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XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 17,11-19)
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

“La tua fede ti ha salvato”. Il lebbroso samaritano, il solo straniero nel gruppo che è andato incontro a Gesù per supplicarlo. Il solo, anche, a ritornare sui suoi passi per rendergli grazie. Il suo gesto religioso, prostrarsi ai piedi di Gesù, significava anche che egli sapeva di non avere nulla che non avesse ricevuto (cf. 1Cor 4,7). La fede, dono di Cristo, porta alla salvezza.
“E gli altri nove, dove sono?”. Gli altri nove avevano obbedito all’ordine di Gesù e si erano presentati ai sacerdoti, dando così prova di una fede appena nata. Ma non hanno agito di conseguenza, una volta purificati, tornando verso Gesù, la sola via per arrivare al Padre (cf. Gv 14,6), mediatore indispensabile per la glorificazione di Dio.
La misericordia di Gesù verso colui che non possiede altro che la sua povertà e il suo peccato, ma che si volge verso il Signore per trovare il perdono e la riconciliazione, non è solo fonte di salvezza personale, ma anche di reintegrazione nella comunità di culto del popolo di Dio. Nella Chiesa, la fede di coloro che sono stati riscattati diventa azione di grazie al Padre per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo (cf. Col 3,16-17).

IV DOMENICA DI PASQUA ANNO B (Gv 10,11-18) 25 Aprile 2021

Gesù disse: Io sono il buon pastore.
Il buon pastore dà la propria vita per le pecore.

(Gv 10,11-18)

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 10,11-18)
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Gesù è il dono del Padre.
Chi è veramente Gesù?
Niente come l’antitesi tra il Buon Pastore e il mercenario ce lo fa capire.
In cosa si differenziano radicalmente le due figure?
Non certo per il ruolo che, all’apparenza, sembra il medesimo. Li oppone e li divide la natura intima del rapporto con le pecore: la non appartenenza per il mercenario e l’appartenenza per il pastore. Se le pecore non ti appartengono te ne vai quando arriva il lupo e le lasci alla sua mercé.
Se sei un mercenario non t’importa delle pecore e non ti importa perché non le conosci. Non le conosci “per esperienza”, non le conosci per amore: esse non sono tue.
E da che cosa si vede se sono tue? Che dai la vita per loro. Gesù dà la vita per noi. È lui che ce la dà, tiene a precisare, nessuno gliela toglie. Lui, solo lui, ha il potere di offrire la sua vita e di riprenderla di nuovo. In questo sta la sua autorevolezza, nel potere dell’impotenza, a cui Dio nella morte si è volontariamente esposto.
Gli uomini possono seguire Gesù solo in forza di questa sua autorevolezza. Per essa ne conoscono la voce, subiscono il fascino della sua Presenza, si dispongono alla sequela. Solo nel vivere questa appartenenza il cristiano diventa a sua volta autorevole, cioè capace di incontrare l’altro, di amarlo e di dar la sua vita per lui. L’appartenenza fa essere eco fragile e tenace della sua Presenza e suscita la nostalgia di poterlo incontrare.

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31 MARZO 2019 IV DOMENICA DI QUARESIMA – LAETARE – ANNO C

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TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 15,1-3.11-32)
In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola:
«Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”». Parola del Signore.

RIFLESSIONI
“O Padre, che per mezzo del tuo Figlio operi mirabilmente la nostra redenzione”: è con questa preghiera che apriamo la liturgia di questa domenica. Il Vangelo ci annuncia una misericordia che è già avvenuta e ci invita a riceverla in fretta: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”, dice san Paolo (2Cor 5,20).
Il padre non impedisce al suo secondogenito di allontanarsi da lui. Egli rispetta la sua libertà, che il figlio impiegherà per vivere una vita grigia e degradata. Ma mai si stanca di aspettare, fino al momento in cui potrà riabbracciarlo di nuovo, a casa.
Di fronte all’amore del padre, il peccato del figlio risalta maggiormente. La sofferenza e le privazioni sopportate dal figlio minore sono la conseguenza del suo desiderio di indipendenza e di autonomia, e di abbandono del padre. La nostalgia di una comunione perduta risveglia in lui un altro desiderio: riprendere il cammino del focolare familiare.
Questo desiderio del cuore, suscitato dalla grazia, è l’inizio della conversione che noi chiediamo di continuo a Dio. Siamo sempre sicuri dell’accoglienza del padre.
La figura del fratello maggiore ci ricorda che non ci comportiamo veramente da figli e figlie se non proviamo gli stessi sentimenti del padre. Il perdono passa per il riconoscimento del bisogno di essere costantemente accolti dal Padre. Solo così la Pasqua diventa per il cristiano una festa del perdono ricevuto e di vera fratellanza.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Capitolo 205

“Udite. È una bella parabola che vi guiderà con la sua luce in tanti casi. Un uomo aveva due figli. Il maggiore era serio, lavoratore, affezionato, ubbidiente. Il secondo era intelligente più del maggiore -che in verità era un poco ottuso e si lasciava guidare per non avere da affaticarsi a decidere da sé- ma in compenso era anche ribelle, svagato, amante del lusso e del piacere, dissipatore e ozioso.

L’intelligenza è un grande dono di Dio. Ma è un dono che va usato saggiamente. Altrimenti è come certi farmaci i quali, usati in mal modo, non sanano ma uccidono. Il padre -era nel suo diritto e nel suo dovere- lo richiamava a vita più saggia. Ma senza alcun utile, tolto quello di averne male risposte e un maggior irrigidimento del figlio nelle proprie cattive idee.

Infine un giorno, dopo una disputa più fiera, il figlio minore disse: “Dammi la mia parte dei beni. Così non sentirò più i tuoi rimproveri e i lagni del fratello. Ognuno il suo e sia finito tutto”.

“Guarda”, rispose il padre, “che presto sarai rovinato. Che farai allora? Pensa che io non sarò ingiusto in favore di te e non riprenderò un picciolo a tuo fratello per darlo a te”.

“Non ti chiederò nulla. Sta sicuro. Dammi la mia parte”.

Il padre fece stimare le terre e le cose preziose e, visto che denaro e gioielli facevano tanto quanto le terre, dette al maggiore i campi e i vigneti, le mandrie e gli ulivi, e al minore il denaro e i gioielli, che il giovane vendette subito mutando tutto in denaro. E fatto questo, in pochi giorni, se ne andò in lontano paese dove visse da gran signore, scialacquando tutto il suo in bagordi di ogni specie, facendosi credere un figlio di re perché si vergognava di dire: “Sono campagnolo”, rinnegando perciò il padre suo.

Festini, amici e amiche, vesti, vini, giuoco… vita dissoluta… Presto vide scemare la sostanza e venire avanti la miseria. E con la miseria, a farla più grave, venne nel paese una grande carestia che dette fondo ai resti della sostanza.

Avrebbe potuto andare dal padre. Ma era superbo e non volle. Andò allora da un riccone del paese, già suo amico nei tempi buoni, e lo pregò dicendo:

“Accoglimi fra i tuoi servi in ricordo di quando godesti delle mie dovizie”.

Vedete voi come è stolto l’uomo! Preferisce mettersi sotto la frusta di un padrone anziché dire ad un padre: “Perdono! Ho sbagliato!”. Quel giovane aveva imparato tante cose inutili con la sua intelligenza aperta, ma non aveva voluto imparare il detto dell’Ecclesiastico:

“Quanto è infame colui che abbandona il padre suo e quanto è maledetto da Dio chi fa inquietare la madre”. Era intelligente ma non sapiente.

L’uomo a cui si era rivolto, in cambio del molto che aveva goduto dal giovane stolto, mise questo stolto di guardia ai porci -perché si era in paese pagano e vi erano molti porci- e lo mandò a pasturare nei suoi possessi le mandrie dei porci. Lurido, stracciato, puzzolente, affamato -perché il cibo era scarso per tutti i servi e specie per gli infimi, e lui, straniero mandriano di porci e deriso, era ritenuto tale- vedeva i porci satollarsi delle ghiande e sospirava:

“Potessi almeno io pure empirmi il ventre di questi frutti! Ma sono troppo amari! Neppure la fame me li fa parere buoni”.

E piangeva pensando ai ricchi festini da satrapo fatti poco tempo prima fra risa, canti, danze… e pensava poi agli onesti pranzi ben nutriti della sua casa lontana, alle porzioni che il padre faceva a tutti imparzialmente, serbando per sé sempre il meno, lieto di vedere il sano appetito dei suoi figli… e pensava anche alle parti fatte ai servi da quel giusto, e sospirava:

“I garzoni di mio padre, anche i più infimi, hanno pane in abbondanza… e io qui muoio di fame…”.

Un lungo lavoro di riflessione, una lunga lotta per strozzare la superbia…

Infine venne il giorno che, rinato nell’umiltà e nella sapienza, sorse in piedi e disse:

“Io vado dal padre mio! È stolto questo orgoglio che mi fa prigione. E di che? Perché soffrire e nel corpo e più nel cuore mentre posso avere perdono e sollievo? Vado dal padre mio. È detto. Che gli dirò? Ma quello che è nato qui dentro, in questa abiezione, fra queste lordure, fra i morsi della fame!

Gli dirò: ‘Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami perciò come l’infimo dei tuoi garzoni, ma sopportami sotto il tuo tetto. Che io ti veda passare…’. Non potrò dirgli: ‘…perché ti amo’.

Non lo crederebbe. Ma lo dirà la mia vita, ed egli lo comprenderà, e prima di morire mi benedirà ancora… Oh! lo spero. Perché mio padre mi ama”.

E, tornato la sera in paese, si licenziò dal padrone e mendicando per via tornò a casa sua.
Ecco i campi paterni… e la casa… e il padre che dirigeva i lavori, invecchiato, scarnito dal dolore, ma sempre buono… Il colpevole, guardando quella rovina causata da lui, si fermò intimorito… ma il padre, girando l’occhio, lo vide e gli corse incontro, perché era ancora lontano, e raggiuntolo gli gettò le braccia al collo e lo baciò.

Solo il padre aveva riconosciuto in quel mendicante avvilito la sua creatura e solo lui aveva avuto un movimento di amore.

Il figlio, stretto fra quelle braccia, con il capo sulla spalla paterna, mormorò fra i singhiozzi:

“Padre, lascia che io mi getti ai tuoi piedi”.

“No, figlio mio! Non ai piedi. Sul mio cuore, che ha tanto sofferto della tua assenza e che ha bisogno di rivivere col sentire il tuo calore sul mio petto”.

E il figlio, piangendo più forte, disse:

“Oh! padre mio! Io ho peccato contro il Cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato da te: figlio. Ma permettimi di vivere fra i tuoi servi, sotto il tuo tetto, vedendoti, mangiando il tuo pane, servendoti, bevendo il tuo alito. Ad ogni boccone di pane, ad ogni tuo respiro si riformerà il mio cuore tanto corrotto e diverrò onesto…”.

Ma il padre, tenendolo sempre abbracciato, lo condusse verso i servi, che si erano ammucchiati in distanza e che osservavano, e disse loro:

“Presto, portate qui la veste più bella e catini di acque odorose, lavatelo, profumatelo, rivestitelo, mettetegli dei calzari nuovi e un anello al dito. Poi prendete un vitello ingrassato e ammazzatelo. E si prepari un banchetto. Perché questo figlio mio era morto ed ora è risuscitato, era perduto ed è stato ritrovato.

Io voglio che ora lui pure ritrovi il suo semplice amore di pargolo; e il mio amore e la festa della casa per il suo ritorno glielo devono dare. Deve capire che egli è sempre per me il caro bambino ultimo nato, quale era nella infanzia sua lontana, quando mi camminava al fianco facendomi beato col suo sorriso e il suo balbettio”.

E così fecero i servi. Il figlio maggiore era in campagna e non seppe nulla fino al suo ritorno. A sera, venendo verso casa, la vide luminosa di lumi e udì suoni di strumenti e danze uscire da essa. Chiamò un servo che correva indaffarato e gli disse: “Che avviene?”.

E il servo rispose: “È tornato tuo fratello! Tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso perché ha riavuto il figlio e sano, guarito dal suo grande male, ed ha ordinato banchetto. Non si attende che te per cominciare”.

Ma il primogenito, in collera perché gli pareva ingiustizia tanta festa per il minore, che oltre che minore era stato cattivo, non volle entrare e anzi fece per allontanarsi da casa.

Ma il padre, avvertito di questo, corse fuori e lo raggiunse tentando di convincerlo e pregandolo di non amareggiargli la sua gioia. Il primogenito rispose al padre suo:

“E vuoi che io non sia inquieto? Tu fai ingiustizia e spregio al tuo primogenito. Io da quando ho potuto lavorare ti ho servito, e sono molti anni. Io non ho mai trasgredito ad un tuo comando, neppure ad un tuo desiderio. Io ti sono sempre stato vicino e ti ho amato per due per farti guarire dalla piaga fatta da mio fratello. E tu non mi hai dato neppure un capretto per godermelo cogli amici. Questo, che ti ha offeso, che ti ha abbandonato, che è stato infingardo e dissipatore e che torna ora perché è spinto dalla fame, tu lo onori e per lui ammazzi il vitello più bello. Vale la pena essere lavoratori e senza vizi! Questo non me lo dovevi fare!”.

Il padre disse allora stringendoselo al seno:

“Oh! figlio mio! E puoi credere che io non ti ami perché non stendo un velo di festa sulle tue azioni? Le tue azioni sono sante di loro, e il mondo ti loda per esse. Ma questo tuo fratello, invece, ha bisogno di essere rialzato nella stima del mondo e nella stima sua stessa. E credi tu che io non ti ami perché non ti do un premio visibile? Ma mattina e sera e in ogni mio alito e pensiero tu sei presente al mio cuore, e ad ogni attimo io ti benedico. Tu hai il premio continuo di essere sempre con me, e tutto quanto è mio è tuo. Ma era giusto banchettare e fare festa per questo tuo fratello, che era morto ed è risuscitato al Bene, che era perduto ed è stato ritornato al nostro amore”. E il primogenito si arrese.

Così, amici miei, succede nella Casa del Padre. E chi si sa uguale al figlio minore della parabola pensi pure che, se lo imita nell’andare al Padre, il Padre gli dice:

“Non ai miei piedi. Ma sul mio cuore, che ha sofferto della tua assenza e che ora è beato per il tuo ritorno”.

Chi è in condizioni di figlio primogenito e senza colpa verso il Padre, non sia geloso della gioia paterna, ma ne prenda parte, dando amore al fratello redento. Ho detto. Rimani, Giovanni di Endor, e tu, Lazzaro. Gli altri vadano a preparare le mense. Presto verremo”.

Tutti si ritirano. Quando Gesù, Lazzaro e Giovanni sono soli, Gesù dice a Lazzaro e Giovanni: “Così si farà dell’anima cara che tu attendi, Lazzaro, e così si fa della tua, Giovanni. La bontà di Dio supera ogni misura”…

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

14 OTTOBRE 2018 XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

10,17_30 Mc,

CHE DEVO FARE PER AVERE IN EREDITÀ LA VITA ETERNA

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 10,17-30
In quel tempo, mentre Gesù usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a Lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i Comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel Regno di Dio!». I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesù riprese: «Figlioli, com’è difficile entrare nel Regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno di Dio». Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: «E chi mai si può salvare?». Ma Gesù, guardandoli, disse: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio». Pietro allora gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del Vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 8 – Capitolo 576 (7 marzo 1947)

È un’altra mattina bellissima d’aprile. La terra e il firmamento spiegano tutte le loro primaverili bellezze. Si respira luce, canto, profumo, tanto l’aria è satura di luminosità, di voci di festa e d’amore, di fragranze. Deve esser scesa nella notte una breve pioggia che ha reso scure e senza polvere le strade, senza con ciò farle fangose, ed ha pulito steli e foglie che ora tremolano, tutte scintillanti e monde, ad una dolce brezza che scende dai monti verso questa fertile piana, che preannuncia Gerico.
Dalle rive del Giordano salgono continuamente persone che hanno traghettato dall’altra sponda, oppure hanno seguito la strada che costeggia il fiume, venendo su questa che punta direttamente su Gerico e su Doco, come indicano i segnali stradali. E ai molti ebrei, che si dirigono da ogni parte a Gerusalemme per il rito, si mescolano mercanti di altri luoghi, e pastori e pastori con gli agnelli dei sacrifici, belanti ignari.
Molti riconoscono e salutano Gesù. Sono, questi, ebrei della Perea e Decapoli e di luoghi anche più lontani. Ve ne è un gruppo di Cesarea Paneade. E sono pastori che, per essere piuttosto nomadi dietro i greggi, hanno conoscenza del Maestro, incontrato o annunciato a loro dai discepoli.
Uno si prostra e gli dice: «Posso offrirti l’agnello?».
«Non te lo levare, uomo. È il tuo guadagno questo».
«Oh! è la mia riconoscenza. Tu non ti ricordi di me. Io sì. Sono uno che Tu hai guarito guarendo tanti. Mi hai rinsaldato l’osso della coscia che nessuno guariva e mi teneva infermo. Te lo do volentieri l’agnello. Il più bello. Questo. Per il banchetto di letizia. Lo so che per l’olocausto sei tenuto alla spesa. Ma per la letizia! Tanta ne hai data a me. Prendilo, Maestro».
«Ma sì, prendilo. Saranno denari che risparmieremo. O meglio, sarà possibilità di mangiare, perché con tutte le prodigalità che si fanno io non ho più denaro», dice l’Iscariota.
«Prodigalità? Ma se da Sichem non si è più speso uno spicciolo!», dice Matteo.
«Insomma, io non ho più denaro. Gli ultimi li detti a Merode».
«Uomo, ascolta», dice Gesù al pastore per porre fine alle parole di Giuda. «Io non vado per ora a Gerusalemme e non posso portare con Me l’agnello. Altrimenti lo accetterei per mostrarti che gradisco il tuo dono».
«Ma poi andrai in città. Ti fermerai per le feste. Avrai un ricovero. Dimmi dove ed io consegnerò ai tuoi amici…».
«Non ho nulla di questo… Ma a Nobe ho un vecchio e povero amico. Ascoltami bene: il dì dopo il sabato pasquale tu andrai all’alba a Nobe e dirai a Giovanni, l’anziano di Nobe (tutti te lo indicheranno): “Questo agnello te lo manda Gesù di Nazaret, tuo amico, perché tu festeggi questo giorno con banchetto di letizia, perché più grande letizia di oggi non c’è per i veri amici del Cristo”. Lo farai?».
«Se così vuoi, lo farò».
«E mi farai felice. Non prima del dì dopo il sabato. Ricorda bene. E ricorda le parole che ti ho detto. Ora va’ e la pace sia con te. E serba il tuo cuore stabile in essa pace nei giorni futuri. Ricorda anche questo e continua a credere nella mia Verità. Addio» .
Della gente si è accostata ad ascoltare il dialogo e si dirada solo quando il pastore, rimettendo in moto il suo gregge, la obbliga a sparpagliarsi. Gesù segue il gregge, approfittando della scia aperta da esso. La gente bisbiglia:
«Ma allora va proprio a Gerusalemme? Ma non sa che c’è il bando per Lui?».
«Eh! ma nessuno può vietare ad un figlio della Legge di presentarsi al Signore per la Pasqua. È colpevole forse di pubblico reato? No. Perché, se lo fosse, il Preside Lo avrebbe fatto imprigionare come Barabba».
E altri: «Hai sentito? Non ha ricovero né amici a Gerusalemme. Che tutti Lo abbiano abbandonato? Anche il risorto? Bella riconoscenza!».
«Taci là! Quelle due sono le sorelle di Lazzaro. Io sono delle campagne di Magdala e le conosco bene. Se le sorelle sono con Lui, segno è che la famiglia di Lazzaro gli è fedele».
«Forse non osa entrare in città».
«Ha ragione».
«Dio Lo perdonerà se sta fuori di essa».
«Non è colpa sua se non può salire al Tempio».
«La sua prudenza è saggia. Se venisse preso, tutto sarebbe finito prima della sua ora».
«Certo non è ancor pronto per la sua proclamazione a re nostro, ed Egli non vuole essere preso».
«Si dice che, mentre lo si sapeva ad Efraim, Egli sia andato in ogni luogo, sin presso le tribù nomadi, per prepararsi i seguaci e le milizie e cercare protezioni».
«Chi te lo ha detto?».
«Sono le solite menzogne. Egli è il Re santo e non il re da milizie».
«Forse farà la Pasqua supplementare. Allora è più facile passare inosservato. Il Sinedrio è sciolto dopo le feste, e tutti i sinedristi vanno alle loro case per la mietitura. Sino a Pentecoste non si raduna di nuovo».
«E, via che siano i sinedristi, chi volete che gli faccia del male? Sono loro gli sciacalli!».
«Uhm! che Egli si usi tanta prudenza? Cosa troppo da uomo! Egli è da più che un uomo e non avrà prudenza vile».
«Vile? Perché? Nessuno può dir vile chi si risparmia per la sua missione».
«Vile sempre, perché ogni missione è sempre inferiore a Dio. Perciò il culto a Dio deve avere la precedenza su ogni altra cosa».
Queste le parole che vanno da bocca a bocca. Gesù mostra di non sentire.
Giuda d’Alfeo si ferma per attendere le donne e, sopraggiunte che siano -esse erano col ragazzo, indietro una trentina di passi- dice a Elisa:
«Avete dato molto a Sichem dopo che partimmo!».
«Perché?».
«Perché Giuda non ha più un picciolo. I tuoi sandali, o Beniamino, non verranno. È destino così. A Tersa non si poté entrare e, anche avessimo potuto, il non aver denaro avrebbe impedito ogni acquisto… Dovrai entrare a Gerusalemme così…».
«Prima c’è Betania», dice Marta con un sorriso.
«E prima c’è Gerico e la mia casa», dice Niche pure sorridendo.
«E prima di tutto ci sono io. Io ho promesso e io farò. Viaggio di esperienze questo! Ho provato cosa è non avere una didramma. E ora proverò cosa è dover vendere un oggetto per bisogno», dice Maria di Magdala.
«E che vuoi vendere, Maria, se non porti più gioielli?», chiede Marta alla sorella.
«Le mie grosse forcine d’argento. Sono tante. Ma per tenere a posto questo inutile peso possono bastare quelle di ferro. Le venderò. Gerico è piena di gente che compra queste cose. E oggi è giorno di mercato, e così domani e sempre per queste ricorrenze».
«Ma sorella!».
«Che? Ti scandalizzi pensando che mi si possa credere povera tanto da dover vendere le forcine d’argento? Oh! vorrei averti dato sempre di questi scandali! Peggio era quando, senza bisogno, vendevo me stessa al vizio altrui e mio».
«Ma taci! C’è il ragazzo, che non sa!».
«Non sa ancora. Forse non sa ancora che io ero la peccatrice. Domani lo saprebbe da chi mi odia perché non sono più tale, e certo con particolari quali il mio peccato non ebbe pur essendo tanto grande. Meglio dunque che lo sappia da me e veda quanto può il Signore che lo ha accolto: fare di una peccatrice una pentita, di un morto un risorto, di me morta nello spirito, di Lazzaro morto nel corpo, due viventi. Perché questo ha fatto a noi il Rabbi, o Beniamino. Ricordalo sempre e amalo con tutto il tuo cuore, perché Egli è veramente il Figlio di Dio».
Un intoppo lungo la via ha fermato Gesù e gli Apostoli, e le donne li raggiungono. Gesù dice: «Andate avanti voi, verso Gerico, ed anche entrateci, se volete. Io vado a Doco con questi. Al tramonto sarò con voi».
«Oh! perché ci allontani? Non siamo stanche», protestano tutte.
«Perché vorrei che voi intanto, almeno alcune, avvisaste i discepoli che Io sarò da Niche domani».
«Se è così, Signore, noi andiamo. Vieni Elisa, e tu Giovanna, e tu Susanna e Marta. Prepareremo ogni cosa», dice Niche.
«E io e il ragazzo. Faremo i nostri acquisti. Benedicici, Maestro. E vieni presto. Tu, Madre, resti?», dice Maria di Magdala.
«Sì. Col Figlio mio».
Si separano. Con Gesù restano soltanto le tre Marie: la Madre, sua cognata Maria Cleofe e Maria Salome. E Gesù lascia la via di Gerico per una via secondaria che va a Doco.
E da poco è per essa quando, da una carovana che viene non so da dove -una ricca carovana che certo viene da lontano perché ha le donne montate sui cammelli, chiuse nelle tremolanti berline o palanchini legati sulle schiene gibbute, e gli uomini a cavallo di focosi cavalli o di altri cammelli- si stacca un giovane e facendo inginocchiare il suo cammello scivola giù di sella, andando verso Gesù. Un servo, accorso, gli tiene la bestia per le briglie.
Il giovane si prostra davanti a Gesù e, dopo il profondo saluto, gli dice:
«Filippo di Canata, figlio di veri israeliti e rimasto tale, io sono. Discepolo di Gamaliele sinché la morte del padre mio non mi fece capo dei suoi commerci. Ti ho sentito più di una volta. So le tue azioni. Aspiro ad una vita migliore per avere quella vita eterna che Tu assicuri possesso di chi crea il tuo Regno in sé. Dimmi dunque, Maestro buono, che dovrò fare per avere la vita eterna?».
«Perché mi chiami buono? Solo Dio è buono».
«Tu sei il Figlio di Dio, buono come il Padre tuo. Oh! dimmi, che devo fare?».
«Per entrare nella vita eterna osserva i Comandamenti».
«Quali, mio Signore? Gli antichi o i tuoi?».
«Negli antichi sono già i miei, i miei non mutano gli antichi. Essi sono sempre:
adorare di amor vero l’unico vero Dio
e rispettare le leggi del culto,
non uccidere,
non rubare,
non commettere adulterio,
non attestare il falso,
onorare padre e madre,
non danneggiare il prossimo ma anzi amarlo come ami te stesso.
Facendo così, avrai la vita eterna».
«Maestro, tutte queste cose le ho osservate dalla mia fanciullezza».
Gesù lo guarda con occhio d’amore e dolcemente gli chiede: «E non ti paiono sufficienti ancora?».
«No, Maestro. Cosa grande è il Regno di Dio in noi e nell’altra vita. Infinito dono è Dio che a noi si dona. Io sento che tutto è poco, di ciò che è dovere, rispetto al Tutto, all’Infinito perfetto che si dona e che penso si debba ottenere con cose più grandi di quelle che sono comandate per non dannarsi ed essergli graditi».
«Tu dici bene. Per essere perfetto ti manca ancora una cosa. Se vuoi essere perfetto come vuole il Padre nostro dei Cieli, va’, vendi quanto hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in Cielo che ti farà diletto al Padre, che ha dato il suo Tesoro per i poveri della Terra. Poi vieni e seguimi».
Il giovane si rattrista, si fa pensieroso. Poi si alza in piedi dicendo: «Ricorderò il tuo consiglio…», e si allontana tristemente.
Giuda ha un sorrisetto ironico e mormora: «Non sono io solo ad amare il denaro!».
Gesù si volge e lo guarda… e poi guarda gli altri undici visi che gli sono intorno, poi sospira:
«Come difficilmente un ricco entrerà nel Regno dei Cieli, la cui porta è stretta, ed erta è la via, e non possono percorrerla ed entrare coloro che sono caricati dei pesi voluminosi delle ricchezze!
Per entrare lassù non ci vogliono che tesori di virtù, immateriali, e sapersi separare da tutto quanto è attaccamento alle cose del mondo e vanità».
Gesù è molto triste…
Gli Apostoli si sogguardano fra loro…
Gesù riprende, guardando la carovana del giovane ricco che si allontana:
«In verità vi dico che è più facile che un cammello passi per una cruna d’ago che non per un ricco di entrare nel Regno di Dio».
«Ma allora chi mai potrà salvarsi? La miseria fa sovente peccatori, per invidie e poco rispetto a ciò che è d’altri, e per sfiducia verso la Provvidenza… La ricchezza è di ostacolo alla perfezione… E allora? Chi potrà salvarsi?».
Gesù li guarda e dice loro: «Quello che è impossibile agli uomini è possibile a Dio, perché a Dio tutto è possibile.
Basta che l’uomo lo aiuti, il suo Signore, con la sua buona volontà. È buona volontà accettare il consiglio avuto e sforzarsi di giungere alla libertà dalle ricchezze. Ad ogni libertà, per seguire Dio.
Perché la vera libertà dell’uomo è questa: seguire le voci che Dio gli sussurra al cuore e i suoi comandi, non essere schiavo né di se stesso, né del mondo, né del rispetto umano, e perciò non schiavi di satana.
Usare della splendida libertà di arbitrio che Dio ha dato all’uomo per volere liberamente e solamente il Bene, e conseguire così la vita eterna luminosissima, libera, beata. Neppur della propria vita bisogna essere schiavi, se per secondare la stessa noi si deve fare resistenza a Dio. Ve l’ho detto: “Colui che perderà la sua vita per amor mio e per servire Iddio, costui la salverà in eterno”».
«Ecco! Noi abbiamo lasciato ogni cosa per seguirti, anche le più lecite. Che ce ne verrà dunque? Entreremo allora nel tuo Regno?», chiede Pietro.
«In verità, in verità vi dico che coloro che mi avranno seguito in tal modo e che mi seguiranno -perché c’è sempre tempo a riparare alle accidie e alle colpe sin qui fatte, sempre tempo sinché si è sulla Terra e si hanno davanti dei giorni nei quali poter riparare al mal fatto- costoro saranno con Me nel Regno mio.
In verità vi dico che voi, che mi avete seguito nella rigenerazione, siederete sopra i troni a giudicare le tribù della Terra insieme al Figlio dell’Uomo seduto sul trono della sua gloria.
In verità ancora vi dico che non vi sarà nessuno che, avendo per amor del mio Nome lasciato casa, campi, padre, madre, fratelli, sposa, figli e sorelle, per spargere la Buona Novella e continuarmi, non riceva il centuplo in questo tempo e la vita eterna nel secolo futuro».
«Ma se perdiamo tutto, come possiamo centuplicare il nostro avere?», chiede Giuda di Keriot.
«Torno a dire: ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio. E Dio darà il centuplo di gaudio spirituale a coloro che da uomini del mondo seppero farsi figli di Dio, ossia uomini spirituali. Essi godranno il vero gaudio, qui e oltre la Terra.
E ancor vi dico che non tutti quelli che sembrano i primi, e primi dovrebbero essere avendo più di tutti ricevuto, saranno tali.
E non tutti quelli che sembrano ultimi, e men che ultimi, non essendo in apparenza miei discepoli e neppur del Popolo eletto, saranno gli ultimi. In verità molti da primi diverranno ultimi, e molti ultimi, infimi, diverranno primi…
Ma ecco là Doco. Andate avanti tutti, meno Giuda di Keriot e Simone Zelote. Andate ad annunciarmi a quelli che possono aver bisogno di Me».
E Gesù attende con i due trattenuti di unirsi alle tre Marie, che li seguono a qualche metro di distanza.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta.

XX Domenica del Tempo Ordinario anno B (Gv 6,51-58)

M

La mia Carne è vero cibo e il mio Sangue vera bevanda.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,51-58)

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il Pane vivo, disceso dal Cielo. Se uno mangia di questo Pane vivrà in eterno e il Pane che Io darò è la mia Carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può Costui darci la sua Carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità Io vi dico: se non mangiate la Carne del Figlio dell’Uomo e non bevete il suo Sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue ha la vita eterna e Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia Carne è vero cibo e il mio Sangue vera bevanda. Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in Me e Io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato Me e Io vivo per il Padre, così anche colui che mangia Me vivrà per Me. Questo è il Pane disceso dal Cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo Pane vivrà in eterno». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Quando Gesù rivelò che il Pane disceso dal Cielo era la sua Carne e che avrebbe saziato tutti, toccò il massimo della sua imprevedibile predicazione. Se già molti insegnamenti risultavano ricolmi di mistero e sorprendenti, dare da mangiare la sua Carne risultò come un insulto per i «puri» che Lo ascoltavano.
Domenica scorsa abbiamo letto che quasi tutti quelli che Lo avevano ascoltato, lasciarono la sinagoga e rimasero gli Apostoli con il sinagogo.
Questa rivelazione di Gesù che anticipava l’istituzione dell’Eucaristia rimaneva fortemente incomprensibile agli ebrei e andarono via, si allontanarono da Gesù. Cosa dire invece dei cattolici di oggi di ogni grado che conoscono l’Eucaristia e non l’adorano?
Innanzitutto manca la predicazione sull’Eucaristia e per parlare di Gesù presente sacramentalmente in Anima, Corpo, Sangue e Divinità nell’Eucaristia, è indispensabile frequentarla, rimanendo davanti al Tabernacolo in adorante contemplazione.
I benefici che si ricevono dall’Eucaristia sono meravigliosi, è Gesù che trasmette i suoi sentimenti, che dona continua Grazie e migliora la vita di quanti rimangono con Fede in adorazione. Conoscendo chi è l’Eucaristia, tutte le Chiese dovrebbero rimanere aperte per molte ore del giorno, per dare ai credenti modo di rivolgersi al Signore e trovare la pace interiore.
Gesù rimane nel Tabernacolo per aiutarci, guarirci dalle malattie e far svanire le negatività dei diavoli. Dovremmo incontrarlo ogni giorno!
Nel Catechismo del 1992 che abbiamo come guida e nulla si può cambiare di quanto in esso è contenuto, l’Eucaristia è indicata come fonte e culmine della vita ecclesiale. L’Eucaristia è Gesù Cristo e la principale predicazione, il più forte richiamo dei prelati deve avere, appunto, come centro l’Eucaristia.
Negli ultimi tempi l’Eucaristia è stata dimenticata in molte omelie e catechesi, sostituita con temi sociali, parole poco spirituali.
Oggi l’Eucaristia viene ignorata nella predicazione e non si formano le nuove generazioni nell’adorazione di Dio incarnato, questo svuota le Chiese e arreca molta preoccupazione. Gesù parla di sé come del Pane che sazia e dona tutti gli aiuti necessari alle famiglie, ai giovani sbandati, agli ammalati, a tutti.
«Tutti i Sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente uniti alla Sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati. Infatti, nella Santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua» (Catechismo 144).
La Santa Comunione è fin da ora un anticipo del Cielo e la garanzia di raggiungerlo.
La Comunione, essendo alimento dell’anima, aumenta la vita soprannaturale dell’uomo; al tempo stesso e di conseguenza rende capaci di resistere a quanto in noi non è di Dio e impedisce una vera unione con Cristo.
La gloria eterna non è riservata solo all’anima ma anche al corpo, all’uomo nella sua interezza. Il Signore faceva riferimento a questa verità quando promise che chi mangia di Lui vivrà per Lui e non morirà mai, e che Egli lo risusciterà nell’ultimo giorno.
Gesù è la Vita, non solo quella dell’aldilà; è anche la vita soprannaturale che la Grazia opera nell’anima e nell’uomo tuttora in cammino.
Quando Gesù accorre a Betania per risuscitare Lazzaro, dice a Marta: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in Me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in Me non morrà in eterno». Ripete in Betania l’insegnamento di Cafarnao che oggi troviamo nel Vangelo della Messa: chi lo riceve non morrà.
Meditate sulla necessità di adorare l’Eucaristia e di entrare in intimo dialogo con Gesù, per dirgli tutto e ricevere ineffabilmente il suo Spirito che vi trasforma. Per superare le sofferenze, guarire da malattie dolorose e liberarvi da ogni forma di negatività. Gesù è la nostra salvezza.

Giovedì fra l’Ottava di Pasqua Anno A

Giovedì fra l’Ottava di Pasqua Anno A
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 24,35-48)
Gesù stette in mezzo a loro e disse: Pace a voi.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 24,35-48)

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi.
Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Gli uomini e le donne che hanno conosciuto Gesù testimoniano la sua risurrezione. Dicono che è venuto vivo verso di loro, che si è offerto ai loro occhi.
Siccome la risurrezione oltrepassa tutti i limiti dell’esperienza terrena, non esistono termini né frasi fatte per ritrasmettere la realtà che tocca queste persone. I discepoli di Gesù cercano delle parole e delle immagini (già pensando alle domande che verranno poste) per esprimere l’inesprimibile.
Succede la stessa cosa per l’ultimo incontro pasquale con il quale termina il Vangelo secondo san Luca.
L’apparizione di Gesù agli apostoli è strana e tuttavia familiare. Dice loro: “Pace a voi!”. Ma essi sono colti dalla paura e pensano – come tanti tra coloro che hanno bisogno di una spiegazione – che si tratti di uno “spirito”. Allora, egli fa toccare loro il suo corpo, e mangia davanti ai loro occhi.
Perché, siccome la fede nella morte e nella risurrezione di Gesù è il fondamento di tutta la predicazione, questa non tollera alcun dubbio.
Gerusalemme, città della morte e della risurrezione, diventa la città dove gli apostoli ricevono lo Spirito promesso e, con lui, la onnipotenza, che fa di loro dei testimoni per tutti i popoli della terra.

Lunedì Della XXXII Settimana del Tempo Ordinario Anno C

Lunedì Della XXXII Settimana del Tempo Ordinario Anno C

Gesù disse ai suoi discepoli: È inevitabile che vengano scandali,

ma guai a colui a causa del quale vengono.

TESTO:-

Lunedì Della XXXII Settimana del Tempo Ordinario Anno C

Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 17,1-6)

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 17,1-6)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«È inevitabile che vengano scandali, ma guai a colui a causa del quale vengono.
È meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli. State attenti a voi stessi!
Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai».
Gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Le diverse parole di questo brano si concatenano sorprendentemente, meglio di quanto sembrerebbe a prima vista.
Scandalizzare significa qui non suscitare negli altri il biasimo ma, al contrario, indurre a confondere il bene e il male, distogliere da ciò che Dio attende e che è il vero bene.
Si comprende allora come provocare la caduta o lo smarrimento del proprio fratello sia ancora più grave che cadere o ingannare se stessi. Si comprende soprattutto l’estrema responsabilità che deriva da questa cosa ammirevole: l’immensa solidarietà umana.
Da un punto di vista generale, statistico, è inevitabile che avvenga lo scandalo. Ma non è mai necessario che io lo provochi e ne sia vittima. L’inevitabile non è una scusa ma una ragione precisa per stare in guardia. Ed è ancora troppo passivo: abbiamo la responsabilità bella e buona, pur senza giudicare, e nell’intento di perdonare senza limiti, di rivelare agli altri il male che seminano intorno a loro. Quale fede non esige ciò dagli uni e dagli altri?
Ma la fede non è una questione di quantità: l’essenziale, è che essa sia, anche in embrione, la nostra fiducia in Cristo, il nostro slancio verso di lui, il nostro desiderio di lui.

Sabato Della XXX Settimana del Tempo Ordinario Anno C

Sabato Della XXX Settimana del Tempo Ordinario Anno C

Quando sei invitato da qualcuno,
non metterti al primo posto.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 14,1.7-14)
Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

RIFLESSIONI

“È giunto secondo”: ecco quanto si dice con ironia e commiserazione di chi non ce l’ha fatta. Lo sport e il gioco sanciscono premi ai migliori. Chi, invece, corre al di fuori della gara, per quanto inattesa sia la sua prestazione, non ottiene onori. E noi ci dirigiamo con ogni sforzo verso la meta, sotto le luci del palcoscenico del potere politico, economico e culturale. Ci facciamo largo per essere i primi tanto nella nostra vita professionale quanto nella vita privata. E dimentichiamo facilmente o, peggio, respingiamo coloro a cui abbiamo fatto sgambetti lungo il cammino verso la nostra meta. Non è questa la prassi comune in una società in cui ci si fa largo con i gomiti? È la società stessa che, praticamente, ci spinge a farlo.
Non è strano, allora, che anche nella Chiesa ci sia la lotta per occupare un posto di responsabilità. È una lotta combattuta da individui, assemblee, istituzioni, consigli, comitati di redazione, facoltà. Del resto, nella comunità della Chiesa avviene anche che una parte combatta l’altra: le donne tentano di opporsi alla predominanza degli uomini. Nessuno vuole l’ultimo posto.
Il Vangelo di oggi si oppone a tale spirito del nostro tempo e della nostra esperienza personale: chi mi ha mai chiesto di salire di grado? Quando mai mi sono guadagnato con le mie forze influenza e competenza? Meglio ancora, la parola di Gesù corregge la natura umana dalla menzogna di ogni tempo: quando mai colui che è il re del creato – e la cui crescita segue il normale corso – s’è volontariamente umiliato?
Eppure il nostro Signore l’ha fatto: “Facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2,8). E san Paolo ci presenta il cammino di Cristo come un esempio da seguire: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5).
Ancora una volta, il Vangelo e il senso comune sono in contraddizione fra loro. Ma la parola e i gesti di Gesù sono perfettamente chiari. Egli mostra come sarà salvata l’umanità. Non ci si può sbagliare. Non possiamo minimizzare la difficoltà di seguirlo. E se qualcuno si rifugerà nella confortevole illusione di se stesso, nel giorno delle “nozze”, il padrone di casa lo porterà alla dolorosa conoscenza di sé. Gli negherà quel posto d’onore per cui tanto si sarà dato da fare al banchetto della vita eterna.
Nel primo capitolo del Vangelo di Luca, Maria canta il “Magnificat”. Una donna loda Dio perché ha rovesciato l’ordine abituale di questo mondo: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili” (Lc 1,52). Dio non vuole tenere l’uomo lontano dall’altezza e dagli onori. Soltanto, la creatura non deve cercare di guadagnarseli con le sue forze, rischiando di infrangere l’ordine stabilito dal creatore e salvatore. Deve, invece, riceverli, affinché tale dono sia occasione di lode e di ringraziamento al Signore.

Venerdì Della XXX Settimana del Tempo Ordinario Anno C

Venerdì Della XXX Settimana del Tempo Ordinario Anno C

La folla cercava di toccarlo,
perché da lui usciva una forza che guariva tutti.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 6,12-19)
In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore.
Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici.
La Scrittura Santa ci rivela che è sempre Dio che sceglie chi deve compiere la sua opera. Spesso sono scelte che vanno al di là di ogni logica umana. Persone sulle quali noi ci saremmo fermati da Dio vengono scartate, persone che mai avremmo potuto neanche immaginare come utili a Dio, dal Signore sono state scelte. Alcuni di questi chiamati osano controbattere con il Signore, dichiarando la loro inadeguatezza, nullità, incapacità di svolgere la missione loro affidata. È questo il caso di Mosè ed anche di Geremia. Quest’ultimo spesso era tentato di ritirarsi, smettere, voltarsi indietro.
Mosè disse al Signore: «Perdona, Signore, io non sono un buon parlatore; non lo sono stato né ieri né ieri l’altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo, ma sono impacciato di bocca e di lingua». Il Signore replicò: «Chi ha dato una bocca all’uomo o chi lo rende muto o sordo, veggente o cieco? Non sono forse io, il Signore? Ora va’! Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire». Mosè disse: «Perdona, Signore, manda chi vuoi mandare!». Allora la collera del Signore si accese contro Mosè e gli disse: «Non vi è forse tuo fratello Aronne, il levita? Io so che lui sa parlare bene. Anzi, sta venendoti incontro. Ti vedrà e gioirà in cuor suo. Tu gli parlerai e porrai le parole sulla sua bocca e io sarò con la tua e la sua bocca e vi insegnerò quello che dovrete fare. Parlerà lui al popolo per te: egli sarà la tua bocca e tu farai per lui le veci di Dio. Terrai in mano questo bastone: con esso tu compirai i segni» (Es 4,10-17).
Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro. Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti». Oracolo del Signore (Ger 1,17-19). Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me. Quando parlo, devo gridare, devo urlare: «Violenza! Oppressione!». Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!». Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo. Sentivo la calunnia di molti: «Terrore all’intorno! Denunciatelo! Sì, lo denunceremo». Tutti i miei amici aspettavano la mia caduta: «Forse si lascerà trarre in inganno, così noi prevarremo su di lui, ci prenderemo la nostra vendetta». Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso, per questo i miei persecutori vacilleranno e non potranno prevalere; arrossiranno perché non avranno successo, sarà una vergogna eterna e incancellabile (Ger 20,7-11).
Gesù rispetta il Padre suo. Sa che solo Lui può scegliere. Solo Lui deve scegliere. Si reca sul monte. Passa una notte in orazione. Chiede al Padre chi Lui ha già scelto per essere tra i suoi Apostoli. Il Padre lo rivela. Gesù li chiama. Vive di profondo rispetto, di purissima obbedienza. Nulla è da Cristo Signore, nella sua vita tutto è dal Padre. Siamo molto distanti da Cristo Signore. Nella Chiesa molte scelte avvengono dal cuore dell’uomo, non dal cuore del Padre. L’autonomia da Dio è molta. L’obbedienza è scarsa. Il rispetto quasi inesistente. Anche Pietro lasciò che fosse Dio a scegliere.
Da questo istante Gesù inizia a mostrare ai suoi Apostoli come si edifica il regno di Dio.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci a fare santo il regno.

Giovedì Della XXX Settimana del Tempo Ordinario Anno C

Giovedì Della XXX Settimana del Tempo Ordinario Anno C

“Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore”.
Un entusiasmo che non dura. Presto si trasforma in “Crocifiggilo”
.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 13,31-35)
In quel momento si avvicinarono a Gesù alcuni farisei a dirgli: «Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere».
Egli rispose loro: «Andate a dire a quella volpe: “Ecco, io scaccio demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno la mia opera è compiuta. Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io prosegua nel cammino, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme”.
Gerusalemme, Gerusalemme, tu che uccidi i profeti e lapidi quelli che sono stati mandati a te: quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa è abbandonata a voi! Vi dico infatti che non mi vedrete, finché verrà il tempo in cui direte: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”». Parola del Signore.

RIFLLESSIONI

Già lo stesso nome “Gesù” ce lo assicura: Dio è salvezza. Fin dall’inizio della sua vita, i titoli che vengono attribuiti al figlio della vergine di Nazaret sono: “Messia” e “Salvatore” (cf. Lc 1,47). Essi indicano il senso stesso dell’essere e della missione di Gesù. “Ecco, io scaccio i demoni e compio guarigioni oggi e domani”. Così egli parla di sé e della sua missione nel Vangelo di oggi. Questi sono i segni che accompagnano il profeta che reca agli uomini la Parola di Dio, che atterra e salva al tempo stesso.
Gesù non è semplicemente un precursore che prepara la venuta di un ordine migliore e più umano. Vuole raccogliere i figli di Gerusalemme come una gallina la sua covata sotto le ali: cerca la comunione, rischia la propria vita pur di attirare a sé i contemporanei. E quando piange su di loro (cf. Lc 19,41), non si tratta di sentimentalismo: è piuttosto l’espressione di quella importante lotta spirituale che ha intrapreso per la loro salvezza. Vorrebbe riunirli, come la gallina riunisce attorno a sé i suoi piccoli per riscaldarli, nutrirli, proteggerli. E ancora, vuole mettere in pratica i comandamenti dello sforzo nella mitezza e dell’inclinazione nell’attenzione. Vuole essere tutto per loro, perché sono indifesi e completamente dipendenti da lui. Costi quel che costi: l’impegno della sua persona è completo. Egli rischia la propria vita.
E non soltanto per l’amore di Gerusalemme. Infatti questo passo del Vangelo non riferisce soltanto parole datate ed effimere. Tali parole furono fedelmente conservate dopo la risurrezione dalla prima comunità cristiana, affinché conservassero il loro valore in eterno. Queste parole riguardano me che sto trascrivendo tali pensieri e riguardano te che li leggi o li ascolti. L’atteggiamento di Gesù e in particolare il suo affetto per noi sono i medesimi da duemila anni. Seduto alla destra del Padre, ancora oggi ci rivolge un invito ogni volta che ascoltiamo la sua parola.
Conosce la nostra incostanza che esclama felicemente: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. Un entusiasmo che non durerà. L'”Osanna” può presto trasformarsi nel “Crocifiggilo” dei Giudei. Il piano di Erode, un politico furbo, non fa che anticipare quanto otterrà il popolo esaltato. Il Signore sa che ne va della sua vita. “Perché voi non avete voluto” (Lc 13,34). Gli uomini non hanno accettato nemmeno che egli si desse loro completamente.
A volte l’amore non è riamato. Ma, se l’amore va al di là di una ricerca di appagamento personale, anche quando viene respinto, non rinuncia all’essere che ama. “Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1Cor 13,7). E ciò precisamente testimonia l’amore di Gesù: l’amore di Cristo diventa tangibile. È unito a colui che dice: “E il terzo giorno avrò finito” (Lc 13,32).
Ecco perché ci salva. Perché “morire a Gerusalemme” (cf. Lc 13,33) non è la sua ultima azione. Dopo la croce, il fallimento con Gesù assume un senso nuovo. E il “terzo giorno” assicura definitivamente e indistruttibilmente la luce della risurrezione.