30 SETTEMBRE 2018 XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

9,38-43.45.47-48 Mc
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 9,38-43.45.47-48
Giovanni gli disse: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo Nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri». Ma Gesù disse: «Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio Nome e subito dopo possa parlare male di Me. Chi non è contro di noi è per noi. Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio Nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare. Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel Regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 5 – Capitolo 40 (6 dicembre 1945)

E guardatevi dallo scandalizzare uno di questi piccoli il cui occhio vede Iddio. Non si deve mai dare scandalo a nessuno. Ma guai, tre volte guai, chi sfiora il candore ignaro dei fanciul¬li! Lasciateli angeli più che potete. Troppo ripugnante è il mon¬do e la carne per l’anima che viene dai Cieli! E il fanciullo, per la sua innocenza, è ancora tutt’anima. Abbiate rispetto all’ani¬ma del fanciullo e al suo stesso corpo, come avete rispetto al luogo sacro.
Sacro è anche il fanciullo perché ha Dio in sé. In ogni corpo è il tempio dello Spirito. Ma il tempio del fanciullo è il più sacro e profondo, è oltre il doppio Velo. Non scuotete nep¬pure le tende della sublime ignoranza della concupiscenza col vento delle vostre passioni.
Io vorrei un fanciullo in ogni famiglia, in mezzo ad ogni ac¬colta di persone, perché fosse di freno alle passioni degli uomi¬ni. Il fanciullo santifica, dà ristoro e freschezza solo col raggio dei suoi occhi senza malizia.
Ma guai a coloro che levano san¬tità al fanciullo col loro modo di agire scandaloso!
Guai a coloro che con le loro licenze danno malizie ai fanciulli!
Guai a coloro che con le loro parole e ironie ledono la Fede in Me dei fanciulli! Sarebbe meglio che a tutti questi si legasse al collo una pietra da macina e si gettassero in mare perché affogassero col loro scandalo.
Guai al mondo per gli scandali che dà agli innocenti! Perché se è inevitabile che avvengano scandali, guai all’uomo che per sua causa li provoca.
Nessuno ha il diritto di fare violenza al suo corpo e alla sua vita. Perché vita e corpo ci vengono da Dio, e solo Lui ha diritto di prenderne delle parti o il tutto. Ma però Io vi dico che se la vostra mano vi scandalizza è meglio che la mozziate, che se il vostro piede vi porta a dare scandalo è bene che voi lo mozzia¬te. Meglio per voi entrare monchi o zoppi nella Vita che essere gettati nel fuoco eterno con le due mani e i due piedi.
E se non basta avere mozzo un piede o una mano, fate che vi siano moz¬zati anche l’altra mano o l’altro piede, per non fare più scanda¬lo e per avere tempo da pentirvi prima di essere lanciati dove il fuoco non si estingue, e rode come un verme in eterno.
E se è il vostro occhio che vi è cagione di scandalo, cavatevelo. È meglio essere orbi di un occhio che essere nell’inferno con tutti e due. Con un occhio solo, o anche senz’occhi, giunti al Cielo vedreste la Luce, mentre coi due occhi scandalosi, tenebre e orrore ve¬dreste nell’inferno. E questo solo.
Ricordatevi tutto questo. Non disprezzate i piccoli, non scandalizzateli, non derideteli.
Sono da più di voi, perché i loro Angeli vedono sempre Iddio che dice loro le verità da rivelare ai fanciulli e a quelli dal cuor di fanciullo. E voi come fanciulli amatevi fra di voi. Senza dispute, senza orgogli. State in pace fra voi. Abbiate spirito di pace con tutti.
Fratelli siete, nel Nome del Signore, e non nemici. Non ci sono, non ci devono essere dei nemici per i discepoli di Gesù. L’unico Nemico è satana. Di quello siate nemici acerrimi, scendendo in battaglia contro di lui e contro i peccati che portano satana nei cuori.
Siate instancabili nel combattere il Male quale che sia la forma che assume. E pazienti. Non c’è limitazione all’operare dell’apostolo, perché non c’è limitazione all’operare del Male. Il demonio non dice mai: “Basta. Ora sono stanco e mi riposo”. Egli è l’instancabile. Passa agile come il pensiero, e più ancora, da questo a quell’uomo, e tenta e prende, e seduce, e tormenta, e non dà pace.
Assale a tradimento e abbatte se non si è più che vigilanti. Delle volte si insedia da conquistatore per debo-lezza dell’assalito, altre vi entra da amico, perché il modo di vi¬vere della preda cercata è già tale da essere alleanza col Nemi¬co.
Tal’altra, scacciato da uno, gira e piomba sul migliore, per farsi vendetta dello smacco avuto da Dio o da un servo di Dio.
Ma voi dovete dire ciò che dice lui: “Io non riposo”. Lui non ri¬posa per popolare l’inferno. Voi non dovete riposare per popolare il Paradiso. Non dategli quartiere. Io vi predico che più lo combatterete più vi farà soffrire. Ma non dovete tenere conto di ciò. Egli può scorrere la terra. Ma nel Cielo non penetra. Perciò là non vi darà più noia. E là saranno tutti quelli che lo hanno combattuto…».
Gesù si interrompe bruscamente e chiede: «Ma insomma, perché date sempre noia a Giovanni? Che vogliono da te?».
Giovanni si fa rosso come una fiamma e Bartolomeo, Tommaso, l’Iscariota chinano la testa vedendosi scoperti.
«Ebbene?» chiede con imperio Gesù.
«Maestro, i miei compagni vogliono che io ti dica una cosa».
«Dilla, dunque».
«Oggi, mentre Tu eri da quel malato, e noi giravamo per il paese come Tu avevi detto, abbiamo visto un uomo, che non è tuo discepolo e che neppure mai abbiamo notato fra quelli che ascoltano la tua dottrina, il quale cacciava dei demoni in tuo Nome da un gruppo di pellegrini che andavano a Gerusalemme. E ci riusciva. Ha guarito uno che aveva un tremito che gli im¬pediva ogni lavoro, e ha reso la favella ad una fanciulla che era stata assalita nel bosco da un demonio in forma di cane che le aveva legato la lingua.
Egli diceva: “Vattene, demonio maledet¬to, in Nome del Signore Gesù il Cristo, Re della stirpe di Davi¬de, Re d’Israele. Egli è il Salvatore e Vincitore. Fuggi davanti al suo Nome!», e il demonio fuggiva realmente. Noi ci siamo ri¬sentiti. E glielo abbiamo proibito. Ci ha detto: “Che faccio di male? Onoro il Cristo liberandogli la via dai demoni che non so¬no degni di vederlo”.
Gli abbiamo risposto: “Non sei esorcista secondo Israele e non sei discepolo secondo Cristo. Non ti è leci¬to farlo”.
Ha detto: “Fare il bene è sempre lecito”, e si è ribellato alla nostra ingiunzione dicendo: “E continuerò a fare ciò che faccio”.
Ecco, volevano ti dicessi questo, specie ora che Tu hai detto che in Cielo saranno tutti quelli che hanno combattuto satana».
«Va bene. Quell’uomo sarà di questi. Lo è. Egli aveva ragione e voi torto. Infinite sono le vie del Signore e non è detto che solo quelli che prendono la via diretta giungano al Cielo. In ogni luogo e in ogni tempo, e con mille modi diversi, ci saranno creature che verranno a Me, magari da una strada inizialmen¬te cattiva. Ma Dio vedrà la loro retta intenzione e li attirerà al¬la via buona. Ugualmente vi saranno alcuni che per ebbrezza concupiscente e triplice usciranno dalla via buona e prenderan¬no una via che li allontana o addirittura li dirotta.
Non dovete perciò mai giudicare i vostri simili. Solo Dio vede. Fate di non uscire voi dalla via buona, dove, più che la vostra volontà, quel¬la di Dio vi ci ha messi. E quando vedete uno che crede nel mio Nome e per esso opera, non lo chiamate straniero, nemico, sa¬crilego. È sempre un mio suddito, amico e fedele, perché crede nel Nome mio, spontaneamente e meglio di molti fra voi. Per questo il mio Nome sulla sua bocca opera prodigi pari ai vostri e forse più. Dio lo ama perché mi ama, e finirà di portarlo al Cielo.
Nessuno che faccia prodigi in mio Nome mi può essere nemico e dire male di Me. Ma col suo operare dà al Cristo onore e testimonianza di Fede. In verità vi dico che credere al mio No¬me è già sufficiente a salvare la propria anima. Perché il mio Nome è Salvezza.
Perciò vi dico: se lo incontrerete ancora, non glielo proibite più. Ma anzi chiamatelo “fratello” perché tale è, anche se è ancora fuori del recinto del mio Ovile. Chi non è con¬tro di Me è con Me. Chi non è contro di voi è con voi».
«Abbiamo peccato, Signore?» chiede attrito Giovanni.
«No. Avete agito per ignoranza, ma senza malizia. Perciò non c’è colpa. Però in avvenire sarebbe colpa, perché ora sape¬te. Ed ora andiamo alle nostre case. La pace sia con voi».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B Mc 9,30 37

Mt 11,25-30   TI RENDO LODE, PADRE, SIGNORE DEL CIELO E DELLA TERRA.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 9,30-37

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, attraversavano la Galilea, ma Egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’Uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e Lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà». Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni. Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio Nome, accoglie Me; chi accoglie Me, non accoglie Me, ma Colui che mi ha mandato».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 5 – Capitolo 45(9 dicembre 1945)

Gesù è tutto solo sulla terrazza della casa di Tommaso di Cafarnao. Il paese ozia nel sabato, già molto ridotto nei suoi abitanti, perché i più zelanti nelle pratiche di fede sono già partiti per Gerusalemme, e così pure quelli che vi si recano con le famiglie ed hanno bambini che non possono fare marce lun­ghe ed obbligano gli adulti a soste e a brevi tragitti. Così man­ca, nella giornata già di suo un po’ nuvolosa, la nota d’oro dell’infanzia giuliva.

Gesù è molto pensieroso. Seduto su una panchetta bassa, in un angolo, presso il parapetto, le spalle alla scala, quasi nasco­sto da questo parapetto, tiene un gomito sul ginocchio e appog­gia la fronte sulla mano con mossa stanca, quasi di sofferenza.

È interrotto nel suo meditare dalla venuta di un fanciullino che vuole salutarlo prima di partire per Gerusalemme.

«Gesù! Gesù!» chiama ad ogni scalino, non vedendo Gesù perché il muretto lo nasconde alla vista di chi è in basso.

E Gesù è così con­centrato che non sente la vocetta leggera e il passo da colombi­no… di modo che, quando il piccolo arriva sulla terrazza, Egli è ancora in quella posizione di sofferenza. E il bambino ne resta intimorito. Si ferma sul limitare della terrazza, si mette un di­tino fra le labbra e pensa… poi decide e lentamente viene avan­ti… ormai è quasi alle spalle di Gesù… si china per vedere ciò che fa… e dice:

«No, bello! Non piangere! Perché? Per quei brut­ti omacci di ieri? Lo diceva il padre mio con Giairo che sono in­degni di Te. Ma Tu non devi piangere. Io ti voglio bene. E te ne vuole la mia sorellina e Giacomo e Tobiolo, e Giovanna e Maria e Michea e tutti, tutti i bambini di Cafarnao. Non piangere più…», e gli si stringe al collo, carezzoso, finendo: «Altrimenti piangerò anche io, e piangerò sempre… per tutto il viaggio…».

«No, David, non piango più. Tu mi hai consolato. Sei solo? Quando partite?».

«Dopo il tramonto. Colla barca fino a Tiberiade. Vieni con noi. Il padre mio ti vuole bene, sai?».

«Lo so, caro. Ma devo andare da altri bambini… Io ti ringra­zio di essere venuto a salutarmi e ti benedico, piccolo Davide. Diamoci il bacio di addio e poi torna dalla mamma. Lo sa che sei qui?…».

«No. Sono scappato via perché non ti ho visto coi tuoi disce­poli e ho pensato che piangevi».

«Non piango più. Lo vedi. Va’, va’ dalla mamma che forse ti cerca con spavento. Addio. Sta attento agli asini delle carova­ne. Vedi? Ce ne sono fermi da ogni parte».

«Ma non piangi proprio più?».

«No. Non ho più dolore. Tu me lo hai levato. Grazie, bambi­no».

Il bambino scende saltellando la scaletta e Gesù lo osserva. Poi crolla il capo e torna al suo posto nella penosa meditazione di prima.

Passa del tempo. Il sole, nelle schiarite di nuvole, si mostra nella sua discesa. Un passo più pesante sulla scala. Gesù alza il viso. Vede Giairo che sta dirigendosi da Lui. Lo saluta. Ne è salutato con rispetto.

«Come mai qui, Giairo?».

«Signore! Io forse ho sbagliato. Ma Tu che vedi il cuore degli uomini vedrai che nel mio errore non era malanimo. Io non ti ho invitato alla sinagoga per parlare, oggi. Ma ho tanto sofferto per Te, ieri, e tanto ti ho visto soffrire che… non ho osato. Ho interrogato i tuoi. Mi hanno detto: “Vuole stare solo”… Ma poco fa è venuto Filippo, padre di Davide, dicendomi che il suo bam­bino ti ha visto piangere.

Ha detto che Tu lo hai ringraziato di essere venuto da Te. Sono venuto io pure. Maestro, chi ancora è a Cafarnao sta per adunarsi alla sinagoga. E la sinagoga mia è tua, Signore».

«Grazie, Giairo. Oggi parleranno altri in essa. Io verrò come semplice fedele…».

«Né vi saresti tenuto. Tua sinagoga è il mondo. Non vieni proprio, Maestro?».

«No, Giairo. Sto qui col mio Spirito davanti al Padre che mi capisce e che non trova colpe in Me».

Gesù ha un brillio di la­crime nell’occhio mesto.

«Io pure non trovo colpe in Te… Addio, Signore».

«Addio, Giairo».

E Gesù si siede di nuovo, sempre medita­bondo.

Leggera come una colomba sale, nella sua veste bianca, la figlia di Giairo. Guarda… Chiama piano: «Salvatore mio!».

Gesù volge il capo, la vede, le sorride, le dice: «Vieni a Me».

«Sì, mio Signore. Ma io vorrei portarti agli altri. Perché deve essere muta la sinagoga, oggi?».

«Vi è tuo padre e tanti altri per empirla di parole».

«Ma sono parole… La tua è la Parola. Oh! mio Signore! Con la tua parola mi hai restituito alla mamma e al padre mio, ed ero morta. Ma guarda quelli che ora vanno verso la sinagoga! Molti sono più morti di me allora. Vieni a dare loro la Vita».

«Figlia, tu la meritavi; essi… Nessuna parola può dare vita ad uno che per sé elegge la morte»

Sì, mio Signore. Ma vieni lo stesso. C’è anche chi vive sem­pre più, sentendoti… Vieni. Metti la tua mano nella mia e an­diamo. Io sono la testimonianza del tuo potere, e sono pronta a testimoniarlo anche davanti ai tuoi nemici, anche a prezzo che mi venga levata questa seconda vita, che d’altronde non è più mia. Tu me l’hai data, Maestro buono, per pietà di una madre e di un padre. Ma io…».

La fanciulla, una bella fanciulla già don­nina, dai dolci occhioni splendenti nel viso puro e intelligente, si arresta per un’onda di pianto che la strozza, gocciando dalle lunghe ciglia sulle guance.

«Perché piangi, ora?» chiede Gesù ponendole la mano sui capelli.

«Perché… mi è stato detto che Tu dici che morrai…».

«Tutti si muore, fanciulla».

«Ma non così come Tu dici! Io… oh! ora io non avrei voluto essere tornata viva, per non vedere ciò, per non esserci quan­do… questo orrore sarà…».

«Allora non ci saresti neppure stata per darmi la consola­zione che mi dai ora. Non sai che la parola, anche una sola, di un puro e di uno che mi ama, leva ogni pena da Me?».

«Sì? Oh! allora Tu non ne devi più avere perché io ti amo più del padre, della madre e della mia vita!».

«Così è».

«Allora vieni. Non stare solo. Parla per me, per Giairo, per la mamma, per il piccolo Davide, per quelli che ti amano, in­somma. Siamo tanti e saremo più ancora. Ma non stare solo. Viene malinconia» e, materna d’istinto come ogni donna one­sta, termina dicendo: «Con me vicino nessuno ti farà male. Ed io, del resto, ti difenderò».

Gesù si alza e l’accontenta. La mano nella mano, traversano le vie ed entrano nella sinagoga da una porta laterale.

Giairo, che sta leggendo ad alta voce un rotolo, sospende la lettura e dice, inchinandosi profondamente:

«Maestro, te ne prego, per i retti di cuore parla. Preparaci alla Pasqua con la tua santa parola».

«Stai leggendo dei Re, non è vero?».

«Sì, Maestro. Cercavo di fare riflettere che chi si separa dal Dio vero cade in idolatria di vitelli d’oro».

«Bene hai detto. Nessuno ha da dire nulla?».

Si alza un brusio fra la folla. Chi vuole che parli Gesù e chi urla:

«Abbiamo fretta. Si dicano le preghiere e si cessi l’adu­nanza. Andiamo a Gerusalemme, d’altronde, e là udremo i rabbi», e chi urla così sono i molti disertori di ieri, che il sabato ha trattenuto a Cafarnao.

Gesù li guarda con somma mestizia e dice:

«Avete fretta. È vero. Anche Dio ha fretta di giudicarvi. Andate pure».

Poi, vol­gendosi a quelli che li rimproverano, dice:

«Non li sgridate. Ogni pianta dà il suo frutto».

«Signore! Ripeti il gesto di Nehemia! Parla contro di loro, Tu, Sacerdote supremo!» grida sdegnato Giairo, e gli fanno co­ro gli apostoli, i discepoli fedeli e quelli di Cafarnao. Gesù apre le braccia a croce e, pallidissimo, un vero viso straziato eppure dolcissimo, grida:

«Ricordati di Me, o mio Dio! E in bene! E ricordati pure in bene di loro! Io li perdono!».

La sinagoga si svuota, rimanendo i fedeli a Gesù… E vi è uno straniero in un angolo. Un uomo robusto che nes­suno osserva, al quale nessuno parla. Del resto egli pure non parla con nessuno. Guarda solo fissamente Gesù, tanto che il Maestro volge il suo sguardo in quella direzione, lo vede e chie­de a Giairo chi sia.

«Non so. Uno di passaggio certo».

Gesù lo interpella: «Chi sei?».

«Nicolai, proselite di Antiochia, diretto a Gerusalemme per la Pasqua».

«Chi cerchi?».

«Te, Signore Gesù di Nazaret. Ho desiderio di parlarti».

«Vieni».

E avutolo vicino esce con lui nell’orto dietro la sina­goga per ascoltarlo. «Ho parlato ad Antiochia con un tuo discepolo di nome Feli­ce. Ho ardentemente desiderato di conoscerti. Mi ha detto che luogo di sosta tua è Cafarnao, e hai la Madre a Nazaret. E an­che che vai al Getsemani o a Betania. L’Eterno fa che io ti trovi al primo luogo. C’ero ieri… E ti ero presso stamane mentre Tu piangevi pregando, presso la fonte…

Ti amo, Signore. Perché sei santo e mite. Credo in Te. Le tue azioni, le tue parole mi avevano già fatto tuo. Ma la tua misericordia di poco fa, per i colpevoli, mi ha deciso. Signore, accoglimi al posto di chi ti ab­bandona! Vengo a Te con tutto quanto ho: la vita e i beni, tutto».

Si è inginocchiato dicendo le ultime parole. Gesù lo guarda fissamente… poi dice:

«Vieni. Da oggi sarai del Maestro. Andiamo dai tuoi compagni».

Tornano nella sinagoga, dove è un grande parlare dei disce­poli e degli apostoli con Giairo.

«Ecco un nuovo discepolo. Il Padre mi consola. Amatelo co­me un fratello. Andiamo con lui a dividere il pane e il sale. Poi nella notte voi partirete con lui per Gerusalemme e noi con le barche andremo a Ippo… E non dite la mia strada a nessuno, onde Io non sia trattenuto».

Ma intanto il sabato è finito, e quelli che vogliono fuggire Gesù sono sulla spiaggia, per contrattare i traghetti per Tiberiade. E litigano con Zebedeo che non vuole cedere la sua barca, già pronta, vicina a quella di Pietro, per la partenza nel­la notte di Gesù con i dodici.

«Io vado ad aiutarlo!» dice Pietro che è irritato. Gesù, ad evitare urti troppo forti, lo trattiene dicendo:

«An­diamo tutti, non tu solo».

E vanno… E gustano l’amarezza di vedere che i fuggenti se ne vanno senza un saluto, tagliando netto ogni discussione pur di allontanarsi da Gesù… e sentono anche qualche insulto spre­gevole e consigli acri ai fedeli discepoli… Gesù si volge per tornare a casa dopo che la turba ostile se ne è andata, e dice al nuovo discepolo:

«Li senti? Questo è ciò che ti attende venendo a Me».

«Lo so. Per questo resto. Ti avevo visto in un giorno glorioso fra folla che ti acclamava salutandoti “re”. Ho scosso le spalle dicendo: “Un altro povero illuso! Un’altra piaga per Israele!”, e non ti ho seguito perché parevi un re, e neppure a Te pensavo più. Ora ti seguo perché nelle tue parole e nella tua bontà vedo il promesso Messia».

«In verità tu sei più giusto di molti altri. Però ancora una volta lo dico.

Chi spera in Me un re terreno si ritiri.

Chi sente che si vergognerà di Me nel cospetto del mondo accusatore si ri­tiri.

Chi si scandalizzerà di vedermi trattato da malfattore si ri­tiri.

Ve lo dico mentre ancora potete farlo senza essere compro­messi agli occhi del mondo. Imitate coloro che fuggono su quelle barche, se non vi sentite di condividere la mia sorte nell’obbro­brio per poterla condividere poi nella gloria. Perché questo sta per avvenire: il Figlio dell’Uomo sta per essere accusato e messo poi nelle mani degli uomini, i quali Lo uccideranno come un malfattore e crederanno di averlo vinto. Ma inutilmente avranno fatto il loro delitto. Perché Io risorgerò dopo tre giorni e trion­ferò. Beati quelli che sapranno essere con me fino alla fine!».

Sono giunti alla casa e Gesù affida ai discepoli il nuovo venuto, salendo da solo dove era prima. Anzi entra nella stanza superiore e si siede, pensando. Salgono dopo un poco l’Iscariota con Pietro.

«Maestro, Giuda mi ha fatto riflettere a delle cose giuste».

«Dille».

«Tu prendi questo Nicolai, un proselite, e del quale ignoria­mo il passato. Già tante noie abbiamo avuto… e abbiamo. E ora? Che sappiamo di lui? Possiamo fidarci? Giuda giustamen­te dice che potrebbe essere una spia mandata dai nemici».

«Ma sì! Un traditore! Perché non vuole dire da dove viene e chi lo manda? Io l’ho interrogato, ma dice solo: “Sono Nicolai di Antiochia, proselite”. Io ho fieri sospetti».

«Ti ricordo che egli viene perché mi vede tradito».

«Può essere menzogna! Può essere un tradimento!».

«Chi dovunque vede menzogna o vede tradimento è anima capace di tali cose, perché si misura sul proprio modello» dice serio Gesù.

«Signore, Tu mi offendi!» grida Giuda sdegnato.

«Lasciami, dunque, e vai con chi mi abbandona».

Giuda esce sbatacchiando la porta con mal modo.

«Però, Signore, Giuda non ha tutti i torti… E poi non vorrei che… quell’uomo dicesse di Giovanni. Non può essere che l’uo­mo di Endor il Felice che ti manda questo…».

«Così è certamente. Ma Giovanni di Endor è prudente ed ha ripreso il suo antico nome. Sta tranquillo, Simone. Un uomo che si fa discepolo, perché sente che la mia causa umana è già persa, non può essere che uno retto di spirito. Ben diverso è quello di colui che ora è uscito (Giuda), e che è venuto a Me perché spe­rava di essere il principe di un re potente… e non si persuade che Io sono Re solo per lo spirito…».

«Sospetti di lui, Signore?».

«Di nessuno. Ma in verità ti dico che dove giungerà Nicolai, discepolo e proselite, Giuda di Simone apostolo, israelita e giudeo, non giungerà».

«Signore, io avrei voglia di interrogare Nicolai su… Giovan­ni».

«Non lo fare. Giovanni non gli ha dato incarichi perché è prudente. Non essere tu l’imprudente».

«No, Signore. Te lo chiedevo soltanto…».

«Scendiamo ad affrettare le cene. A notte alta partiremo… Simone… mi ami tu?».

«Oh! Maestro! Ma che dici?».

«Simone, il mio Cuore è più scuro del lago in una notte di tempesta e tanto agitato come quello…».

«Oh! Maestro mio!… Che ti devo dire, se io sono ancor più… scuro e agitato di Te? Ti dirò: “Ecco il tuo Simone. E se ti può dare conforto il mio cuore, prenditelo”. Non ho che questo, ma è sincero».

Gesù gli pone per un momento la testa sul petto ampio e ro­busto e poi si alza e scende, con Pietro.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

16 SETTEMBRE 2018 XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

 Ma voi chi dite che io sia

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 8,27-35
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente che Io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti». Ma Egli replicò: «E voi chi dite che Io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E impose loro severamente di non parlare di Lui a nessuno. E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’Uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro Lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma Egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da Me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro di Me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 5 – Capitolo 31.

La pianura fiancheggia il Giordano prima che questo si getti nel lago di Merom. Una bella pianura su cui di giorno in giorno crescono più rigogliosi i cereali e s’infiorano gli alberi da frutto. I colli oltre i quali è Cedes sono ora alle spalle dei pellegrini, che infreddoliti camminano lesti nelle prime luci del giorno, guardando con desiderio il sole che ascende e cer¬candolo non appena il suo raggio tocca i prati e carezza le fronde. Devono avere dormito all’aperto, al massimo in un pa¬gliaio, perché le vesti sono sgualcite e conservano festuche di paglia e foglie secche che essi si vanno levando man mano che le scoprono nella luce più forte.
Il fiume si annuncia per il suo fruscio, che pare forte nel si¬lenzio mattutino della campagna e per una folta riga di alberi dalle foglie novelle, che tremolano alla lieve brezza del mattino. Ma ancora non si vede, sprofondato come è nella pianura piatta. Quando le sue acque azzurre, ingrossate da numerosi torrentelli che scendono dai colli occidentali, si vedono lucci¬care fra il verde novello delle sponde, si è quasi sulla riva.
«Facciamo la riva fino al ponte, oppure passiamo il fiume qui?», chiedono a Gesù che era solo, meditabondo, e che si è fermato ad attenderli.
«Vedete se c’è barca per passare. È meglio andare di qui…».
«Sì. Al ponte che è proprio sulla via per Cesarea Paneade potremmo incontrare da capo qualcuno messo sulle tracce», osserva Bartolomeo accigliato, guardando Giuda.
«No. Non mi guardare male. Io non sapevo di venire qui e non ho detto nulla. Era facile capire che da Sefet Gesù sarebbe andato alle tombe dei rabbi e a Cedes. Ma mai avrei pensato volesse spingersi fino alla capitale di Filippo. Perciò essi lo ignorano. E non li troveremo per mia colpa né per loro volontà. A meno che non abbiano Belzebù che li conduce», dice calmo e umile l’Iscariota.
«Questo è bene. Perché con certa gente… Bisogna avere oc¬chio e misurare le parole, non lasciare indizi dei nostri proget¬ti. Stare attenti a tutto si deve. Altrimenti la nostra evangeliz¬zazione si tramuterà in perpetua fuga», ribatte Bartolomeo.
Tornano Giovanni e Andrea. Dicono: «Abbiamo trovato due barche. Ci passano per una dramma a barca. Scendiamo sul¬l’argine».
E nelle due barchette, in due riprese, passano sull’altra sponda. La pianura piatta e fertile li accoglie anche qui. Una pianura fertile, ma poco popolata. Solo i contadini che la colti¬vano hanno casa in essa.
«Umh! Come faremo per il pane? Io ho fame. E qui… non ci sono neppure le spighe filistee… Erba e foglie, foglie e fiori. Non sono una pecorella né un’ape», mormora Pietro ai compa¬gni, che sorridono dell’osservazione.
Giuda Taddeo si volta -era un poco più avanti- e dice: «Compreremo pane al primo paese».
«Sempre che non ci facciano fuggire», termina Giacomo di Zebedeo.
«Guardatevi, voi che dite di stare attenti a tutto, dal pren¬dere il lievito dei farisei e dei sadducei. Mi sembra che lo stiate facendo, senza riflettere a ciò che fate di male. State attenti! Guardatevi!», dice Gesù.
Gli apostoli si guardano l’un l’altro e bisbigliano: «Ma che dice? Il pane ce lo ha dato quella donna del sordomuto e l’oste di Cedes. E questo è ancora qui. L’unico che abbiamo. Né sap¬piamo se potremo trovarne da prendere per la nostra fame. Co¬me dunque dice che comperiamo da sadducei e farisei pane col loro lievito? Forse non vuole che si comperi in questi paesi…».
Gesù, che era di nuovo avanti tutto solo, torna a voltarsi.
«Perché avete paura di rimanere senza pane per la vostra fame? Anche se tutti qui fossero sadducei e farisei, non rimar¬reste senza cibo per il mio consiglio. Non è di quel lievito che è nel pane che Io parlo. Perciò potrete comperare dove vi pare il pane per i vostri ventri. E se nessuno ve lo volesse vendere, non rimarreste senza pane lo stesso.
Non vi ricordate dei cinque pani con cui si sfamarono cinquemila persone? Non vi ricorda¬te che ne raccoglieste dodici panieri colmi di avanzi? Potrei fa¬re per voi, che siete dodici e avete un pane, ciò che feci per cin¬quemila con cinque pani.
Non capite a quale lievito alludo? A quello che gonfia nel cuore dei farisei, sadducei e dottori, con¬tro di Me. È odio, quello. Ed è eresia.
Ora voi state andando verso l’odio come fosse entrato in voi parte del lievito farisai¬co. Non si deve odiare neppure chi ci è nemico. Non aprite neppure uno spiraglio a ciò che non è Dio. Dietro al primo en¬trerebbero altri elementi contrari a Dio. Talora, per troppo vo¬lere combattere con armi uguali i nemici, si finisce a perire o a essere vinti. E, vinti che siate, potreste per contatto assorbire le loro dottrine. No. Abbiate carità e riservatezza. Voi non ave¬te in voi ancora tanto da poterle combattere, queste dottrine, senza esserne infettati. Perché alcuni elementi di esse li avete pure voi. E l’astio per loro ne è uno. Ancora vi dico che essi po¬trebbero cambiare metodo per sedurvi e levarvi a Me, usandovi mille gentilezze, mostrandosi pentiti, desiderosi di fare pace. Non dovete sfuggirli. Ma quando essi cercheranno darvi le loro dottrine, sappiate non accoglierle. Ecco quale è il lievito di cui parlo. Il malanimo, che è contro l’amore, e le false dottrine. Vi dico: siate prudenti».
«Quel segno che i farisei chiedevano ieri era “lievito”, Mae¬stro?», chiede Tommaso.
«Era lievito e veleno».
«Hai fatto bene a non darglielo».
«Ma glielo darò un giorno».
«Quando? Quando?», chiedono curiosi.
«Un giorno…».
«E che segno è? Non lo dici neppure a noi, i tuoi apostoli? Perché lo si possa riconoscere subito», chiede voglioso Pietro.
«Voi non dovreste avere bisogno di un segno».
«Oh! non per poter credere in Te! Non siamo la gente che ha molti pensieri, noi. Noi ne abbiamo uno solo: amare Te», di¬ce veementemente Giacomo di Zebedeo.
«Ma la gente, voi che l’avvicinate, così alla buona, più di Me, e senza la soggezione che Io posso incutere, che dice che Io sia? E come definisce il Figlio dell’Uomo?».
«Chi dice che Tu sei Gesù, ossia il Cristo, e sono i migliori. Gli altri ti dicono Profeta, altri solo Rabbi, e altri, Tu lo sai, ti dicono pazzo e indemoniato».
«Qualcuno però usa per Te il nome stesso che Tu ti dai, e ti dice: “Figlio dell’Uomo”».
«E alcuni anche dicono che ciò non può essere, perché il Fi¬glio dell’Uomo è ben altra cosa. Né è sempre negazione questa. Perché in fondo essi ammettono che Tu sei da più del Figlio dell’Uomo: sei il Figlio di Dio. Altri invece dicono che Tu non sei neppure il Figlio dell’Uomo, ma un povero uomo che satana agita o che sconvolge la demenza. Tu vedi che i pareri sono molti e tutti diversi», dice Bartolomeo.
«Ma per la gente chi è dunque il Figlio dell’Uomo?».
«È un uomo nel quale siano tutte le virtù più belle dell’uo¬mo, un uomo che raduni in sé tutti i requisiti di intelligenza, sapienza, Grazia che pensiamo fossero in Adamo, e taluni a questi requisiti aggiungono quello del non morire. Tu sai che già circola la voce che Giovanni Battista non sia morto. Ma so¬lo trasportato altrove dagli Angeli, e che Erode, per non dirsi vinto da Dio, e più ancora Erodiade, abbiano ucciso un servo e, sottratto il capo di lui, abbiano mostrato come cadavere del Battista il corpo mutilato del servo. Tante ne dice la gente!
Perciò pensano in molti che il Figlio dell’Uomo sia o Geremia, o Elia, o qualcuno dei Profeti e anche lo stesso Battista, nel quale era Grazia e sapienza, e si diceva il Precursore del Cristo. Cristo: l’Unto di Dio. Il Figlio dell’Uomo: un grande uomo nato dall’uomo. Non possono ammettere in molti, o non lo vogliono ammettere, che Dio abbia potuto mandare suo Figlio sulla Ter¬ra. Tu lo hai detto ieri: “Crederanno solo coloro che sono con¬vinti dell’infinita bontà di Dio”. Israele crede nel rigore di Dio più che nella sua bontà…», dice ancora Bartolomeo.
«Già. Si sentono infatti tanto indegni che giudicano impos¬sibile che Dio sia tanto buono da mandare il suo Verbo per sal¬varli. Fa ostacolo al loro credere in ciò lo stato degradato della loro anima», conferma lo Zelote.
E aggiunge: «Tu lo dici che sei il Figlio di Dio e dell’Uomo. Infatti in Te è ogni Grazia e sa¬pienza come Uomo. Ed io credo che realmente chi fosse nato da un Adamo in Grazia ti avrebbe somigliato per bellezza e intelli-genza ed ogni altra dote. E in Te brilla Dio per la potenza. Ma chi lo può credere fra coloro che si credono dèi e misurano Dio su se stessi, nella loro superbia infinita?
Essi, i crudeli, gli odia¬tori, i rapaci, gli impuri, non possono certo pensare che Dio ab¬bia spinto la sua dolcezza a dare Se stesso per redimerli, il suo amore a salvarli, la sua generosità a darsi in balìa dell’uomo, la sua purezza a sacrificarsi fra noi. Non lo possono, no, essi che sono così inesorabili e cavillosi nel cercare e punire le colpe».
«E voi chi dite che Io sia? Ditelo proprio per vostro giudizio, senza tenere conto delle mie parole o di quelle altrui. Se foste obbligati a giudicarmi, che direste che Io sia?».
«Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», grida Pietro in¬ginocchiandosi a braccia tese verso l’alto, verso Gesù, che lo guarda con un volto tutto luce e che si curva a rialzarlo per ab¬bracciarlo dicendo:
«Te beato, o Simone, figlio di Giona! Perché non la carne né il sangue te lo ha rivelato, ma il Padre mio che è nei Cieli. Dal primo giorno che venisti da Me ti sei fatto questa domanda, e poiché eri semplice e onesto hai saputo comprendere ed accettare la risposta che ti veniva dai Cieli.
Tu non vedesti manifestazioni soprannaturali come tuo fratello e Giovanni e Giaco¬mo. Tu non conoscevi la mia santità di Figlio, di operaio, di cit¬tadino come Giuda e Giacomo, miei fratelli. Tu non ricevesti miracolo né vedesti farne, né ti diedi segno di potenza come fe¬ci e come videro Filippo, Natanaele, Simon Cananeo, Tomma¬so, Giuda. Tu non fosti soggiogato dal mio volere come Levi il pubblicano. Eppure tu hai esclamato: “Egli è il Cristo!”.
Dalla prima ora che mi hai visto, hai creduto, né mai la tua Fede fu scossa. Per questo Io ti ho chiamato Cefa. E per questo su te, Pietra, Io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei. A te darò le chiavi del Regno dei Cieli. E qualunque cosa avrai legata sulla Terra sarà legata anche nei Cieli. E qualunque cosa avrai sciolta sulla Terra sarà sciolta anche nei Cieli, o uomo fedele e prudente di cui ho potuto provare il cuore. E qui, da questo momento, tu sei il capo, al quale va data ubbidienza e rispetto come ad un altro Me stesso. E tale lo proclamo davanti a tutti voi».
Se Gesù avesse schiacciato Pietro sotto una grandine di rimproveri, il pianto di Pietro non sarebbe stato così alto. Piange tutto scosso dai singhiozzi, col volto sul petto di Gesù. Un pianto che avrà solo riscontro in quello infrenabile del suo dolore di rinnegatore di Gesù. Ora è pianto fatto di mille senti¬menti umili e buoni… Un altro poco dell’antico Simone -il pescatore di Betsaida che al primo annuncio del fratello Andrea aveva riso dicendo: «Il Messia appare a te!… Proprio!», incredulo e ridanciano- un poco tanto dell’antico Simone si sgretola sot¬to quel pianto per far apparire, sotto la crosta assottigliata della sua umanità, sempre più nettamente il Pietro, pontefice della Chiesa di Cristo.
Quando alza il viso, timido, confuso, non sa che fare un atto per dire tutto, per promettere tutto, per rinforzarsi tutto al nuovo ministero: quello di gettare le sue braccia corte e mu¬scolose al collo di Gesù e obbligarlo a chinarsi per baciarlo, mescolando i suoi capelli, la sua barba, un poco ispidi e briz¬zolati, ai capelli e alla barba morbidi e dorati di Gesù, guardandolo poi con uno sguardo adorante, amoroso, supplichevo¬le, degli occhi un poco bovini, lucidi e rossi delle lacrime spar¬se, tenendo nelle sue mani callose, larghe, tozze, il viso ascetico del Maestro curvo sul suo, come fosse un vaso da cui fluisse li¬quore vitale… e beve, beve, beve dolcezza e Grazia, sicurezza e forza, da quel viso, da quegli occhi, da quel sorriso…
Si sciolgono infine, tornando ad andare verso Cesarea di Filippo, e Gesù dice a tutti: «Pietro ha detto la verità. Molti l’intuiscono, voi la sapete. Ma voi, per ora, non dite ad alcuno ciò che è il Cristo nella verità completa di ciò che sapete. La¬sciate che Dio parli nei cuori come parla nel vostro. In verità vi dico che quelli che alle mie asserzioni o alle vostre aggiungono la Fede perfetta e il perfetto amore, giungono a sapere il vero significato delle parole “Gesù, il Cristo, il Verbo, il Figlio dell’Uomo e di Dio”».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta.

XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

7,31-37 Mc Effatá
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 7,31-37
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e Lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più Egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’ “Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 4 – Capitolo 29

Non so dove abbiano pernottato i pellegrini. So che è di nuovo mattina, che sono per via, sempre per luoghi montuosi, e che Gesù ha la mano fasciata e Giacomo di Alfeo ha fasciata la fronte, mentre Andrea zoppica forte e Giacomo di Zebedeo è senza la sacca, che ha preso suo fratello Giovanni.
Per due volte Gesù ha chiesto: «Ce la fai a camminare, Andrea?».
«Sì, Maestro. Cammino male per la fasciatura. Ma il dolore non è forte». E la seconda volta aggiunge: «E la tua mano, Maestro?».
«Una mano non è una gamba. Sta a riposo e duole poco».
«Uhm! Poco non credo, così gonfia e aperta fino all’osso come è… L’olio fa bene. Ma forse era meglio se di quell’unguento di tua Madre ce ne facevamo dare un poco da…».
«Da mia Madre. Hai ragione». dice svelto Gesù, sentendo ciò che sta per uscire dalle labbra di Pietro, che arrossisce confuso, guardando con uno sguardo così desolato il suo Gesù che Egli ne sorride e appoggia proprio la mano ferita sulla spalla di Pietro per attirarlo a sé.
«Ti farà male a stare così».
«No, Simone. Tu mi vuoi bene e il tuo amore è un grande olio salutare».
«Oh! allora, se è per questo, dovresti già essere guarito! Abbiamo sofferto tutti di vederti trattato così, e c’è chi ha pianto».
E Pietro guarda Giovanni e Andrea…
«Olio e acqua sono buona medicina, ma il pianto d’amore e di pietà è più potente di tutto. E, vedete? Io sono molto più lieto oggi di ieri. Perché oggi so quanto siete ubbidienti e amorosi di Me. Tutti», e Gesù li guarda col suo sguardo soave, nella cui ormai abituale mestizia è una luce tenue di gioia, questa mattina.
«Ma che iene! Mai visto un odio tale!» dice Giuda d’Alfeo. «Dovevano essere tutti giudei».
«No, fratello. Non c’entra la regione. L’odio è uguale dappertutto. Ricordati che a Nazareth, da mesi, fui cacciato e mi si voleva prendere a colpi di pietra. Non te lo ricordi?» dice calmo Gesù, e ciò serve a consolare quelli che sono giudei delle parole del Taddeo.
Tanto consolare che l’Iscariota dice: «Ma questo lo dirò. Oh! se lo dirò! Non facevamo nulla di male. Non abbiamo reagito e Lui ha parlato tutto amore all’inizio. E a sassate, come serpi, ci hanno preso. Lo dirò».
«E a chi mai, se sono tutti contro di noi?».
«Lo so io a chi. Intanto, non appena vedo Stefano o Erma, glielo dico. Lo saprà subito Gamaliele. Ma a Pasqua lo dirò a chi so io. Dirò: “Non è giusto fare così. Siete illegali nel vostro furore. Voi siete colpevoli, non Lui”».
«Faresti meglio a non andarci molto vicino a quei signori!… Mi sembra che anche tu sia in colpa agli occhi loro» consiglia saggiamente Filippo.
«È vero. Meglio è che non li avvicini mai più. Sì. È meglio. Ma a Stefano lo dirò. Lui è buono e non avvelena…».
«Lascia andare, Giuda. Non muteresti nulla in meglio. Io ho perdonato. Non ci pensiamo più» dice calmo e persuasivo Gesù.
Due volte, incontrando ruscelli, tanto Andrea come i due Giacomi si bagnano le fasce che hanno sulle contusioni. Gesù no. Prosegue tranquillo come non sentisse dolore.
Pure il dolore deve essere sensibile se quando si fermano per mangiare, deve chiedere ad Andrea di spezzargli il pane; se, quando gli si slaccia un sandalo, deve pregare Matteo di legarglielo di nuovo…; se, soprattutto, nello scendere per una scorciatoia precipitosa e urtando in un tronco perché gli scivola il piede, non può reprimere un lamento, e se gli si arrossa di nuovo la benda di sangue, tanto che alla prima casa di un paese, dove giungono verso il tramonto, si fermano chiedendo acqua e olio per medicargli la mano che appare, levate le bende, molto gonfia, bluastra nel dorso con la ferita rosseggiante al centro.
Mentre aspettano che la donna della casa accorra con quanto desiderano, si curvano tutti ad osservare la mano ferita e fanno i loro commenti. Ma Giovanni si ritira un poco più in là a nascondere il suo pianto.
Gesù lo chiama: «Vieni qui. Non è un gran male. Non piangere».
«Lo so. Lo avessi io non piangerei. Ma l’hai Tu. E non lo dici tutto il male che ti fa questa cara mano, che non ha mai nuociuto a nessuno» risponde Giovanni, al quale Gesù ha abbandonato la sua mano ferita, che Giovanni carezza dolcemente sulla punta delle dita, sul polso, tutto intorno alla lividura, e che volta dolcemente per baciarla sul palmo e appoggiare la sua guancia nel cavo della mano dicendo:
«Scotta… Oh! quanto ti deve dolere!», e lacrime di pietà cadono su essa.
La donna porta l’acqua e l’olio, e con un lino Giovanni vuole detergere il sangue che imbratta la mano, e con delicatezza fa scorrere l’acqua tiepida sul posto ferito e poi la unge, la fascia con strisce pulite e sulla legatura pone un bacio. Gesù gli mette l’altra mano sulla testa china.
La donna chiede: «È tuo fratello?».
«No. È il mio Maestro. Il nostro Maestro».
«Da dove venite?» chiede ancora agli altri.
«Dal mare di Galilea».
«Lontano! Perché?».
«Per predicare la Salute».
«È quasi sera. Fermatevi in casa mia. Casa da poveri. Ma di onesti. Posso darvi del latte non appena tornano i miei figli con le pecore. Il mio uomo vi accoglierà volentieri».
«Grazie, donna. Se il Maestro vorrà, resteremo qui».
La donna va alle sue faccende mentre gli apostoli chiedono a Gesù cosa devono fare.
«Sì. È bene. Domani andremo a Cedes e poi verso Paneade. Ho pensato, Bartolomeo. Conviene fare come tu dici. Mi hai dato un buon consiglio. Spero trovare così altri discepoli e mandarli avanti a Me a Cafarnao. So che a Cedes devono ormai esservene stati alcuni, fra i quali i tre pastori libanesi».
Torna la donna e chiede: «Ebbene?».
«Sì donna buona. Restiamo qui per la notte».
«E per la cena. Oh! graditela. Non mi pesa. E poi ci è stata insegnata la misericordia da alcuni che sono i discepoli di quel Gesù di Galilea, detto Messia, che fa tanti miracoli e predica il Regno di Dio. Ma qui non c’è mai venuto. Forse perché siamo ai confini siro-fenici. Ma sono venuti i suoi discepoli. Ed è già molto. Per la Pasqua noi del paese vogliamo andare tutti in Giudea per vedere se lo vediamo questo Gesù. Perché abbiamo dei malati e i discepoli ne hanno guariti alcuni, ma altri no. E fra questi c’è un giovane figlio di un fratello della moglie di mio cognato».
«Che ha?» chiede Gesù sorridendo.
«È… Non parla e non sente. Nato così. Forse un demonio è entrato nel seno della madre per farla disperare e soffrire. Ma è buono, come indemoniato non fosse. I discepoli hanno detto che per lui ci vuole Gesù di Nazareth, perché deve essere con qualche cosa di mancante, e solo questo Gesù… Oh! ecco i miei figli e il mio sposo! Melchia, ho accolto questi pellegrini in nome del Signore e stavo raccontando di Levi… Sara, va’ presto a mungere il latte e tu, Samuele, scendi a prendere olio e vino nella grotta, e porta mele dal solaio. Spicciati, Sara, prepareremo i letti nelle stanze alte».
«Non ti affaticare, donna. Staremo bene da per tutto. Potrei vedere l’uomo di cui parlavi?».
«Sì… Ma… Oh! Signore! Ma sei forse Tu il Nazareno?».
«Sono Io».
La donna crolla in ginocchio strillando: «Melchia, Sara, Samuele! Venite ad adorare il Messia! Che giorno! Che giorno! E io l’ho in casa mia! E gli parlavo così! E gli ho portato l’acqua per lavare la ferita… Oh!…»; è strozzata di emozione. Ma poi corre al catino e lo vede vuoto: «Perché avete gettato quell’acqua? Era santa! Oh! Melchia! Il Messia da noi».
«Sì. Ma sta buona, donna, e non lo dire a nessuno. Va’ piuttosto a prendere il sordomuto e portamelo qui…» dice Gesù sorridendo…
…E presto Melchia torna col giovane sordomuto e con i parenti di lui e mezzo paese almeno… La madre dell’infelice adora Gesù e Lo supplica.
«Sì, sarà come tu vuoi», e preso per mano il sordomuto lo attira un po’ fuori dalla folla che si accalca, e che gli apostoli, per pietà della mano ferita, si danno da fare a respingere. Gesù si accosta bene il sordomuto, gli pone gli indici nelle orecchie e la lingua sulle labbra socchiuse, poi, alzando gli occhi al cielo che imbruna, alita sul volto del sordomuto e grida forte: «Apritevi!», e lo lascia andare.
Il giovane lo guarda un momento mentre la folla bisbiglia. È sorprendente la mutazione del volto prima apatico e mesto del sordomuto e poi sorpreso e sorridente. Si porta le mani alle orecchie, le preme e le stacca… Si persuade che sente per davvero e apre la bocca dicendo:
«Mamma! Io sento! Oh! Signore, io Ti adoro!».
La folla è presa dal solito entusiasmo e tanto più lo è perché si chiede:
«E come può già parlare se mai udì parola da quando è nato? Un miracolo nel miracolo! Gli ha slegato la favella e aperto le orecchie e insieme lo ha istruito a parlare. Viva Gesù di Nazareth! Osanna al Santo, al Messia!».
E si premono contro di Lui che alza la sua mano ferita a benedire, mentre alcuni, istruiti dalla donna della casa, si bagnano il viso o le membra con le superstiti gocce rimaste nel catino.
Gesù li vede e grida: «Per la vostra Fede siate tutti guariti. Andate alle vostre case. Siate buoni, onesti. Credete nella parola del Vangelo. E tenete ciò che sapete per voi finché sia l’ora di bandirlo sulle piazze e per le vie della terra. La mia pace sia con voi».
Ed entra nella vasta cucina, dove splende il fuoco e tremolano le luci di due lucerne.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

2 SETTEMBRE 2018 XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B Mc 7,1-8,14-15,21-23

Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 7,1-8.14-15.21-23

Allora si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate -i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli antichi, e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame- quei farisei e scribi Lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?». Ed Egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il Comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo». Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 4 – Capitolo 166  (12 ottobre 1945)

La città di Naim è in gran festa. Essa ospita Gesù. Per la prima volta dopo il miracolo del giovane Daniele risuscitato da morte.

Preceduto e seguito da un buon numero di persone, Gesù traversa, benedicendo, la città. A quelli di Naim si sono unite persone di altri luoghi, provenienti da Cafarnao, dove erano andati a cercarlo e da dove erano stati mandati a Cana e da qui a Naim. Ho l’impressione che, ora che ha molti discepoli, Gesù abbia costituito come una rete di informazioni, di modo che i pellegrini che Lo cercano Lo possano trovare nonostante il suo continuo spostarsi, sebbene di poche miglia al giorno, quanto lo consente la stagione e la brevità delle giornate. E fra questi, che sono venuti a cercarlo da altrove, non mancano farisei e scribi, in apparenza ossequienti…

Gesù è ospite in casa del giovane risuscitato. Nella stessa sono convenuti i notabili del paese. E la madre di Daniele, vedendo gli scribi e i farisei -sette come i peccati capitali- tutta umile li invita, scusandosi di non poter offrire loro più degna dimora.

«C’è il Maestro, c’è il Maestro, donna. Ciò dà valore anche a una spelonca. Ma la tua casa è ben più di una spelonca, e noi vi entriamo dicendo: “Pace a te e alla tua casa”».

Infatti la donna, pur non essendo certo una ricca, si è fatta in quattro per onorare Gesù. Certo sono entrate in lizza tutte le ricchezze di Naim, messe cooperativamente in moto per addobbare casa e mensa. E le rispettive proprietarie occhieggiano, da tutti i punti possibili, la comitiva che passa per il corridoio di ingresso diretta a due stanze prospicienti, nelle quali la padrona di casa ha approntato le tavole. Forse hanno chiesto questo solo, per il prestito delle stoviglie e tovaglie e sedili, e per la loro prestazione d’opera ai fornelli: questo di vedere da vicino il Maestro e respirare dove Egli respira.

Ed ora si affacciano qua e là, rosse, infarinate, incenerate, o con le mani sgocciolanti, a seconda delle loro incombenze culinarie; sbirciano, si prendono il loro scampolino di sguardo divino, la loro briciolina di voce divina, bevono la dolce benedizione e la dolce figura con lo sguardo e l’udito, e tornano ancor più rosse ai loro fornelli, madie e acquai: felici.

Felicissima, poi, quella che con la padrona di casa offre i bacili delle abluzioni agli ospiti di riguardo. È una giovanetta bruna nei capelli e negli occhi, ma dal colorito soffuso di rosa. E ancor più rosa diventa quando la padrona di casa avverte Gesù che essa è la sposa di suo figlio e presto verranno compiute le nozze.

«Abbiamo atteso la tua venuta a compirle, perché tutta la casa fosse santificata da Te. Ma ora benedici lei pure, acciò sia buona moglie in questa casa».

Gesù la guarda e, poiché la sposina si curva, le impone le mani dicendo: «Rifioriscano in te le virtù di Sara, Rebecca e Rachele, e da te si generino dei veri figli di Dio, per la sua gloria e per la letizia di questa dimora».

Ormai Gesù e i notabili sono tutti purificati ed entrano nella stanza del convito con il giovane padrone di casa, mentre gli apostoli con altri uomini di Naim meno influenti entrano nella stanza di fronte. E il convito ha luogo.

Capisco dai discorsi che, prima che avesse inizio la visione, Gesù aveva predicato e guarito in Naim. Ma i farisei e scribi poco si soffermano su questo, mentre tempestano di domande quelli di Naim per sapere particolari sulla malattia di cui era morto Daniele, e quante ore erano intercorse dalla morte alla risurrezione, e se era stato completamente imbalsamato, ecc. ecc.

Gesù si astrae da tutte queste indagini parlando col risuscitato, che sta benone e che mangia con un formidabile appetito. Ma un fariseo chiama Gesù per chiedergli se Egli era al corrente della malattia di Daniele.

«Venivo da Endor per puro caso, avendo voluto accontentare Giuda di Keriot come avevo accontentato Giovanni di Zebedeo. Non sapevo neppure di avere a passare per Naim quando avevo iniziato il cammino per il pellegrinaggio pasquale» risponde Gesù.

«Ah! non eri andato apposta a Endor?» chiede stupito uno scriba.

«No. Non ne avevo la minima volontà di andarvi, allora».

«E come mai allora vi andasti?».

«L’ho detto, perché Giuda di Simone voleva andarvi».

«E perché questo capriccio?».

«Per vedere la grotta della maga».

«Forse Tu ne avevi parlato…».

«Mai! Non ne avevo motivo».

«Voglio dire… forse hai spiegato con quell’episodio altri sortilegi, per iniziar i tuoi discepoli a…».

«A che? Per iniziare alla santità non c’è bisogno di pellegrinaggi. Una cella o una landa deserta, un picco montuoso o una casa solitaria, servono ugualmente. Basta che in chi insegna sia autorità e santità, e in chi ascolta volontà di santificarsi. Io insegno questo e non altro».

«Ma i miracoli che ora essi, i discepoli, fanno, che sono se non prodigi e…».

«E volere di Dio. Questo solo. E più Santi diverranno e più ne faranno. Con l’orazione, il sacrificio e la loro ubbidienza a Dio. Non con altro».

«Ne sei sicuro?» chiede uno scriba tenendosi il mento nella mano e sbirciando di sotto in su Gesù. E il suo tono è discretamente ironico e anche compassionevole.

«Io queste armi ho dato loro e queste dottrine. Se poi fra essi, e sono tanti, ve ne sarà alcuno che si corrompe con indegne pratiche, per superbia o altro, non da Me sarà venuto il consiglio. Io posso pregare per vedere di redimere il colpevole. Posso impormi dure penitenze espiatorie per ottenere che Dio lo aiuti particolarmente con lumi della sua sapienza a vedere l’errore. Posso gettarmi ai suoi piedi per supplicarlo, con tutto il mio amore di Fratello, Maestro e Amico, di lasciare la colpa. Né penserei di avvilirmi a far ciò, perché il prezzo di un’anima è tale che merita subire ogni umiliazione per ottenere quest’anima. Ma di più non posso fare. E, se ciononostante la colpa durerà, pianto e sangue gemeranno occhi e cuore del tradito e incompreso Maestro e Amico».

Che dolcezza e che tristezza nella voce e nell’aspetto di Gesù!

Scribi e farisei si guardano fra di loro. Tutto un gioco di sguardi. Ma non dicono altro in merito.

Interrogano invece il giovane Daniele. Si ricorda cosa è la morte? Che provò tornando alla vita? E che vide nello spazio fra morte e vita?

«Io so che ero malato mortalmente e patii l’agonia. Oh! tremenda cosa! Non mi ci fate pensare!… Eppure verrà il giorno in cui la dovrò risoffrire! Oh! Maestro!…». Lo sguardo terrorizzato, sbianchendo al pensiero di dovere morire di nuovo.

Gesù lo conforta dolcemente dicendo: «La morte è di per sé espiazione. Tu, morendo due volte, sarai completamente mondo da macchie e gioirai subito del Cielo. Però questo pensiero ti faccia vivere da santo, onde solo involontarie e veniali colpe siano in te».

Ma i farisei tornano all’attacco: «Ma cosa provasti tornando alla vita?».

«Nulla. Mi sono trovato vivo e sano come mi fossi svegliato da un lungo sonno pesante».

«Ma ti ricordavi di esser morto?».

«Mi ricordavo che ero stato molto malato, fino all’agonia, e basta».

«E che ricordi dell’altro mondo?».

«Niente. Non c’è niente. Un buco nero, uno spazio vuoto nella mia vita… Nulla».

«Allora per te non c’è il Limbo, il Purgatorio, l’Inferno?».

«Chi dice che non ci sono? Certo che ci sono! Ma io non li ricordo».

«Ma sei sicuro di esser stato morto?».

Scattano tutti quelli di Naim: «Se era morto? E che volete di più? Quando lo ponemmo sulla bara era già in procinto di puzzare. E poi! Con tutti quei balsami e quelle bende sarebbe morto anche un gigante».

«Ma tu non ti ricordi di esser morto?».

«Vi ho detto di no». Il giovane si impazienta e aggiunge: «Ma cosa volete stabilire con questi lugubri discorsi? Che tutto un paese facesse mostra di avere me morto, mia madre compresa, la mia sposa compresa, che era a letto morente di dolore, io compreso, legato, imbalsamato, mentre non era vero? Che dite? Che a Naim si fosse tutti bambini o ebeti in voglia di scherzare? Mia madre è divenuta bianca in poche ore. La sposa mia dovette essere curata perché dolore e gioia l’avevano resa come folle. E voi dubitate? E perché avremmo fatto questo?».

«Perché? È vero! Perché lo avremmo fatto?» dicono quelli di Naim.

Gesù non parla. Giocherella colla tovaglia come fosse assente. I farisei non sanno che dire… Ma Gesù apre la bocca all’improvviso, quando la conversazione e l’argomento parevano finiti, e dice:

«Il perché è questo. Essi (e accenna farisei e scribi) vogliono stabilire che il tuo risorgere non fu che un ben congegnato giuoco per accrescere la mia stima presso le folle. Io ideatore, voi complici per tradire Dio e prossimo. No. Io lascio le ciurmerie agli indegni. Non ho bisogno di stregonecci, né di stratagemmi, di giochetti o di complicità per essere ciò che sono. Perché volete negare a Dio il potere di restituire l’anima ad una carne? Se Egli la dà, quando la carne si forma, e crea le anime di volta in volta, non potrà renderla quando l’anima, tornando alla carne per preghiera del suo Messia, può essere fomite di venuta alla Verità di molte turbe? Potete negare a Dio il potere del miracolo? Perché lo volete negare?».

«Sei Tu Dio?».

«Io son chi sono. I miei miracoli e la mia dottrina dicono chi Io sia».

«Ma allora perché costui non ricorda, mentre gli spiriti evocati sanno dire cosa è l’aldilà?».

«Perché quest’anima parla la verità, già santificata come è dalla penitenza di una prima morte, mentre ciò che parla sulle labbra dei negromanti non è verità».

«Ma Samuele…».

«Ma Samuele venne per ordine di Dio, non della maga, a portare al fedifrago della Legge il verdetto del Signore che non si irride nei suoi comandi».

«E allora perché i tuoi discepoli lo fanno?».

La voce arrogante di un fariseo, che punto sul vivo alza il tono della stessa, richiama l’attenzione degli Apostoli che sono nella stanza di fronte, separati da un corridoio largo poco più di un metro, non isolati da porte o tende pesanti. Sentendosi chiamati in causa, si alzano e vengono senza far rumore nel corridoio, in ascolto.

«In che lo fanno? Spiegati, e se la tua accusa è vera Io li avviserò di non fare più cosa contraria alla Legge».

«In cosa lo so io, e con me molti altri. Ma Tu che risusciti i morti e ti dici più che profeta, scoprila da Te. Noi non te la diremo certo. Hai occhi, del resto, per vedere anche molte altre cose, fatte quando non si devono fare, o non fatte quando si devono fare, commesse dai tuoi discepoli. E Tu non te curi».

«Vogliate indicarmene alcune».

«Perché i tuoi discepoli trasgrediscono le tradizioni degli antichi? Oggi li abbiamo osservati. Anche oggi! Non più tardi di un’ora fa! Essi sono entrati nella loro sala per mangiare e non si sono purificate, avanti, le mani!». Se i farisei avessero detto: «E prima hanno sgozzato dei cittadini», non avrebbero avuto un tono simile di profondo orrore.

«Li avete osservati, sì. Ci sono tante cose da vedere. E belle, e buone. Cose che fanno benedire il Signore di averci dato la vita perché avessimo modo di vederle e perché ha creato o permesso quelle cose. Eppure voi non le osservate. E con voi molti altri. Ma perdete tempo e pace coll’inseguire le cose non buone.

Sembrate sciacalli, meglio, iene correnti sulla scia di un fetore, trascurando le ondate di profumi che vengono nel vento da giardini pieni di aromi. Le iene non amano gigli e rose, gelsomini e canfore, cinnamomi e garofani. Per loro sono sgradevoli odori. Ma il lezzo di un corpo putrefacente in fondo ad un burrone, o su una carraia, sepolto sotto i rovi dove l’ha gettato l’assassino, o gettato dalla tempesta sulla spiaggia deserta, gonfio, violaceo, crepato, orrendo, oh! quello è profumo gradevole alle iene!

E fiutano il vento della sera, che condensa e trasporta con sé tutti gli odori che il sole ha distillato dalle cose che ha scaldato, per sentire questo vago, invitante odore, e scopertolo, e afferratane la direzione, eccole partire di corsa, col muso all’aria, i denti già scoperti nel fremito delle mascelle simile ad un isterico riso, per andare là dove è putrefazione. E, sia cadavere d’uomo o di quadrupede, o di biscia spezzata dal contadino, o di faina uccisa dalla massaia, fosse anche un semplice topo, oh! ecco che piace, piace, piace! E in quel fetore ribollente si affondano le zanne, e si pasteggia, e ci si lecca le labbra…

Degli uomini si santificano giorno per giorno? Non è cosa che interessi! Ma se uno solo fa del male, o in più d’uno lasciano, non un comando divino, ma una pratica umana -chiamatela pure tradizione, precetto, come volete, è sempre cosa umana- ecco che allora si va, si nota. Si va anche dietro a un sospetto… tanto per godere, vedendo che il sospetto è realtà.

Ma allora, rispondete, rispondete voi che siete venuti non per amore, non per fede, non per onestà, ma per malvagio scopo, rispondete: perché voi trasgredite il comando di Dio per una vostra tradizione? Non vorrete già dirmi che una tradizione è da più di un Comandamento? Eppure Dio ha detto: “Onora il padre e la madre, e chi maledirà il padre e la madre è reo di morte”! E voi invece dite: “Chiunque abbia detto al padre e alla madre: ‘Quello che dovresti avere da me è corban’, non è più obbligato ad usarlo per padre e madre”. Dunque voi con la vostra tradizione avete annullato il comando di Dio.

Ipocriti! Ben disse di voi Isaia profetando: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da Me, perciò mi onorano invano insegnando dottrine e comandamenti d’uomo”.

Voi, mentre trascurate i precetti di Dio, state alle tradizioni degli uomini, alle lavature di anfore e calici, di piatti e di mani e simili altre cose. Mentre giustificate l’ingratitudine e l’avarizia di un figlio coll’offrirgli la scappatoia dell’offerta di sacrificio per non dare un pane a chi lo ha generato ed ha bisogno di aiuto, ed egli ha l’obbligo di onorarlo perché gli è genitore, avete scandalo perché uno non si lava le mani. Voi alterate e violate la parola di Dio per ubbidire a parole da voi fatte e da voi elevate a precetto. Voi vi proclamate perciò più giusti di Dio. Voi vi arrogate diritto di legislatori mentre Dio solo è Legislatore nel suo popolo. Voi…».

E continuerebbe, ma il gruppo nemico esce, sotto la grandine delle accuse, urtando gli Apostoli e quanti erano nella casa, ospiti o aiutanti della padrona, e che si erano raccolti nel corridoio, attirati dallo squillo della voce di Gesù.

Gesù, che si era alzato in piedi, si torna a sedere, facendo cenno ai presenti di entrare tutti dove Egli è, e dice loro:

«Ascoltatemi tutti e intendete questa verità. Non vi è nulla fuori dell’uomo che entrando in esso possa contaminarlo. Ma quello che esce dall’uomo, questo è quello che contamina. Chi ha orecchie da intendere intenda e usi ragione per comprendere e volontà per attuare. E ora andiamo. Voi di Naim perseverate nel bene e sia sempre con voi la mia pace».

Si alza, saluta in particolare i padroni di casa e si avvia per il corridoio.

Ma vede le donne amiche, che raccolte in un angolo Lo guardano incantate, e va diretto da loro dicendo:

«Pace a voi pure. Vi compensi il Cielo per avermi sovvenuto con un amore che non mi ha fatto rimpiangere la tavola materna. Ho sentito il vostro amore di madri in ogni mica di pane, in ogni intingolo o arrosto, nel dolce del miele, nel vino fresco e profumato. Vogliatemi sempre bene così, buone donne di Naim. E un’altra volta non fate tanta fatica per Me. Basta un pane e un pugno di ulive condito col vostro sorriso materno e il vostro sguardo onesto e buono. Siate felici nelle vostre case, perché la riconoscenza del Perseguitato è su voi ed Egli parte consolato dal vostro amore».

Le donne, beate eppure piangenti, sono tutte in ginocchio, ed Egli, nel passare, le sfiora una per una sui capelli bianchi o neri, come a benedirle. E poi esce e riprende il cammino…

Le prime ombre della sera calano nascondendo il pallore di Gesù amareggiato da troppe cose.

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta