà di Se stesso. Ma dirà tutto quello che avrà udito dalla Mente di Dio e vi annunzierà il futuro. Prenderà ciò che da Me viene, ossia ciò che ancora è del Padre, e ve lo dirà.

Ancora un poco da vedersi. Poi non mi vedrete più. E poi ancora un poco, e poi mi vedrete.

Voi mormorate fra voi ed in cuor vostro. Udite una parabola. L’ultima del vostro Maestro.

Quando una donna ha concepito e giunge all’ora del parto, è in grande afflizione perché soffre e geme. Ma quando il piccolo figlio è dato alla luce ed ella lo stringe sul cuore, ogni pena cessa e la tristezza si muta in gioia, perché un uomo è venuto al mondo.

Così voi. Voi piangerete e il mondo riderà di voi. Ma poi la vostra tristezza si muterà in gioia.

Una gioia che il mondo mai conoscerà. Voi ora siete tristi. Ma, quando mi rivedrete, il vostro cuore diverrà pieno di un gaudio che nessuno avrà più potere di rapirvi. Una gioia così piena che vi offuscherà ogni bisogno di chiedere e per la mente e per il cuore e per la carne. Solo vi pascerete di rivedermi, dimenticando ogni altra cosa.

Ma proprio da allora potrete tutto chiedere in mio Nome, e vi sarà dato dal Padre perché abbiate sempre più gioia. Domandate, domandate. E riceverete.

Viene l’ora in cui potrò parlarvi apertamente del Padre. Sarà perché sarete stati fedeli nella prova e tutto sarà superato. Perfetto quindi il vostro amore, perché vi avrà dato forza nella prova. E quanto a voi mancherà Io ve lo aggiungerò prendendolo dal mio immenso tesoro e dicendo: “Padre, lo vedi. Essi mi hanno amato credendo che Io venni da Te”. Sceso nel mondo, ora lo lascio e vado al Padre, e pregherò per voi».

«Oh! ora Tu ti spieghi. Ora sappiamo ciò che vuoi dire e che Tu sai tutto e rispondi senza che nessuno ti interroghi. Veramente Tu vieni da Dio! ».

«Adesso credete? All’ultima ora? È tre anni che vi parlo! Ma già in voi opera il Pane che è Dio e il Vino che è Sangue non venuto da uomo, e vi dà il primo brivido di deificazione. Voi diverrete dèi se sarete perseveranti nel mio amore e nel mio possesso.

Non come lo disse satana ad Adamo ed Eva, ma come Io ve lo dico. È il vero frutto dell’albero del Bene e della Vita. Il Male è vinto in chi se ne pasce, ed è morta la Morte. Chi ne mangia vivrà in eterno e diverrà “dio” nel Regno di Dio. Voi sarete dèi se permarrete in Me.

Eppure ecco… pur avendo in voi questo Pane e questo Sangue, poiché sta venendo l’ora in cui sarete dispersi, voi ve ne andrete per vostro conto e mi lascerete solo… Ma non sono solo. Ho il Padre con Me. Padre, Padre! Non mi abbandonare!

Tutto vi ho detto… Per darvi pace. La mia pace. Ancora sarete oppressi. Ma abbiate fede. Io ho vinto il mondo».

Gesù si alza, apre le braccia in croce e dice con volto luminoso la sublime preghiera al Padre. Giovanni la riporta integralmente.

Gli apostoli lacrimano più o meno palesemente e rumorosamente. Per ultimo cantano un inno.

Gesù li benedice. Poi ordina: «Mettiamoci i mantelli, ora. E andiamo. Andrea, dì al capo di casa di lasciare tutto così, per mio volere. Domani… vi farà piacere rivedere questo luogo». Gesù lo guarda. Pare benedire le pareti, i mobili, tutto. Poi si ammantella e si avvia, seguito dai discepoli.

Al suo fianco è Giovanni, al quale si appoggia. «Non saluti la Madre?», gli chiede il figlio di Zebedeo.

«No. È tutto già fatto. Fate, anzi, piano».

Simone, che ha acceso una torcia alla lumiera, illumina l’ampio corridoio che va alla porta. Pietro apre cauto il portone ed escono tutti nella via e poi, facendo giocare un congegno, chiudono dal di fuori. E si pongono in cammino.

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

 

12 MAGGIO 2019 IV DOMENICA DI PASQUA. (Gv 10,27-30)

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Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni. (Gv 10,27-30)

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e Io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Capitolo 537

Stare fermi non è possibile nella mattinata fredda e ventosa. Sulla cima del Moria il vento che viene in direzione nord-est si abbatte frizzante, facendo svolazzare le vesti e arrossando i volti e gli occhi. Eppure vi è della gente che è salita al Tempio per le preghiere. Mancano invece assolutamente i rabbi coi rispettivi gruppi degli allievi. E il portico pare più vasto, e soprattutto più dignitoso, privato della congrega vociante e pomposa che l’occupa di solito.

E deve essere una cosa molto strana vederlo così vuoto, perché tutti se ne stupiscono come di cosa nuova. E Pietro se ne insospettisce anche. Ma Tommaso, che sembra ancor più robusto, avvolto come è in un largo e pesante mantello, dice:

«Si saranno chiusi in qualche stanza per paura di perdere la voce. Li rimpiangi?», e ride.

«Io no! Mai più li vedessi! Ma non vorrei che fosse…», e guarda l’Iscariota che non parla, ma che afferra l’occhiata di Pietro e dice:

«Veramente hanno promesso di non dare altra noia, fuorché nel caso che il Maestro li… scandalizzi. Certo che saranno vigilanti, ma posto che qui non si pecca, né si offende, essi stanno assenti».

«Meglio così. E Dio ti benedica, ragazzo, se ci sei riuscito a farli ragionare».

È presto ancora. Poca gente è nel Tempio. Dico «poca», e questo pare, data la vastità di esso, che per apparire pieno abbisogna di masse di popolo. Due o trecento persone neppur si vedono in quel complesso di cortili, portici, atri, corridoi…

Gesù, unico Maestro nel vasto portico dei Pagani, va in su e in giù, parlando con i suoi e con i discepoli che ha trovato già nel recinto del Tempio. Risponde alle loro obiezioni o domande, chiarisce punti che essi non hanno saputo chiarire a se stessi e ad altri.

Vengono due gentili, Lo guardano, vanno via senza dire nulla. Passano degli addetti al Tempio, Lo guardano, ma non dicono nulla neppur loro. Qualche fedele si accosta, saluta, ascolta. Ma sono pochi ancora.

«Restiamo qui ancora?», domanda Bartolomeo.

«Fa freddo e non c’è nessuno. Però fa piacere essere qui così in pace. Maestro, oggi sei proprio nella Casa del Padre tuo. E da padrone», dice sorridendo Giacomo d’Alfeo. E soggiunge: «Così doveva essere il Tempio quando erano Nehemia ed i re saggi e pii».

«Io direi di andare. Di là ci spiano…», dice Pietro.

«Chi? Farisei?».

«No. Quelli che sono passati prima ed altri. Andiamo via, Maestro…».

«Attendo dei malati. Mi hanno visto entrare in città, la voce certo si è sparsa. Nelle ore più calde verranno. Restiamo almeno sino ad un terzo da sesta», risponde Gesù. E riprende a camminare avanti e indietro per non rimanere fermo in quell’aria cruda.

Infatti dopo un poco, quando il sole cerca di mitigare gli effetti del tramontano, viene una donna con una bambina malata e chiede la guarigione. Gesù l’accontenta. La donna depone il suo obolo ai piedi di Gesù dicendo: «Questo per altri bambini che soffrono». L’Iscariota raccoglie le monete.

Più tardi, su una barellina, portano un uomo anziano, malato nelle gambe. E Gesù lo risana.

Terzo viene un gruppo di persone e pregano Gesù di uscire fuor dalle mura del Tempio per cacciare il demonio da una fanciulla, i cui gridi laceranti si sentono fin lì dentro. E Gesù si avvia dietro questi, uscendo nella strada che conduce in città.

Della gente, fra la quale sono degli stranieri, si è stretta intorno a quelli che tengono la giovinetta, che spuma e si divincola stravolgendo gli occhi. Parolacce di ogni sorta escono dalle sue labbra, e tanto più escono più Gesù si avvicina a lei, così come cresce il suo dibattersi.

A fatica la tengono quattro uomini giovani e robusti. E, con gli improperi, prorompono gridi di riconoscimento al Cristo e suppliche affannose dello spirito che la tiene per non essere cacciato, e anche delle verità, ripetute con monotonia:

«Via! Non mi fate vedere questo maledetto! Và via! Via! Causa della nostra rovina. Lo so chi Tu sei. Tu sei… Tu sei il Cristo. Tu sei… Non ti ha unto altro olio che quello di lassù. La potenza del Cielo ti copre e ti difende. Ti odio! Maledetto! Non mi cacciare. Perché cacci noi e non ci vuoi, mentre tieni vicino una legione di demoni in uno solo? Non lo sai che tutto l’inferno è in uno? Sì che lo sai… Lasciami qui, almeno sino all’ora di…».

La parola si arresta delle volte come strozzata, altre volte cambia, o si ferma prima, o si prolunga fra gridi disumani come quando urla:

«Lasciami entrare almeno in lui. Non mi mandare là nell’Abisso! Perché ci odii, o Gesù, Figlio di Dio? Non ti basta ciò che sei? Perché vuoi comandare anche su noi? Non vogliamo comando, noi! Perché sei venuto a perseguitarci, se noi ti abbiamo rinnegato? Và via! Non ci versare addosso i fuochi del Cielo! I tuoi occhi! Quando saranno spenti noi rideremo… Ah! No! Neanche allora… Tu ci vinci! Ci vinci! Sii maledetto Te e il Padre che ti ha mandato, e quello che da voi viene ed è voi… Aaaah!».

L’ultimo grido è addirittura spaventoso, di creatura scannata nella quale lentamente entri il ferro omicida, ed è originato dal fatto che Gesù, dopo aver troncato molte volte, per comando mentale, le parole dell’ossessa, pone fine ad esse toccando con un dito la fronte della giovinetta.

E il grido termina in una convulsione orrenda, sinché, con un fragore che ha della risata e del grido di un animale da incubo, il demonio la lascia urlando: «Ma non vado lontano… Ah! Ah! Ah!», seguito subito dallo schianto secco come di un fulmine, nonostante che il cielo sia tersissimo.

Molti scappano terrorizzati. Altri si affollano ancor più ad osservare la giovinetta che si è calmata di colpo, accasciandosi fra le braccia di chi la teneva. Sta così pochi attimi e poi apre gli occhi, sorride, si vede fra la gente senza velo sul volto e sul capo e reclina il viso, per nasconderselo, sul braccio che alza al volto.

Chi è con lei vorrebbe che ella ringraziasse il Maestro. Ma Egli dice: «Lasciatela nel suo pudore. La sua anima mi ringrazia già. Riconducetela a casa, dalla madre. È il posto suo di fanciulla…», e volge le spalle alla gente rientrando nel Tempio, al posto di prima.

«Hai visto, Signore, che molti giudei ci erano venuti alle spalle? Ne ho riconosciuti alcuni… Eccoli là! Sono quelli che ci spiavano prima. Guarda come disputano fra loro…», dice Pietro.

«Staranno stabilendo in chi di loro è entrato il diavolo. C’è anche Nahum, il fiduciario di Anna. È tipo adatto…», dice Tommaso.

«Sì. E tu non hai visto, perché avevi le spalle voltate. Ma il fuoco si è aperto proprio sul suo capo», dice Andrea quasi battendo i denti. «Io gli ero vicino e ho avuto una paura!…».

«Veramente erano tutti uniti, loro. Però io ho visto il fuoco aprirsi su di noi e ho creduto di morire… Anzi ho tremato per il Maestro. Pareva proprio sospeso sul suo capo», dice Matteo.

«Ma no. Io invece l’ho visto uscire dalla fanciulla e scoppiare sul muro del Tempio», ribatte Levi, il pastore discepolo.

«Non discutete fra voi. Il fuoco non indicò né questo né quello. Fu solo il segno che il demonio era fuggito», dice Gesù.

«Ma ha detto che non andava lontano!…», obbietta Andrea.

«Parole di demonio… Non vanno ascoltate. Lodiamo piuttosto l’Altissimo per questi tre figli di Abramo guariti nel corpo a nell’anima».

Intanto molti giudei, sbucati da questa e quella parte ‑ma non fanno parte dei loro gruppi né un fariseo, né uno scriba, né un sacerdote‑ si avvicinano e circondano Gesù, e uno si fa avanti dicendo:

«Grandi cose Tu hai fatto in questo giorno! Opere veramente da profeta, e gran profeta. E gli spiriti degli abissi hanno detto di Te cose grandi. Ma le loro parole non possono essere accettate se non le conferma la tua parola. Noi sbigottiamo per quelle parole. Ma anche temiamo un grande inganno, poiché è noto che Belzebù è spirito di menzogna. Non vorremmo ingannarci né essere ingannati. Dicci dunque chi sei, con la tua bocca di verità e giustizia».

«E non ve l’ho detto molte volte chi Io sono? Sono quasi tre anni che ve lo dico, e prima di Me ve lo disse Giovanni al Giordano e la Voce di Dio dai Cieli».

«È vero. Ma noi non c’eravamo le altre volte. Noi… Tu che sei giusto devi capire il nostro affanno. Noi vorremmo credere in Te come Messia. Ma troppe volte ormai il popolo di Dio fu ingannato da falsi Cristi. Consola il nostro cuore, che spera e che attende, con una sicura parola, e noi ti adoreremo».

Gesù li guarda severamente. I suoi occhi sembrano perforare le carni e mettere a nudo i cuori. Poi dice:

«In verità molte volte gli uomini sanno dire menzogne meglio di satana. No. Voi non mi adorerete. Mai. Qualunque cosa Io vi dica. E, anche giungeste a farlo, chi adorereste voi?».

«Chi? Mail nostro Messia!».

«Sareste da tanto? Chi è per voi il Messia? Rispondete, perché Io sappia ciò che valete».

«Il Messia? Ma il Messia è colui che per mandato di Dio riunirà lo sparso Israele e ne farà un popolo trionfale, sotto il cui potere sarà il mondo. E che? Tu non lo sai ciò che è il Messia?».

«Lo so come voi non lo sapete. Per voi dunque è un uomo che, superando Davide e Salomone e Giuda Maccabeo, farà di Israele la Nazione regina del mondo?».

«Questo è. Dio lo ha promesso. Ogni vendetta, ogni gloria, ogni rivendicazione, verrà dal promesso Messia».

«È detto: “Non adorerai altro che il Signore Iddio tuo”. Perché allora voi mi adorereste, se in Me soltanto poteste vedere l’Uomo-Messia?».

«E che altro dobbiamo vedere in Te?».

«Che? E con questi sentimenti mi venite ad interrogare? Razza di vipere subdole e velenose! E sacrileghe anche. Perché, se in Me voi non poteste vedere altro che il Messia umano e mi adoraste, sareste idolatri. Solo a Dio va data adorazione. Ed in verità vi dico una volta ancora che Colui che vi parla è da più del Messia che voi vi fingete con missione e mansioni e poteri quali voi, privi di spirito e sapienza, vi immaginate.

Il Messia non viene a dare al suo popolo un regno quale voi vi credete, non viene ad esercitare vendette su altri potenti. Il suo Regno non è di questo mondo e il suo potere supera ogni potere limitato del mondo».

«Tu ci mortifichi, Maestro. Se sei Maestro e noi siamo ignoranti, perché non ci vuoi istruire?».

«Sono tre anni che lo faccio, e voi siete sempre più nelle tenebre perché respingete la Luce».

«È vero. Forse è vero. Ma ciò che fu per il passato può non più essere nell’avvenire. E che? Tu che hai pietà dei pubblicani e delle meretrici e che assolvi i peccatori, vuoi essere senza pietà con noi, solo perché siamo di dura cervice e stentiamo a comprendere chi Tu sei?».

«Non è che stentiate. È che non volete capire. Essere ebeti non sarebbe una colpa. Dio ha tante luci che potrebbero fare luce all’intelletto più ottuso ma pieno di buona volontà. In voi questa manca. Anzi avete volontà opposta. Per questo non comprendete chi Io sono».

«Sarà come Tu dici. Tu vedi come siamo umili. Ma te ne preghiamo nel Nome di Dio. Rispondi alle nostre domande. Non ci tenere più sospesi. Fino a quando il nostro animo deve rimanere incerto? Se sei il Cristo, dillo a noi apertamente».

«Ve l’ho detto. Nelle case, nelle piazze, per le vie, per i paesi, sui monti, lungo i fiumi, in faccia al mare, di fronte ai deserti, nel Tempio, nelle sinagoghe, sui mercati ve l’ho detto, e voi non credete. Non c’è posto di Israele che non abbia sentito la mia voce. Persino i luoghi che portano abusivamente il nome di Israele da secoli, ma che sono separati dal Tempio, persino i luoghi che hanno dato il nome a questa nostra Terra, ma che da dominanti sono divenuti soggetti, e mai però si liberarono completamente dai loro errori per venire alla Verità, persino la Siro-Fenicia, dai rabbi sfuggita come terra di peccato, hanno sentito la mia voce e conosciuto il mio essere.

Ve l’ho detto, e alle mie parole non credete. Ho fatto, e alle mie azioni non avete posto mente con spirito buono.

Lo aveste fatto, con l’intenzione retta di sincerarvi su di Me, sareste giunti alla fede in Me, perché le opere che Io faccio nel Nome del Padre mio testimoniano di Me. Quelli di buona volontà, che sono venuti al mio seguito perché mi hanno riconosciuto Pastore, hanno creduto alle mie parole e alla testimonianza che danno le mie opere.

E che? Credete forse che ciò che Io faccio non abbia un fine di vostra utilità? Di utilità per le creature tutte? Disingannatevi. E non vogliate pensare che l’utile è dato dalla salute del singolo, riacquistata per il mio potere, o dalla liberazione dell’ossessione o dal peccato di questo o quello. Questa è un’utilità circoscritta all’individuo. Troppo poca cosa rispetto alla potenza che viene sprigionata, e dalla fonte soprannaturale, più che soprannaturale, divina, che la sprigiona, per essere l’unica utilità.

Vi è l’utilità collettiva delle opere che Io faccio. L’utilità di levare ogni dubbio agli incerti, di convincere i contrari oltre che di rinforzare sempre più la fede dei credenti. Per questa utilità collettiva, a favore di tutti gli uomini presenti e futuri, perché le mie opere testimonieranno di Me presso i futuri e li convinceranno di Me, il Padre mio mi dà potere di fare ciò che faccio. Nulla è fatto senza un fine buono nelle opere di Dio. Ricordatevelo sempre. Meditate questa verità”.

Gesù ha un momento di arresto. Fissa lo sguardo su un giudeo che sta a capo chino e dice poi:

«Tu che stai così pensando, tu dalla veste color d’uliva matura, ti chiedi se ha fine buono anche satana. Non essere stolto per essere a Me contrario e cercare l’errore nelle mie parole. Ti rispondo che satana non è opera di Dio, ma della libera volontà dell’angelo ribelle.

Dio lo aveva fatto suo ministro glorioso, e perciò lo aveva creato a fine buono. Ecco, ora tu, parlando col tuo io, dici: “Allora Dio è stolto, perché aveva donato la gloria ad un futuro ribelle e affidato i suoi voleri ad un disubbidiente”. Ti rispondo: “Dio non è stolto ma perfetto nelle sue azioni e pensieri. È il Perfettissimo. Le creature sono imperfette, anche le più perfette.

Sempre un punto di inferiorità è in esse rispetto a Dio. Ma Dio, che le ama, ha concesso alle creature la libertà di arbitrio, perché attraverso ad essa la creatura si completi nelle virtù e si faccia perciò più simile al Dio e Padre suo”. E ancora ti dico, o derisore e astuto cercatore del peccato nelle mia parole, che dal Male, che si è volontariamente formato, Dio trae ancora un fine buono: quello di servire a far possessori gli uomini di una gloria meritata.

Le vittorie sul Male sono la corona degli eletti. Se il Male non potesse suscitare una conseguenza buona per i volonterosi di volontà buona, Dio lo avrebbe distrutto. Perché nulla di quanto è nel Creato deve essere totalmente privo di incentivo o di conseguenza buoni.

Non rispondi? Ti è duro dover proclamare che ti ho letto in cuore e che ho vinto le illazioni ingiuste del tuo pensiero tortuoso? Non ti forzerò a farlo. Al cospetto di tanti ti lascio nella tua superbia. Non reclamo che tu mi proclami vittorioso.

Ma quando sarai solo con questi, simili a te, con quelli che vi hanno mandato, allora confessa pure che Gesù di Nazaret ha letto i pensieri della tua mente e ti ha strangolato le obiezioni nella strozza con la sola arma della sua Parola di Verità.

Ma abbandoniamo questa interruzione personale e torniamo ai molti che mi ascoltano. Se anche uno solo di tanti, per le mie parole, convertisse il suo spirito alla Luce, sarebbe ricompensata la mia fatica di parlare a delle pietre, anzi a dei sepolcri pieni di vipere.

Dicevo che quelli che mi amano mi hanno riconosciuto Pastore per le mie parole e le mie opere. Ma voi non credete, non potete credere, perché non siete delle mie pecorelle.

Cosa siete voi? Ve lo chiedo. Chiedetevelo nell’interno del cuore. Non siete stolti. Potete conoscervi per ciò che siete. Basta che ascoltiate la voce della vostra anima, che non è tranquilla di continuare a offendere il Figlio di Colui che l’ha creata. Voi, pur conoscendo ciò che siete, non lo direte.

Non siete né umili né sinceri. Ma Io ve lo dico ciò che siete. Siete in parte lupi, in parte capretti selvatici. Ma nessuno di voi, nonostante la pelle di agnello che portate per fingervi agnelli, è vero agnello.

Sotto il vello morbido e bianco avete tutti i colori feroci, le corna puntute e le zanne e gli artigli del caprone o della belva, e volete rimanere tali perché vi compiacete di esser tali, e sognate ferocia e ribellione. Perciò non mi potete amare e non potete seguirmi e comprendermi.

Se entrate nel gregge è per nuocere, per dare dolore o portare disordine. Le mie pecore hanno paura di voi. Se fossero come voi siete, vi dovrebbero odiare. Ma essi non sanno odiare. Sono gli agnelli del Principe di pace, del Maestro di amore, del Pastore misericordioso. E non sanno odiare. Non vi odieranno mai, come Io non vi odierò mai.

Lascio a voi l’odio, che è il malvagio frutto della concupiscenza triplice che l’io scatenato nell’animale uomo, che vive dimentico di essere anche spirito, oltre che carne. Io mi tengo ciò che è mio: l’Amore. E questo comunico ai miei agnelli, e offro anche a voi per farvi buoni. Se vi faceste buoni, allora mi capireste e diverreste del mio gregge, simili agli altri che sono in esso. Ci ameremmo. Io e le mie pecore ci amiamo. Esse mi ascoltano, riconoscono la mia voce.

Voi non capite ciò che è in verità conoscere la mia voce. È non avere dubbi sulla sua Origine e distinguerla fra mille altre voci di falsi profeti come vera voce venuta dal Cielo. Ora e sempre, anche fra quelli che si credono, e in parte lo sono, seguaci della Sapienza, vi saranno molti che non sapranno distinguere la mia voce da altre voci che parleranno di Dio, più o meno con giustizia, ma che saranno tutte voci inferiori alla mia…».

«Dici sempre che presto te ne vai e poi vuoi dire che sempre parlerai? Se te ne sarai andato non parlerai più», obietta un giudeo con il tono sprezzante col quale parlerebbe ad un menomato mentale.

Gesù risponde ancora, col suo tono paziente e accorato, che ha avuto soltanto un suono severo quando ha parlato in principio ai giudei, e dopo, quando ha risposto alle interne obiezioni di quel giudeo:

«Io parlerò sempre, perché il mondo non diventi tutto idolatra. E parlerò ai miei, eletti a ripetervi le mie parole. Lo Spirito di Dio parlerà, ed essi capiranno ciò che anche i sapienti non sapranno capire. Perché gli studiosi studieranno la parola, la frase, il modo, il luogo, il come, lo strumento attraverso i quali la Parola parla, mentre i miei eletti non si perderanno in questi studi inutili, ma ascolteranno, persi nell’amore, e capiranno poiché sarà l’Amore quello che parlerà.

Essi distingueranno le ornate pagine dei dotti o le bugiarde pagine dei falsi profeti, dei rabbi di ipocrisia che insegnano dottrine inquinate o insegnano ciò che essi non praticano, dalle parole semplici, vere, profonde che da Me verranno. Ma il mondo li odierà per questo, perché il mondo odia Me-Luce e odia i figli della Luce, il tenebroso mondo che ama le tenebre propizie al suo peccare.

Le mie pecore conoscono e conosceranno Me e mi seguiranno sempre, anche sulle vie di sangue e di dolore che Io percorrerò per il primo ed essi percorreranno dopo di Me. Le vie che conducono alla Sapienza le anime. Le vie che il sangue e il pianto dei perseguitati, perché insegnano la giustizia, fanno luminose perché spicchino nella caligine dei fumi del mondo e di satana, e siano come scie di stelle per condurre chi cerca la Via, la Verità, la Vita, e non trova chi ad esse li conduca. Perché di questo hanno bisogno le anime: di chi le conduca alla Vita, alla Verità, alla Via giusta.

Dio è pietoso verso le anime che cercano e non trovano, non per loro colpa, ma per infingarda dei pastori idoli. Dio è pietoso verso le anime che, lasciate a se stesse, si smarriscono e vengono accolte da ministri di Lucifero, pronti ad accogliere gli smarriti per farne proseliti delle loro dottrine. Dio è pietoso per quelli che cadono nell’inganno soltanto perché i rabbi di Dio, i cosiddetti rabbi di Dio, si sono disinteressati di essi.

Dio è pietoso a tutti questi che vanno incontro allo sconforto, alle caligini, alla morte per colpa dei falsi maestri, che di maestri non hanno che la veste e l’orgoglio di essere detti tali. E per queste povere anime, come ha mandato i profeti per il suo popolo, come ha mandato Me per tutto il mondo, così dopo, dopo di Me, manderà i servi della Parola, della Verità e dell’Amore, a ripetere le parole mie.

Perché sono le mie parole quelle che danno la Vita. Cosicché le mie pecorelle di ora e di poi avranno la Vita che Io do loro attraverso la mia Parola che è Vita eterna per chi l’accoglie, e non periranno mai e nessuno le potrà strappare dalle mie mani».

«Noi non abbiamo respinto le parole dei veri profeti. Abbiamo sempre rispettato Giovanni che è stato l’ultimo profeta», risponde con ira un giudeo, e i suoi compagni gli fanno eco.

«È morto in tempo per non venirvi inviso ed essere perseguitato anche da voi. Se egli fosse ancora fra i vivi, il “non è lecito” detto per un incesto carnale lo direbbe anche a voi, che fate un adulterio spirituale fornicando con satana contro Dio. E voi lo uccidereste come avete in animo di uccidere Me».

I giudei tumultuano irosi, pronti già a colpire, stanchi di doversi fingere miti. Ma Gesù non se ne preoccupa. Alza la voce per dominare il tumulto e grida:

«E mi avete chiesto chi Io sono, o ipocriti? Dicevate di voler sapere per essere sicuri? Ed ora dite che Giovanni fu l’ultimo profeta? E due volte vi condannate per peccato di menzogna. Una perché dite di non avere mai respinto le parole dei veri profeti, l’altra perché, dicendo che Giovanni è l’ultimo profeta e che voi credete ai veri profeti, escludete che Io sia anche profeta, almeno profeta, e profeta vero. Bocche di menzogna! Cuori d’inganno!

Sì, in verità, in verità Io, qui nella casa del Padre mio, proclamo che Io sono più che Profeta. Io ho quello che il Padre mio mi ha donato. Quello che il Padre mio mi ha donato è più prezioso di tutto e di tutti, perché è cosa sulla quale il volere e il potere degli uomini non può mettere le mani rapaci. Io ho quello che Dio mi ha donato e che, pur essendo in Me, è sempre in Dio, e nessuno può rapirlo dalle mani del Padre mio né a Me, perché è l’uguale Natura Divina. Io e il Padre siamo Uno».

«Ah! Orrore! Bestemmia! Anatema!!». L’urlo dei giudei rimbomba nel Tempio, e ancora una volta le pietre, usate dai cambiavalute e dai venditori di bestiame per tenere in sesto i loro recinti, sono fornitura per quelli che cercano armi atte a colpire.

Ma Gesù si erge con le braccia incrociate sul petto. È salito sopra un sedile di pietra per essere anche più alto e visibile, e di là li domina coi raggi dei suoi occhi di zaffiro. Domina e dardeggia. È così maestoso che li paralizza. In luogo di lanciare le pietre, le gettano o le tengono in mano, ma senza avere più l’audacia di lanciarle contro di Lui. 

Anche le urla si calmano in uno sbigottimento strano. È proprio Dio che balena nel Cristo. E quando Dio balena così, l’uomo anche più protervo si fa piccolo e spaurito. Penso quale mistero è nascosto nell’aver potuto i giudei essere tanto feroci nel Venerdì Santo. Quale nell’assenza di questo potere di dominazione nel Cristo in quel giorno. Veramente era l’ora delle Tenebre, l’ora di satana, ed essi soli regnavano… La Divinità, la Paternità di Dio aveva abbandonato il suo Cristo, ed Egli era nulla più che Vittima…

Gesù sta così qualche minuto. Poi riprende a parlare a questa turba venduta e vile, che ha perso ogni prepotenza soltanto per aver visto un baleno divino:

«Ebbene? Che volete fare? Mi avete chiesto chi ero. Ve l’ho detto. Siete divenuti furenti. Vi ho ricordato quanto ho fatto, vi ho fatto vedere e ricordare molte opere buone provenienti dal Padre mio e compiute col potere che mi viene dal Padre mio. Per quale di queste opere mi lapidate? 

Per aver insegnato la giustizia?

Per aver portato agli uomini la Buona Novella?

Per essere venuto ad invitarvi al Regno di Dio?

Per avere guarito i vostri malati, reso la vista ai vostri ciechi, dato moto ai paralitici, parola ai muti, liberato gli ossessi, risuscitato i morti, beneficato i poveri, perdonato i peccatori, amato tutti, anche quelli che mi odiano: voi e quelli che vi mandano?

Per quale dunque di queste opere voi mi volete lapidare?».

«Non è per le opere buone che hai fatto che ti lapidiamo, ma per la tua bestemmia, perché Tu, essendo Uomo, ti fai Dio».

«Non è scritto nella vostra Legge: “Io dissi: voi siete déi e figli dell’Altissimo”. Ora, se “déi” nominò Dio coloro ai quali parlò, dando un mandato: quello di vivere in modo che la somiglianza e l’immagine di Dio, che è nell’uomo, appaia manifesta e l’uomo non sia né demone né bruto; se “déi” sono detti gli uomini nella Scrittura, tutta ispirata da Dio, e perciò la Scrittura non può essere modificata né annullata secondo il piacere e l’interesse dell’uomo; perché voi dite a Me che Io bestemmio, Io che il Padre ha consacrato ed inviato nel mondo, perché dico: “Sono Figlio di Dio”?

Se Io non facessi le opere del Padre mio, avreste ragione di non credere a Me. Ma Io le faccio. E voi non volete credere a Me. Credete allora almeno a queste opere, affinché sappiate e riconosciate che il Padre è in Me e che Io sono nel Padre».

La bufera degli urli e delle violenze rincomincia più forte di prima. Da uno dei terrazzi del Tempio, sul quale certo erano in ascolto e nascosti sacerdoti, scribi e farisei, gracchiano molte voci:

«Ma impadronitevi di questo bestemmiatore. Ormai la sua colpa è pubblica. Tutti abbiamo sentito. A morte il bestemmiatore che si proclama Dio! Dategli lo stesso castigo che al figlio di Salumit di Dabri. Sia portato fuori dalla città e lapidato! È nel nostro diritto! È detto: “Il bestemmiatore sia messo a morte”».

Gli incitamenti dei capi acuiscono l’ira dei giudei. I quali tentano di impadronirsi di Gesù e di darlo legato in mano dei magistrati del Tempio, che stanno accorrendo seguiti dalle guardie del Tempio.

Ma più svelti di loro sono ancora una volta i legionari che, vigilando dall’Antonia, hanno seguito il tumulto e che escono fuori dalla caserma, venendo verso il luogo dove si urla. E non portano rispetto a nessuno. Le aste delle lance manovrano a dovere sulle teste e le schiene. E si eccitano a vicenda con frizzi e insulti a lavorare sui giudei:

«A cuccia, cani! Fate largo! Picchia sodo su quel tignoso, Licinio. Via! La paura vi fa puzzare più che mai! Ma che mangiate, corvacci, per essere così fetenti? Dici bene Basso. Si purificano ma puzzano. Guarda là quel nasuto! Al muro! Al muro, che ne prendiamo i nomi! E voi, gufi, scendete di lassù. Tanto vi conosciamo. Un buon rapporto avrà da stendere il Centurione per il Preside.

No! Quello lascialo. È un apostolo del Rabbi. Non vedi che ha aspetto d’uomo e non di sciacallo? Guarda! Guarda come fuggono per quella parte! E lasciali andare! Per averli persuasi bisognerebbe infilarli tutti sulle aste! Allora soltanto li avremmo domati! Fosse domani! Ah! Ma tu sei preso e non scappi. Ti ho visto, sai? La prima pietra è stata la tua. Ne risponderai di aver colpito un soldato di Roma… Anche questo. Ci ha maledetti imprecando alle insegne. Ah! Sì? Proprio? Vieni, che te le faremo amare nelle nostre carceri…».

E così, caricando e schernendo, acciuffando alcuni, mettendo in fuga altri, i legionari sgombrano il vasto cortile.

Ma è soltanto quando i giudei vedono arrestare realmente due di loro, che si svelano per quel che sono: vili, vili, vili. O fuggono schiamazzando come un branco di polli che veda calare lo sparviero, o si gettano ai piedi dei militi per supplicare pietà con un servilismo e una adulazione rivoltanti.

Un graduato, ai polpacci del quale si attacca un vecchio grinzoso, uno dei più accaniti contro Gesù, chiamandolo “magnanimo e giusto”, se ne libera con una vigorosa scossa, che manda il giudeo a ruzzolare tre passi indietro, e grida:

«Va’ via, vecchia volpe tignosa».

E rivolto ad un compagno, mostrando il polpaccio, dice:

«Hanno unghie di volpe e bava di serpe. Guarda qui! Per Giove Massimo! Ora vado subito alle Terme a cancellare i segni di quel vecchio bavoso!», e realmente se ne va, stizzito, col suo polpaccio rigato di sgraffi.

Ho perduto affatto di vista Gesù. Non potrei dire dove è andato, per quale porta è uscito. Ho visto soltanto per qualche tempo emergere e scomparire nella confusione i volti dei due figli di Alfeo e di Tommaso, lottanti per farsi strada, e quelli di alcuni discepoli pastori intenti allo stesso lavoro.

Poi anche essi mi sono spariti e non è rimasto che l’ultimo starnazzio dei perfidi giudei, intenti a correre qua e là per sottrarsi alla cattura e al riconoscimento da parte dei legionari, per i quali ho l’impressione che fosse una festa poter menar sodo sugli ebrei, a ripagarsi di tutto l’odio di cui si sanno gratificati.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

5 MAGGIO 2019 III DOMENICA DI PASQUA ANNO C Gv 21,1-19

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 21,1-19)
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi». Parola del Signore.

Forma breve

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 21,1-14)
In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. 
Parola del Signore.

RIFLESSIONI

La terza volta che Gesù si manifesta ai suoi, dopo la risurrezione, è densa di avvenimenti e di insegnamenti.
Egli si ferma sulla riva del lago a cuocere il pesce per loro, e a presentarsi ancora come uno che serve, perché il Risorto è tutto Amore, Spirito vivificante. Ed è sull’amore che interroga Pietro. Non è un esame, ma solo una triplice affettuosa richiesta, all’uomo che per tre volte l’aveva rinnegato e che ciò nonostante doveva essere la prima pietra della sua Chiesa.
Di fronte alla debolezza di Pietro, soggetto ad alti e bassi, come un po’ tutti noi poveri mortali, si erge maestosa e commovente la fedeltà adamantina di Gesù all’uomo che aveva scelto.
Ma a tutti noi quel dialogo umano fra Gesù e Pietro dice anche qualcosa di estremamente consolante. Ci dice cioè che, se erriamo, Gesù, una volta ravveduti, non ricorda il nostro sbaglio e vede in noi solo quello splendido disegno per il quale Dio ci ha creato. Questa è la misericordia di Dio! Pietro, forgiato dalle umiliazioni della tristissima prova fallita, si abbandona totalmente a Gesù. Come lui, anche noi esaminiamo il nostro cuore, per potergli dire e ripetere spesso: “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo” (Gv 21,16).

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Capitolo 633

Una notte calma e afosa. Non tira un respiro di vento. Le stelle, larghe e palpitanti, gremiscono il cielo sereno. Il lago, calmo e immobile tanto da parere una vastissima vasca al riparo dei venti, riflette sulla sua superficie la gloria di quel cielo palpitante d’astri. Le piante lungo le rive sono un blocco senza fremiti. Così calmo il lago che il suo fiotto sulla riva si riduce ad un fruscio lievissimo. Qualche barca al largo, appena visibile come forma vagante, che talora mette una stellina a poca distanza dall’onda col suo lumino legato all’albero della vela a rischiarare l’interno del piccolo scafo.

Non so quale punto del lago sia. Direi in quello più meridionale, là dove il lago si appresta a ritornar fiume. Alla periferia di Tarichea, direi, non perché io veda la città, che un ammasso d’alberi mi nasconde, protendendosi nel lago a fare un piccolo promontorio collinoso, ma perché così giudico dalle stelline dei lumi delle barche, che si allontanano verso nord staccandosi dalle sponde del lago. Dico periferia perché un mucchietto di casupole, che son tanto poche da non poter costituire neppure un villaggio, sono riunite lì, ai piedi del piccolo promontorio. Case povere, quasi sul lido, certo di pescatori.

Delle barche in secco sulla piccola spiaggia; altre, già pronte a navigare, presso riva, nell’acqua, e così ferme da parer confitte al suolo, anziché galleggianti.

Da una casupola Pietro sporge il capo. La luce tremolante di un fuoco acceso nella cucina fumosa illumina da tergo la figura atticciata dell’apostolo, facendola risaltare come un disegno. Guarda il cielo, guarda il lago… Viene avanti sino al limite del lido. Poi ‑è con una tunica corta e a piedi scalzi‑ entra nell’acqua sino a mezza coscia e carezza il bordo di una barca, protendendo il braccio muscoloso. Lo raggiungono i figli di Zebedeo.

«Bella notte».

«Fra poco ci sarà la luna».

«Sera di pesca».

«Coi remi però».

«Non c’è vento».

«Che si fa?».

Parlano adagio, a frasi staccate, come uomini usi alla pesca e alle manovre delle vele e delle reti, che richiedono attenzione e perciò poche parole.

«Sarebbe bene andare. Venderemmo parte della pesca».

Vengono a raggiungerli sulla riva Andrea, Tommaso e Bartolomeo.

«Che calda questa notte!», esclama Bartolomeo.

«Farà tempesta? Vi ricordate quella notte?», chiede Tommaso.

«Oh! no! Calmeria, nebbie forse, ma non tempesta. Io… Io vado a pescare. Chi viene con me?».

«Veniamo tutti. Forse si starà meglio là in mezzo», dice Tommaso che suda, e aggiunge: «Occorreva alla donna quel fuoco, ma è come fossimo stati alle terme calde…».

«Vado a dirlo a Simone. È tutto solo là», dice Giovanni.

Pietro già prepara la barca insieme ad Andrea e Giacomo.

«Andiamo sino a casa? Una sorpresa per mia madre… », chiede Giacomo.

«No. Non so se posso far venire Marziam. Prima di… della… Sì, insomma! Prima di andare a Gerusalemme ‑si era ancora ad Efraim‑ il Signore mi disse di voler fare la seconda Pasqua con Marziam. Ma poi non mi ha detto altro…».

«A me pare che abbia detto di sì», dice Andrea.

«Sì. La seconda Pasqua, sì. Ma farlo venire prima non so se vuole. Ho fatto tanti sbagli che… Oh! vieni anche tu?».

«Sì, Simone di Giona. Mi ricorderà molte cose questa pesca…».

«Eh! a tutti ricorderà molte cose… E cose che non torneranno più… Si andava col Maestro in questa barca, sul lago… E io le volevo bene come fosse una reggia, e mi pareva di non poter vivere senza di essa. Ma ora che Lui non c’è più, nella barca… ecco… ci sono dentro e non ne ho gioia», dice Pietro.

«Nessuno più ha gioia delle cose passate. Non è più la stessa vita. E anche a guardare indietro… fra quelle ore passate e quelle presenti c’è in mezzo quel tempo orrendo…», sospira Bartolomeo.

«Pronti. Venite. Tu al timone e noi ai remi. Andiamo verso la curva di Ippo. È posto buono. Su! Op! Su! Op!».

Pietro dà la voga e la barca scivola sull’acqua cheta, Bartolomeo al timone. Tommaso e lo Zelote a far da garzoni, pronti a gettar le reti che preparano stese. Si alza la luna, ossia supera i monti di Gadara (se non erro) o Gamala, insomma quelli che sono sulla costa orientale ma verso il sud del lago, e il lago ne riceve il raggio, che fa un strada di diamanti sull’acque chete.

«Ci accompagnerà sino al mattino».

«Se non viene foschia».

«I pesci lasciano il fondo attirati dalla luna».

«Se faremo buona pesca, bene sarà. Perché non abbiamo più denaro. Compreremo pane e porteremo a quelli sul monte pesce e pane».

Parole lente, con pause lunghe fra l’una e l’altra voce.

«Voghi bene, Simone. Non hai perso la vogata!…», ammira lo Zelote.

«Sì… Maledizione!».

«Ma che hai?», chiedono gli altri.

«Ho… Ho che il ricordo di quell’uomo mi perseguita da per tutto. Mi ricordo di quel giorno che si faceva con due barche a chi vogava meglio, e lui…».

«Io invece pensavo che una delle prime volte che ebbi la visione del suo abisso di perfidia, fu quella volta che incontrammo, anzi, che scontrammo le barche dei romani. Ricordate?», dice lo Zelote.

«Eh! se si ricorda! Mah!… Lui lo difendeva… e noi… fra le difese del Maestro e le doppiezze del… del nostro, non si comprese mai bene…», dice Tommaso.

«Uhm! Io più di una volta… Ma diceva: “Non giudicare, Simone!”».

«Il Taddeo lo ebbe sempre in sospetto».

«Quello che io non riesco a credere è che costui non ne abbia saputo mai nulla», dice Giacomo urtando col gomito suo fratello. Ma Giovanni tace curvando il capo.

«Ormai puoi dire…», dice Tommaso.

«Mi sforzo di dimenticare. Così ne ho avuto ordine. Perché mi volete fare disubbidire?».

«Hai ragione. Lasciamolo stare», difende lo Zelote.

«Calate le reti. Adagio… Vogate voi. Voga lento. Curva a sinistra, Bartolmai. Accosta. Vira. Accosta. Vira. Stesa la rete? Sì? Su i remi e attendiamo», comanda Pietro.

Come è bello il dolce lago nella pace della notte, sotto il bacio della luna! Paradisiaco tanto è puro. La luna vi si specchia in pieno dal cielo e lo fa di diamante, la sua fosforescenza trema sui colli, li disvela, fa di neve le città delle rive…

Ogni tanto estraggono la rete. Una cascata arpeggiante di diamanti sull’argento del lago. Vuota. La immergono di nuovo. Si spostano. Non hanno fortuna…

Le ore passano. La luna tramonta, mentre la luce dell’alba si fa strada, incerta, verd’azzurra… Una foschia di caldo fuma verso le rive, specie verso l’estremità sud del lago. Tiberiade se ne vela e se ne vela Tarichea. Nebbia bassa, poco compatta, che il primo sole scioglierà. Per evitarla preferiscono costeggiare il lato d’oriente dove essa è meno fitta, mentre a ovest, venendo dall’acquitrino che è oltre Tarichea sulla riva destra del Giordano, essa si affittisce come l’acquitrino fumasse. Vogano attenti per evitare qualche pericolo del fondale, essi pratici del lago.

«Voi, della barca! Avete niente da mangiare?». Una voce maschile viene dalla riva. Una voce che li fa sussultare.

Ma scrollano le spalle, rispondendo forte: «No»; e poi fra loro: «Ci pare sempre di sentirlo!…».

«Gettate le reti a destra della barca e troverete».

La destra è verso il largo. Gettano la rete, un poco perplessi. Scosse, peso che fa piegare la barca dal lato dove è la rete.

«Ma questo è il Signore!», grida Giovanni.

«Il Signore, dici?», chiede Pietro.

«E ne hai dubbio? Ci è parsa la sua voce, ma questa ne è la prova. Guarda la rete! È come quella volta! È Lui, ti dico! Oh! Gesù mio! Dove sei?».

Tutti aguzzano lo sguardo a forare i veli della nebbia, dopo aver bene assicurata la rete per trascinarla nella scia della barca, posto che volerla issare è pericolosa manovra, e remano per andare a riva. Ma Tommaso deve prendere il remo di Pietro che, infilata in fretta e furia la breve tunica sulle brachette cortissime che erano il suo unico vestimento, come è quello degli altri meno Bartolomeo, si è gettato a nuoto nel lago e fende a grandi bracciate l’acqua cheta, precedendo la barca e mettendo per primo il piede sulla spiaggetta deserta, dove su due pietre al riparo da un cespuglio spinoso luccica un fuoco di sterpi. E lì, vicino al fuoco, è Gesù, sorridente e benigno.

«Signore! Signore!».

Pietro ha il fiato grosso dall’emozione e non può dire altro. Grondante d’acqua come è, non osa toccare neppur la veste del suo Gesù, e sta prostrato sull’arena con la tunica incollata addosso, adorando.

La barca sfrega sul greto e si ferma. Tutti sono in piedi, agitati dalla gioia…

«Portate qua di quei pesci. Il fuoco è pronto. Venite e mangiate», ordina Gesù.

Pietro corre alla barca e aiuta a issare la rete, e afferra nel mucchio guizzante tre grossi pesci e li sbatte sull’orlo della barca per ucciderli e li sbuzza col suo coltello. Ma gli tremano le mani, oh! non di freddo! Li sciacqua, li porta là dove è il fuoco e ve li aggiusta sopra, sorvegliandoli nella cottura.

Gli altri stanno adorando il Signore, un poco lontani da Lui, timorosi come sempre di Lui che è, Risorto, così divinamente potente.

«Ecco. Qui è il pane. Avete lavorato tutta la notte e siete stanchi. Ora vi rifocillerete. È pronto, Pietro?».

«Sì, mio Signore», dice Pietro con una voce ancor più roca del solito, curvo sul fuoco, e si asciuga gli occhi che gocciano, come se il fumo li facesse piangere irritandoli insieme alla gola. Ma non è il fumo che dà quella voce e quelle lacrime…

Porta il pesce che ha steso su una foglia rasposa, pare una foglia di zucca e gliel’ha portata Andrea dopo averla sciacquata nel lago.

Gesù offre e benedice, spezza il pane e i pesci e li distribuisce facendone otto parti e gustandone Lui pure. Mangiano con la riverenza con cui compirebbero un rito. Gesù li guarda e sorride.

Ma tace Egli pure sinché chiede: «Dove sono gli altri?».

«Sul monte. Dove hai detto. E noi si è venuti per pescare, perché non si ha più denaro e non vogliamo abusare dei discepoli».

«Fate bene. Però d’ora in avanti voi apostoli starete sul monte in preghiera, edificando con l’esempio i discepoli. Mandate quelli a pescare. Voi è bene che rimaniate là in preghiera e per ascoltare quelli che hanno bisogno di consiglio o possono venire a darvi delle notizie. Teneteli uniti molto i discepoli. Presto verrò».

«Lo faremo, Signore».

«Marziam non è con te?».

«Non me lo avevi detto di farlo venire così subito».

«Fallo venire. La sua ubbidienza è finita».

«Lo farò venire, Signore».

Un silenzio. Poi Gesù, che era stato un poco a capo chino, pensando, alza la testa e figge gli sguardi su Pietro. Lo guarda col suo sguardo delle ore di più forte miracolo e impero. Pietro ne ha un trasalimento quasi di paura e si getta un poco indietro… Ma Gesù, posando una mano sulla spalla di Pietro, lo trattiene fortemente e gli chiede, tenendolo così:

«Simone di Giona, mi ami tu?».

«Certo, Signore! Tu lo sai che ti amo», risponde Pietro sicuro.

«Pasci i miei agnelli… Simone di Giona, mi ami tu?».

«Sì, mio Signore. E Tu lo sai che ti amo». La voce è meno baldanzosa, è anzi un poco stupita per la ripetizione di quella domanda.

«Pasci i miei agnelli… Simone di Giona, mi ami tu?».

«Signore… Tu sai tutto… Tu sai se io ti amo…», gli trema la voce a Pietro, che è sicuro del suo amore ma che ha l’impressione non ne sia sicuro Gesù.

«Pasci le mie pecorelle. La tua triplice professione d’amore ha cancellato la tua triplice negazione. Sei tutto puro, Simone di Giona, ed Io ti dico: assumi la veste ponteficale e porta la Santità del Signore in mezzo al mio gregge. Cingiti le vesti alla cintura e tienile cinte sinché da Pastore tu pure diverrai agnello.

In verità ti dico che, quando eri più giovane, da te ti cingevi e andavi dove volevi, ma quando sarai invecchiato stenderai le mani ed un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorresti. Ora però sono Io che ti dico: “Cingiti e seguimi sulla mia stessa via”. Alzati e vieni».

Si alza Gesù e si alza Pietro, andando verso la riva, e gli altri si danno a spegnere il fuoco soffocandolo sotto la rena.

Ma Giovanni, raccolti i resti del pane, segue Gesù. Pietro sente lo scalpiccio dei passi e volge il capo. Vede Giovanni e chiede, accennandolo a Gesù: «E di questo che avverrà?».

«Se Io voglio che resti finché Io non ritorni, che te ne importa? Tu seguimi».

Sono sulla riva. Pietro vorrebbe ancora parlare: l’imponenza di Gesù, le parole sentite lo trattengono. Si inginocchia, imitato dagli altri, e adora. Gesù li benedice e congeda. Essi salgono in barca e si allontanano remando. Gesù li guarda andare.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta