LA SANTISSIMA TRINITA’ ANNO B

TRINITA’ SANTISSIMA
Rendici sempre consapevoli della tua presenza nella nostra vita,
in modo da essere segno nel mondo della tua presenza

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 28,16-20
)
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Il Nuovo Testamento fonda l’universalità della missione nello speciale rapporto che Gesù risorto ha con ogni uomo.
Il Vangelo dev’essere annunciato a ogni uomo, perché Gesù è la verità dell’uomo, ha ricevuto dal Padre ogni potere in cielo e in terra, perché ha fatto la volontà del Padre fino alla morte aprendo così per ogni uomo la via verso la pienezza della vita. Di qui le caratteristiche della missione:
– la forza che l’anima è lo Spirito Santo che da Gesù risorto viene promesso e trasmesso ai discepoli, come principio della vita nuova, che deve essere annunciata e comunicata a ogni uomo;
– il contenuto della missione è la sequela di Cristo, l’obbedienza al Vangelo, l’osservanza dei comandi di Gesù, l’adesione battesimale alla vita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, il distacco dalla vita incredula, implorando e accogliendo la remissione dei peccati;
– la speranza che sostiene i missionari nelle fatiche e nelle difficoltà è la certezza che Gesù è sempre con loro sino alla fine del mondo (da Partenza da Emmaus, in “Rivista Diocesana Milanese”, sett. 1983, 814-815).

 

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta. Volume 10 – Capitolo 634.

 

Sonnecchiano quasi tutti, data l’ora e dato anche l’ozio e la lunga attesa. Ma basta il grido di un fanciullo -non so chi sia, perché non lo vedo dal luogo dove mi trovo- perché tutti sorgano in piedi, in un primo movimento impulsivo che subito si muta in un prostrarsi col volto fra l’erba.

«La pace a voi tutti. Eccomi fra voi. La pace a voi. La pace a voi».

Gesù passa fra loro salutando, benedicendo.

Molti lacrimano, altri sorridono beati. Ma in tutti è tanta pace.

Gesù va a fermarsi là dove gli Apostoli e i pastori fanno un gruppo folto insieme a Marziam, Mannaen, Stefano, Nicolai, Giovanni d’Efeso, Erma e qualche altro dei discepoli più fedeli, dei quali non ricordo il nome. Vedo quello di Corozim che ha lasciato di seppellire il padre per seguire Gesù, un altro che ho visto altre volte. Gesù prende fra le sue mani il capo di Marziam, che piange guardandolo, lo bacia in fronte stringendoselo poi al cuore.

Si volge poi agli altri e dice: «Molti e pochi. Dove sono gli altri? So che molti sono i miei discepoli fedeli. Perché allora qui non si raggiunge che a fatica, fra tutti quanti, le cinquecento persone, esclusi i fanciulli figli di questo o quello fra voi?».

Pietro parla per tutti alzandosi in piedi (era rimasto in ginocchio nell’erba): «Signore, tra il tredicesimo e il ventesimo giorno dalla tua morte sono venuti qui molti da molte città di Palestina, dicendo che Tu eri fra loro. Così molti di noi, per vederti prima, andarono chi con questo e chi con quello. Alcuni sono appena partiti. Dicevano, quelli che son venuti, di averti visto e parlato in luoghi diversi e, ciò che era meraviglioso, tutti dicevano averti visto nel dodicesimo giorno dalla tua morte.

Noi pensammo essere questo un inganno di qualcuno di quei falsi profeti che Tu hai detto che sorgeranno per trarre in inganno gli eletti. Tu lo hai detto là, sul monte Uliveto, la sera prima… prima…». Pietro, ripreso dal suo dolore a quel ricordo, china il capo e tace. Due lacrime, seguite da altre, cadono dai fili della barba al suolo…

Gesù gli posa la destra sulla spalla e Pietro freme a quel contatto e, non osando toccare quella Mano con le sue, curva il collo, il volto ad accarezzare con la guancia, a sfiorare con le labbra quella Mano adorabile.

Giacomo di Alfeo prosegue il racconto: «E abbiamo sconsigliato di credere a quelle apparizioni, a quelli fra noi che sorgevano in piedi per correre verso il grande mare, o verso Bozra, o Cesarea di Filippo, Pella o Cedes, sul monte presso Gerico e nella pianura, come nella pianura di Esdrelon, sul grande Ermon come a Beteron e a Betsemes, e in altri luoghi senza nome, perché case isolate nella piana presso Jafia o presso Galaad. Troppo incerte.

Alcuni dicevano: “Lo abbiamo visto e sentito”. Altri mandavano a dire di averti visto e persino mangiato con Te. Sì, volevamo trattenerli, pensando fossero o tranelli di chi ci avversa o anche fantasmi visti da giusti, che tanto ti pensano che finiscono a vederti dove non sei. Ma essi sono voluti andare. Chi qua, chi là. E in tal modo siamo ridotti a meno di un terzo».

«Avete avuto ragione nell’insistere per trattenerli. Non perché Io non sia realmente stato dove quelli che son venuti a dirvelo hanno detto. Ma perché avevo ordinato di stare qui, uniti in preghiera in attesa di Me. E perché voglio che le mie parole siano ubbidite, specialmente da quelli che sono i miei servi. Se cominciano i servi a disubbidire, che dovranno fare i fedeli?

Ascoltate tutti voi che siete qui intorno. Ricordatevi che in un organismo, perché sia veramente attivo e sano, ci vuole una gerarchia, ossia chi comanda, e chi trasmette i comandi, e chi ubbidisce. Così avviene nelle corti dei re. Così nelle religioni. Dalla nostra ebrea alle altre, anche se così impure. Vi è sempre un capo, dei ministri di esso, dei servi dei ministri, dei fedeli infine.

Non può un pontefice fare da solo. Non può un re fare da solo. E sono, le loro disposizioni, cose che si rivolgono unicamente a contingenze umane o a formalismi di riti… Sì. Purtroppo, ormai, anche nella religione mosaica non resta più che il formalismo dei riti, un continuare di movimenti di un congegno che continua a compiere gli stessi gesti, anche ora che lo spirito dei gesti è morto. Morto per sempre. Il divino Animatore di essi, Colui che dava ai riti un valore, si è ritirato di mezzo a loro. E i riti sono gesti, nulla più. Gesti che qualsiasi istrione potrebbe animare sulle scene di un anfiteatro.

Guai a quando una religione muore e, da potenza reale, viva, diviene pantomima clamorosa, esteriore, una cosa vuota dietro lo scenario dipinto, dietro le vesti pompose, un muoversi di congegni che compiono dati movimenti, così come una chiave fa agire una molla, ma tanto che la molla che la chiave non hanno coscienza di ciò che fanno. Guai! Pensate!

Ricordate sempre, e ditelo ai vostri successori, perché questa verità sia conosciuta nei secoli. È meno pauroso il cadere di un pianeta che il cadere della religione. Se il cielo rimanesse spopolato d’astri e pianeti, non sarebbe per i popoli sventura uguale a quella di rimanere senza una reale religione. Dio sopperirebbe con provvida potenza ai bisogni umani, perché tutto può Dio per coloro che, sulla via sapiente, o sulla via che la loro ignoranza conosce, cercano, amano la Divinità con spirito retto.

Ma, se venisse un giorno in cui gli uomini non amassero più Dio, perché i sacerdoti di ogni religione avessero fatto di essa unicamente una vuota pantomima, non credendo essi per primi alla religione, guai alla Terra!

Ora, se così dico anche per quelle religioni che sono impure, alcune venute per rivelazioni parziali ad un saggio, altre dal bisogno istintivo dell’uomo di crearsi una fede per dare pascolo all’anima di amare un dio -essendo questo bisogno lo stimolo più forte dell’uomo, lo stato permanente di ricerca di Colui che è, voluti dallo spirito anche se l’intelletto superbo nega ossequio a qualsiasi dio, anche se l’uomo, ignorando l’anima, non sa dare nome a questo bisogno che entro lui si agita- che dovrò dire per questa che Io vi ho data, per questa che porta il mio Nome, per questa della quale Io vi ho creati pontefici e sacerdoti, per questa che vi ordino di propagare per tutta la Terra?

Per questa unica, vera, perfetta, immutabile nella Dottrina insegnata da Me, Maestro, completata dall’insegnamento continuo di Colui che verrà, lo Spirito Santo, Guida Santissima. ai miei Pontefici e a quelli che li aiuteranno, capi secondi nelle diverse Chiese create nelle diverse regioni dove si affermerà la mia Parola.

Le quali Chiese non saranno, per essere diverse in numero, diverse in pensiero, ma saranno una sola cosa con la Chiesa, formando delle loro singole parti il grande edificio, sempre più grande, il grande, nuovo Tempio che coi suoi padiglioni toccherà tutti i confini del mondo. Non diverse nel pensiero, né contrastanti fra loro, ma munite, fraterne le une alle altre, soggette tutte al Capo della Chiesa, a Pietro e ai successori di lui, sino alla fine dei secoli.

E quelle che, per qualsiasi motivo, si separassero dalla Chiesa Madre, sarebbero membra recise non più nutrite dal mistico Sangue che è Grazia che da Me, Capo divino della Chiesa, viene. Simili a figli prodighi, separati per il loro volere dalla casa paterna, starebbero, nella loro effimera ricchezza e costante e sempre più grave miseria, ad ottundersi coi cibi e i vini troppo pesanti l’intelletto spirituale, e poscia a languire mangiando le ghiande amare degli animali immondi sinché, con cuore contrito, non tornassero alla casa paterna dicendo: “Abbiamo peccato. Padre, perdonaci e aprici le porte della tua dimora”.

E allora, sia che sia un membro di una Chiesa separata, o sia un’intera Chiesa -oh! così fosse, ma dove, quando sorgeranno tanti miei imitatori, atti a redimere queste intere Chiese separate, a costo della vita, per fare, per rifare un unico Ovile sotto un solo Pastore, così come Io desidero ardentemente?- allora, sia che sia uno singolo od una assemblea a quelli che tornano, aprite loro le porte.

Siate paterni. Pensate che tutti, per un’ora o per molte, forse per anni, foste, singolarmente, dei figli prodigi avvolti nella concupiscenza. Non siate duri a chi si pente. Ricordate! Ricordate! Molti di voi fuggiste, ventidue giorni da oggi. E il fuggire non era forse un’abiura all’amore vostro per Me? Or dunque, così come Io vi ho accolti appena, pentiti, tornaste a Me, così voi fate.

Tutto ciò che Io ho fatto, fate. Questo è il mio comando. Siete vissuti con Me per tre anni. Le mie opere, il mio pensiero, lo conoscete. Quando, in futuro, vi troverete di fronte ad un caso da decidere, volgete lo sguardo al tempo che foste con Me e comportatevi come Io mi sono comportato. Non sbaglierete mai. Io sono l’esempio vivo e perfetto di ciò che dovete fare.

E ricordate ancora che Io non ho rifiutato Me stesso allo stesso Giuda di Keriot… il Sacerdote deve, con tutti i mezzi, cercare di salvare. E predomini l’amore, sempre, fra i mezzi usati per salvare. Pensate che Io non ignoravo l’orrore di Giuda… Ma ho, superando ogni ripugnanza, trattato il meschino come ho trattato Giovanni.

A voi… a voi sarà sovente risparmiata l’amarezza del conoscere che tutto è inutile per salvare un discepolo amato… E potrete perciò operare senza la stanchezza che prende quando si sa che tutto è inutile… Si deve lavorare anche allora… sempre… sinché tutto è compiuto…».

«Ma Tu soffri, Signore!?! Oh! io non credevo Tu potessi soffrire più! Tu soffri per Giuda, ancora! Dimenticalo, Signore!», grida Giovanni che non torce per un attimo gli sguardi dal suo Signore.

Gesù apre le braccia, nel suo abituale atto di rassegnata conferma ad un fatto penoso, e dice: «Così è… Giuda è stato ed è il dolore più grande nel mare dei miei dolori. È il dolore che resta… Gli altri dolori sono finiti col finire del Sacrificio. Ma questo resta. L’ho amato. Ho consumato Me stesso nello sforzo di salvarlo… Ho potuto aprire le porte del Limbo e trarne i giusti, ho potuto aprire le porte del Purgatorio e trarne i purganti. Ma il luogo d’orrore era chiuso su lui. Per lui inutile il mio morire».

«Non soffrire! Non soffrire! Sei glorioso, Signor mio! A Te la gloria e il gaudio. Tu hai consumato il tuo dolore!», prega ancora Giovanni.

«Veramente nessuno pensava che Egli potesse soffrire ancora!», dicono tutti, stupiti e commossi, bisbigliando fra loro.

«E non pensate di quanto dolore dovrà ancora soffrire il mio Cuore nei secoli, per ogni peccatore impenitente, per ogni eresia che mi nega, per ogni credente che mi abiura, per ogni -strazio negli strazi- per ogni Sacerdote colpevole, causa di scandalo e rovina?

Voi non sapete! Non sapete ancora. Non saprete mai completamente sinché non sarete con Me nella luce dei Cieli. Allora comprenderete… Nel contemplare Giuda, Io ho contemplato gli eletti ai quali l’elezione si muta in rovina per la loro perversa volontà…

Oh! voi che siete fedeli, voi che formerete i Sacerdoti futuri, ricordate il mio dolore, formatevi sempre più santi per consolare il mio dolore, formateli santi perché, per quanto è possibile, non si ripeta questo dolore, esortate, vegliate, insegnate, combattete, siate attenti come madri, instancabili come maestri, vigili come pastori, virili come guerrieri, per sostenere i Sacerdoti che da voi verranno formati.

La colpa del dodicesimo apostolo, fate, oh! fate che non abbia troppe ripetizioni in futuro…

Siate come Io fui con voi, come Io sono con voi. Vi ho detto: ”Siate perfetti come il Padre dei Cieli”. E la vostra umanità trema davanti a tal comando. Ora più ancora di quando ve lo dissi. Perché ora conoscete la vostra debolezza. Ebbene, per rincuorarvi vi dirò: “Siate come il vostro Maestro”.

Io sono l’Uomo. Ciò che Io ho fatto voi potete fare. Anche i miracoli. Sì. Anche quelli. Perché il mondo conosca che sono Io che vi mando, e chi soffre non pianga nello sconforto del pensiero: “Egli non è più fra noi a curare i nostri malati e a consolare i nostri dolori”.

In questi giorni Io ho fatto miracoli per consolare i cuori e persuaderli che il Cristo non è distrutto perché fu messo a morte, ma anzi è più forte, eternamente forte e potente. Ma, quando Io non sarò più fra voi, voi farete ciò che Io ho fatto sin qui e che farò ancora. Però non tanto per il potere del miracolo, ma per la vostra santità crescerà l’amore alla nuova Religione. E della vostra santità, non del dono che Io vi trasmetto, dovete esser gelosamente attenti. Più sarete santi e più sarete cari al mio Cuore, e lo Spirito di Dio vi illuminerà, mentre la Bontà di Dio e la sua Potenza farà colme le vostre mani dei doni del Cielo.

Il miracolo non è atto comune e indispensabile per la vita nella fede. Anzi! Beati quelli che sapranno rimanere nella fede senza mezzi straordinari ad aiuto nel credere! Però neppure il miracolo è un atto così esclusivamente riserbato a tempi speciali che debba cessare col cessare di essi. Il miracolo sarà nel mondo. Sempre. E sempre più numeroso più saranno numerosi i giusti nel mondo. Quando si vedranno farsi molto scarsi i miracoli veri, si dica allora che la fede e la giustizia sono languenti.

Perché ho detto: “Se avrete Fede potrete smuovere le montagne”.

Perché ho detto: “I segni che accompagneranno coloro che hanno vera Fede in Me saranno la vittoria sui demoni e sulle malattie, sugli elementi e le insidie”.

Dio è con chi Lo ama.

Segno di come i miei fedeli saranno in Me sarà il numero e la forza dei prodigi che faranno in Nome mio e per glorificare Iddio. Ad un mondo senza miracoli veri si potrà, senza far calunnia, dire: “Hai perduto fede e giustizia. Sei un mondo senza santi”.

Dunque, per tornare al principio, avete fatto bene a cercare di trattenere quelli che, simili a bambini sedotti da un rumore di musiche o da un luccichio strano, corrono svagati lontano dalle cose sicure. Ma vedete? Essi hanno il loro castigo perché perdono la mia parola. Però anche voi avete avuto il vostro torto. Vi siete ricordati che ho detto di non correre qua e là ad ogni voce che mi dicesse in un luogo. Ma non vi siete ricordati che Io ho anche detto che, nella seconda venuta, il Cristo sarà simile ad un lampo che esce da levante e guizza fino a ponente, in tempo meno lungo del battere di una palpebra. Or questa seconda venuta si è iniziata dal momento della mia Risurrezione. Essa culminerà nella apparizione del Cristo Giudice a tutti i risorti.

Ma prima, quante volte Io apparirò per convertire, per guarire, per consolare, insegnare, dare ordini!

In verità vi dico: Io sto per tornare al Padre mio. Ma la Terra non perderà la mia Presenza. Io sarò, vigile e amico, Maestro e Medico là dove corpi od anime, peccatori o santi avranno bisogno di Me o saranno eletti da Me a trasmettere le mie parole ad altri. Perché -anche questa è verità- perché l’Umanità avrà bisogno di un continuo atto di amore da parte mia, essendo tanto dura a piegarsi, facile a raffreddarsi, pronta a dimenticare, desiderosa di seguire la discesa invece della salita, che se Io non la trattenessi con i mezzi soprannaturali non gioverebbero la legge, il Vangelo, gli aiuti divini che la mia Chiesa amministrerà, a conservare l’Umanità nella conoscenza della Verità e nella volontà di raggiungere il Cielo. E parlo dell’Umanità di Me credente… Sempre poca rispetto alla grande massa degli abitanti della Terra.

Io verrò. Chi mi avrà resti umile. Chi non mi avrà non sia ingordo di avermi per averne lode. Nessuno desideri lo straordinario. Sa Dio quando e dove farlo. Né è necessario avere lo straordinario per entrare nei Cieli. Esso è anzi un’arma che, male usata, può aprire l’inferno anziché il Cielo.

Ed or vi dirò come. Perché la superbia può sorgere. Perché può venire uno stato di spirito abbietto a Dio, perché simile a torpore in cui uno si accomodi per carezzare il tesoro avuto, riputandosi già in Cielo perché avuto quel dono. No. In quel caso, in luogo di fiamma e ala, esso diviene gelo e macigno, e l’anima precipita e muore.

E anche: un dono mal usato può suscitare avidità di averne più ancora per averne più lode. Allora, in questo caso, potrebbe al Signore sostituirsi lo Spirito del Male per sedurre gli imprudenti con prodigi impuri.

State sempre lontano dalle seduzioni d’ogni specie. Fuggitele. State contenti di ciò che Dio vi concede. Egli sa ciò che vi è utile e in quale maniera. E sempre pensate che ogni dono è una prova oltre che un dono, una prova della vostra giustizia e volontà. Io ho dato a voi tutti le stesse cose. Ma ciò che fece migliori voi rovinò Giuda. Era dunque un male il dono? No. Ma maligna era la volontà di quello spirito…

Così ora. Io sono apparso a molti. Non solo per consolare e beneficare, ma per farvi contenti. Voi me ne avevate pregato di persuadere il popolo, che quelli del Sinedrio tentano di persuadere al loro pensiero, che Io sono risorto. Sono apparso a fanciulli e ad adulti, nello stesso giorno, in punti così distanti fra loro che occorrerebbero molti giorni di cammino a raggiungerli. Ma per Me non c’è più la schiavitù delle distanze. E questo apparire simultaneo ha disorientato voi pure.

Vi siete detti: “Costoro hanno visto fantasmi”. Voi dunque avete dimenticato una parte delle mie parole, ossia che Io sarò d’ora in poi a oriente e occidente, a settentrione e mezzogiorno, dove troverò giusto essere, senza che nulla me lo vieti, e rapidamente come folgore che solca il cielo.

Sono vero Uomo. Ecco le mie membra e il mio Corpo solido, caldo, capace di moto, respiro, parola come il vostro. Ma sono vero Dio. E, se per trentatré anni la Divinità fu, per un fine supremo, nascosta nella Umanità, ora la Divinità, sebbene congiunta all’Umanità, ha preso il sopravvento, e l’Umanità gode della libertà perfetta dei corpi glorificati. Regina con la Divinità non più soggetta a tutto quanto è limitazione all’Umanità. Eccomi. Sono qui con voi e potrei, se volessi, essere fra un istante ai confini del mondo per attrarre a Me uno spirito che mi ricerca.

E che frutto avrà questo mio essere stato presso Cesarea marittima e nell’altra Cesarea, come al Carit e a Engaddi, e presso Pella e a Jutta e in altri luoghi di Giudea, e a Bozra e sul grande Ermon, e a Sidone e ai confini galilei? E che, aver guarito un fanciullo e risuscitato uno da poco spirato, e confortato un’angoscia, e chiamato al servizio mio uno che si era macerato in dura penitenza e a Dio un giusto che me ne aveva fatto preghiera, e dato il mio messaggio a degli innocenti e i miei ordini ad un cuore fedele?

Persuaderà questo il mondo? No. Coloro che credono continueranno a credere, con più pace ma non con maggior forza, perché già sapevano veramente credere. Coloro che non seppero credere con vera fede resteranno dubitosi, e i malvagi diranno che sono deliri e menzogne le apparizioni, e che il morto non era morto ma dormiente…

Vi ricordate quando vi dissi la parabola del ricco Epulone? Ho detto che Abramo rispose al dannato: «Se non ascoltano Mosè e i profeti non crederanno nemmeno ad uno che risusciti dai morti per dir loro ciò che devono fare”. Hanno forse creduto a Me, Maestro, e ai miei miracoli? Che ha ottenuto il miracolo di Lazzaro? La mia affrettata condanna. Che la mia risurrezione? Un aumento del loro odio.

Anche i miei miracoli di questo ultimo mio tempo fra voi non persuaderanno il mondo, ma unicamente quelli che non sono più del mondo, avendo scelto il Regno di Dio con le sue fatiche e pene attuali e la sua gloria futura.

Ma ho piacere che voi siate stati confermati nella fede e che siate stati fedeli al mio ordine, rimanendo su questo monte in attesa, senza avere frette umane di godere cose anche buone ma diverse da quelle che vi avevo indicate.

La disubbidienza dà un decimo e leva nove decimi. Essi sono andati e sentiranno parole d’uomini, sempre quelle. Voi siete rimasti e avete sentito la mia Parola che, anche se ricorda cose già dette, sempre buona e utile. La lezione servirà di esempio a voi tutti, e anche a loro, per il futuro»…

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

DOMENICA DI PENTECOSTE ANNO B

Quando verrà lui, lo Spirito della verità,
vi guiderà a tutta la verità.
541488_577099022322541_573449898_n

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 15,26-27;16,12-15)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.
Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà». Parola del Signore.

Sequenza
Vieni, Santo Spirito,
manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce.

Vieni, padre dei poveri,
vieni, datore dei doni,
vieni, luce dei cuori.

Consolatore perfetto,
ospite dolce dell’anima,
dolcissimo sollievo.

Nella fatica, riposo,
nella calura, riparo,
nel pianto, conforto.

O luce beatissima,
invadi nell’intimo
il cuore dei tuoi fedeli.

Senza la tua forza,
nulla è nell’uomo,
nulla senza colpa.

Lava ciò che è sórdido,
bagna ciò che è árido,
sana ciò che sánguina.

Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
drizza ciò che è sviato.

Dona ai tuoi fedeli,
che solo in te confidano
i tuoi santi doni.

Dona virtù e premio,
dona morte santa,
dona gioia eterna.

RIFLESSIONI

«Se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gl 5,25). Il nostro vivere è un camminare. Non c’è camminare senza prendere iniziativa. Prendere iniziativa è lo stesso che dire: «voglio essere libero di scegliere cosa fare e verso dove andare». La festa della Pentecoste è la festa della libertà. Ma quale libertà?
Il nostro vivere quotidiano è determinato dalla due tipi di azioni: attività o passività.
Per vivere la festa della Pentecoste come festa della libertà siamo chiamati a privilegiare la passività sull’attività.
Il nostro vivere quotidiano è una relazione continua del nostro corpo vivente, cosciente e incosciente, con le cose e le persone che ci circondano, con il mondo della nostra vita.
Se privilegiamo l’attività, il nostro sguardo verso le persone e cose, con cui veniamo a con-tatto ogni giorno, rischia di essere consumato e usato per soddisfare «le nostre passioni e desideri», perché in gioco ci sono la difesa del nostro io, («la carne»), e la vittoria della nostra sopravvivenza in questo mondo, di fronte alle invadenze degli altri e alle sfide dei nostri obiettivi, piccoli e grandi, da conquistare e dominare. Così viviamo di attivismo, condizionati fortemente dalla nostra società che esalta la nostra autonomia incondizionata e ci costringe a correre da mattina a sera senza mai fermarci, prendendo e dominando cose, selezionando e classificando gli altri conforme il nostro esclusivo punto di vista. E quando le situazioni di separazione e sofferenza ci vengono addosso come problemi difficili da gestire, ci sentiamo oppressi, soffocati, impotenti, ribellati contro Dio e il mondo. Quante volte abbiamo la sensazione di non farcela da soli, pur avendo dato fiducia esclusivamente alla nostra capacità di prendere iniziativa.
Ma se privilegiamo la passività, il nostro sguardo verso le stesse persone e cose, con cui veniamo a con-tatto ogni giorno, diventa uno sguardo di accoglienza, uno sguardo soprattutto di ascolto e meno di tatto. Dall’ascolto della realtà, i nostri occhi si aprono ad uno sguardo nuovo perché ogni cosa, ogni persona si possono rivelare senza essere aggredite dal nostro giudizio selettivo e discriminante. L’azione più bella della passività è la preghiera fatta nel silenzio, nell’ascolto della parola di Dio, nell’attesa che la vita, la nostra storia ci parli.
Non dimentichiamo che l’evento di Pentecoste, raccontato nel libro degli Atti degli Apostoli, avvenne in un contesto di preghiera, di ascolto, di passività di Maria e dei discepoli di Gesù.
Incredibilmente si potrebbe dire che, nella passività dell’ascolto e dell’accoglienza, tutte le cose e le persone, tutte le situazioni, belle e brutte, sostenibili e insostenibili, possono rivelare la bellezza del tutto è dono.
Tutto è misteriosamente Cristificato, se crediamo nella risurrezione del Figlio di Dio. La Trinità Santa, in Cristo, è segnata per sempre dalla storia dell’umanità, nel bene e nel male.
Nel male delle situazioni assurde di ingiustizia, di morte, separazione, perdita e lutto provocate dall’egoismo umano e dalla fragilità della nostra condizione fisica, c’è la presenza dello Spirito Santo in passività, in attesa pazientissima di essere scoperto dall’uomo chiuso in se stesso, o inconsolato per non accettare il limite radicale della sua condizione umana, perché Dio rispetta profondamente la nostra libertà.
Nel bene delle situazioni c’è la presenza dello Spirito Santo in attività, che agisce con tutta la sua forza di liberazione e di vita eterna. Questa presenza misteriosa di Cristo in tutte le cose e persone è lo Spirito Santo vento e fuoco.
Il forte vento scombussola, mette tutto in disordine. Nella passività della preghiera di silenzio e ascolto, possiamo contemplare la presenza di Cristo anche nelle situazioni di crisi che attraversiamo nella vita, in quelle situazioni che scombussolano la vita, c’è il vento forte dello Spirito di Cristo. Anche una crisi profonda della vita può diventare rivelatrice di un senso, che magari non riusciamo a comprendere fino in fondo mentre siamo nella tempesta, mentre il vento soffia forte e mette tutto in disordine, ma possiamo sentire una presenza, senza comprenderla, senza dominarla, come il vento che soffia dove vuole ed è imprendibile, ma c’è!.
Il fuoco riscalda, illumina, consola, nella fase di serenità della vita, ma al tempo stesso brucia, purifica, nell’ora della prova, ma in ogni situazione c’è, perché il Cristo risorto è sempre con noi, in ogni fase del nostro esistere, nel dolore e nella gioia, nell’unità e nel conflitto, nel bene e nel male. È il signore della vita e della morte.
Nella passività dell’ascolto e dell’accoglienza scopriamo allora che non esiste solo la nostra libertà, non esiste solo ed esclusivamente il nostro prendere iniziativa, non c’è solo la nostra autonomia incondizionata. Esiste anche il prendere iniziativa di Dio Padre, per mezzo del Figlio, presente nel mondo come Spirito Santo, Spirito di Amore.
Tra le due iniziative, quella umana e quella divina, tra le due libertà in azione, (nel silenzio della preghiera e nell’ascolto della parola di Dio) ci rendiamo conto che prevale sempre quella divina perché ci ha preceduto e ci precede sempre: siamo già amati e salvati, così come siamo, qui ed ora, nella nostra condizione di fragilità e di peccatori. È già stata fatta la scelta di Dio Padre, per mezzo del Figlio Gesù Cristo, morto e risuscitato, di venire incontro alla nostra fragilità umana di egoismo e di limite, per la nostra salvezza e la nostra liberazione, con il dono dello Spirito Santo, già presente in ciascuno di noi.
Senza la scoperta di questa presenza divina in noi, che attende in passiva pazienza, tendiamo a far prevalere l’attivismo. Quando siamo presi dall’attivismo frenetico delle nostre azioni, senza soste di silenzio e contemplazione, siamo esposti al grande rischio di diventare potenziali promotori di fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere» (Gl 5,19-21).
Che libertà è questa, se ci può schiavizzare e schiavizza gli altri?
Che libertà è questa se usiamo e gettiamo le cose della creazione, che non ci appartengono, senza rispetto?
Nella passività dell’ascolto e dell’accoglienza, nel prenderci cura della preghiera del silenzio, scopriamo allora che la festa della vera libertà consiste nella scelta libera di ciascuno di noi di far coincidere il più possibile il nostro prendere iniziativa con l’iniziativa divina, che attende di essere accolta.
Il solo passo di lasciarci consegnare allo Spirito Santo, di lasciare che riempia i vuoti dei nostri sbagli e del vaso di terracotta della nostra fragile esistenza, fatta di relazioni unitive e separative, ci può fare sentire, senza merito nostro, la bellezza di: «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé» (Gl 5, 22-23a).
Certo, dobbiamo fare le nostre attività, dobbiamo agire tra mille impegni quotidiani di casa, lavoro, scuola, sport.
Ma la nostra attività, segnata dalla passività del silenzio, potrà diventare «testimonianza» della verità della signoria di Cristo risorto nella nostra vita e nel mondo.
Ciascuno di noi potrà dire con San Paolo: «Vivo, ma non più io, ma vive in me Cristo» (Gl 2,20a)
Si, perché il nostro agire di sempre sarà accompagnato dall’agire divino in noi, dallo «Spirito di verità» che ci permetterà di testimoniare in modo creativo la maniera di incarnare la verità del Vangelo di Cristo nelle situazioni della nostra vita e della nostra storia, belle e drammatiche.
Non sarà facile far prevalere la passività sull’attività, non sarà sempre scontata la nostra consegna all’iniziativa divina, la vita è una lotta in cui spesso «non facciamo quello che vogliamo» (Gl 5, 17b).
Ma la fedeltà dell’Amore di Dio, di fronte ai nostri dietro front è garanzia che lo Spirito Santo in noi è «Paraclito» cioè avvocato, difensore, consolatore. Non siamo mai soli, ma siamo felicemente e fedelmente accompagnati nelle sfide della vita e nella fatica di ricominciare dopo ogni nostra caduta.

https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/v/t1.0-9/33132466_898558456983767_740079520014401536_n.jpg?_nc_cat=0&oh=6649e6ee4904b66dddf61fc6995f4744&oe=5B943008

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta. Volume 10 – Capitolo 640

Non ci sono voci e rumori nella casa del Cenacolo. Non c’è presenza di discepoli, almeno io non sento nulla che mi autorizzi a dire che in altri ambienti della casa siano raccolte delle persone. Ci sono soltanto la presenza e le voci dei Dodici e di Maria Santissima, raccolti nella sala della Cena.

Sembra più ampia la stanza, perché le suppellettili, messe diversamente, lasciano libero tutto il centro della stanza e anche due delle pareti. Contro la terza è spinto il tavolone usato per la Cena, e fra esso e il muro, e anche ai due dei lati più stretti del tavolo, sono messi i sedili-lettucci usati per la Cena e lo sgabello usato da Gesù per la lavanda dei piedi. Però non sono, questi lettucci, messi verticalmente alla tavola, come per la Cena, ma parallelamente, di modo che gli Apostoli possono stare seduti senza occuparli tutti, pur lasciando un sedile, l’unico messo verticale rispetto alla tavola, tutto per la Vergine benedetta, che è al centro della tavola, al posto che nella Cena occupava Gesù.

La tavola è nuda di tovaglie e stoviglie, nude le credenze, denudati i muri dei loro ornamenti. Solo il lampadario arde al centro, ma con la sola fiamma centrale accesa; l’altro giro di fiammelle che fanno da corolla al bizzarro lampadario sono spente.

Le finestre sono chiuse e sbarrate dalla pesante sbarra di ferro che le traversa. Ma un raggio di sole si infiltra baldanzoso da un forellino e scende come un ago lungo e sottile sino al pavimento, dove mette un occhiolino di sole.

La Vergine, seduta sola sul suo sedile, ha ai lati, sui lettucci, Pietro e Giovanni: alla destra Pietro, alla sinistra Giovanni. Mattia, il novello Apostolo, è tra Giacomo d’Alfeo e il Taddeo. Davanti a Lei, la Madonna ha un cofano largo e basso di legno scuro, chiuso. Maria è vestita di azzurro cupo. Ha sui capelli il velo bianco e sopra questo il lembo del suo manto. Gli altri sono tutti a capo scoperto.

Maria legge lentamente a voce alta. Ma, per la poca luce che giunge sin là, io credo che più che leggere Ella ripeta a memoria le parole scritte sul rotolo che Ella tiene spiegato. Gli altri La seguono in silenzio, meditando. Ogni tanto rispondono se ne è il caso.

Maria ha il viso trasfigurato da un sorriso estatico. Chissà cosa vede di così capace da accenderle gli occhi, come due stelle chiare, e da arrossarle le guance d’avorio, come se su Lei si riflettesse una fiamma rosata? È veramente la mistica Rosa…

Gli Apostoli si sporgono in avanti, stando un poco per sbieco, per vederla in viso mentre così dolcemente sorride e legge, e pare la sua voce un canto d’Angelo. E Pietro se ne commuove tanto che due lucciconi gli cascano dagli occhi e per un sentiero di rughe, incise ai lati del suo naso, scendono a perdersi nel cespuglio della barba brizzolata. Ma Giovanni riflette il sorriso verginale e si accende come Lei di amore, mentre segue col suo sguardo ciò che la Vergine legge sul rotolo e, quando Le porge un nuovo rotolo, La guarda e sorride.

La lettura è finita. Cessa la voce di Maria. Cessa il fruscio delle pergamene svolte e avvolte. Maria si raccoglie in orazione segreta, congiungendo le mani sul petto e appoggiando il capo contro il cofano. Gli Apostoli La imitano…

Un rombo fortissimo e armonico, che ha del vento e dell’arpa, che ha del canto umano e della voce di un organo perfetto, risuona improvviso nel silenzio del mattino. Si avvicina, sempre più armonico e più forte, ed empie delle sue vibrazioni la Terra, le propaga e imprime alla casa, alle pareti, alle suppellettili. La fiamma del lampadario, sino allora immobile nella pace della stanza chiusa, palpita come se un vento l’investisse, e le catenelle della lumiera tintinnano vibrando sotto l’onda di suono soprannaturale che le investe.

Gli Apostoli alzano il capo sbigottiti e, come quel fragore bellissimo, in cui sono tutte le note più belle che Dio abbia dato ai Cieli e alla Terra, si fa sempre più vicino, alcuni si alzano pronti a fuggire, altri si rannicchiano al suolo coprendosi il capo con le mani e il manto, o battendosi il petto domandando perdono al Signore, altri ancora si stringono a Maria, troppo spaventati per conservare quel ritegno verso la Purissima che hanno sempre.

Solo Giovanni non si spaventa, perché vede la pace luminosa di gioia che si accentua sul volto di Maria, che alza il capo sorridendo ad una cosa nota a Lei sola e che poi scivola in ginocchio aprendo le braccia, e le due ali azzurre del suo manto così aperto si stendono su Pietro e Giovanni, che l’hanno imitata inginocchiandosi.

Ma tutto ciò, che io ho tenuto minuti a descrivere, si è fatto in men di un minuto.

E poi ecco la Luce, il Fuoco, lo Spirito Santo, entrare, con un ultimo fragore melodico, in forma di globo lucentissimo, ardentissimo, nella stanza chiusa, senza che porta o finestra sia mossa, e rimanere librato per un attimo sul capo di Maria, a un tre palmi dalla sua testa, che ora è scoperta, perché Maria, vedendo il Fuoco Paraclito, ha alzato le braccia come per invocarlo e gettato indietro il capo con un grido di gioia, con un sorriso d’amore senza confini.

E dopo quell’attimo in cui tutto il Fuoco dello Spirito Santo, tutto l’Amore è raccolto sulla sua Sposa, il Globo Santissimo si scinde in tredici fiamme canore e lucentissime, di una luce che nessun paragone terreno può descrivere, e scende a baciare la fronte di ogni Apostolo.

Ma la fiamma che scende su Maria non è una lingua di fiamma dritta sulla fronte che bacia, ma è una corona che abbraccia e cinge come un serto il capo verginale, incoronando Regina la Figlia, la Madre, la Sposa di Dio, l’incorruttibile Vergine, la Tutta Bella, l’eterna Amata e l’eterna Fanciulla che nulla cosa può avvilire e in nulla, Colei che il dolore aveva invecchiata ma che è risorta nella gioia della Risurrezione, avendo in comune col Figlio un accentuarsi di bellezza e di freschezza di carni, di sguardi, di vitalità… avendone già un anticipo della bellezza del suo glorioso Corpo assunto al Cielo ad essere il fiore del Paradiso.

Lo Spirito Santo rutila le sue fiamme intorno al capo dell’Amata. Quali parole Le dirà? Mistero!

Il viso benedetto è trasfigurato di gioia soprannaturale e ride del sorriso dei Serafini, mentre delle lacrime beate sembrano diamanti giù per le gote della Benedetta, percosse come sono dalla luce dello Spirito Santo.

Il Fuoco rimane così per qualche tempo… E poi si dilegua… Della sua discesa resta a ricordo una fragranza che nessun terrestre fiore può sprigionare… Il profumo del Paradiso…

Gli Apostoli tornano in loro stessi… Maria resta nella sua estasi. Soltanto si raccoglie le braccia sul petto, chiude gli occhi, abbassa il capo… Continua il suo colloquio con Dio… insensibile a tutto… Nessuno osa turbarla.

Giovanni, accennandola, dice: «È l’Altare. E sulla sua gloria si è posata la Gloria del Signore…».

«Sì. Non turbiamo la sua gioia. Ma andiamo a predicare il Signore e siano manifeste le sue opere e le sue parole fra i popoli», dice Pietro con soprannaturale impulsività.

«Andiamo! Andiamo! Lo Spirito di Dio arde in me», dice Giacomo d’Alfeo.

«E ci sprona ad agire. Tutti. Andiamo ad evangelizzare le genti».

Escono, come fossero spinti o attratti da un vento o da una forza gagliarda…

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

Domenica 13 maggio 2018 Ascensione del Signore

Perché fissate nel cielo lo sguardo?
Come l’avete visto salire al cielo, così il Signore ritornerà”. Alleluia. (At 1,11)

https://francisxaviersamsen.files.wordpress.com/2014/05/th-2.jpg

Andate in tutto il mondo
e proclamate il Vangelo a ogni creatura.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 16,15-20.

Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio Nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in Cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano.

 

 Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

Volume 10 – Capitolo 638

 

Gesù -è appena un rosare di aurora ad oriente- passeggia con sua Madre  per le balze del Getsemani. Non vi sono parole, solo sguardi d’indicibile amore. Forse le parole sono già state dette. Forse non sono mai state dette. Hanno parlato le due anime: quella del Cristo, quella della Madre del Cristo. Ora è contemplazione d’amore, reciproca contemplazione. La conosce la natura rugiadosa, la pura luce del mattino, la conoscono le gentili creature di Dio che sono le erbe, i fiori, gli uccelli, le farfalle. Gli uomini sono assenti.

Io mi sento persino a disagio ad esser presente a questo addio. «Signore, io non ne sono degna!», esclamo fra le lacrime che mi cadono, mirando l’ultima ora di unione terrena fra la Madre e il Figlio e pensando che siamo giunti al termine della amorosa fatica, tanto Gesù, che Maria, che il povero, piccolo indegno fanciullo che Gesù ha voluto testimone di tutto il tempo messianico e che ha nome Maria, ma che Gesù ama chiamare «il piccolo Giovanni», o anche la «violetta della Croce».

L’aurora è sorta completamente. Già il sole è alto e gli apostoli fanno sentire le loro voci. È un segnale per Gesù e Maria. Si fermano. Si guardano, l’Uno di fronte all’Altra, e poi Gesù apre le braccia e accoglie sul petto sua Madre… Oh! era ben un Uomo, un Figlio di Donna! Per crederlo basta guardare questo addio! L’amore trabocca in pioggia di baci sulla Madre amatissima. L’amore copre di baci il Figlio amatissimo. Sembra non si possano più separare. Quando pare che stiano per farlo, un altro abbraccio li unisce ancora, e fra i baci parole di reciproca benedizione… Oh! è proprio il Figlio dell’Uomo che lascia Colei che Lo ha generato! È proprio la Madre che congeda, per renderla al Padre, la sua Creatura, il Pegno dell’Amore alla Purissima… Dio che bacia la Madre di Dio!…

Infine la Donna, come creatura, si inginocchia ai piedi del suo Dio, che è pur suo Figlio, e il Figlio, che è Dio, impone le mani sul capo della Madre Vergine, dell’eterna Amata, e la benedice nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e poi si china e la rialza, deponendole un ultimo bacio sulla fronte bianca come petalo di giglio sotto l’oro dei capelli così giovanili ancora…

Vanno di nuovo verso casa, e nessuno, vedendo con quale pacatezza procedono l’Uno a fianco dell’Altra, penserebbe a quell’onda di amore che li ha soverchiati poco prima. Ma quale differenza anche, in questo addio, dalla mestizia di altri addii ormai superati e dallo strazio dell’addio della Madre al Figlio ucciso che doveva essere lasciato solo nel Sepolcro!… In questo, se pure gli occhi sono lucidi del naturale pianto di chi si sta per separare dall’Amato, le labbra sorridono nella gioia di sapere che questo Amato va nella Dimora che alla sua Gloria si conviene…

«Signore! Là fuori sono, fra il monte e Betania, tutti quelli che Tu avevi detto a tua Madre di voler benedire oggi», dice Pietro.

«Va bene. Ora andremo da loro. Ma prima venite. Voglio dividere ancora con voi il pane».

Entrano nella stanza dove dieci giorni prima erano le donne per la cena del quattordicesimo giorno del secondo mese. Maria accompagna Gesù sino là, poi si ritira. Restano Gesù e gli undici.

Sulla tavola vi è della carne arrostita, formaggelli e ulive piccole e nere, una piccola anfora di vino e una più grande d’acqua e dei larghi pani. Tavola semplice, non apparecchiata per una cerimonia di lusso, ma solo per necessità di cibo.

Gesù offre e fa le parti. È al centro fra Pietro e Giacomo d’Alfeo. Li ha chiamati Lui a quei posti. Giovanni, Giuda d’Alfeo e Giacomo gli sono di fronte, e Tommaso, Filippo, Matteo a un lato, Andrea, Bartolomeo e lo Zelote sull’altro. Così tutti possono vedere il volto di Gesù… Pasto breve, silenzioso. Gli apostoli, giunti all’ultimo giorno di vicinanza con Gesù, e nonostante le successive apparizioni, collettive e singole, dalla Risurrezione in poi, tutte amore, non hanno mai più perduto quel venerabondo ritegno che ha caratterizzato i loro incontri con Gesù Risorto.

Il pasto è finito. Gesù apre le mani al di sopra della tavola, col suo atto abituale davanti ad un fatto ineluttabile, e dice:

«Ecco. È venuta l’ora che Io debbo lasciarvi per tornare al Padre mio. Ascoltate le ultime parole del vostro Maestro.

Non allontanatevi da Gerusalemme in questi giorni. Lazzaro, al quale ho parlato, ha provveduto una volta ancora a fare realtà i desideri del suo Maestro e cede a voi la casa dell’ultima Cena, perché abbiate una dimora nella quale raccogliere l’adunanza e raccogliervi in preghiera. State là dentro in questi giorni e pregate assiduamente per prepararvi alla venuta dello Spirito Santo, che vi completerà per la vostra missione. 

Ricordatevi che Io, che pure ero Dio, mi sono preparato con una severa penitenza al mio ministero di Evangelizzatore. Sempre più facile e sempre più breve sarà la vostra preparazione. Ma non esigo altro da voi.

Mi basta solo che preghiate assiduamente, in unione coi settantadue e sotto la guida di mia Madre, che vi raccomando con premura di Figlio. Ella vi sarà Madre e Maestra di amore e sapienza perfetta.

Avrei potuto mandarvi altrove per prepararvi a ricevere lo Spirito Santo, ma voglio invece che qui rimaniate, perché è Gerusalemme negatrice che deve stupire per la continuazione dei prodigi divini, dati a risposta delle sue negazioni. Dopo, lo Spirito Santo vi farà comprendere la necessità che la Chiesa sorga proprio in questa città che, giudicando umanamente, è la più indegna di averla. Ma Gerusalemme è sempre Gerusalemme, anche se il peccato la colma e se qui si è compiuto il deicidio. Nulla gioverà per essa. È condannata. Ma, se condannata essa è, non tutti condannati sono i suoi cittadini. State qui per i pochi giusti che essa ha nel suo seno, e state qui perché questa è la città regale e la città del Tempio, e perché, come è predetto dai profeti, qui, dove è stato unto e acclamato e innalzato il Re Messia, qui deve avere inizio il suo regno sul mondo, e qui ancora, dove da Dio ha libello di ripudio la sinagoga per i suoi troppo orrendi delitti, deve sorgere il Tempio nuovo al quale accorreranno genti d’ogni nazione.

Leggete i Profeti. In essi tutto è predetto. Mia Madre prima, poi lo Spirito Paraclito, vi faranno comprendere le parole dei Profeti per questo tempo.

Rimanete qui fino a quando Gerusalemme ripudierà voi come mi ha ripudiato e odierà la mia Chiesa come ha odiato Me, covando disegni per sterminarla. Allora portatela altrove, la sede di questa mia Chiesa diletta, perché essa non deve perire. Io ve lo dico: neppur l’inferno prevarrà su Essa. Ma, se Dio vi assicura la sua protezione, non tentate il Cielo esigendo tutto dal Cielo.

Andate in Efraim come vi andò il vostro Maestro perché non era l’ora di esser preso dai nemici. Vi dico Efraim per dirvi terra di idoli e di pagani.  Ma non sarà Efraim di Palestina che dovrete eleggere a sede della Chiesa mia. Ricordatevi quante volte, a voi uniti o a uno di voi singolarmente, ho parlato di questo, predicendovi che avreste dovuto calcare le vie della Terra per giungere al cuore di essa e là fissare la mia Chiesa. È dal cuore dell’uomo che il sangue si propaga per tutte le membra. È dal cuore del mondo che il Cristianesimo si deve propagare a tutta la Terra.

Per ora la mia Chiesa è simile a creatura già concepita ma che ancora si forma nella matrice. Gerusalemme è la sua matrice, e nel suo interno il cuore ancor piccolo, intorno al quale si radunano le poche membra della Chiesa nascente, dà le sue piccole onde di sangue a queste membra. Ma, giunta l’ora che Dio ha segnata, la matrice matrigna espellerà la creatura formatasi nel suo seno, ed essa andrà in una terra nuova, e là crescerà divenendo grande Corpo, esteso a tutta la Terra, e i battiti del forte cuore della Chiesa si propagheranno a tutto il gran Corpo.

I battiti del cuor della Chiesa, affrancatasi da ogni legame col Tempio, eterna vittoriosa sulle rovine del Tempio perito e distrutto, vivente nel cuore del mondo, a dire ad ebrei e gentili che Dio solo trionfa e vuole ciò che vuole, e che né livore di uomini né schiere di idoli arrestano il suo volere.

Ma questo verrà poi, e in quel tempo voi saprete cosa fare. Lo Spirito di Dio vi condurrà. Non temete. Per ora raccogliete in Gerusalemme la prima adunanza dei fedeli. Poi altre adunanze si formeranno più il numero di essi crescerà. In verità vi dico che i cittadini del mio Regno aumenteranno rapidamente come semi gettati in ottima terra. Il mio popolo si propagherà per tutta la Terra.

Il Signore dice al Signore: “Siccome Tu hai fatto questo e per Me non ti sei risparmiato, Io ti benedirò e moltiplicherò la tua stirpe come le stelle del cielo e come le arene che sono sul lido del mare. La tua progenie possederà la porta dei suoi nemici e nella tua progenie saranno benedette tutte le nazioni della Terra”. Benedizione è il mio Nome, il mio Segno e la mia Legge, là dove sono conosciuti sovrani.

Sta per venire lo Spirito Santo, il Santificatore, e voi ne sarete ripieni. Fate d’esser puri come tutto quello che deve avvicinare il Signore. Ero Signore Io pure come Esso. Ma avevo indossato sulla mia Divinità una veste per potere stare fra voi, e non solo per ammaestrarvi e redimervi con gli organi e il sangue di essa veste, ma anche per portare il Santo dei santi fra gli uomini, senza la sconvenienza che ogni uomo, anche impuro, potesse posare gli occhi su Colui che temono di mirare i Serafini.

Ma lo Spirito Santo verrà senza velo di carne e si poserà su voi e scenderà in voi coi suoi sette doni e vi consiglierà. Ora, il consiglio di Dio è cosa così sublime che occorre prepararsi ad esso con una volontà eroica di una perfezione che vi faccia somiglianti al Padre vostro e al vostro Gesù, e al vostro Gesù nei suoi rapporti col Padre e con lo Spirito Santo. Quindi, carità perfetta e purezza perfetta, per poter comprendere l’Amore e riceverlo sul trono del cuore.

Perdetevi nel gorgo della contemplazione. Sforzatevi di dimenticare che siete uomini e sforzatevi a mutarvi in serafini. Lanciatevi nella fornace, nelle fiamme della contemplazione. La contemplazione di Dio è simile a scintilla che scocca dall’urto della selce contro l’acciarino e suscita fuoco e luce. È purificazione il fuoco che consuma la materia opaca e sempre impura e la trasmuta in fiamma luminosa e pura.

Non avrete il Regno di Dio in voi se non avrete l’amore. Perché il Regno di Dio è l’amore, e appare con l’Amore, e per l’Amore si instaura nei vostri cuori in mezzo ai fulgori di una luce immensa che penetra e feconda, leva le ignoranze, dà le sapienze, divora l’uomo e crea il dio, figlio di Dio, il mio fratello, il re del trono che Dio ha preparato per coloro che si danno a Dio per avere Dio, Dio, Dio solo. Siate dunque puri e santi per l’orazione ardente che santifica l’uomo, perché lo immerge nel fuoco di Dio che è la carità.

Voi dovete essere santi. Non nel senso relativo che questa parola aveva sinora , ma nel senso assoluto che Io ho dato alla stessa proponendovi la santità del Signore per esempio e limite, ossia la santità perfetta. Fra noi è chiamato santo il Tempio, santo il luogo dove è l’altare, Santo dei santi il luogo velato dove è l’arca e il propiziatorio. Ma in verità vi dico che coloro che possiedono la Grazia e vivono in santità per amor del Signore sono più santi del Santo dei santi, perché Dio non si posa soltanto su essi, come sul propiziatorio che è nel Tempio per dare i suoi ordini, ma abita in essi per dare ad essi i suoi amori.

Ricordate le mie parole dell’ultima Cena? Vi avevo promesso allora lo Spirito Santo. Ecco, Egli sta per venire a battezzarvi non già con l’acqua, come ha fatto con voi Giovanni preparandovi a Me, ma col fuoco per prepararvi a servire il Signore così come Egli vuole da voi. Ecco, Egli sarà qui, di qui a non molti giorni. E dopo la sua venuta le vostre capacità aumenteranno senza misura, e voi sarete capaci di comprendere le parole del vostro Re e fare le opere che Egli vi ha detto di fare per estendere il suo Regno sulla Terra».

«Ricostruirai allora, dopo la venuta dello Spirito Santo, il Regno d’Israele?», gli chiedono interrompendolo.

«Non ci sarà più Regno d’Israele. Ma il mio Regno. Ed esso sarà compiuto quando il Padre ha detto. Non sta a voi di sapere i tempi e i momenti che il Padre si è riservato in suo potere. Ma voi, intanto, riceverete la virtù dello Spirito Santo che verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, in Giudea, e in Samarìa, e sino ai confini della Terra, fondando le adunanze là dove siano uomini riuniti nel mio Nome; battezzando le genti nel Nome SS. del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, così come vi ho detto, perché abbiano la Grazia e vivano nel Signore; predicando il Vangelo a tutte le creature, insegnando ciò che vi ho insegnato, facendo ciò che vi ho comandato di fare. Ed Io sarò con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo.

E questo voglio ancora. Che a presiedere l’adunanza di Gerusalemme sia Giacomo, fratello mio. Pietro, come capo di tutta la Chiesa, dovrà sovente intraprendere viaggi apostolici, perché tutti i neofiti desidereranno conoscere il Pontefice capo supremo della Chiesa. Ma grande sarà l’ascendente che sui fedeli di questa prima Chiesa avrà il fratello mio. Gli uomini sono sempre uomini e vedono da uomini. Parrà loro che Giacomo sia una continuazione di Me, solo perché è mio fratello (=cugino). In verità Io dico che più grande, e somigliante al Cristo, egli è per sapienza che per parentela. Ma così è. Gli uomini, che non mi cercavano mentre ero fra loro, ora cercheranno Me in colui che mi è parente. Tu, poi, Simon Pietro, sei destinato ad altri onori…».

«Che non merito, Signore. Te lo dissi quando mi apparisti e ancor te lo dico alla presenza di tutti. Tu sei buono, divinamente buono, oltreché sapiente, e giustamente hai giudicato me, che ti ho rinnegato in questa città, non adatto ad esserne il capo spirituale. Tu mi vuoi risparmiare da tanti giusti scherni…».

«Tutti fummo uguali meno due, Simone. Io pure sono fuggito. Non per questo, ma per le ragioni che ha detto, il Signore ha destinato me a questo posto; ma tu sei il mio Capo, Simone di Giona, ed io tale ti riconosco, e alla presenza del Signore e di tutti i compagni ti professo ubbidienza.  Ti darò ciò che posso per aiutarti nel tuo ministero, ma, te ne prego, dammi i tuoi ordini, perché tu sei il Capo ed io il suddito. Quando il Signore mi ha ricordato un discorso lontano, io ho chinato il capo dicendo: “Sia fatto ciò che Tu vuoi”. Così lo dirò a te dal momento che, avendoci lasciati il Signore, tu ne sarai il Rappresentante in Terra. E ci ameremo aiutandoci nel ministero sacerdotale», dice Giacomo inchinandosi dal suo posto per rendere omaggio a Pietro.

«Sì. Amatevi fra voi, aiutandovi scambievolmente, perché questo è il comandamento nuovo e il segno che voi siete veramente di Cristo.

Non turbatevi per nessuna ragione. Dio è con voi. Voi potete fare ciò che Io voglio da voi. Non vi imporrei delle cose che non potreste fare, perché non voglio la vostra rovina, ma anzi la vostra gioia. Ecco. Io vado a preparare il vostro posto a fianco del mio trono. State uniti a Me e al Padre nell’amore. Perdonate al mondo che vi odia. Chiamate figli e fratelli quelli che vengono a voi, o già sono con voi per amor mio.

State nella quiete di sapermi sempre pronto ad aiutarvi a portare la vostra croce. Io sarò con voi nelle fatiche del vostro ministero e nell’ora delle persecuzioni, e non perirete, non soccomberete, anche se ciò sembrerà a quelli che vedono con gli occhi del mondo. Sarete gravati, addolorati, stanchi, torturati, ma il mio gaudio sarà in voi, perché Io vi aiuterò in ogni cosa. In verità vi dico che, quando avrete ad Amico l’Amore, capirete che ogni cosa subita e vissuta per amor mio diviene leggera, anche se è tortura pesante del mondo. Perché a colui che riveste ogni sua azione, volontaria o impostagli, di amore, muta il giogo della vita e del mondo in giogo a lui dato da Dio, da Me. Ed Io vi ripeto che il mio carico è sempre proporzionato alle vostre forze e il mio giogo è leggero perché Io vi aiuto a portarlo.

Voi lo sapete che il mondo non sa amare. Ma voi d’ora in poi amate il mondo di amor soprannaturale, per insegnargli ad amare. E se vi diranno, vedendovi perseguitati: “Così vi ama Dio? Facendovi soffrire, dandovi dolore? Allora non merita conto esser di Dio”, rispondete: “Il dolore non viene da Dio. Ma Dio lo permette, e noi ne sappiamo la ragione e ci gloriamo di avere la parte che ebbe Gesù Salvatore, Figlio di Dio”.

Rispondete: ”Noi ci gloriamo di esser confitti alla croce e di continuare la Passione del nostro Gesù”. Rispondete con le parole della Sapienza: “La morte e il dolore sono entrati nel mondo per invidia del demonio, ma Dio non è autore della morte e del dolore e non gode del dolore dei viventi. Tutte le cose di Lui sono vita e tutte sono salutari”.

Rispondete: “Al presente noi sembriamo perseguitati e vinti, ma nel giorno di Dio, cambiate le sorti, noi giusti, perseguitati sulla Terra, staremo gloriosi davanti a coloro che ci vessarono e disprezzarono”. Però anche dite loro: “Venite a noi! Venite alla Vita e alla Pace. Il nostro Signore non vuole la vostra rovina, ma la salute vostra. Per questo ha dato il suo Figlio diletto, acciò voi tutti foste salvati”.

E rallegratevi di partecipare ai patimenti miei per poter poi essere con Me nella gloria. “Io sarò la vostra ricompensa oltremodo grande”, che promette in Abramo il Signore a tutti i suoi servi fedeli. Voi sapete come si conquista il Regno dei Cieli: con la forza, e vi si giunge attraverso a molte tribolazioni. Ma colui che persevera come Io ho perseverato sarà dove Io sono.

Io ve l’ho detto quale è la via e la porta che conducono nel Regno dei Cieli, e Io per primo ho camminato per quella e sono tornato al Padre per quella. Se ve ne fosse un’altra ve l’avrei insegnata, perché ho pietà della vostra debolezza d’uomini. Ma non ve ne è un’altra… Indicandovela come unica via e unica porta, anche vi dico, vi ripeto quale è la medicina che dà forza per percorrerla ed entrare. È l’amore. Sempre l’amore. Tutto diviene possibile quando in noi è l’amore. E tutto l’amore vi darà l’Amore che vi ama, se voi chiederete in Nome mio tanto amore da divenire atleti nella santità.

Ora diamoci il bacio d’addio, o amici miei dilettissimi» .

Si alza per abbracciarli. Tutti Lo imitano. Ma, mentre Gesù ha un sorriso pacifico, di una bellezza veramente divina, essi piangono, tutti turbati, e Giovanni, abbandonandosi sul petto di Gesù, scotendosi tutto nei singhiozzi che gli rompono il petto tanto sono laceranti, chiede, per tutti, intuendo il desiderio di tutti: «Dacci almeno il tuo Pane, che ci fortifichi in quest’ora!».

«Così sia!» gli risponde Gesù. E preso un pane lo spezza dopo averlo offerto e benedetto, ripetendo le parole rituali. E lo stesso fa con il vino, ripetendo poi: «Fate questo in memoria di Me», aggiungendo: «che vi ho lasciato questo pegno del mio amore per essere ancora e sempre con voi sinché voi sarete con Me in Cielo».

Li benedice e dice: «Ed ora andiamo».

Escono dalla stanza, dalla casa…

Giona, Maria e Marco sono lì fuori, e si inginocchiano adorando Gesù.

«La pace resti con voi. E vi compensi il Signore di quanto mi avete dato» dice Gesù benedicendoli nel passare.

Marco si alza dicendo: «Signore, gli uliveti lungo la via di Betania sono pieni di discepoli che ti attendono».

«Và a dire loro che si dirigano al campo dei Galilei».

Marco sfreccia via con tutta la velocità delle sue giovani gambe.

«Sono venuti tutti, allora» dicono gli apostoli fra loro.

Più là, seduta fra Marziam e Maria Cleofe, è la Madre del Signore. E si alza vedendolo venire, adorandolo con tutto il palpito del suo cuore di Madre e di fedele.

«Vieni, Madre, anche tu, Maria…» invita Gesù vedendole ferme, inchiodate dalla sua maestà che sfolgora come nel mattino della Risurrezione. Ma Gesù non vuole opprimere con questa sua maestà, e domanda, affabilmente, a Maria d’Alfeo: «Sei tu sola?».

«Le altre… le altre sono avanti… Coi pastori e… con Lazzaro e tutta la sua famiglia… Ma ci hanno lasciate qui noi, perché… Oh! Gesù! Gesù! Gesù!… Come farò a non vederti più, Gesù benedetto, Dio mio, io che ti ho amato prima ancor che fossi nato, io che ho tanto pianto per Te quando non sapevo dove eri dopo la strage… io che ho avuto il mio sole nel tuo sorriso da quando sei tornato, e tutto, tutto il mio bene?… Quanto bene! Quanto bene mi hai dato!… Ora sì che divento veramente povera, vedova, sola!… Finché c’eri Tu, c’era tutto!… Credevo di aver conosciuto tutto il dolore quella sera… Ma il dolore stesso, tutto quel dolore di quel giorno mi aveva inebetita e… sì, era meno forte di ora… E poi… c’era che risorgevi. Mi pareva di non crederlo, ma mi accorgo adesso che lo credevo, perché non sentivo questo che sento ora…», piange e ansima, tanto il pianto la soffoca.

«Maria buona, ti affliggi proprio come un bambino che crede che la madre non lo ami e l’abbia abbandonato, perché è andata in città per comperargli doni che lo faranno felice, e che presto sarà a lui di ritorno per coprirlo di carezze e di regali. E non faccio Io così con te? Non vado per prepararti la gioia? Non vado per tornare a dirti: “Vieni, parente e discepola diletta, madre dei miei diletti discepoli”? Non ti lascio il mio amore? Te lo dono il mio amore, Maria! Tu lo sai se ti amo!

Non piangere così, ma giubila, perché non mi vedrai più vilipeso e affaticato, non più inseguito e ricco solo dell’amore di pochi. E col mio amore ti lascio mia Madre. Giovanni le sarà figlio, ma tu siile buona sorella come sempre. Vedi? Ella non piange, la Madre mia. Ella sa che, se la nostalgia di Me sarà la lima che consumerà il suo Cuore, l’attesa sarà sempre breve rispetto alla grande gioia di una eternità di unione, e sa anche che non sarà questa separazione nostra così assoluta da farle dire: “Non ho più Figlio”. Quello era il grido di dolore del giorno del dolore. Ora nel suo Cuore canta la speranza: “Io so che mio Figlio sale al Padre, ma non mi lascerà senza i suoi spirituali amori”. Così credi tu, e tutti… Ecco gli altri e le altre. Ecco i miei pastori».

I volti di Lazzaro e delle sorelle framezzo a tutti i servi di Betania, il volto di Giovanna simile a rosa sotto un velo di pioggia, e quello di Elisa e di Niche, già segnati dall’età -e ora le rughe si approfondiscono per la pena, sempre pena per la creatura anche se l’anima giubila per il trionfo del Signore- e quello di Anastatica, e i volti liliali delle prime vergini, e l’ascetico volto di Isacco, e quello ispirato di Mattia, e il volto virile di Mannaen, e quelli austeri di Giuseppe e Nicodemo… Volti, volti, volti…

Gesù chiama a Sé i pastori, Lazzaro, Giuseppe, Nicodemo, Mannaen, Massimino e gli altri dei settantadue discepoli. Ma tiene vicino specialmente i pastori dicendo loro:

«Qui. Voi vicino al Signore che era venuto dal Cielo, curvi sul suo annichilimento, voi vicino al Signore che al Cielo ritorna, con gli spiriti gioenti della sua glorificazione. Avete meritato questo posto, perché avete saputo credere contro ogni circostanza in sfavore e avete saputo soffrire per la vostra fede. Io vi ringrazio del vostro amore fedele.

Tutti vi ringrazio. Tu, Lazzaro amico. Tu Giuseppe e tu Nicodemo, pietosi al Cristo quando esserlo poteva essere grande pericolo. Tu Mannaen, che hai saputo disprezzare i sozzi favori di un immondo per camminare nella mia via. Tu, Stefano, fiorita corona di giustizia, che hai lasciato l’imperfetto per il perfetto e sarai coronato di un serto che ancor non conosci ma che ti annunceranno gli Angeli. Tu Giovanni, per breve tempo fratello al seno purissimo e venuto alla Luce più che alla vista. Tu Nicolai, che proselite hai saputo consolarmi del dolore dei figli di questa nazione. E voi discepole buone e forti, nella vostra dolcezza, più di Giuditta.

E tu Marziam, mio fanciullo, e d’ora in poi prendi il nome di Marziale, a ricordo del fanciullo romano ucciso per via e deposto al cancello di Lazzaro col cartiglio di sfida: “E ora dì al Galileo che ti resusciti, se è il Cristo e se è risorto”, ultimo degli innocenti che in Palestina persero la vita per servire Me anche inconsciamente, e primo degli innocenti di ogni nazione che, venuti al Cristo, saranno per questo odiati e spenti anzitempo, come bocci di fiori strappati dallo stelo prima che s’aprano in fiore. E questo nome, o Marziale, ti indichi il tuo destino futuro: sii apostolo in barbare terre e conquistale al tuo Signore come il mio Amore conquistò il fanciullo romano al Cielo.

Tutti, tutti benedetti da Me in questo addio, invocandovi dal Padre la ricompensa di coloro che hanno consolato il doloroso cammino del Figlio dell’Uomo.

Benedetta l’Umanità nella sua porzione eletta che è nei giudei come nei gentili, e che si è manifestata nell’amore che ebbe per Me.

Benedetta la Terra con le sue erbe e i suoi fiori, i suoi frutti che mi hanno dato diletto e ristoro tante volte. Benedetta la Terra con le sue acque e i suoi tepori, per gli uccelli e gli animali che molte volte superarono l’uomo nel dare conforto al Figlio dell’Uomo. Benedetto tu, sole, e tu mare, e voi monti, colline, pianure. Benedette voi, stelle che mi siete state compagne nella notturna preghiera e nel dolore. E tu, luna, che mi hai fatto lume all’andare nel mio pellegrinaggio di Evangelizzatore.

Tutte, tutte benedette, voi, creature, opere del Padre mio, mie compagne in quest’ora mortale, amiche a Colui che aveva lasciato il Cielo per togliere alla tribolata Umanità i triboli della Colpa che separa da Dio.

E benedetti anche voi, strumenti innocenti della mia tortura: spine, metalli, legno, canape ritorte, perché mi avete aiutato a compiere la Volontà del Padre mio!».

Che voce tonante ha Gesù! Si spande nell’aria tiepida e cheta come voce di un bronzo percosso, si propaga in onde sul mare di volti che lo guardano da ogni direzione.

Io dico che sono delle centinaia di persone quelle che circondano Gesù che ascende, coi più diletti, verso la cima dell’Uliveto. Ma Gesù, giunto vicino al campo dei Galilei, vuoto di tende in questo periodo fra l’una e l’altra festa, ordina ai discepoli:

«Fate fermare la gente dove è, e poi seguitemi».

Sale ancora, sino alla cima più alta del monte, quella che è già più prossima a Betania, che domina dall’alto, che non a Gerusalemme. Stretti a Lui la Madre, gli apostoli, Lazzaro, i pastori e Marziam. Più in là, a semicerchio a tenere indietro la folla dei fedeli, gli altri discepoli.

Gesù è in piedi su una larga pietra un poco sporgente, biancheggiante fra l’erba verde di una radura. Il sole lo investe facendo biancheggiare come neve la sua veste e rilucere come oro i suoi capelli. Gli occhi sfavillano di una luce divina.

Apre le braccia in un gesto di abbraccio. Pare voglia stringersi al seno tutte le moltitudini della Terra che il suo spirito vede rappresentate in quella turba.

La sua indimenticabile, inimitabile voce dà l’ultimo comando: «Andate! Andate in mio Nome ad evangelizzare le genti sino agli estremi confini della Terra. Dio sia con voi. Il suo Amore vi conforti, la sua luce vi guidi, la sua pace dimori in voi sino alla vita eterna».

Si trasfigura in bellezza. Bello! Bello come e più che sul Tabor. Cadono tutti in ginocchio adorando. Egli, mentre già si solleva dalla pietra su cui posa, cerca ancora una volta il volto di sua Madre, e il suo sorriso raggiunge una potenza che nessuno potrà mai rendere… È il suo ultimo addio alla Madre.

Sale, sale… Il sole, ancor più libero di baciarlo, ora che nessuna fronda anche lieve intercetta il cammino ai suoi raggi, colpisce dei suoi fulgori il Dio-Uomo che ascende col suo Corpo SS. al Cielo, e ne svela le Piaghe gloriose che splendono come rubini vivi. Il resto è un perlaceo ridere di luce.

È veramente la Luce che si manifesta per ciò che è, in quest’ultimo istante come nella notte natalizia. Sfavilla il Creato della luce del Cristo che ascende. Luce che supera quella del sole. Luce sovrumana e beatissima. Luce che scende dal Cielo incontro alla Luce che sale… E Gesù Cristo, il Verbo di Dio, dispare alla vista degli uomini in questo oceano di splendori…

In terra due unici rumori nel silenzio profondo della folla estatica: il grido di Maria quando Egli scompare: «Gesù!», e il pianto di Isacco. Gli altri sono ammutoliti di religioso stupore, e restano là, come in attesa, finché due luci angeliche candidissime, in forma mortale, appaiono dicendo le parole riportate nel capo primo degli Atti Apostolici.

«Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in Cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in Cielo».

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

VI Domenica di Pasqua anno B

amarsi

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 15,9-17.

“Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri”.

Rivelazione a Maria Valtorta

Lezione sull’Epistola di San Paolo ai Romani

29-5 / 3-6-48

Ai Romani C. 7° v. 14

Dice il Dolce Ospite:

«La Legge è spirituale. Lo è anche quando vieta cose materiali.

Veramente nel Decalogo i comandi puramente spirituali sono i primi tre. Gli altri sette, e specie gli ultimi sei, sono divieti a peccati contro il prossimo, contro la sua vita, la sua proprietà, i suoi diritti, il suo onore. Si potrebbe allora dire che chiamare “spirituale” la Legge è giusto perché essa viene da Dio, ma non è in tutto giusto in quanto essa comanda, per due buoni terzi di essa, di non commettere atti materiali che Dio vieta di commettere.

Ma al di sopra dei dieci Comandamenti della Legge perfetta sta la perfezione della Legge, coi due Comandamenti dati dal Verbo docente: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente”. Questo è il massimo e primo Comandamento. Il secondo è simile a questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due Coman­damenti dipende tutta la Legge ed i profeti.

Nella luce della Luce, che è il Verbo, si illumina la spiritua­lità che è in tutta la Legge perché è data a far vivere nell’amore. Perché tutta la Legge riposa e vive per l’amore. E perché l’amore è cosa spirituale, quale che sia l’Ente o la creatura verso i quali si volge.

Triplice amore a Dio: amore del cuore, dell’anima, della men­te; perché nell’uomo è questa piccola trinità: materia (cuore), anima (spirito), mente (ragione); e giusto è che le tre cose create da Dio per fare un’unica creatura -l’uomo- a Dio ugualmente diano riconoscenza per l’essere che hanno avuto da Dio.

Triplice amore dunque: amore del cuore, dell’anima, della mente; perché Adamo peccò col cuore (concupiscenza della car­ne), con l’anima (concupiscenza dello spirito), con la mente (concupiscenza della ragione), uscendo dall’ordine, per abusare dei doni ricevuti da Dio, e offendendo Dio con gli stessi doni da Lui ricevuti perché l’uomo potesse somigliargli ed essergli causa di gloria.

Con le cose che peccarono va dunque riparato il peccato, can­cellata l’offesa, ristabilito l’ordine violato.

E il Verbo si fece Carne per fare ciò, e per ridarvi “la Grazia e Verità” e in misura piena, traboccante, inesauribile.

Con quanto peccò il primo uomo, l’Uomo-Dio ripara.

E insegna a voi, con l’esempio più ancor che con la dottrina, che è perfetta ma che potreste giudicare impossibile a praticarsi, come si ripara. Egli è Maestro di fatti, non solo di parole. E quanto Egli ha fatto voi potete fare.

In ogni uomo persiste l’eredità di Adamo.

È come nascosto in ogni carne un Adamo che può essere debole nella prova, come lo fu il primo Adamo all’origine del tempo. Ma Cristo è venu­to perché le vostre cadute siano riparate, risarcite le vostre piaghe, restituita la Grazia vitale quando la vostra debolezza nelle prove quotidiane vi fa morti di quella vita soprannaturale che il Battesimo vi aveva data.

Ma Cristo è venuto per esservi Maestro e Modello e perché voi gli siate discepoli e fratelli, non soltanto di nome e nella carne, ma in spirito e verità, imitandolo nella sua perfezione, nel suo triplice amore verso Dio.

Per questo triplice amore, Gesù fu fedele alla giustizia della carne, nonostante fosse provato e fosse libero nel suo libero ar­bitrio come ogni uomo.

Per questo triplice amore, Gesù fu perfetto nella giustizia del­l’anima, ossia nell’ubbidienza all’antico precetto divino: “Ame­rai il Signore Iddio tuo”, non sentendosi esente da questo dovere perché era Dio come il suo Eterno Generante.

Uomo-Dio, vero Uomo e vero Dio non per infusione temporanea dello Spi­rito di Dio in una carne predestinata a tal sorte, o per unione morale di un giusto col suo Dio, ma per unione ipostatica del­le due Nature, senza mutazione della natura divina perché unita a quella umana, senza alterazione della natura umana -composta di carne, mente, spirito- perché unita alla natura di­vina.

Per questo triplice amore, infine, Gesù fu sublime nella giusti­zia della mente, sottomettendo il suo intelletto perfettissimo non soltanto alla Legge divina, come deve fare ogni uomo che la co­nosca, ma anche ai disegni di Dio Padre per Lui e su Lui: l’Uo­mo, accettando ogni cosa proposta, compiendo ogni ubbidienza, sino all’estrema della morte di croce.

“Fattosi servo” per tutta un’umanità decaduta, Gesù ha pas­sato il segno da Lui stesso messo agli uomini perché raggiunga­no l’amore perfetto, ma non ha imposto agli uomini il sacrificio totale come termine d’amore per possedere il Cielo, e nel secon­do precetto d’amore non vi dice altro che: “Amate il vostro prossimo come amereste voi stessi ”.

Egli è andato oltre. Non si è limitato ad amare il prossimo suo come amava Se stesso, ma lo ha amato ben più di Se stesso, perché per dare “bene” a questo suo prossimo ha sacrificato la sua vita e l’ha consumata nel dolore e nella morte. Ma a voi non propone tanto. Gli basta che la grande maggioranza dei membri del suo Corpo Mistico portino la piccola croce di ogni giorno e amino il prossimo come amano se stessi.

Solo ai suoi eletti, ai suoi predestinati, Egli indica la sua Croce e la sua sorte e dice: “Amatevi come Io vi ho amato”, e insiste: “Nessuno ha un amore più grande di quello di colui che da la vita per i suoi amici”, e termina: “Voi siete miei amici, se fa­rete quello che Io comando”.

La predestinazione non è mai separata dall’eroismo.

I Santi so­no eroi. In questa o in quella maniera, nella maniera che Dio loro propone, la loro vita è eroica. Essi sanno ciò che fanno, sanno a cosa li conduce il fare ciò che fanno. Ma non se ne spa­ventano.

Sanno anche che ciò che loro fanno, serve a continuare la Passione di Cristo, e ad aumentare i tesori della Comunio­ne dei Santi, a salvare il mondo dai castighi di Dio, a strappare all’inferno tanti tiepidi e peccatori che, senza la loro immola­zione, non si salverebbero dalla dannazione.

Perché anche la tie­pidezza, raffreddando gradatamente la carità che ogni uomo de­ve avere per poter vivere in Dio, conduce lentamente alla morte dell’anima come per un’inedia spirituale.

Se la predestinazione fosse disgiunta dal volere eroico della creatura, sarebbe cosa non giusta. E Dio non può volere cose non giuste. Parlo qui della predestinazione alla santità, proclamata dalla giustizia della vita e dai fatti straordinari che punteggiano come stelle la vita e la via del predestinato fedele alla sua pre­destinazione alla gloria, e che continuano ad essere proclamati dai miracoli oltre la morte del predestinato.

Perché altra è la predestinazione alla Grazia divina, comune a tutti gli uomini, e perciò concessa gratuitamente da Dio in mi­sura sufficiente a salvarsi; e altra è la predestinazione alla glo­ria che viene data a quelli che durante la vita terrena hanno bene usato del dono della Grazia, e le sono rimasti fedeli nono­stante ogni prova di tentazione al male, o di ogni altro dono straordinario, accettato con commossa gioia, ma non preteso e non distrutto facendo di esso una stolta presunzione di essere tanto amati e tanto sicuri di possedere già la gloria, da non essere più necessario lottare e perseverare nell’eroismo per ar­rivarvi.

Il quietismo, nel quale degenerano talora i primi impulsi di uno spirito chiamato a via straordinaria, è inviso a Dio.

E così pure la superbia e la gola spirituale: i due peccati così facili ne­gli eletti, beneficati -e provati per confermarli nella missione o privarli di essa come indegni- da doni straordinari, i pecca­ti di Lucifero, di Adamo, di Giuda di Keriot,

– che avendo moltis­simo, vollero aver tutto;

– che credendosi sicuri di salvarsi sen­za merito e per il solo amore da parte di Dio;

– che fidando sol­tanto nell’infinita Bontà senza pensare che la perfetta, divina Bontà, pur essendo infinita, non diviene mai stoltezza e ingiusti­zia;

– che credendosi “dèi” perché tanto erano stati eletti, pecca­rono così gravemente.

Dio certamente sa quali saranno coloro che rimarranno perseveranti eroicamente sino alla fine, mentre l’uomo non sa se sarà perseverante sino alla fine.

E anche in questo è giustizia. Perché se Dio volesse che nono­stante il libero arbitrio dell’uomo, molto sovente causa contra­ria rispetto al conseguimento della gloria -perché l’uomo diffi­cilmente usa giustamente di questo regale dono di Dio, donato onde l’uomo, conscio del suo fine ultimo, liberamente elegga di compiere solo le azioni buone per meritare il conseguimento di quel beato fine- ogni uomo fosse salvo, costringerebbe gli uo­mini a non peccare.

Ma allora verrebbe meno al suo rispetto per la libertà dell’individuo, creato da Lui con tutti quei doni che lo rendono capace di distinguere il bene e il male, capace di com­prendere la legge morale e la legge divina, capace di tendere al suo fine e di raggiungerlo.

E verrebbe pure a mancare per ogni singolo predestinato la causa della gloria: l’eroicità della vita per rimanere fedele al fine per cui fu creato e per usare, e usare santamente, dei doni gratuiti avuti da Dio, di quei doni che sono i frutti mirabili del­l’Amore divino che vorrebbe la salvezza e il gaudio eterno di ogni uomo, ma che lascia libero l’uomo di volere il suo eterno futuro di gloria o di condanna.

Ed è anche giustizia, questo ignorare, da parte vostra, la vo­stra sorte ultima.

Perché se voi sapeste il vostro futuro eterno, restereste senza il movente che spinge i giusti ad agire per me­ritare la visione beatifica di Dio che è gaudio senza misura, e po­treste cadere o in quietismo o in superbia anche transitori, ma sempre sufficienti a crearvi più lunga espiazione e minor grado di gloria, mentre gli ingiusti avrebbero in ciò il movente che li spingerebbe a divenire veri satana tanto giungerebbero ad odiare e bestemmiare Dio, odiare e nuocere al prossimo loro, senza più alcun freno, sapendosi già destinati all’inferno.

No. Conoscendo la Legge e il fine a cui porta l’ubbidienza o la disubbidienza alla Legge, ma ignorando quanto solo l’onni­veggenza di Dio sa, onde non manchi ai giusti lo sprone del puro amore che meriterà loro la gloria, e non manchi ai perversi, che preferiscono peccato e delitto a giustizia e amore, la libertà di  seguire ciò che a loro piace -onde, nell’ora della divina condanna, non compiano l’estremo peccato contro l’Amore lanciando­gli questa blasfema accusa: “Ho agito così perché Tu, da sem­pre, mi avevi destinato all’inferno”- ogni creatura ragionevole deve liberamente scegliere la via che le piace, ed eleggersi il fi­ne preferito.

La predestinazione alla gloria non è un dono gratuito conces­so a tutti gli uomini, ma è una conquista, oltre che un dono, fat­ta dai perseveranti nella giustizia, una conquista che si ottiene coll’uso perfetto dei doni e aiuti di Dio e con la buona volontà che non lascia mai inerte alcuna cosa proposta o donata da Dio, ma tutto rende attivo e tutto volge al fine santo della visione intuitiva di Dio, e al possesso gaudioso di Lui.

Alcuno obbietta: “Ma allora solo coloro che sono santi al mo­mento della morte hanno la gloria? E gli altri? Il Purgatorio è forse prigione meno dolorosa, ma sempre costringente, che se­para le anime da Dio? Non sono dei predestinati al Cielo anche gli spiriti purganti?”.

Lo sono. Un giorno verrà, e sarà quello del Giudizio finale, nel quale il Purgatorio non sarà più, e i suoi abitanti passeranno al Regno di Dio. E anche il Limbo non sarà più, perché il Reden­tore è tale per tutti gli uomini che seguono la giustizia per ono­rare il Dio in cui credono, e per tendere a Lui, così come lo co­noscono, con tutte le loro forze.

Però quanto esilio ancora, dopo la vita terrena, per costoro! E quanto, per coloro che limitano il loro amare ed operare a quel minimo sufficiente a non farli morire in disgrazia di Dio, che co­noscono come cattolici!

Quanta differenza tra costoro, salvati, più che per merito loro, per i meriti infiniti del Salvatore, per l’intercessione di Maria, per i tesori della Comunione dei Santi e le preghiere e sacri­fici dei giusti, e coloro che vollero la gloria non per egoismo ma per amore a Dio!

Quanto tra i primi che, a fatica e con molte soste di languore, sussurri di malcontento, e anche smarrimenti su vie di egoismo, trascinano come una catena e un peso il loro limitatissimo amo­re, e i secondi che, veri amanti di Dio e imitatori di Gesù Cristo, “amano come Gesù ha amato” dando anche la vita, e sempre abbracciando ogni croce, chiedendo anzi la croce come dono dei doni, per salvare la vita dell’anima al prossimo loro, anime-ostie le quali al conoscimento divino appaiono da sempre “ami­ci di Gesù” perché faranno ciò che Egli comanda loro!».