28 APRILE 2019 II DOMENICA DI PASQUA O DELLA DIVINA MISERICORDIA ANNO C

Gv 20,19-31

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 20,19-31)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Partecipando al sacrificio della Messa, noi ascoltiamo ogni volta le parole di Cristo che si rivolge agli apostoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”. Inoltre, imploriamo il Signore di concederci “unità e pace secondo la sua volontà” e di donare “la pace ai nostri giorni”.
Ogni volta che apparve agli apostoli Cristo, dopo aver vinto la morte, augurò la pace, sapendo quanto tutti loro la desiderassero. Nel conferire agli apostoli il potere di rimettere i peccati, Cristo ha portato la pace nell’anima inquieta dell’uomo. L’anima creata da Dio ha nostalgia di Dio. La pace con Dio è il fondamento della pace tra gli uomini. Liberato dalla schiavitù del peccato, l’uomo è in pace, ha l’anima in festa, in pace. La pace regna sui cuori puri. È partendo dalla pace interiore, quella del cuore, appoggiandosi ad essa, che si può stabilire la pace esteriore: in famiglia, fra vicini, in seno alla Chiesa, tra i popoli. Dio chiama tutti gli uomini ad unirsi al suo popolo unico. Il suo desiderio, che è di riunire tutti gli uomini in seno ad un’unica comunità per salvarli, è già espresso nell’Antico Testamento.
Gli Ebrei capirono di essere un popolo unico nella lontana notte di Pasqua in cui Dio li separò dagli Egiziani ed indicò loro la Terra promessa.
La Pasqua viene per ricordare questo avvenimento alle generazioni successive: in questo giorno ogni ebreo ha il sentimento di essere di nuovo condotto fuori dall’Egitto per essere salvato. Allo stesso modo, il nuovo popolo di Dio è nato il giorno di Pasqua, quando la concordia eterna fu rinnovata e suggellata dal sangue del Figlio di Dio. Questo popolo creato da Cristo è precisamente la Chiesa.
Gli uomini assomigliano a piccoli universi, chiusi e segreti. Dio li ha creati così. Ciò nonostante, il Creatore ha dato agli uomini anche il gusto di riunirsi in gruppi, di vivere, di lavorare, di creare in comune. Dio ha voluto allo stesso tempo assicurare loro la salvezza in quanto comunità, la salvezza del suo popolo. Accettare la salvezza promessa da Dio significa nello stesso tempo integrarsi al nuovo popolo riunito da Cristo, in seno al quale tutti usano i medesimi strumenti della grazia, cioè i sacramenti, scaturiti dalla Passione di Cristo.
In diversi momenti, il Nuovo Testamento designa Cristo come il volto visibile di Dio, l’immagine del Padre, il suo segno (Col 1,15; Gv 1,18). Cristo è come un sacramento che significa e trasmette l’amore del Padre. È un segno carico di significato e di forza di salvezza; in lui si trovano riuniti il perdono del Padre e la filiazione. In questo senso, Cristo appare come il primo sacramento nato dall’amore di Dio, la fonte di tutti i sacramenti. I sacramenti possono esistere solamente perché in loro Cristo stesso è presente ed agisce.
Come una madre premurosa, la Chiesa si sforza di spiritualizzare tutta la vita dei suoi figli e delle sue figlie. Vivere la spiritualità, provare la pace dell’anima è tentare di dare un carattere divino al quotidiano attraverso il flusso di grazie, di sapienza, di sentimenti, di consolazione che viene da Dio. Per ottenere la salvezza, egli ci fa pervenire, in un modo o nell’altro, a raggiungere Cristo. Ci fa camminare la mano nella mano con i figli del popolo di Dio, ci dirige verso un destino comune sotto l’egida di Cristo che si occupa di noi, ci perdona, ci santifica e ci concede la pace.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Capitoli 628.1-6 e 629.1-13

I dieci sono nel cortile della casa del Cenacolo. Parlano fra loro e poi pregano. E poi tornano a parlare.

Dice Simone Zelote: «Sono veramente afflitto della sparizione di Tommaso. Non so più dove cercarlo».

«Ed io neppure», dice Giovanni.

«Dai parenti non c’è. E non è stato visto da nessuno. Che lo abbiano preso?».

«Se così fosse, il Maestro non avrebbe detto: “Dirò il resto quando ci sarà l’assente”».

«È vero. Io però voglio ancora andare a Betania. Forse si aggira per quelle montagne senza osare mostrarsi».

«Vai, vai, Simone. Tu ci hai tutti riuniti e… salvati col riunirci, perché ci hai portati da Lazzaro. Avete sentito che parole ebbe il Maestro per lui? Ha detto: “Il primo che in mio Nome ha perdonato e guidato”. Perché non lo mette al posto dell’Iscariota?», chiede Matteo.

«Perché non vorrà dare al perfetto amico il posto del traditore», risponde Filippo.

«Ho sentito poco fa, quando ho fatto un giro per i mercati e ho parlato ai venditori di pesce, che… -sì, mi posso fidare di loro- che quelli del Tempio non sanno che fare del corpo di Giuda. Non so chi fu… ma questa mattina all’alba i guardiani del Tempio hanno trovato dentro al sacro recinto il suo corpo putrido, con ancora la fune al collo. Io penso siano stati dei pagani a staccarlo e a gettarlo là dentro chissà come», dice Pietro.

«A me invece hanno detto ieri sera alla fonte, ho sentito dire, anzi, che da ieri sera hanno frombolato le viscere del Traditore fin contro la casa di Anna. Pagani, certo. Perché nessun ebreo avrebbe toccato, dopo più di cinque giorni, quel corpo. Chissà come era putrido!», dice Giacomo d’Alfeo.

«Oh! un orrore fin dal sabato!». Giovanni impallidisce al ricordo.

«Ma come finì in quel posto? Era suo?».

«E chi ha mai saputo niente di esatto da Giuda Iscariota? Vi ricordate come era chiuso, complicato…».

«Puoi dire: bugiardo, Bartolomeo. Mai era sincero. Per tre anni fu con noi, e noi che tutto avevamo in comune, davanti a lui eravamo come davanti all’alto muro di una fortezza».

«Di una fortezza? Oh! Simone! Dì di un labirinto!», esclama Giuda d’Alfeo.

«Oh! Sentite! Non parliamo di lui! Mi pare di averlo a evocare e che debba venire a darci disturbo. Io vorrei cancellare il suo ricordo da me e da ogni cuore. Ebreo o gentile che sia. Ebreo, per non arrossire di avere partorito dalla nostra razza questo mostro. Gentile, perché fra loro non ci sia chi ci può dire un giorno: “Fu uno di Israele il suo traditore”.

Io sono un ragazzo. E non dovrei parlare davanti a voi per primo. Sono l’ultimo e tu, Pietro, sei il primo. E qui c’è lo Zelote e Bartolomeo, istruiti, e ci sono i fratelli del Signore. Ma, ecco, io vorrei presto mettere uno al dodicesimo posto, uno che santo fosse, perché, finché vedrò quel posto vuoto nel gruppo nostro, io vedrò la bocca dell’inferno coi suoi fetori fra noi. E ho paura che ci travii…».

«Ma no, Giovanni! Sei rimasto impressionato dalla bruttezza del suo delitto e del suo corpo appeso…».

«No, no. Anche la Madre ha detto: “Ho visto satana vedendo Giuda di Keriot”. Oh! facciamo presto a cercare un santo da mettere a quel posto!».

«Senti, io non scelgo nessuno. Se Lui, che era Dio, ha scelto un Iscariota, che sceglierà mai il povero Pietro?».

«Eppure dovrai bene…».

«No, caro. Io non scelgo nulla. Lo chiederò al Signore. Basta di peccati fatti da Pietro!».

«Tante cose dobbiamo chiedere. L’altra sera siamo rimasti come ebeti. Ma dobbiamo farci insegnare. Perché… Come faremo a capire se una cosa è peccato proprio? O se non lo è? Vedi come il Signore parla diverso da noi sui pagani. Vedi come scusa più una viltà e un rinnegamento di quanto non scusi il dubbio sul possibile perdono… Oh! io ho paura di fare male», dice sconsolato Giacomo d’Alfeo.

«Veramente ci ha tanto parlato. Eppure mi pare di sapere niente. Sono ebete da una settimana», confessa sconsolato l’altro Giacomo.

«Io pure».

«Io pure».

«E anche io».

Sono tutti nelle stesse condizioni e, stupiti, si guardano l’un l’altro. Ricorrono alla ormai abituale soluzione: «Andremo da Lazzaro», dicono. «Forze là troveremo il Signore e… Lazzaro ci aiuterà».

Bussano al portone. Tacciono tutti ascoltando. E hanno un «oh!» di stupore vedendo entrare nel vestibolo Elia insieme a Tommaso. Un Tommaso così stranito che non pare più lui.

I compagni gli si affollano intorno gridando il loro giubilo: «Lo sai che è risorto e che è venuto? E aspetta te per tornare!».

«Sì. Me lo ha detto anche Elia. Ma non ci credo. Io credo a ciò che vedo. E vedo che per noi è finita. Vedo che siamo tutti dispersi. Vedo che non c’è più neppure un sepolcro noto dove piangerlo. Vedo che il Sinedrio si vuole disfare, e del complice di cui decreta il seppellimento, come fosse un animale sozzo, ai piedi dell’ulivo dove si è impiccato, e dei seguaci del Nazareno. Io sono stato fermato nel venerdì, alle porte, e mi hanno detto: “Anche tu eri uno dei suoi? È morto, ormai, Torna a battere l’oro”. E sono scappato…».

«Ma dove? Ti abbiamo cercato da per tutto!».

«Dove? Sono andato verso la casa di mia sorella a Rama. Poi non ho osato entrare perché… per non essere rimproverato da una donna. Allora ho vagato per le montagne giudee e ieri sono finito a Betlemme, nella sua grotta. Quanto ho pianto… Mi sono addormentato fra le macerie e là mi ha trovato Elia, che era venuto… non so perché».

«Perché? Ma perché nelle ore di gioia o di dolore troppo grande si va dove più si sente Dio. Io molte volte, in questi anni, ero andato là, di notte, come un ladro, per sentirmi carezzare l’anima dal ricordo del suo vagito. E poi scappavo al primo sole per non essere lapidato. Ma ero già consolato. Ora sono andato là per dire a quel luogo: “Io sono felice” e per prendere quanto posso di esso. Abbiamo deciso così. Noi vogliamo predicare la sua Fede. Ma ce ne darà forza un pezzo di quel muro, un pugno di quella terra, una scheggia di quei pali. Non siamo santi tanto da osare di prendere la terra del Calvario…».

«Hai ragione, Elia. Lo dovremo fare noi pure. E lo faremo. Ma Tommaso?…».

«Tommaso dormiva e piangeva. Gli ho detto: “Svegliati e non piangere più. È risorto”: Non mi voleva credere. Ma tanto ho insistito che l’ho persuaso. Eccolo. Ora è fra voi ed io mi ritiro. Raggiungo i compagni diretti in Galilea. La pace a voi».

Elia se ne va.

«Tommaso, è risorto. Io te lo dico. Fu con noi. Mangiò. Parlò. Ci benedisse. Ci perdonò. Ci ha dato potestà di perdonare. Oh! perché non sei venuto prima?».

Tommaso non si scuote dal suo abbattimento.

Crolla il capo, testardo. «Io non credo. Avete visto un fantasma. Siete tutti folli. Le donne per prime. Un uomo morto, da sé non risorge».

«Un uomo no. Ma Egli è Dio. Non lo credi?».

«Sì. Lo credo che è Dio. Ma, appunto perché lo credo, penso e dico che, per quanto sia tanto buono, non può esserlo al punto di venire fra chi Lo ha così poco amato. E dico che, per quanto sia tanto umile, deve averne abbastanza di avvilirsi nella nostra carnaccia. No. Sarà, certo lo è, trionfante in Cielo e, forse, apparirà come Spirito. Dico: forse. Non meritiamo neppure questo! Ma Risorto in carne e ossa, no. Non lo credo».

«Ma se Lo abbiamo baciato, visto mangiare, udito la voce, sentito la sua mano, visto le ferite!».

«Niente. Io non credo. Non posso credere. Dovrei vedere per credere. Se non vedo nelle sue mani il foro dei chiodi e non vi metto dentro un dito, se non tocco le ferite dei piedi e se non metto la mano dove la lancia ha aperto il costato, io non credo. 

Non sono un bambino o una donna. Io voglio l’evidenza. Quello che la mia ragione non può accettare lo rifiuto. E io non posso accettare questa vostra parola».

«Ma Tommaso! Ti pare che ti si voglia ingannare?».

«No. Poverini. Anzi! Beati voi che siete tanto buoni da volermi portare ad avere la pace che siete riusciti a darvi con questa vostra illusione. Ma… io non credo alla sua Risurrezione».

«Non temi di essere punito da Lui? Sente e vede tutto, sai?».

«Chiedo che mi persuada. Ho una ragione, e l’uso. Lui, Padrone della ragione umana, raddrizzi la mia se è deviata».

«Ma la ragione, Lui lo diceva, è libera».

«Ragion di più perché io non la faccia schiava di una suggestione collettiva. Io vi voglio bene e voglio bene al Signore. Lo servirò come posso e starò con voi per aiutarvi a servirlo. Predicherò la sua dottrina. Ma non posso credere altro che vedendo».

E Tommaso, cocciuto, non intende altro che se stesso. Gli parlano di tutti quelli che Lo hanno visto, e come Lo hanno visto. Lo consigliano a parlare con la Madre. Ma lui crolla il capo, seduto su un sedile di pietra, più pietra lui del sedile. Testardo come un bambino ripete: «Crederò se vedrò».

La grande parola degli infelici che negano ciò che è tanto dolce e santo credere ammettendo che Dio può tutto.

Passano delle ore e gli apostoli sono raccolti nel Cenacolo. Intorno alla tavola dove fu consumata la Pasqua. Però, per rispetto, il posto centrale, quello di Gesù, è stato lasciato vuoto.

Anche gli apostoli, ora che non c’è più chi li accentra e distribuisce per volere proprio e per elezione d’amore, si sono messi diversamente. Pietro è ancora al suo posto. Ma al posto di Giovanni è ora Giuda Taddeo. Poi viene il più anziano degli apostoli, che non so ancora chi sia, poi Giacomo, fratello di Giovanni, quasi all’angolo del tavolo dalla parte destra, secondo me che guardo. Vicino a Giacomo, ma sul lato corto del tavolo, è seduto Giovanni. Dopo Pietro, invece, viene Matteo e, dopo questo, Tommaso, poi uno di cui non so il nome, poi Andrea, poi Giacomo fratello di Giuda Taddeo e un altro, che non conosco di nome, dagli altri lati. Il lato lungo di fronte a Pietro è vuoto, essendo gli apostoli più vicini sui sedili di quanto non fossero per Pasqua.

Le finestre sono sprangate e le porte pure. Il lume, acceso con due soli becchi, sparge una luce tenue sulla sola tavola. Il resto del vasto stanzone è nella penombra.

Giovanni, che ha alle spalle una credenza, ha l’incarico di porgere ai compagni ciò che desiderano del loro parco cibo, composto di pesce, che è sulla tavola, pane, miele e formaggini freschi. È nel girarsi di nuovo verso il tavolo, per dare al fratello il formaggio che egli ha richiesto, che Giovanni vede il Signore.

Gesù è apparso in maniera molto curiosa.

La parete dietro le spalle dei commensali, tutta di un pezzo meno che nell’angolo della porticina, si è illuminata al centro, ad un’altezza di un metro circa dal suolo, di una luce tenue e fosforica come è quella che emanano certi quadretti che sono luminosi solo nel buio della notte. La luce, alta quasi due metri, ha forma ovale, come fosse una nicchia. Nella luminosità, come avanzasse da dietro veli di nebbia luminosa, emerge sempre più netto Gesù.

Non so se riesco a spiegarmi bene. Pare che il suo Corpo fluisca attraverso lo spessore della parete. Questa non si apre. Resta compatta, ma il Corpo passa ugualmente. La luce pare la prima emanazione del suo Corpo, l’annuncio del suo avvicinarsi. Il Corpo dapprima è a lievi linee di luce, così come io vedo in Cielo il Padre e gli Angeli Santi: immateriale.

Poi si materializza sempre più, prendendo in tutto l’aspetto di un corpo reale. Del suo divino Corpo glorificato.

Io ho messo molto a descrivere, ma la cosa è avvenuta in pochi secondi.

Gesù è vestito di bianco, come quando risorse e apparve alla Madre. Bellissimo, amoroso e sorridente.

Sta con le braccia lungo i lati del Corpo, un poco staccate da esso, con le Mani verso terra e dalla palma volta verso gli apostoli. Le due Piaghe delle Mani paiono due stelle di diamanti, da cui escono due raggi vivissimi. Non vedo i Piedi, coperti dalla veste, né il Costato. Ma dalla stoffa del suo abito non terreno trapela luce, là dove essa cela le divine Ferite.

In principio sembra che Gesù non sia che Corpo di candore lunare, poi, quando si è concretizzato, apparendo fuori dell’alone di luce, ha i colori naturali dei suoi capelli, occhi, pelle. È Gesù, insomma, Gesù-Uomo-Dio, ma fatto più solenne ora che è risorto.

Giovanni Lo vede quando Egli è già così. Nessun altro si era accorto dell’apparizione. Giovanni scatta in piedi lasciando cadere sulla tavola il piatto delle formaggelle tonde e, appoggiando le mani all’orlo della tavola, si piega un poco verso questa e obliquamente, come per calamita che lo attiri verso se stessa, e getta un «Oh!» sommesso e pur intenso.

Gli altri, che avevano alzato il capo dai loro piatti al cadere rumoroso del piatto delle formaggelle e allo scatto di Giovanni e l’avevano guardato stupiti, vedendo la sua posa estatica seguono il suo sguardo. Torcono il capo o si girano su se stessi, a seconda di come si trovano rispetto al Maestro, e vedono Gesù. Si alzano tutti in piedi, commossi e beati, e corrono a Lui, che accentuando il sorriso avanza verso di loro, camminando, ora, sul suolo come tutti i mortali.

Gesù, che prima fissava unicamente Giovanni, e credo che questi si sia voltato attratto da quello sguardo che l’accarezzava, guarda tutti e dice: «Pace a voi».

Tutti ora gli sono intorno, chi in ginocchio ai suoi piedi, e fra questi sono Pietro e Giovanni -anzi Giovanni bacia un lembo della veste e se la posa sul viso come per esserne carezzato- chi più indietro, in piedi, ma molto curvo in atto di ossequio.

Pietro, per fare più presto ad arrivare, ha fatto un vero salto al disopra del sedile, scavalcandolo, senza attendere che Matteo, uscendo per primo, lasciasse libero il posto. Bisogna ricordare che i sedili servivano a due persone per volta.

L’unico che resta un poco lontano, impacciato, è Tommaso. Si è inginocchiato presso la tavola. Ma non osa venire avanti e pare, anzi, tenti nascondersi dietro all’angolo di essa.

Gesù, dando le sue Mani a baciare -gli apostoli gliele cercano con bramosia santa e amorosa- gira lo sguardo sulle teste chine come cercasse l’undicesimo. Ma lo ha visto dal primo momento e fa così solo per dare tempo a Tommaso di rinfrancarsi e venire.

Vedendo che l’incredulo, vergognoso del suo non credere, non osa farlo, lo chiama: «Tommaso. Vieni qui».

Tommaso alza il capo, confuso, quasi piangente, ma non osa venire. Abbassa di nuovo il capo.

Gesù fa qualche passo nella sua direzione e torna a dire: «Vieni qui, Tommaso». La voce di Gesù è più imperiosa della prima volta.

Tommaso si alza riluttante e confuso e va verso Gesù.

«Ecco colui che non crede se non vede!» esclama Gesù. Ma nella sua voce è un sorriso di perdono.

Tommaso lo sente, osa guardare Gesù e vede che sorride proprio, allora prende coraggio e va più in fretta.

«Vieni qui, ben vicino. Guarda. Metti un dito, se non ti basta guardare, nelle ferite del tuo Maestro».

Gesù ha porto le Mani e poi si è aperto la veste sul petto scoprendo lo squarcio del Costato. Ora la luce non emana più dalle Ferite. Non emana più da quando, uscendo dal suo alone di luce lunare, si è messo a camminare come Uomo mortale, e le Ferite appaiono nella loro cruenta realtà: due fori irregolari, di cui il sinistro va fino al pollice, che trapassano un polso e un palmo alla sua base, e un lungo taglio, che nel lato superiore è lievemente ad accento circonflesso, al Costato.

Tommaso trema, guarda e non tocca. Muove le labbra, ma non riesce a parlare chiaramente.

«Dammi la tua mano, Tommaso» dice Gesù con tanta dolcezza. E prende con la sua destra la mano destra dell’apostolo e ne afferra l’indice e lo conduce nello squarcio della sua Mano sinistra, ve lo ficca ben dentro, per fargli sentire che il palmo è trapassato, e poi dalla Mano lo porta al Costato. Anzi, afferra ora le quattro dita di Tommaso, alla loro base, al metacarpo, e pone queste quattro grosse dita nello squarcio del Petto, facendole entrare, non limitandosi ad appoggiarle all’orlo, e ve le tiene guardando fisso Tommaso. Uno sguardo severo e pur dolce, mentre continua: «… Metti qua il tuo dito, poni le dita e anche la mano, se vuoi, nel mio Costato, e non essere incredulo ma fedele». Questo dice mentre fa quanto ho detto prima.

Tommaso -pare che la vicinanza del Cuore divino, che egli quasi tocca, gli abbia comunicato coraggio- riesce finalmente a parlare e a spiccare le parole, e dice, cadendo a ginocchio con le braccia alzate e uno scoppio di pianto di pentimento: «Signore mio e Dio mio!». Non sa dire altro.

Gesù lo perdona. Gli pone la destra sul capo e risponde: «Tommaso, Tommaso! Ora credi perché hai veduto… Ma beati coloro che crederanno in Me senza aver visto! Quale premio dovrò dare loro se devo premiare voi, la cui Fede è stata soccorsa dalla forza del vedere?…».

Poi Gesù pone il braccio sulla spalla di Giovanni, prendendo Pietro per mano, e si accosta al tavolo. Siede al suo posto. Ora sono seduti come la sera di Pasqua. Però Gesù vuole che Tommaso si sieda dopo Giovanni.

«Mangiate, amici» dice Gesù.

Ma nessuno ha più fame. La gioia li sazia. La gioia del contemplare.

Allora Gesù prende le sparse formaggelle, le riunisce sul piatto, le taglia, le distribuisce e il primo pezzo lo dà proprio a Tommaso, posandolo su un pezzo di pane e passandolo dietro le spalle di Giovanni; mesce dalle anfore il vino nel calice e lo passa ai suoi amici: questa volta è Pietro il primo servito. Poi si fa dare dei favi di miele, li spezza e ne dà per primo un pezzo a Giovanni, con un sorriso che è più dolce del filante e biondo miele. E di questo, per rincuorarli, ne mangia Lui pure. Non gusta che il miele.

Giovanni, con la mossa solita, appoggia il suo capo contro la spalla di Gesù, e Gesù se lo attira sul suo Cuore e parla tenendolo così.

«Non dovete turbarvi, amici, quando Io vi appaio. Sono sempre il vostro Maestro, che ha condiviso con voi cibo e sonno e che vi ha eletti perché vi ha amati. Anche ora vi amo».

Gesù appoggia molto su queste ultime parole.

«Voi», prosegue, «siete stati meco nelle prove… Sarete meco anche nella gloria. Non abbassate il capo. La sera della domenica, quando venni a voi per la prima volta dopo la mia Risurrezione, Io vi ho infuso lo Spirito Santo… anche a te che non eri presente venga lo Spirito… Non sapete che l’infusione dello Spirito è come un battesimo di fuoco, poiché lo Spirito è Amore e l’amore annulla le colpe? Il vostro peccato, perciò, di diserzione mentre Io morivo vi è condonato».

Nel dire questo, Gesù bacia sulla testa Giovanni, che non disertò, e Giovanni lacrima di gioia.

«Vi ho dato la potestà di rimettere i peccati. Ma non si può dare ciò che non si possiede. Voi dovete dunque esser certi che questa potestà Io la posseggo perfetta e la uso per voi, che dovete esser mondi al sommo per mondare chi verrà a voi, sporco di peccato.

Come potrebbe uno giudicare e mondare se fosse meritevole di condanna e fosse immondezza di suo?

Come potrebbe uno giudicare un altro se fosse con i travi nel suo occhio e i pesi infernali nel suo cuore?

Come potrebbe dire: “Io ti assolvo nel Nome di Dio” se, per i suoi peccati, non avesse Dio con sé?

Amici, pensate alla vostra dignità di Sacerdoti.

Prima Io ero fra gli uomini per giudicare e perdonare. Ora Io me ne vado al Padre. Torno al mio Regno. Non mi è levata facoltà di giudizio. Anzi essa è tutta nelle mie mani, poiché il Padre a Me l’ha deferita. Ma tremendo giudizio. Poiché avverrà quando non sarà più possibile all’uomo di farsi perdonare con anni di espiazione sulla Terra. 

Ogni creatura verrà a Me con il suo spirito quando lascerà per morte materiale la carne come spoglia inutile. Ed Io la giudicherò per una prima volta. Poi l’Umanità tornerà con la sua veste di carne, ripresa per comando celeste, per esser separata in due parti. Gli agnelli col Pastore, i capri selvatici col loro Torturatore. 

Ma quanti sarebbero gli uomini che sarebbero col loro Pastore se dopo il lavacro del Battesimo non avessero più chi perdona in Nome mio?

Ecco perché Io creo i Sacerdoti. Per salvare i salvati dal mio Sangue. Il mio sangue salva. Ma gli uomini continuano a cadere nella morte. A ricadere nella Morte. Occorre che chi ne ha potestà li lavi continuamente in Esso, settanta e settanta volte sette, perché della morte non siano preda. Voi e i vostri successori lo farete.

Per questo vi assolvo da tutti i vostri peccati. Perché avete bisogno di vedere, e la colpa acceca perché leva allo spirito la Luce che è Dio. Perché avete bisogno di comprendere, e la colpa inebetisce perché leva allo spirito l’Intelligenza che è Dio. Perché avete ministero di purificare, e la colpa insozza perché leva allo spirito la Purezza che è Dio.

Gran ministero il vostro di giudicare e assolvere in Nome mio!

Quando consacrerete per voi il Pane e il Vino e ne farete il Corpo e il Sangue mio, farete una grande, soprannaturalmente grande e sublime cosa. Per compierla degnamente dovrete esser puri, poiché toccherete Colui che è il Puro e vi nutrirete della Carne di un Dio. 

Puri di cuore, di mente, di membra e di lingua dovrete essere, perché col cuore dovrete amare l’Eucarestia, e non dovranno esser mescolati a questo amore celeste profani amori che sarebbero sacrilegio.

Puri di mente, perché dovrete credere e comprendere questo mistero d’amore, e l’impurità di pensiero uccide la Fede e l’Intelletto. Resta la scienza del mondo, ma muore in voi la Sapienza di Dio. Puri di membra dovrete essere, perché nel vostro seno scenderà il Verbo così come scese nel seno di Maria per opera dell’Amore.

Avete l’esempio vivente di come deve essere un seno che accoglie il Verbo che si fa carne. L’esempio è la Donna senza colpa d’origine e senza colpa individuale che mi ha portato.

Osservate come è pura la vetta d’Ermon ancor fasciata nel velo della neve invernale. Dall’Oliveto essa pare un cumulo di gigli sfogliati o di spuma marina che si elevi come un’offerta contro l’altro candore delle nuvole, portate dal vento d’aprile per i campi azzurri del cielo. Osservate un giglio che apra ora la bocca della sua corolla ad un riso di profumo. Eppure, l’una e l’altra purezza sono men vive di quella del Seno che mi fu materno. Polvere portata dai venti è caduta sulle nevi del monte e sulla seta del fiore. L’occhio umano non la percepisce, tanto essa è leggera. Ma essa c’è, e corrompe il candore.

Più ancora, guardate la perla più pura che venga strappata al mare, alla conchiglia natìa, per adornare lo scettro di un re. È perfetta nella sua iridescenza compatta che ignora il contatto profanatore di ogni carne, formatosi come si è nell’incavo madreperlaceo dell’ostrica, isolata nello zaffiro fluido delle profondità marine. Eppure è men pura del Seno che mi ebbe.

Al suo centro è il granellino di rena: un corpuscolo minutissimo, ma sempre terrestre. In Colei che è la Perla del Mare non esiste granello di peccato, neppur di fomite di peccato. Perla nata nell’Oceano della Trinità per portare sulla Terra la Seconda Persona, Ella è compatta intorno al suo fulcro, che non è seme di terrena concupiscenza ma scintilla dell’Amore eterno. Scintilla che, trovando in Lei rispondenza, ha generato i vortici della divina Meteora che ora a Sé chiama e attira i figli di Dio: Io, il Cristo, Stella del Mattino.

Questa Purezza inviolata Io vi do a esempio.

Ma quando poi, come vendemmiatori ad un tino, voi tuffate le mani nel mare del mio Sangue e ne attingete di che mondare le stole corrotte dei miseri che peccarono, siate, oltre che puri, perfetti per non macchiarvi di un peccato maggiore, anzi, di più peccati, spargendo e toccando con sacrilegio il Sangue di un Dio mancando a carità e giustizia, negandolo o dandolo con un rigore che non è del Cristo -che fu buono coi malvagi per attirarli al suo Cuore e tre volte buono coi deboli per confortarli alla fiducia- usando questo rigore tre volte indegnamente, perché contro la mia Volontà, la mia Dottrina e la Giustizia.

Come esser rigorosi con gli agnelli quando si è pastori idoli?

O miei diletti, amici che Io mando per le vie del mondo per continuare l’opera che Io ho iniziata e che sarà proseguita finché il Tempio sarà, ricordate queste mie parole. Ve le dico perché le diciate a coloro che voi consacrerete al ministero nel quale Io vi ho consacrati.

Io vedo… Guardo nei secoli… Il tempo e le turbe infinite degli uomini che saranno mi sono tutti davanti… Vedo… stragi e guerre, paci bugiarde e orrende carneficine, odio e ladrocinio, senso e orgoglio. Ogni tanto un’oasi di verde: un periodo di ritorno alla Croce. Come obelisco che segna un’onda pura fra le aride arene del deserto, la mia Croce sarà alzata con amore, dopo che il veleno del male avrà reso malati di rabbia gli uomini, e intorno ad essa, piantate sui bordi delle acque salutari, fioriranno le palme di un periodo di pace e bene nel mondo.

Gli spiriti, come cervi e gazzelle, come rondini e colombi, accorreranno a quel riposante, fresco, nutriente rifugio, per guarire dai loro dolori e sperare nuovamente. Ed esso rinserrerà i suoi rami come una cupola per proteggere da tempeste e solleoni, e terrà lontano serpenti e fiere col Segno che mette in fuga il Male. Così, finché gli uomini vorranno.

Io vedo… Uomini e uomini… donne, vecchi, bambini, guerrieri, studiosi, dottori, contadini… Tutti vengono e passano col loro peso di speranze e di dolori. E molti vedo che vacillano, perché il dolore è troppo e la speranza è scivolata dalla soma per prima, dalla soma troppo grave, e si è sbriciolata al suolo… E molti vedo che cadono ai bordi della via perché altri più forti li sospingono, più forti o più fortunati nel peso che è lieve. E molti vedo che, sentendosi abbandonati da chi passa, calpestati anche, che sentendosi morire, giungono ad odiare e maledire.

Poveri figli! Fra tutti questi, percossi dalla vita, che passano o cadono, il mio Amore ha, intenzionalmente, sparso i samaritani pietosi, i medici buoni, le luci della notte, le voci nel silenzio, perché i deboli che cadono trovino un aiuto, rivedano la Luce, riodano la Voce che dice: “Spera. Non sei solo. Su te è Dio. Con te è Gesù”.

Ho messo, intenzionalmente, queste carità operanti, perché i miei poveri figli non mi morissero nello spirito, perdendo la dimora paterna, e continuassero a credere in Me-Carità vedendo nei miei ministri il mio riflesso.

Ma, o dolore che mi fai sanguinare la Ferita del Cuore come quando fu aperta sul Golgota! Ma che vedono i miei Occhi divini? Non ci sono forse sacerdoti fra le turbe infinite che passano? Per questo sanguina il mio Cuore? Sono vuoti i seminari? Il mio divino invito non suona più, dunque, nei cuori? Il cuore dell’uomo non è più capace di udirlo? No.

Nei secoli vi saranno seminari e in essi leviti. Da essi usciranno Sacerdoti, perché nell’ora dell’adolescenza il mio invito avrà suonato con voce celeste in molti cuori ed essi l’avranno seguito. Ma altre, altre, altre voci saranno poi venute con la giovinezza e la maturità, e la mia Voce sarà rimasta soverchiata in quei cuori.

La mia Voce che parla nei secoli ai suoi ministri perché essi siano sempre quello che voi ora siete: gli apostoli alla scuola di Cristo. La veste è rimasta. Ma il Sacerdote è morto. In troppi, nei secoli, accadrà questo fatto. 

Ombre inutili e scure, non saranno una leva che alza, una corda che tira, una fonte che disseta, un grano che sfama, un cuore che è guanciale, una luce nelle tenebre, una voce che ripete ciò che il Maestro gli dice. Ma saranno, per la povera umanità, un peso di scandalo, un peso di morte, un parassita, una putrefazione… Orrore!

I Giuda più grandi del futuro Io li avrò ancora e sempre nei miei Sacerdoti!

Amici, Io sono nella gloria e pure Io piango. Ho pietà di queste turbe infinite, greggi senza pastori o con troppi rari pastori. Una pietà infinita! Ebbene, Io lo giuro per la mia Divinità, Io darò loro il pane, l’acqua, la luce, la voce che gli eletti a quest’opere non vogliono dare. Ripeterò nei secoli il miracolo dei pani e dei pesci. Con pochi, spregevoli pesciolini, e con dei tozzi scarsi di pane –anime umili e laiche- Io darò da mangiare a molti, e ne saranno saziati, e ve ne sarà per i futuri, perché “ho compassione di questo popolo” e non voglio che perisca.

Benedetti coloro che meriteranno d’esser tali. Non benedetti perché sono tali. Ma perché l’avranno meritato col loro amore e sacrificio! E benedettissimi quei Sacerdoti che sapranno rimanere apostoli: pane, acqua, luce, voce, riposo e medicina dei miei poveri figli. Di luce speciale splenderanno in Cielo. Io ve lo giuro, Io che sono la Verità.

Alziamoci, amici, e venite meco, che Io vi insegni ancora a pregare. L’orazione è quella che alimenta le forze dell’apostolo, perché lo fonde con Dio».

E qui Gesù si alza e va verso la scaletta.

Ma, quando è alla sua base, si volge e mi guarda. Oh! Padre! Mi guarda! Pensa a me! Cerca la sua piccola «voce» e la gioia d’esser coi suoi amici non Lo smemora di me! Mi guarda, al disopra delle teste dei discepoli, e mi sorride. Alza la mano benedicendomi e dice: «La pace sia con te».

E la visione finisce.

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

 

21 APRILE 2019 DOMENICA DI PASQUA – RISURREZIONE DEL SIGNORE ANNO C Gv 20,1-9

«Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?»
«La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto,

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 20,1-9)
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. Parola del Signore.

Sequenza
Alla vittima pasquale,
s’innalzi oggi il sacrificio di lode.
L’Agnello ha redento il suo gregge,
l’Innocente ha riconciliato
noi peccatori col Padre.Morte e Vita si sono affrontate
in un prodigioso duello.
Il Signore della vita era morto;
ma ora, vivo, trionfa.«Raccontaci, Maria:
che hai visto sulla via?».
«La tomba del Cristo vivente,
la gloria del Cristo risorto,
e gli angeli suoi testimoni,
il sudario e le sue vesti.
Cristo, mia speranza, è risorto:
precede i suoi in Galilea».Sì, ne siamo certi:
Cristo è davvero risorto.
Tu, Re vittorioso,
abbi pietà di noi.

RIFLESSIONI

La Risurrezione gloriosa del Signore è la chiave per interpretare tutta la sua vita, ed è il fondamento della nostra Fede.
Senza questa vittoria sulla morte, qualsiasi predicazione sarebbe vana e la nostra Fede priva di fondamento. Inoltre, è sulla Risurrezione di Gesù che appoggia la nostra futura risurrezione. La Pasqua è la festa della nostra Redenzione e, quindi, festa di ringraziamento e di gioia.
La Risurrezione del Signore è una realtà centrale della Fede cristiana, e come tale è stata predicata fin dagli inizi del Cristianesimo.
Ma cosa significa risorgere da morte?
Forse non si riflette abbastanza sulla Risurrezione di Gesù perché è assente la meditazione della sua Passione e Morte. Una minima percentuale di cristiani si sofferma ogni giorno a meditare la vita di Gesù e, quindi, la maggioranza non si pone il quesito del profondo significato della Risurrezione.
Se ne parla della Risurrezione, si predica, è il fondamento della nostra Fede, ma quanto abbiamo veramente compreso in questi anni della vittoria di Gesù sulla morte? È una ottima riflessione leggere e approfondire periodicamente le risurrezioni compiute dal Signore durate la sua vita pubblica.
La più straordinaria rimane quella di Lazzaro, morto da quattro giorni ed era già iniziato il processo di decomposizione del suo corpo, infatti tra i tre e i sei giorni, che rappresentano il primo stadio, i tessuti molli cominciano a decomporsi. Quando cessa la respirazione e la circolazione, le cellule restano prive dell’abituale rifornimento di ossigeno e possono sopravvivere da un minuto a qualche giorno. Inevitabilmente la morte fa parte del ciclo naturale della vita. Quando arriva, in ogni essere umano inizia un complesso processo con cui il corpo umano ritorna gradualmente alla polvere. Inizia la decomposizione che trasforma le nostre strutture biologiche in semplici elementi costitutivi organici e inorganici.
In ogni persona si verificherà questo processo, era già iniziato in Lazzaro e lo disse Marta a Gesù non appena arrivò a Betania: “Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni” (Gv 11,39). Questa precisazione di Marta era la risposta all’ordine perentorio dato da Gesù: “Togliete la pietra!” (Gv 11,39).
È molto bello il dialogo tra Gesù e Marta quando ella gli và incontro fuori casa e dice un atto di Fede profondo: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, Egli Te la concederà” (Gv 11,22). Gesù si commuove sentendo queste parole, aveva pianto per la morte di Lazzaro ma precisa: “Tuo fratello risusciterà” (Gv 11,23).
Marta risponde con l’insegnamento del Maestro e in buonafede dice: “So che risusciterà nell’ultimo giorno” (Gv 11,24).
Così infatti avverrà per tutti gli esseri umani, ma per Lazzaro e in altre circostanze simili, come per la figlia di Giairo e il fanciullo, figlio unico di una madre vedova, che Gesù incontrò davanti mentre si dirigeva in un villaggio, la risurrezione è avvenuta dopo alcune ore o quattro giorni, ma poi sono tutti morti. Diciamo nuovamente.
Gesù aveva ritardato apposta il viaggio a Betania per omaggiare il corpo di Lazzaro, voleva dare a tutti una ulteriore prova della sua Divinità, infatti non tutti erano ben formati anche se ascoltavano spesso i suoi insegnamenti. Pone a Marta una domanda: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?” (Gv 11,25-26).
Marta non può che rispondere affermativamente, ma con il fratello morto da quattro giorni la Fede di molti altri sarebbe crollata.
Non è scontata una risposta affermativa di una sorella che ha sepolto il corpo del familiare e che era morto quattro giorni prima. Marta aveva veramente una Fede pura e sicura: “Sì, o Signore, io credo che Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo” (Gv 11,27).
Tranne questi casi evangelici, ogni persona che muore cambia condizione di vita ma senza il corpo, il quale si decompone e risusciterà nel giorno del Giudizio universale. La risurrezione dei morti sarà l’atto conclusivo della storia umana, chiamato appunto il Giudizio universale.
Tutti proclamiamo nel Credo che Gesù Cristo, salito al Cielo, ritornerà un giorno “per giudicare i vivi e i morti”.
La Risurrezione di Gesù indica che il suo Corpo non si è assolutamente decomposto e che Lui è vivo con il suo Corpo.
In chi non si è verificato il processo di decomposizione del Corpo? Oltre Gesù.
Il miracolo che festeggiamo a Pasqua è di tale rilevanza che gli Apostoli sono, prima di tutto, testimoni della sua Risurrezione. Il nucleo di tutta la loro predicazione è l’annuncio che Cristo vive. È il vivente. Ed è quanto, dopo venti secoli, anche noi annunciamo al mondo: Gesù vive!
La Risurrezione è la prova suprema della Divinità del Signore Gesù!
Ma per circa 6 miliardi di persone Gesù non è Dio, anche per molti cristiani non è vivo perché non Lo pregano, non lo mettono al centro o comunque presente nella loro vita. Solo per centinaia di milioni di cristiani che Lo adorano, Gesù è vivo.
Da quanto si legge e si ascolta, anche per molti uomini di Chiesa non è vivo, e parlano di Lui senza metterci amore, senza cuore, e questo i credenti lo comprendono molto bene. Allora per compensare la mancanza di vero amore si parla di tutt’altro che forse non forma i cristiani, e si sorvola sulla gravissima crisi di Fede.
Per chi è Risorto veramente oggi il Signore?
“Non chiunque mi dice: Signore, Signore… ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Mt 7,21).
Oggi dobbiamo meditare sull’amore che proviamo per Gesù, se è sincero e lo avvertiamo intimamente, se è ancora debole e bisogna impegnarsi di più per renderlo forte, se c’è ancora indifferenza nelle nostre pratiche di pietà o se c’è pigrizia nel pregare.
La Risurrezione di Gesù è un forte richiamo a vivere da risorti, a compiere premuroso apostolato. La Pasqua ci dice che dobbiamo essere luce e portare luce agli altri. Per questo, dobbiamo restare uniti al Signore con una preghiera frequente nella giornata per non far spegnere la fiamma viva di amore.
Pietro e Giovanni corsero al Sepolcro per vedere cosa era avvenuto dopo l’apparizione avuta dalla Maddalena, la loro corsa è l’inizio del nuovo cammino degli Apostoli, anche se graduale. La tomba vuota è anche silenziosa, non c’è nulla ma rimane la prova della Risurrezione di Gesù.
Anche noi dobbiamo avere questa premura amorevole nel cercare Gesù, ogni giorno e in ogni circostanza anche con brevi atti di amore. Non rimanga mai la nostra anima vuota della presenza di Dio, solo la tomba del Sepolcro deve rimanere vuota.
La Madonna oggi è raggiante di gioia per la Risurrezione di Gesù, e La ricordiamo così, anche se il suo Cuore soffre per tutti noi!

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Capitoli 618,1-6 e 619,1-13

Maria Santissima è prostrata col volto a terra. Pare una povera cosa abbattuta. Pare quel fiore morto di sete di cui Ella ha parlato.

La finestra chiusa si apre con un impetuoso sbattimento delle pesanti imposte e, col raggio del primo sole, entra Gesù.

Maria, che s’è scossa al rumore e che alza il capo per vedere che vento abbia aperto le imposte, vede il suo raggiante Figlio: bello, infinitamente più bello di quando ancora non aveva patito, sorridente, vivo, luminoso più del sole, vestito di un bianco che par luce tessuta, e che si avanza verso di Lei.

Ella si raddrizza sui ginocchi e, congiungendo le mani sul petto, in croce, dice con un singhiozzo che è riso e pianto: «Signore, mio Dio». E resta così rapita nel contemplarlo col viso tutto lavato di lacrime ma fatto sereno, pacificato dal sorriso e dall’estasi.

Ma Egli non La vuole vedere, la sua Mamma, in ginocchio come una serva. E La chiama, tendendole le mani dalle cui ferite escono raggi che fanno ancor più luminosa la sua Carne gloriosa: «Mamma!».

Ma non è la parola accorata dei colloqui e degli addii avanti la Passione, né il lamento straziato dell’incontro sul Calvario e dell’agonia. È un grido di trionfo, di gioia, di liberazione, di festa, di amore, di gratitudine. E si curva sulla sua mamma, che non osa toccarlo, e Le mette le sue Mani sotto i gomiti piegati, e La alza in piedi e La stringe al Cuore e La bacia.

Oh! Allora Maria comprende che non è una visione, che è il Figlio realmente risorto, che è il suo Gesù, il Figlio che l’ama da Figlio ancora. E con un grido gli si getta al collo e Lo abbraccia e Lo bacia, ridendo nel pianto. Lo bacia sulla fronte dove non sono più ferite, sulla testa non più spettinata e sanguinosa, sugli occhi fulgidi, sulle Guance risanate, sulla bocca non più enfiata. E poi gli prende le mani e ne bacia il dorso e la palma, sulle raggianti ferite, e d’un subito si curva ai suoi piedi e li scopre da sotto la veste splendente e li bacia.

Poi si alza, Lo guarda, non osa.

Ma Egli sorride e capisce. Socchiude la veste sul petto e dice: «E questa, Mamma, non la baci questa che t’ha fatto tanto male e che Tu sola sei degna di baciare? Baciami sul Cuore, Mamma. Il tuo bacio mi leverà l’ultimo ricordo di tutto quanto è dolore, e mi darà quella gioia che ancora manca alla mia gioia di risorto».

E prende fra le sue mani il volto della Madre e ne appoggia le labbra sulle labbra della ferita del Costato, da cui escono fiotti di luce vivissima. Il viso di Maria è aureolato da quella luce, tuffato come è nel suo raggio.

Ella bacia, bacia, mentre Gesù La carezza. Non si stanca di baciare. Pare un assetato che abbia attaccato la bocca alla fonte e ne beva la vita che gli sfuggiva.

Ora Gesù parla.

«Tutto è finito, Mamma. Ora non hai più da piangere per il tuo Figlio. La prova è compiuta. La Redenzione è avvenuta.

Mamma, grazie di avermi concepito, allevato, aiutato in vita e in morte.

Ho sentito venire a Me le tue preghiere. Esse sono state la mia forza nel dolore, le mie compagne nel mio viaggio sulla Terra ed oltre la Terra. Esse sono venute meco sulla Croce e nel Limbo.

Erano l’incenso che precedeva il Pontefice, che andava a chiamare i suoi servi per portarli nel tempio che non muore: nel mio cielo. Esse sono venute meco in Paradiso, precedendo come voce angelica il corteo dei redenti guidati dal Redentore, perché gli Angeli fossero pronti a salutare il Vincitore che tornava al suo Regno.

Esse sono state udite e viste dal Padre e dallo Spirito, che ne hanno sorriso come del fiore più bello e del canto più dolce nati in Paradiso. Esse sono state conosciute dai Patriarchi e dai nuovi Santi, dai nuovi, primi cittadini della mia Gerusalemme, ed Io ti porto il loro grazie, Mamma, insieme al bacio dei parenti e alla loro benedizione e a quella del tuo Sposo d’anima, Giuseppe.

Tutto il cielo canta il suo osanna a Te, Madre mia, Mamma Santa! Un osanna che non muore, che non è bugiardo come quello dato a Me pochi giorni sono.

Ora Io vado al Padre con la mia veste umana. Il Paradiso deve vedere il Vincitore nella sua veste d’Uomo con cui ha vinto il Peccato dell’uomo. Ma poi verrò ancora. Devo confermare nella Fede chi non crede ancora ed ha bisogno di credere per portare altri a credere, devo fortificare i pusillanimi che avranno bisogno di tanta fortezza per resistere al mondo.

Poi salirò al Cielo. Ma non ti lascerò sola.

Mamma, lo vedi quel velo? Ho, nel mio annichilimento, sprigionato ancora potenza di miracolo per Te, per darti quel conforto. Ma per Te compio un altro miracolo. Tu mi avrai, nel Sacramento, reale come ero quando mi portavi.

Non sarai mai sola. In questi giorni lo sei stata. Ma alla mia Redenzione occorreva anche questo tuo dolore. Molto va continuamente aggiunto alla Redenzione, perché molto sarà continuamente creato di peccato. Chiamerò tutti i miei servi a questa compartecipazione redentrice. Tu sei quella che da sola farai più di tutti i Santi insieme. Perciò ci voleva anche questo lungo abbandono.

Ora non più. Io non sono più diviso dal Padre. Tu non sarai più divisa dal Figlio. E, avendo il Figlio, hai la Trinità nostra. Cielo vivente, tu porterai sulla Terra la Trinità fra gli uomini e santificherai la Chiesa, tu, Regina del Sacerdozio e Madre dei Cristiani.

Poi Io verrò a prenderti. E non sarò più Io in Te, ma Tu in Me, nel mio Regno, a far più bello il Paradiso.

Ora vado, Mamma. Vado a fare felice l’altra Maria. Poi salgo al Padre. Indi verrò a chi non crede.

Mamma. Il tuo bacio per benedizione. E la mia Pace a te per compagna. Addio».

E Gesù scompare nel sole che scende a fiotti dal cielo mattutino e sereno.

Le donne, intanto, uscite dalla casa camminano rasente al muro, ombre nell’ombra. Per qualche tempo tacciono, tutte imbacuccate e paurose di tanto silenzio e solitudine. Poi, rassicurandosi alla vista della calma assoluta che è in città, si riuniscono in gruppo e osano parlare.

«Saranno già aperte le porte?», chiede Susanna.

«Certo. Guarda là il primo ortolano che entra con le verdure. Va al mercato», risponde Salome.

«Ci diranno nulla?», chiede ancora Susanna.

«Chi?», domanda la Maddalena.

«I soldati, alla porta Giudiziaria. Di lì… entrano pochi ed escono meno ancora… Daremo sospetti…».

«E con ciò? Ci guarderanno. Vedranno cinque donne che vanno verso la campagna. Potremmo essere anche persone che, fatta la Pasqua, andiamo ai nostri paesi».

«Però… Per non dare nell’occhio a qualche malintenzionato, perché non usciamo da un’altra porta e poi giriamo rasente alle mura?…».

«Allungheremo la strada».

«Ma saremo più sicure. Prendiamo la porta dell’Acqua…».

«Oh! Salome! Se fossi in te, sceglierei la porta Orientale! Più lungo il giro dovresti fare! Occorre fare presto e tornare presto». È la Maddalena questa così recisa.

«Allora un’altra, ma non quella Giudiziaria. Sii buona…», pregano tutte.

«E va bene. Allora, posto che volete così, passiamo da Giovanna. Si è raccomandata di farglielo sapere. Se fossimo andate dirette, si poteva fare senza. Ma poiché volete fare un giro più lungo, passiamo da lei…».

«Oh! sì. Anche per le guardie messe là… Lei è nota e temuta…».

«Io direi di passare anche da Giuseppe d’Arimatea. È il padrone del luogo».

«Ma sì! Facciamo un corteo, adesso, per non dare nell’occhio! Oh! che pavida sorella che ho! Piuttosto, sai Marta? Facciamo così. Io vado avanti e guardo. Voi venite dietro con Giovanna. Mi metterò in mezzo alla via, se c’è del pericolo, e mi vedrete. E torneremo indietro. Ma vi assicuro che le guardie, davanti a questo -io ci ho pensato (e mostra una borsa piena di monete)- ci lasceranno fare tutto».

«Lo diremo anche a Giovanna. Hai ragione».

«Allora andate, che io vado».

«Vai sola, Maria? Io vengo con te», dice Marta timorosa per la sorella.

«No. Tu va con Maria d’Alfeo da Giovanna. Salome e Susanna ti aspetteranno presso la porta, dalla parte di fuori delle mura. E poi verrete per la via maestra tutte insieme. Addio». E Maria Maddalena tronca altri possibili commenti andandosene veloce con la sua borsa di balsami e le sue monete in seno.

Vola, tanto va lesta nella strada che si fa più lieta nel primo rosare dell’aurora. Passa la porta Giudiziaria per fare più presto. Nessuno la ferma…

Le altre la guardano andare, poi volgono le spalle alla biforcazione di vie dove erano e ne prendono un’altra, stretta e oscura, che poi si apre, in prossimità del Sisto, in una più vasta e aperta in cui sono belle case. Si dividono ancora, Salome e Susanna procedendo per la via, mentre Marta e Maria d’Alfeo bussano al portone ferrato e si mostrano al finestrino (spioncino) che il portinaio socchiude.

Entrano e vanno da Giovanna che, già alzata e tutta vestita di un viola scurissimo che la fa ancora più pallida, manipola anche essa degli oli insieme alla nutrice e ad una servente.

«Siete venute? Dio ve ne compensi. Ma, non foste venute, sarei andata da me… Per trovare conforto… Perché molte cose sono rimaste turbate dopo quel tremendo giorno. E per non sentirmi sola devo andare contro quella pietra e bussare e dire: “Maestro, sono la povera Giovanna… Non mi lasciare sola anche Tu…”».

Giovanna piange piano ma con molta desolazione, mentre Ester, la nutrice, fa dei grandi segni indecifrabili dietro le spalle della padrona, intanto che le mette il mantello.

«Io vado, Ester».

«Dio ti conforti!».

Escono dal palazzo per raggiungere le compagne. È in questo momento che avviene il breve e forte terremoto, che getta di nuovo nel panico i gerosolimitani, ancora terrorizzati dagli avvenimenti del venerdì. Le tre donne tornano sui loro passi, precipitosamente, e nell’ampio vestibolo, fra le serve e i servi urlanti e invocanti il Signore, stanno paurose di nuovo scosse…

La Maddalena, invece, è proprio al limitare del viottolo che porta all’orto dell’Arimatea quando la coglie il boato potente, e pure armonico, di questo segno celeste, mentre, nella luce appena rosata dell’aurora che si avanza nel cielo, dove ancora a occidente resiste una tenace stella, e che fa bionda l’aria fino allora verdolina, si accende una grande luce, che scende come fosse un globo incandescente, splendidissimo, tagliando a zig-zag l’aria quieta.

Maria di Magdala ne è quasi sfiorata e rovesciata al suolo. Si curva un momento mormorando: «Mio Signore!», e poi si raddrizza come uno stelo dopo il passar del vento e, ancora più ratta, corre verso l’ortaglia.

Vi entra veloce, andando, come un uccello inseguito e cercante il nido, verso il sepolcro di roccia. Ma, per quanto vada veloce, non può essere là quando la celeste meteora fa da leva e da fiamma sul sigillo di calcina messo a rinforzo del pesante pietrone, né quando con fragore finale la porta di pietra cade, dando uno scuotio che si unisce a quello del terremoto che, se è breve, è di una violenza tale che atterra le guardie come morte.

Maria, sopraggiungendo, vede questi inutili carcerieri del Trionfatore gettati al suolo come un fascio di spighe falciate. Maria Maddalena non riconnette il terremoto con la Risurrezione. Ma, vedendo quello spettacolo, crede che sia il castigo di Dio sui profanatori del Sepolcro di Gesù, e cade in ginocchio dicendo: «Ahimé! Lo hanno rapito!». È veramente desolata e piange come una bambina che sia venuta sicura di trovare il padre cercato e trovi invece vuota la dimora.

Poi si alza e corre via per andare da Pietro e Giovanni. E, dato che più non pensa che ad avvisare i due, non ricorda di andare incontro alle compagne, di arrestarsi sulla via, ma veloce come una gazzella ripassa per la strada già fatta, supera la porta Giudiziaria e vola per le strade che sono un poco più animate, si abbatte contro il portone della casa ospitale e lo batte e lo scuote furiosamente.

Le apre la padrona. «Dove sono Giovanni e Pietro?», chiede affannosa Maria Maddalena.

«Là», e la donna indica il Cenacolo.

Maria di Màgdala entra e, appena è dentro, davanti ai due stupiti dice, e nella voce tenuta bassa per pietà della Madre è più affanno che se avesse urlato, dice: «Hanno portato via il Signore dal Sepolcro! Chissà dove Lo hanno messo!», e per la prima volta traballa e vacilla e, per non cadere, si afferra dove può.

«Ma come? Che dici?», chiedono i due.

E lei, con affanno: «Sono andata avanti… per comperare le guardie… perché ci lasciassero fare. Loro sono là come morte… Il Sepolcro è aperto, la pietra per terra… Chi? Chi sarà stato? Oh! venite! Corriamo…».

Pietro e Giovanni si avviano subito. Maria li segue per qualche passo. Poi torna indietro. Afferra la padrona di casa, la scrolla, violenta nel suo previdente amore, e le fischia in volto: «Guardati bene da far passare nessuno da Lei (e accenna la porta della stanza di Maria). Ricordati che io sono la tua padrona. Ubbidisci a taci». E poi la lascia esterrefatta e raggiunge gli apostoli, che a gran passi vanno verso il Sepolcro…

Susanna e Salome, intanto, lasciate le compagne e raggiunte le mura, vengono colte dal terremoto. Impaurite, si rifugiano sotto una pianta e stanno là, combattute fra la smania di andare verso il Sepolcro e quella di scappare presso Giovanna. Ma l’amore vince la paura e vanno verso il Sepolcro.

Entrano ancora sbigottite nell’ortaglia e vedono le guardie tramortite… vedono una grande luce uscire dal Sepolcro aperto. Si aumenta il loro sbigottimento e finisce di farsi completo quando, tenendosi per mano per farsi coraggio a vicenda, si affacciano sulla soglia e, nel buio della grotta sepolcrale, vedono una creatura luminosa e bellissima, dolcemente sorridente, salutarle dal posto dove sta: appoggiata a destra della pietra dell’unzione, che si annulla col suo grigio dietro a tanto incandescente splendore. Cadono a ginocchi, sbalordite di stupore.

Ma l’Angelo dolcemente parla loro: «Non abbiate timore di me. Sono l’Angelo del Divino Dolore. Sono venuto per bearmi della fine di esso. Più non è il dolore del Cristo, il suo avvilimento nella morte. Gesù di Nazareth, il Crocifisso che voi cercate, è risorto. Non è più qui! Vuoto è il posto dove era deposto. Giubilate con me. Andate. Dite a Pietro e ai discepoli che Egli è risorto e vi precede in Galilea. Là lo vedrete ancora per poco, secondo che ha detto».

Le donne cadono col volto a terra e quando lo alzano fuggono come fossero inseguite da un castigo. Sono terrorizzate e mormorano: «Ora morremo! Abbiamo visto l’Angelo del Signore!».

Si calmano un poco in aperta campagna e si consigliano. Che fare? Se dicono ciò che hanno visto, non saranno credute. Se dicono anche di venire di là, possono essere accusate dai giudei di aver ucciso le guardie. No. Non possono dire nulla, né agli amici, né ai nemici…

Pavide, ammutolite, tornano da altra via verso casa. Entrano e si rifugiano nel Cenacolo. Neppure chiedono di vedere Maria… E là pensano che quanto hanno visto non sia che un inganno del demonio. Umili come sono, giudicano che «non può essere che a loro sia stato concesso di vedere il messo di Dio. È satana che le ha volute impaurire per allontanarle di là.

Piangono e pregano come due bambine impaurite da un incubo…

Il terzo gruppo, quello di Giovanna, Maria d’Alfeo e Marta, visto che nulla succede di nuovo, si decide ad andare là dove certo le compagne attendono. Escono nelle strade, dove ormai vi è gente impaurita, che commenta il nuovo terremoto e lo ricollega ai fatti del Venerdì e vede anche quello che non c’è.

«Meglio se sono tutti spauriti! Forse lo saranno anche le guardie e non faranno eccezioni», dice Maria d’Alfeo. E vanno svelte verso le mura.

Ma, mentre loro vanno là, all’ortaglia sono già giunti Pietro e Giovanni, seguiti dalla Maddalena.

E Giovanni, più svelto, giunge per primo al sepolcro. Le guardie non ci sono più. E più non c’è l’Angelo.

Giovanni si inginocchia, timoroso e dolente, sulla soglia spalancata, e per venerare e per cogliere qualche indizio dalle cose che vede. Ma non vede che ammucchiati per terra i panni-lini messi sopra la sindone. «Non c’è proprio, Simone! Maria ha visto bene. Vieni, entra, guarda».

Pietro, col fiato grosso per il gran correre fatto, entra nel Sepolcro. Aveva detto per via: «Io non oserò accostarmi a quel posto». Ma ora non pensa altro che a scoprire dove può essere il Maestro. E Lo chiama anche, come Egli potesse essere nascosto in qualche angolo buio.

L’oscurità, in questa ora mattutina, è ancora forte nel profondo del sepolcro, a cui dà luce solo la piccola apertura della porta su cui ora fanno ombra Giovanni e la Maddalena… E Pietro stenta a vedere, e deve aiutarsi con le mani a vedere… Tocca, e trema, il tavolo dell’unzione e lo sente vuoto…

«Non c’è, Giovanni! Non c’è!… Oh! vieni anche tu! Io ho tanto pianto che non ci vedo quasi in questa poca luce».

Giovanni si alza in piedi ed entra. E, mentre lo fa, Pietro scopre il sudario posto in un angolo, ben piegato e con dentro la sindone arrotolata con cura.

«Lo hanno proprio rapito. Le guardie erano non per noi, ma per fare questo… E noi l’abbiamo lasciato fare. Coll’andarcene lo abbiamo permesso!…».

«Oh! dove lo avranno messo?».

«Pietro! Pietro! Ora… è proprio finita!».

I due discepoli sono annientati.

«Andiamo, donna. Tu lo dirai alla Madre…».

«Io non vengo via. Sto qui… Qualcuno verrà… Oh! io non vengo… Qui c’è ancora qualcosa di Lui. Aveva ragione la Madre… Respirare l’aria dove Egli fu è l’unico sollievo che ci resta».

«L’unico sollievo… Ora lo vedi tu pure che era fola sperare…», dice Pietro.

Maria neppure risponde. Si accascia al suolo, proprio presso la porta, e piange, mentre gli altri vanno via lentamente.

Poi alza il capo e guarda dentro, e fra le lacrime vede due Angeli seduti a capo e a piedi della pietra dell’unzione. È tanto intontita la povera Maria, nella sua più fiera battaglia fra la speranza che muore e la fede che non vuole morire, che li guarda inebetita, senza neppure stupirsene. Non ha più altro che lacrime la forte che a tutto ha resistito da eroina.

«Perché piangi, donna?», chiede uno dei due luminosi fanciulli, perché di adolescenti bellissimi hanno l’aspetto.

«Perché hanno portato via il mio Signore e non so dove me lo hanno messo».

Maria non ha paura a parlare con loro, ma chiede: «Chi siete?». Nulla. Nulla più le fa stupore. Tutto quanto può stupire una creatura ella lo ha già subito. Ora non è che una cosa spezzata che piange senza vigore e ritegno.

Il giovinetto angelico guarda il compagno e sorride. E l’altro pure. E in un balenare di letizia angelica ambedue guardano fuori, verso l’ortaglia tutta in fiore per i milioni di corolle che si sono aperte al primo sole sui meli fitti del pometo.

Maria si volta per vedere chi guardano. E vede un Uomo, bellissimo, che non so come non possa riconoscere subito. Un Uomo che la guarda con pietà e le chiede:

«Donna, perché piangi? Chi cerchi?».

È vero che è un Gesù offuscato dalla sua pietà verso la creatura, che le troppe emozioni hanno sfinita e che potrebbe morire per improvvisa gioia, ma proprio mi chiedo come possa non riconoscerlo.

E Maria fra i singhiozzi:

«Mi hanno preso il Signore Gesù! Ero venuta per imbalsamarlo in attesa che sorgesse… Ho tenuto raccolto tutto il mio coraggio e la mia speranza e la mia fede intorno al mio amore… e ora non Lo trovo più… Anzi ho messo il mio amore intorno alla fede, alla speranza e al coraggio, per difendere questi dagli uomini… Ma è tutto inutile! Gli uomini hanno rubato il mio Amore e con esso tutto mi hanno levato… O mio signore, se sei tu che lo hai portato via, dimmi dove Lo hai messo. Ed io Lo prenderò…

Non lo dirò a nessuno… Sarà un segreto fra me e te. Guarda: sono la figlia di Teofilo, la sorella di Lazzaro, ma ti sto in ginocchio davanti a supplicarti, come una schiava. Vuoi che ti compri il suo Corpo? Lo farò. Quanto vuoi? Sono ricca. Posso darti tant’oro e gemme per quanto esso pesa. Ma rendimelo. Non ti denuncerò. Vuoi percuotermi? Fallo. A sangue, se vuoi. Se hai un odio per Lui, fallo scontare a me. Ma rendimelo.

Oh! non mi fare povera di questa miseria, o mio signore! Pietà di una povera donna!… Per me non vuoi? Per sua Madre, allora. Dimmi! Dimmi dove è il mio Signore Gesù. Sono forte. Lo prenderò fra le braccia e Lo porterò come un bambino in salvo. Signore… signore… tu lo vedi… da tre giorni siamo percossi dall’ira di Dio per quello che fu fatto al Figlio di Dio… Non aggiungere Profanazione a Delitto…».

«Maria!».

Gesù sfavilla nel chiamarla. Si svela nel suo fulgore trionfante.

«Rabboni!».

Il grido di Maria è veramente “il grande grido” che chiude il ciclo della morte. Col primo le tenebre dell’odio fasciarono la Vittima di bende funebri, col secondo le luci dell’amore aumentarono il suo splendore. E Maria si alza nel grido che empie l’ortaglia, corre ai piedi di Gesù, li vorrebbe baciare.

Gesù la scosta toccandola appena col sommo delle dita presso la fronte:

«Non mi toccare! Non sono ancora salito al Padre mio con questa veste. Va dai miei fratelli e amici, e di loro che Io salgo al Padre mio e vostro, al Dio mio e vostro. E poi verrò da loro».

E Gesù scompare, assorbito da una luce insostenibile.

Maria bacia il suolo dove Egli era e corre verso casa. Entra come un razzo, perché il portone è socchiuso per dare passaggio al padrone che esce per andare alla fonte; apre la porta della stanza di Maria e le si abbandona sul cuore gridando:

«È risorto! È risorto!», e piange beata.

E mentre accorrono Pietro e Giovanni, e dal Cenacolo avanzano spaurite Salome e Susanna e ascoltano il suo racconto, ecco entrare anche, dalla via, Maria d’Alfeo con Marta e Giovanna, che a fiato mozzo dicono di «essere anche loro state là e di avere visto due Angeli che si dicevano il Custode dell’Uomo Dio e l’Angelo del suo Dolore, e che hanno dato loro l’ordine di dire ai discepoli che Egli era risorto».

E poiché Pietro scrolla il capo, insistono dicendo:

«Sì. Hanno detto: “Perché cercate il Vivente fra i morti? Egli non è qui. È risorto, come disse quando ancora era in Galilea. Non ricordate? Disse: ‘Il Figlio dell’Uomo deve essere dato nelle mani dei peccatori ed essere crocifisso. Ma il terzo giorno risusciterà?”».

Pietro scrolla il capo dicendo: «Troppe cose in questi giorni! Ne siete rimaste turbate».

La Maddalena alza il capo dal petto di Maria e dice: «L’ho visto! Gli ho parlato. Mi ha detto che sale al Padre e poi viene. Come era bello!», e piange come non ha mai pianto, ora che non ha più da torturare se stessa per fare forza contro il dubbio sorgente da ogni lato.

Ma Pietro, e anche Giovanni, restano molto dubbiosi. Si guardano, ma il loro occhio dice: «Immaginazione di donne!».

Anche Susanna e Salome osano allora parlare. Ma la stessa inevitabile diversità nei particolari delle guardie che prima ci sono come morte e poi non ci sono, degli Angeli che ora sono uno e ora due e che agli apostoli non si sono mostrati, delle due versioni sul venire qui di Gesù o sul precedere i suoi in Galilea, fa sì che il dubbio e, anzi, la persuasione degli apostoli cresca sempre più.

Maria, la Madre beata, tace sorreggendo la Maddalena… Non comprendo il mistero di questo silenzio materno.

Maria d’Alfeo dice a Salome: «Torniamo là noi due. Vediamo se siano tutte ebbre…». E corrono fuori.

Le altre restano, pacatamente derise dai due apostoli, presso Maria che tace, assorta in un pensiero che tutti interpretano a modo loro, e nessuno comprende che è in estasi.

Tornano le due attempate donne:

«È vero! È vero! Noi Lo abbiamo visto. Ci ha detto, presso l’orto di Barnaba: “La pace a voi. Non temete. Andate a dire ai miei fratelli che sono risorto e che vadano fra qualche giorno in Galilea. Là staremo ancora insieme”.

Così ha detto. Maria ha ragione. Bisogna dirlo a quelli di Betania, a Giuseppe, a Nicodemo, ai discepoli più fidi, ai pastori, andare, fare, fare… Oh! è risorto!…», piangono tutte beate.

«Folli siete, donne. Il dolore vi ha turbate. La luce vi è parsa un Angelo. Il vento voce. Il sole il Cristo. Io non vi critico. Vi capisco, ma non posso che credere che a ciò che io ho visto: il Sepolcro aperto e vuoto, e le guardie fuggite col Cadavere nascosto».

«Ma se lo dicono le guardie stesse che è risorto! Se la città è in subbuglio e i principi dei sacerdoti sono folli d’ira, perché le guardie hanno parlato fuggendo esterrefatte! Ora vogliono che dicano diverso e le pagano perciò. Ma già si sa. E se i giudei non credono alla Risurrezione, non vogliono credere, molti altri credono…».

«Uhm! Le donne!…».

Pietro alza le spalle e fa per andarsene.

Allora la Madre, che ha sempre sul cuore la Maddalena che piange come un salice sotto un’acquata per la sua troppo grande gioia e che la bacia sui capelli biondi, alza il viso trasfigurato e dice una breve frase:

«È realmente risorto. Io l’ho avuto fra le braccia e ne ho baciato le Piaghe».

E poi si curva sui capelli dell’appassionata e dice:

«Sì, la gioia è ancora più forte del dolore. Ma non è che una briciola di rena di quello che sarà il tuo oceano di gioia eterna. Te beata che sopra la ragione hai fatto parlare lo spirito».

Pietro non osa più negare… e con uno di quei trapassi del Pietro antico, che ora ritorna ad affiorare, dice, e urla, come se dagli altri e non da lui dipendesse il ritardo:

«Ma allora, se è così, bisogna farlo sapere agli altri. A quelli dispersi per le campagne… cercare… fare… Su, muovetevi. Se dovesse proprio venire… che ci trovi almeno», e non si accorge che ancora confessa di non credere ciecamente alla sua Risurrezione.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

20 APRILE 2019 SABATO SANTO ANNO C

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Oggi è il Sabato Santo, un giorno che si differenzia notevolmente da tutti gli altri per la drammatica vicenda che vede Gesù morto e il silenzio che riesce pure a fare rumore. Un silenzio assordante vige in tutta Gerusalemme, Colui che era la Parola e che aveva parlato per tre anni in tutta la Palestina, adesso tace umanamente e rimane nel Sepolcro.
Il suo silenzio spaventa più degli insegnamenti, i suoi seguaci sono smarriti e i suoi nemici tremolanti perché non sanno cosa potrebbe avvenire. Risorgerà veramente come aveva promesso? Il suo Corpo si decomporrà?
Allora i furbi… del tempio, mettono delle guardie davanti al Sepolcro, perché Gesù potrebbe svegliarsi… però troverebbe sia la grossa pietra che blocca l’uscita sia le guardie pronte ad arrestarlo nuovamente. Allo stesso tempo nessuno può trafugare il suo Corpo. Le comiche dei perfidi, la malizia dei corrotti. Così agiscono i cattivi.
Ogni persona onesta, con un filo di logica, con una veduta oggettiva, avrebbe dovuto porsi come minimo il dubbio sulla morte di Gesù, perché se Lui aveva risuscitato persone morte anche da quattro giorni, adesso non può fare nulla per sé? Se prima era riuscito a dominare la morte e a ridare la vita ai defunti, oggi non può il suo Spirito agire in Lui?
Erano convinti che con la sua morte il Corpo chiuso nel Sepolcro non avrebbe più potuto agire. E lo Spirito?
Non c’è dubbio sulla morte fisica di Gesù e sul dolore lancinante di una Madre, così intenso e pungente come mai tutte le mamme del mondo messe insieme potranno provare, ma è davvero la fine di Gesù deposto nel Sepolcro?
Gesù ha conosciuto la morte come tutti gli uomini e li ha raggiunti con la sua Anima nella dimora dei morti. Negli inferi.
In quel Sepolcro che il ricco Giuseppe d’Arimatea ha messo a disposizione e che ha visto il prodigarsi delle persone innamorate del Signore, pulirlo e ungerlo, rimarrà un Corpo Innocente e si decomporrà come quello degli uomini?
Il Sabato Santo per noi cristiani è il giorno della contemplazione e del silenzio, non siamo veri seguaci di Gesù se lo trascorriamo come un giorno qualsiasi, se facciamo le stesse cose di sempre. Il nostro culto celebra il mistero della discesa agli inferi del Signore Gesù dopo la sua morte, avvenuta il Venerdì Santo alle tre del pomeriggio.
Gesù discese dopo la sua morte agli inferi con la sua Divinità e con la sua Anima umana, ma non con il suo Corpo, rimasto incorrotto per azione dello Spirito Santo e che riposava nella tomba. Gesù vi è disceso come Dio per liberare gli spiriti che vi si trovavano prigionieri aprendo loro il Paradiso.
La discesa agli inferi di Gesù può non essere compresa per la mancata conoscenza del significato. Leggiamo dal Catechismo della Chiesa:
«La Scrittura chiama inferi, Shéol il soggiorno dei morti dove Cristo morto è disceso, perché quelli che vi si trovano sono privati della visione di Dio. Tale infatti è, nell’attesa del Redentore, la sorte di tutti i morti, cattivi o giusti; il che non vuol dire che la loro sorte sia identica, come dimostra Gesù nella parabola del povero Lazzaro accolto nel “seno di Abramo”.
Furono appunto le anime di questi giusti in attesa del Cristo a essere liberate da Gesù.
Tutti quelli che si trovavano negli inferi erano privati della visione di Dio per l’attesa del redentore, quindi fu necessario liberare i giusti con la sua presenza. L’attesa del Redentore era la sorte di tutti i morti, cattivi o giusti. Ma con la discesa agli inferi Gesù ottiene la vittoria definitiva sulla morte e sul diavolo.
Compiuta questa missione Gesù si ricongiunge con il suo Corpo nel Sepolcro, non si può stabilire l’ora ma il dato del Vangelo ci dice che le donne recatisi di buon mattino trovarono la pietra rotolata e il Sepolcro vuoto. La missione Divina compiuta da Gesù costituisce il mistero della Resurrezione, è il centro della nostra Fede, perché se Gesù Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra Fede.
In questo Sabato Santo dobbiamo rimanere come mai prima accanto alla Madre Addolorata, consolarla con i nostri atti di amore, mostrarle che siamo suoi figli ancora di più in queste ore in cui Ella non vede il Figlio di Sangue perché chiuso nel Sepolcro.
In queste ore la Madre rivede nella mente le immagini che mai avrebbe voluto vedere, ma le profezie annunciavano che avrebbero ridotto a brandelli il Messia e Lei già conosceva la condizione ultima del Figlio diletto. Se una madre con un piccolo cuore e corrotto, il più delle volte riesce ad amare fino allo sfinimento il proprio figlio, quale amore avrà avuto la Madonna verso Gesù?
Un amore che sfiora l’infinito, impossibile immaginarlo perché per comprenderlo dovremmo essere noi la Madonna!
Nella Messa di questa sera concentriamoci sulla Passione e Resurrezione del Signore. Da queste disposizioni interiori raccoglieremo moltissima Grazia, pochissima o nulla. Non curiamoci solo del cibo che perisce, ci sono centinaia di giorni per mangiare quello che vogliamo, dedichiamo maggiore tempo alla preghiera interiore e alla meditazione degli avvenimenti di Gesù.
Lo scrivo per il nostro bene, perché possiamo incontrare il Cristo Risorto che trasforma la nostra vita.

19 Aprile 2019 Venerdì Santo Anno C (Gv 18,1-19,42)

Gv 18,1-19,42

TESTO:-
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni. (Gv 18,1-19,42)

In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».- Lo condussero prima da Anna
Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo».Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.- Non sei anche tu uno dei suoi discepoli? Non lo sono!
Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.- Il mio regno non è di questo mondo
Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?».E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.- Salve, re dei Giudei!
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi.Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!».Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».- Via! Via! Crocifiggilo!
Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.- Lo crocifissero e con lui altri due
Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».- Si sono divisi tra loro le mie vesti
I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato -, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così.- Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.

(Qui si genuflette e di fa una breve pausa)

E subito ne uscì sangue e acqua
Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato -, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».- Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli insieme ad aromi
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Ore d’amore
Nella versione di Luca vi è un riferimento importante che si rileva nelle parole di Gesù al momento del suo arresto notturno: Come contro un brigante siete usciti con spade e bastoni! Tutti i giorni ero con voi nel tempio e non avete steso le mani su di me; ma questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre. (Lc 22, 52 – 53). Anziani, sommi sacerdoti e capi delle guardie de tempio, con la complicità di Giuda apostolo traditore intendono effettivamente cogliere Gesù alla sprovvista e catturarlo come ai nostri giorni si bracca nottetempo un latitante. La loro intraprendenza non dimostra alcuna competenza o professionalità, poiché per mettere le mani addosso a Gesù non occorrerebbe neppure avvalersi di una talpa come Giuda; come egli stesso fa notare, poi, il suo arresto sarebbe potuto avvenire benissimo alla luce del sole, mentre parlando nel tempio tutti i giorni era sempre stato facile preda per tutti.
Ciononostante Gesù non sta rimproverando la viltà o l’incompetenza dei suoi aggressori, ma li mette solamente al corrente che il suo arresto si sta realizzando non per la loro presunta abilità o per l’astuzia di chi lo ha tradito, ma semplicemente perché è l’impero delle tenebre. Il maligno, che si era impossessato in precedenza del cuore di Giuda, adesso ha ancora facoltà di agire indisturbato ed è in realtà per la sua intraprendenza libera che può perpetrarsi questo arresto. Il diavolo, a suo tempo mortificato e messo in fuga da Gesù nell’episodio delle tentazioni nel deserto, adesso torna alla carica perché è giunto il suo momento opportuno, la sua ora, il tempo cioè nel quale può agire liberamente perché gli uomini possano assoggettare e asservire Gesù. Ancora più esattamente, è l’ora in cui il Padre permette al principe delle tenebre di avere la meglio su Gesù perché si porti a termine quando su di lui è stato prestabilito fin dall’inizio: che il Figlio dell’Uomo debba molto soffrire, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e dopo tre giorni risuscitare (Mc 8, 31). E’ giunta l’ora insomma in cui si realizza il progetto di salvezza per il quale è indispensabile che il Figlio di Dio affronti la ripugnanza e la croce e che tutto si muova contro di lui per opera del maligno. L’ora in questo caso non indica una posizione sul quadrante dell’orologio, ma il tempo propizio della salvezza, il momento opportuno per cui sta succedendo ciò a cui assistiamo. Secondo un brano dei Camaleonti questa è l’ora dell’amore. Per il quale si sottomette perfino alle insidie del maligno pur di raggiungere l’uomo fino in fondo, per procurare ogni mezzo per salvarlo e ricondurlo a Dio.
In effetti l’unico motivo che spinge Gesù ad affrontare prima lo spasimo solitario, poi il flagello unito ad insulti, quindi le percosse e lo strazio sulla croce non può essere che l’amore spassionato e disinteressato per l’umanità, che solo per mezzo di questo espediente è in grado di conoscere la verità intorno a se stessa e ambire al proprio futuro. Per l’uomo Gesù non si risparmia, fino a rifiutare ogni protezione da parte di Pietro e addirittura fino a prestare soccorso a uno dei suoi avversari che viene da questi ferito. L’amore per l’umanità si palesa già adesso come attenzione anche nei riguardi dei nemici, come logica della non violenza e della serena accettazione delle avversità. In virtù di esso occorre omettere ogni ritorsione e far valere i propri diritti con argomenti convincenti, considerando che nessun avversario è mai un nemico, mentre la forza porta solo ad accrescere i problemi esistenti. Vi sono altre vie migliori per farsi ascoltare. E tuttavia in Gesù l’amore per l’uomo è ancora più paradossale, perché addirittura misconosce o ignora perfino il suo diritto di essere ascoltato in un processo più giusto e di evitare una morte illegittima, anche dal punto di vista legale: non contento di subire percosse, schernimenti, derisioni e di sottostare al terribile flagrum (flagello a corde grosse particolarmente atroce sulla pelle), Gesù non lesina ad accettare la morte dopo la terribile agonie di tante ore appeso sul patibolo, inerte e senza volontà di replica o di ritorsione, ben consapevole di essere diventato maledizione agli occhi di tutti, poiché sta scritto “maledetto chi pende dal legno”(Gal 3, 14).
L’umanità ha bisogno di amore e Gesù in queste ore dimostra di riversarlo nel cuore di tutti gli uomini mostrando amore dimesso, umile e generoso, che non si risparmia e che non si sottrae ad alcuno dei patimenti previsti. Gesù pur essendo Figlio di Dio è pur sempre vero Uomo e in quanto tale conosce benissimo la realtà della sofferenza e della morte: la prima è sempre ostile, nemica e perversa. Fa paura e la si vorrebbe evitare ad ogni costo e tuttavia lui vuole farne esperienza in prima persona. La seconda, a prescindere dalla nostra fede e dalla speranza con cui vi siamo protratti, è pur sempre un’incognita, una realtà terrificante soprattutto quando stiamo per esserne i diretti interessati e non si può che guardarla con ansia e trepidazione e tuttavia Gesù ad essa non si sottrae sebbene lo strumento per andarvi incontro è fra i più cruenti che esistano. Nell’uno e nell’altro caso l’amore è contrassegnato dall’umiltà che lo rende più certo e più indubbio perché avvalorata e accresciuta dalle umiliazioni accettate.
Sotto questo aspetto davvero esaltante, la croce è anche per noi un luogo privilegiato, nel quale siamo incoraggiati a vedere nell’avversità la radice del successo e a cercare nell’umiltà la radice dello stesso amore con cui costruire un tessuto di relazioni pacifiche con noi stessi e con gli altri, prendendo a modello lo stesso Signore che della croce ha fatto le sue ore d’amore.

18 aprile 2019 Giovedì Santo anno C (Gv 13,1-15)

Gv 13,1-15
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Gv 13,1-15

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 13,1-15)
Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Fate questo in memoria di me
Il Triduo pasquale inizia con la commemorazione dell’Ultima Cena. Gesù, la vigilia della sua passione, offrì al Padre il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane e del vino e, donandoli in nutrimento agli Apostoli, comandò loro di perpetuarne l’offerta in sua memoria.
Questa sera la Chiesa ci raduna attorno all’altare, come quella sera del giovedì santo in cui gli apostoli insieme al loro Maestro si riunirono attorno alla tavola, per celebrare e vivere il mistero della cena.
San Paolo, nella lettera che scrive alla comunità di Corinto, racconta l’istituzione dell’Eucaristia dicendo che: «il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me» (II Lettura). Queste sono le stesse parole che si ripetono ogni volta che si celebra la santa messa. Secondo il linguaggio biblico, il termine «corpo» sta ad indicare tutta la persona di Gesù, tutta la sua esistenza, così come il termine «sangue» sta ad indicare la sua morte. Ciò significa che Gesù offre tutta la sua vita e la sua morte al Padre per la nostra salvezza.
Il racconto della lavanda dei piedi dell’evangelista Giovanni, che ci presenta il Signore che si spoglia delle sue vesti; che si piega ai piedi dei discepoli, compreso Giuda Iscariota, il traditore; che si cinge dell’asciugamano; sono gesti che indicano il servizio e l’umiltà. Questo brano vuole ricordare a tutti i cristiani che Eucaristia e amore fraterno sono inseparabili, e cioè: «Se uno dice: Io amo Dio e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4, 20).
Il gesto della lavanda dei piedi, ripetuto nella liturgia, diventa, dunque, simbolo della fraternità cristiana e anticipa e concretizza il comandamento dell’amore: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 34-35). Giovanni, infatti, annota scrivendo che il Signore e il Maestro dopo aver lavato i piedi ai suoi dodici apostoli, dice loro: «anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». Questa affermazione di Gesù sta a significare l’amore che dobbiamo avere verso i più deboli, i malati, gli anziani, i poveri gli indifesi. Senza amore generoso, gratuito, non ci può essere vero servizio. La celebrazione della messa, senza fraternità vissuta, senza amore, senza servizio, non ha senso. A cosa serve andare in Chiesa se il nostro cuore è chiuso all’amore e alla misericordia? A cosa serve ricevere il Corpo del Signore se non siamo capaci di perdonare?
«Fate questo in memoria di me» significa, quindi, che se vogliamo essere dei veri cristiani dobbiamo essere sinceramente disposti a lavarci i piedi gli uni gli altri e a riconoscere nei fratelli il Cristo servo, il Cristo umile, il Cristo povero, il Cristo obbediente. Solo così la celebrazione eucaristica diventa il sacramento della condivisione della vita di Cristo tra fratelli che si amano e si servono reciprocamente.

14 APRILE 2019 DOMENICA DELLE PALME ANNO C Lc 22,14-23,56

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Luca.
(Lc 22,14-23,56)

TESTO:-
Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione
Quando venne l’ora, [Gesù] prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». E, ricevuto un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio».– Fate questo in memoria di me
Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi».– Guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito!
«Ma ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stabilito, ma guai a quell’uomo dal quale egli viene tradito!». Allora essi cominciarono a domandarsi l’un l’altro chi di loro avrebbe fatto questo.– Io sto in mezzo a voi come colui che serve
E nacque tra loro anche una discussione: chi di loro fosse da considerare più grande. Egli disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove e io preparo per voi un regno, come il Padre mio l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno. E siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele.– Tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli
Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli». E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte». Gli rispose: «Pietro, io ti dico: oggi il gallo non canterà prima che tu, per tre volte, abbia negato di conoscermi».– Deve compiersi in me questa parola della Scrittura
Poi disse loro: «Quando vi ho mandato senza borsa, né sacca, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?». Risposero: «Nulla». Ed egli soggiunse: «Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così chi ha una sacca; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché io vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: “E fu annoverato tra gli empi”. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo compimento». Ed essi dissero: «Signore, ecco qui due spade». Ma egli disse: «Basta!».– Entrato nella lotta, pregava più intensamente
Uscì e andò, come al solito, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono. Giunto sul luogo, disse loro: «Pregate, per non entrare in tentazione». Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso, cadde in ginocchio e pregava dicendo: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra. Poi, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: «Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione».– Giuda, con un bacio tu tradisci il Figlio dell’uomo?
Mentre ancora egli parlava, ecco giungere una folla; colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, li precedeva e si avvicinò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tu tradisci il Figlio dell’uomo?». Allora quelli che erano con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?». E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo: «Lasciate! Basta così!». E, toccandogli l’orecchio, lo guarì. Poi Gesù disse a coloro che erano venuti contro di lui, capi dei sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: «Come se fossi un ladro siete venuti con spade e bastoni. Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete mai messo le mani su di me; ma questa è l’ora vostra e il potere delle tenebre».– Uscito fuori, Pietro, pianse amaramente
Dopo averlo catturato, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno; anche Pietro sedette in mezzo a loro. Una giovane serva lo vide seduto vicino al fuoco e, guardandolo attentamente, disse: «Anche questi era con lui». Ma egli negò dicendo: «O donna, non lo conosco!». Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei uno di loro!». Ma Pietro rispose: «O uomo, non lo sono!». Passata circa un’ora, un altro insisteva: «In verità, anche questi era con lui; infatti è Galileo». Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.– Fa’ il profeta! Chi è che ti ha colpito?
E intanto gli uomini che avevano in custodia Gesù lo deridevano e lo picchiavano, gli bendavano gli occhi e gli dicevano: «Fa’ il profeta! Chi è che ti ha colpito?». E molte altre cose dicevano contro di lui, insultandolo.– Lo condussero davanti al loro Sinedrio
Appena fu giorno, si riunì il consiglio degli anziani del popolo, con i capi dei sacerdoti e gli scribi; lo condussero davanti al loro Sinedrio e gli dissero: «Se tu sei il Cristo, dillo a noi». Rispose loro: «Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma d’ora in poi il Figlio dell’uomo siederà alla destra della potenza di Dio». Allora tutti dissero: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli rispose loro: «Voi stessi dite che io lo sono». E quelli dissero: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L’abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca».– Non trovo in quest’uomo alcun motivo di condanna
Tutta l’assemblea si alzò; lo condussero da Pilato e cominciarono ad accusarlo: «Abbiamo trovato costui che metteva in agitazione il nostro popolo, impediva di pagare tributi a Cesare e affermava di essere Cristo re». Pilato allora lo interrogò: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». Pilato disse ai capi dei sacerdoti e alla folla: «Non trovo in quest’uomo alcun motivo di condanna». Ma essi insistevano dicendo: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea, fino a qui». Udito ciò, Pilato domandò se quell’uomo era Galileo e, saputo che stava sotto l’autorità di Erode, lo rinviò a Erode, che in quei giorni si trovava anch’egli a Gerusalemme.– Erode con i suoi soldati insulta Gesù
Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto. Da molto tempo infatti desiderava vederlo, per averne sentito parlare, e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò, facendogli molte domande, ma egli non gli rispose nulla. Erano presenti anche i capi dei sacerdoti e gli scribi, e insistevano nell’accusarlo. Allora anche Erode, con i suoi soldati, lo insultò, si fece beffe di lui, gli mise addosso una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici tra loro; prima infatti tra loro vi era stata inimicizia.– Pilato abbandona Gesù alla loro volontà
Pilato, riuniti i capi dei sacerdoti, le autorità e il popolo, disse loro: «Mi avete portato quest’uomo come agitatore del popolo. Ecco, io l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in quest’uomo nessuna delle colpe di cui lo accusate; e neanche Erode: infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo punito, lo rimetterò in libertà». Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «Togli di mezzo costui! Rimettici in libertà Barabba!». Questi era stato messo in prigione per una rivolta, scoppiata in città, e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, perché voleva rimettere in libertà Gesù. Ma essi urlavano: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere.– Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me
Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: “Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato”. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!”, e alle colline: “Copriteci!”. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?».
Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori.– Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno
Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».
Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte.– Costui è il re dei Giudei
Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».– Oggi con me sarai nel paradiso
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».– Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito
Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò.(Qui si genuflette e si fa una breve pausa) Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto». Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo.– Giuseppe pone il corpo di Gesù in un sepolcro scavato nella roccia
Ed ecco, vi era un uomo di nome Giuseppe, membro del Sinedrio, buono e giusto. Egli non aveva aderito alla decisione e all’operato degli altri. Era di Arimatèa, una città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto. Era il giorno della Parascève e già splendevano le luci del sabato. Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono il sepolcro e come era stato posto il corpo di Gesù, poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo come era prescritto. Parola del Signore.

Forma breve

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Luca. (Lc 23,1-49):
Non trovo in quest’uomo alcun motivo di condanna

In quel tempo, tutta l’assemblea si alzò; condussero Gesù da Pilato e cominciarono ad accusarlo: «Abbiamo trovato costui che metteva in agitazione il nostro popolo, impediva di pagare tributi a Cesare e affermava di essere Cristo re». Pilato allora lo interrogò: «Sei tu il re dei Giudei?». Ed egli rispose: «Tu lo dici». Pilato disse ai capi dei sacerdoti e alla folla: «Non trovo in quest’uomo alcun motivo di condanna». Ma essi insistevano dicendo: «Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea, fino a qui». Udito ciò, Pilato domandò se quell’uomo era Galileo e, saputo che stava sotto l’autorità di Erode, lo rinviò a Erode, che in quei giorni si trovava anch’egli a Gerusalemme.– Erode con i suoi soldati insulta Gesù
Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto. Da molto tempo infatti desiderava vederlo, per averne sentito parlare, e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui. Lo interrogò, facendogli molte domande, ma egli non gli rispose nulla. Erano presenti anche i capi dei sacerdoti e gli scribi, e insistevano nell’accusarlo. Allora anche Erode, con i suoi soldati, lo insultò, si fece beffe di lui, gli mise addosso una splendida veste e lo rimandò a Pilato. In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici tra loro; prima infatti tra loro vi era stata inimicizia.– Pilato abbandona Gesù alla loro volontà
Pilato, riuniti i capi dei sacerdoti, le autorità e il popolo, disse loro: «Mi avete portato quest’uomo come agitatore del popolo. Ecco, io l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in quest’uomo nessuna delle colpe di cui lo accusate; e neanche Erode: infatti ce l’ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò, dopo averlo punito, lo rimetterò in libertà». Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «Togli di mezzo costui! Rimettici in libertà Barabba!». Questi era stato messo in prigione per una rivolta, scoppiata in città, e per omicidio. Pilato parlò loro di nuovo, perché voleva rimettere in libertà Gesù. Ma essi urlavano: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato in lui nulla che meriti la morte. Dunque, lo punirò e lo rimetterò in libertà». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta venisse eseguita. Rimise in libertà colui che era stato messo in prigione per rivolta e omicidio, e che essi richiedevano, e consegnò Gesù al loro volere.– Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me
Mentre lo conducevano via, fermarono un certo Simone di Cirene, che tornava dai campi, e gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù. Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: «Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: “Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato”. Allora cominceranno a dire ai monti: “Cadete su di noi!”, e alle colline: “Copriteci!”. Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?».
Insieme con lui venivano condotti a morte anche altri due, che erano malfattori.– Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno
Quando giunsero sul luogo chiamato Cranio, vi crocifissero lui e i malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».
Poi dividendo le sue vesti, le tirarono a sorte.– Costui è il re dei Giudei
Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».– Oggi con me sarai nel paradiso
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».– Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito
Era già verso mezzogiorno e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio, perché il sole si era eclissato. Il velo del tempio si squarciò a metà. Gesù, gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito». Detto questo, spirò.(Qui si genuflette e si fa una breve pausa) Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto». Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo. Parola del Signore.

RIFLESSIONI,

Festeggiamo oggi l’entrata messianica di Gesù a Gerusalemme; in ricordo del suo trionfo, benediciamo le palme e leggiamo il racconto della sua passione e della sua morte. È il profeta Isaia con il suo terzo cantico sul servo sofferente di Iahvè che ci prepara ad ascoltare questo passo del Vangelo.
La sofferenza fa parte della missione del servo. Essa fa anche parte della nostra missione di cristiani. Non può esistere un servo coerente di Gesù se non con il suo fardello, come ci ricorda il salmo di oggi.
Ma nella sofferenza risiede la vittoria. “Egli spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce”. E, come il suono trionfale di una fanfara, risuonano le parole che richiamano l’antico inno cristiano sulla kenosi citato da san Paolo: “Per questo Dio l’ha esaltato al di sopra di tutto”. L’intera gloria del servo di Iahvè è nello spogliarsi completamente, nell’abbassarsi, nel servire come uno schiavo, fino alla morte. La parola essenziale è: “Per questo”. L’elevazione divina di Cristo è nel suo abbassarsi, nel suo servire, nella sua solidarietà con noi, in particolare con i più deboli e i più provati.
Poiché la divinità è l’amore. E l’amore si è manifestato con più forza proprio sulla croce, sulla croce dalla quale è scaturito il grido di fiducia filiale nel Padre.
“Dopo queste parole egli rese lo spirito”, e noi ci inginocchiamo – secondo la liturgia della messa – e ci immergiamo nella preghiera o nella meditazione. Questo istante di silenzio totale è essenziale, indispensabile a ciascuno di noi. Che cosa dirò al Crocifisso? A me stesso? Al Padre?

14 APRILE 2019 DOMENICA DELLE PALME ANNO C Lc 22,14-23,56

DOMENICA DELLE PALME

“De Passione Domini”

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 22,14-71.23,1-56

(Il testo del Vangelo è lungo e non viene inserito)

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

Capitolo 600

Comincia la sofferenza del Giovedì Santo. Gli apostoli, e sono dieci, si danno un gran da fare a preparare il Cenacolo. Giuda, arrampicato sul tavolo, osserva se l’olio è in tutti i palloncini del grande lampadario, che pare una corolla di fucsia doppia, perché ha uno stelo circondato da cinque lumi in ampolle simili a petali, poi un secondo giro, più in basso, che è tutta una coroncina di fiammelle, poi ha, per ultimo, tre esili lampadine sospese a catenelle che sembrano i pistilli del luminoso fiore. Poi scende con un salto e aiuta Andrea a disporre con arte le stoviglie sulla tavola, su cui viene stesa una finissima tovaglia. Sento Andrea che dice: «Che splendido lino!».

E l’Iscariota: «Uno dei migliori di Lazzaro. Marta l’ha voluta portare per forza».

«E questi calici? e queste anfore, allora?», osserva Tommaso che ha messo il vino nelle anfore preziose e le rimira, specchiandosi nelle loro pance snelle, e ne carezza i manici a cesello con occhio d’intenditore.

«Chissà che valore, eh?», chiede Giuda Iscariota.

«È lavorato a martello. Mio padre ne andrebbe pazzo. L’argento e l’oro in foglia si piega, quando è caldo, con facilità. Ma trattato così… È un momento rovinare tutto. Basta un colpo mal dato. Ci vuole forza e leggerezza insieme. Vedi i manici? Tratti dal blocco. Non saldati. Cose da ricchi… Pensa che tutta la limatura e lo sbozzato si perdono. Non so se mi capisci».

«Eh! se capisco! Insomma è come uno che fa scultura».

«Proprio così».

Tutti ammirano. Poi tornano al loro lavoro. Chi dispone i sedili e chi fa pronte le credenze.

Entrano insieme Pietro e Simone.

«Oh! siete venuti finalmente! Dove siete andati di nuovo? Dopo essere giunti col Maestro e noi, siete da capo fuggiti», dice l’Iscariota.

«Ancora un’incombenza prima dell’ora», risponde breve Simone.

«Hai delle malinconie?».

«Credo che, con quello che si è udito in questi giorni, e da quelle labbra che mai trovammo menzognere, ce ne sia ben ragione».

«E con quel puzzo di… Bene, sta’ zitto, Pietro», borbotta Pietro fra i denti.

«Anche tu!… Mi sembri folle da qualche giorno. Hai la faccia di un coniglio selvatico che si sente dietro lo sciacallo», risponde Giuda Iscariota.

«E tu hai il muso della faina. Anche tu non sei molto bello da qualche giorno. Guardi in un modo… Hai persino l’occhio storto… Chi aspetti, o che speri vedere? Sembri sicuro, vuoi farlo parere, ma assomigli a chi ha paura», rimbecca Pietro.

«Oh! Quanto a paura!… Non sei certo un eroe neppure tu!».

«Nessuno lo siamo, Giuda. Tu porti il nome del Maccabeo, ma non lo sei. Io dico, col mio, “Dio fa grazie”, ma ti giuro che ho in me il tremito di chi sa di portare disgrazia e di essere soprattutto in disgrazia di Dio. Simone di Giona, ribattezzato “la pietra”, è ora molle come cera al fuoco. Non si agguanta più col suo volere. E sì che mai lo vidi pauroso nelle più fiere tempeste!

Matteo, Bartolmai e Filippo sembrano sonnambuli. Mio fratello e Andrea non fanno che sospirare. I due cugini, in cui è il dolore del sangue con quello dell’amore al Maestro, guardali. Sembrano uomini già vecchi. Tommaso ha perduto la sua giocondità. E Simone sembra tornato il lebbroso sfinito di or sono tre anni, tanto è scavato da un dolore, direi corroso, livido, avvilito», gli risponde Giovanni.

«Sì. Ci ha suggestionati tutti con la sua melanconia», osserva l’Iscariota.

«Mio cugino Gesù, il mio e vostro Maestro e Signore, è e non è melanconico. Se vuoi dire, con questo nome, che è triste per il troppo dolore che tutto Israele gli sta dando, e che noi vediamo, e per l’altro occulto dolore che Egli solo vede, ti dico: “Hai ragione”. Ma se usi quel termine per dirlo folle, te lo proibisco», dice Giacomo di Alfeo.

«E non è follia un’idea fissa di malinconia? Io ho studiato anche il profano. E so. Egli troppo ha dato di Sé. Ora è uno stanco di mente».

«Il che significa demente. Non è vero?», chiede l’altro cugino Giuda, in apparenza calmo.

«Proprio così! Aveva visto bene tuo padre, giusto di santa memoria, al quale tanto tu somigli in giustizia e sapienza! Gesù, triste destino di una illustre casa troppo vecchia e colpita da senilità psichica, ha sempre avuto una tendenza a questa malattia. Dolce dapprima, poi sempre più aggressiva. Tu hai visto come ha attaccato farisei e scribi, sadducei ed erodiani. Si è resa impossibile la vita come un cammino sparso di schegge di quarzo. E da Sé se le è sparse. Noi… lo amammo tanto che l’amore ci fu velo. Ma quelli che l’amarono non idolatramente -tuo padre, tuo fratello Giuseppe, e Simone dapprima- videro giusto… Dovevamo aprire gli occhi alle loro parole. Invece siamo stati tutti sedotti dal suo dolce fascino di malato. Ed ora… Mah!».

Giuda Taddeo, che, alto come l’Iscariota, gli è proprio di fronte e pare udirlo con pace, ha uno scatto violento e, con un manrovescio potente, getta Giuda supino su uno dei sedili, e con una collera contenuta nella voce gli fischia, curvandosi sul volto del vigliacco, che non reagisce forse temendo che il Taddeo sia a conoscenza del suo crimine: «Questo per la demenza, rettile! E solo perché Egli è di là, ed è sera di Pasqua, non ti strozzo. Ma pensa, pensalo bene! Se gli avviene del male, e non c’è più Lui a fermare la mia forza, nessuno ti salva. È come tu già avessi il capestro al collo, e saranno queste mie mani oneste e forti, di artiere galileo e di discendente del frombolatore di Golia, che te lo faranno. Alzati, smidollato libertino! E regolati!».

Giuda si alza, livido, senza la minima reazione. E, ciò che mi stupisce, nessuno ha una reazione al gesto nuovo del Taddeo. Anzi!… È chiaro che tutti approvano.

È appena ricomposto l’ambiente che entra Gesù. Si affaccia sulla soglia della porticina, dalla quale la sua alta persona appena passa, mette piede sul ballatoio di così poco spazio e col suo mite, mesto sorriso dice, aprendo le braccia: «La pace sia con voi». La sua voce è stanca, come quella di uno che languisce nel fisico o nel morale.

Scende. Carezza sul capo biondo Giovanni che gli è corso vicino. Sorride, come ignaro, al cugino Giuda e dice all’altro cugino:

«Tua madre ti prega di essere dolce con Giuseppe. Ha chiesto di Me e di te poco fa alle donne. Mi spiace non averlo salutato».

«Lo farai domani».

«Domani?… Ma avrò sempre tempo di vederlo… Oh! Pietro! Staremo un poco insieme, finalmente! Da ieri mi sembri un fuoco fatuo. Ti vedo, poi non ti vedo più. Oggi quasi posso dire che ti ho perso. Anche tu, Simone».

«I nostri capelli più bianchi che neri ti possono fare sicuro che non fummo assenti per fame di carne», dice serio Simone.

«Per quanto… a tutte le età si possa avere quella fame… I vecchi! Peggio dei giovani…», dice l’Iscariota offensivo.

Simone lo guarda e sta per ribattere. Ma lo guarda anche Gesù e dice: «Ti duole un dente? Hai la guancia destra gonfia e rossa».

«Sì. Ho male. Ma non merita occuparsene».

Gli altri non dicono nulla e la cosa muore così.

«Avete fatto tutto quanto era da fare? Tu, Matteo? E tu, Andrea? E tu, Giuda, hai pensato all’offerta al Tempio?».

Tanto i due primi come l’Iscariota dicono: «Tutto fatto di quello che avevi detto da farsi per oggi. Sta’ quieto».

«Io ho portato le primizie di Lazzaro a Giovanna di Cusa. Per i bambini. Mi hanno detto: “Erano più buone quelle mele!”. Avevano il sapore della fame, quelle! Ed erano le tue mele», dice sorridente e sognante Giovanni.

Anche Gesù sorride ad un ricordo…

«Io ho visto Nicodemo e Giuseppe», dice Tommaso.

«Li hai visti? Hai parlato con loro?», chiede l’Iscariota con interesse esagerato.

«Sì. Che c’è di strano? Giuseppe è un buon cliente del padre mio».

«Non lo avevi detto prima… Mi sono stupito per questo!…». Giuda cerca rimediare all’impressione, data prima, di affanno per l’incontro di Giuseppe e Nicodemo con Tommaso.

«Mi fa strano che non siano venuti qui a venerarti. Non loro, non Cusa, non Mannanen… Nessuno dei…».

Ma l’Iscariota ride con una falsa risata, interrompendo Bartolomeo, e dice: «Il coccodrillo si rintana nell’ora buona».

«Che vuoi dire? Che insinui?», interroga Simone, aggressivo quanto non fu mai.

«Pace, pace! Ma che avete? È sera pasquale! Mai avemmo sì degno apparato alla consumazione dell’agnello. Consumiamo dunque la cena con spirito di pace. Vedo che vi ho molto turbato con le mie istruzioni di queste ultime sere. Ma, vedete? Ho finito! Ora non vi turberò più. Non tutto è detto di quanto a Me si riferisce. Solo l’essenziale. Il resto… lo capirete poi. Vi sarà detto… Sì. Verrà Chi ve lo dirà. Giovanni, vai con Giuda e qualche altro a prendere le coppe per la purificazione. E poi sediamo alla mensa».

Gesù è di una dolcezza straziante.

Giovanni con Andrea, Giuda Taddeo con Giacomo, portano l’ampia coppa, vi mescono acqua e offrono l’asciugamani a Gesù e ai compagni, i quali poi fanno lo stesso con loro. La coppa (che è un bacile di metallo) viene messa in un angolo.

«Ed ora ai propri posti. Io qui, e qui (alla destra) Giovanni, e dall’altro lato il mio fedele Giacomo. I due primi discepoli. Dopo Giovanni la mia Pietra forte, e dopo Giacomo colui che è come l’aria. Non si avverte. Ma è sempre presente e dà conforto: Andrea. Vicino a lui, mio cugino Giacomo. Tu non ti rammarichi, dolce fratello, se do il primo posto ai primi? Sei il nipote del Giusto (San Giuseppe), il cui spirito palpita e aleggia su Me, in questa sera, più che mai.

Abbi pace, padre della mia debolezza di fanciullino, quercia alla cui ombra ebbero ristoro la Madre e il Figlio! Abbi pace!… Dopo Pietro, Simone… Simone, vieni un momento qui. Voglio fissare il tuo volto leale. Dopo non ti vedrò che male, perché altri mi copriranno la tua onesta faccia. Grazie, Simone. Di tutto», e lo bacia.

Simone, quando è lasciato, va al suo posto portandosi per un attimo le mani al volto con atto di afflizione.

«Di fronte a Simone, il mio Bartolmai. Due onestà e due sapienze che si rispecchiano. Stanno bene insieme. E vicino, tu, Giuda, fratello mio. Così ti vedo,… e mi sembra di essere a Nazareth… quando qualche festa ci riuniva tutti ad una mensa… Anche a Cana… Ricordi? Eravamo insieme. Una festa… una festa di nozze… il primo miracolo… l’acqua mutata in vino… Anche oggi una festa… e anche oggi vi sarà un miracolo… il vino cambierà natura… e sarà…».

Gesù si immerge nel suo pensiero. A capo chino, è come isolato nel suo mondo segreto. Gli altri Lo guardano e non parlano. Rialza il capo e fissa Giuda Iscariota, al quale dice: «Tu mi starai di fronte».

«Tanto mi ami? Più di Simone, che mi vuoi avere sempre di fronte?».

«Tanto. Lo hai detto».

«Perché, Maestro?».

«Perché tu sei quello che hai fatto più di tutti per quest’ora».

Giuda guarda con un mutevolissimo sguardo il Maestro e i compagni. Il primo con un che di ironica compassione, gli altri con aria di trionfo.

«E vicino a te, da una parte Matteo, dall’altra Tommaso».

«Allora Matteo alla mia sinistra e Toma a destra».

«Come vuoi, come vuoi», dice Matteo.

«Mi basta aver bene di fronte il mio Salvatore».

«Ultimo, Filippo. Ecco, vedete? Chi non è al mio fianco nel lato d’onore, ha l’onore di essermi di fronte».

Gesù, ritto al suo posto, mesce nell’ampio calice collocato a Lui davanti (tutti hanno alti calici, ma Lui ne ha uno molto più ampio, oltre quello che hanno tutti. Deve essere il calice di rito). Mesce in esso il vino. Lo alza, lo offre. Lo posa. Poi tutti insieme chiedono con tono di salmo:

«Perché questa cerimonia?».

Domanda formale, si capisce. Di rito.

Alla quale Gesù, come capo famiglia, risponde:

«Questo giorno ricorda la nostra liberazione dall’Egitto. Sia benedetto Geové che ha creato il frutto della vigna».

Beve un sorso di questo vino offerto e passa il calice agli altri. Poi offre il pane, lo spezza, lo distribuisce, indi le erbe intinte nella salsa rossastra che è in quattro salsiere. Finita questa parte di pasto, cantano dei salmi, tutti in coro. Viene portato dalla credenza sulla mensa, e posto di fronte a Gesù, il capace vassoio dell’agnello arrostito.

Pietro, che ha il ruolo di… prima parte, di coro, se più le piace, chiede: «Perché quest’agnello, così?».

«A ricordo di quando Israele fu salvo per l’agnello immolato. Non morì primogenito dove il sangue splendeva sugli stipiti e l’architrave. E dopo, mentre tutto l’Egitto piangeva sui primogeniti maschi morti, dalla reggia ai tuguri, gli ebrei, capitanati da Mosè, si mossero verso la terra della liberazione e della promessa. Coi fianchi già cinti, i calzari al piede, in mano il bordone, fu sollecito il popolo di Abramo a porsi in marcia cantando gli inni della gioia».

Tutti si alzano in piedi e intonano: «Quando Israele uscì dall’Egitto e la casa di Giacobbe di mezzo ad un popolo barbaro, la Giudea divenne il suo santuario», ecc. ecc. (se trovo giusto, è il salmo 113).

Ora Gesù taglia l’agnello, mesce un nuovo calice, lo passa dopo averne bevuto. Poi cantano ancora: «Fanciulli, lodate il Signore, sia benedetto il nome dell’Eterno ora e sempre nei secoli. Dall’oriente all’occidente deve essere lodato», ecc.

Gesù dà le parti, badando che ognuno sia ben servito, proprio come un padre di famiglia fra figli a lui tutti cari. È solenne, un po’ triste, mentre dice:

«Ho ardentemente desiderato di mangiare con voi questa Pasqua. È stato il mio desiderio dei desideri da quando, in eterno, Io fui “il Salvatore”. Sapevo che quest’ora precede quella. E la gioia di darmi metteva in anticipo questo sollievo al mio patire… Ho ardentemente desiderato di mangiare con voi questa Pasqua, perché mai più gusterò del frutto della vite finché sia venuto il Regno di Dio. Allora mi assiderò nuovamente cogli eletti al Banchetto dell’Agnello, per le nozze dei viventi col Vivente. Ma ad esso verranno soltanto coloro che sono stati umili e mondi di cuore come Io sono».

«Maestro, poco fa Tu hai detto che chi non ha l’onore del posto ha quello d’esserti di fronte. Come allora possiamo sapere chi è il primo fra noi?», chiede Bartolomeo.

«Tutti e nessuno. Una volta… tornavamo stanchi… nauseati per l’astio farisaico. Ma stanchi non eravate per disputare fra di voi chi fosse il più grande… Un bambino mi corse vicino… un mio piccolo amico… E la sua innocenza temperò il mio disgusto di tante cose. Non ultima la vostra umanità pervicace. Dove sei ora, piccolo Beniamino dalla sapiente risposta, a te venuta dal Cielo perché, angelo come eri, lo Spirito ti parlava?

Io vi ho detto allora: “Se uno vuole essere il primo sia l’ultimo e servo di tutti”.

E vi ho dato ad esempio il fanciullo saggio. Ora vi dico: “I re delle nazioni le signoreggiano. E i popoli oppressi, pur odiandoli, li acclamano e i re vengono detti ‘Benefattori’, ‘Padri della Patria’. Ma l’odio cova sotto il bugiardo ossequio”.

Ma fra voi così non sia. Il maggiore sia come il minore, il capo come colui che serve. Chi infatti è più grande? Chi sta a mensa, o chi serve? È colui che sta a mensa. Eppure Io vi servo. E fra poco più vi servirò. Voi siete quelli che siete stati con Me nelle prove. Ed Io dispongo per voi un posto nel mio Regno, così come Io sarò in esso Re secondo il volere del Padre, acciocché mangiate e beviate alla mia mensa eterna e siate assisi sui troni giudicando le dodici tribù di Israele. Siete rimasti con Me nelle mie prove… Solo questo è quello che vi dà grandezza agli occhi del Padre».

«E quelli che verranno? Non avranno posto nel Regno? Noi soli?».

«Oh! quanti principi nella mia Casa! Tutti coloro che saranno stati fedeli al Cristo nelle prove della vita saranno principi nel Regno mio. Perché coloro che avranno perseverato sino alla fine nel martirio dell’esistenza saranno pari a voi, che con Me siete rimasti nelle mie prove. Io mi identifico nei miei credenti. Il Dolore che Io abbraccio per voi e per tutti gli uomini Io lo do come insegna ai più eletti. Chi nel Dolore mi sarà fedele sarà un mio beato pari a voi, o miei diletti».

«Noi abbiamo perseverato fino alla fine».

«Lo credi, Pietro? Ed Io ti dico che l’ora della prova ha ancora da venire. Simone, Simone di Giona, ecco che satana ha chiesto di vagliarvi come il grano. Io ho pregato per te, perché la tua fede non vacilli. Tu, quando sarai ravveduto, conferma i tuoi fratelli».

«Lo so di essere un peccatore. Ma fedele a Te lo sarò fino alla morte. Non ho questo peccato. Mai l’avrò».

«Non essere superbo, Pietro mio. Quest’ora muterà infinite cose, che prima erano così ed ora saranno diverse. Quante!… Esse portano e importano necessità nuove. Voi lo sapete. Io vi ho sempre detto, anche quando andavamo per luoghi remoti percorsi dai banditi: “Non temete. Nulla ci accadrà di male perché gli Angeli del Signore sono con noi. Non preoccupatevi di nulla”.

Vi ricordate quando vi dicevo: “Non abbiate sollecitudini per ciò che dovete mangiare e per le vesti. Il Padre sa di che abbiamo bisogno”? Vi dicevo anche: “L’uomo è molto più di un passero e del fiore che oggi è erba e domani è fieno. Eppure il Padre ha cura anche del fiore e dell’uccellino. Potete allora dubitare che non abbia cura di voi?”.

Vi dicevo ancora: “Date a chiunque vi chiede, a chi vi offende presentate l’altra guancia”.

Vi dicevo: “Non abbiate borsa ne bastone”. Perché Io ho insegnato amore e fiducia. Ma ora… Ora non è più quel tempo. Ora Io vi dico: “Vi è mai mancato nulla fino ad ora? Foste mai offesi?”».

«Nulla, Maestro. E solo Tu fosti offeso».

«Vedete dunque che la mia Parola era verità. Ma ora gli Angeli sono tutti richiamati dal loro Signore. È ora di demoni… Con le ali d’oro essi, gli Angeli del Signore, si coprono gli occhi, si fasciano e si dolgono che non siano ali di colore cruccioso, perché è ora di lutto, e lutto crudele, sacrilego… Non ci sono Angeli sulla Terra questa sera. Sono presso il trono di Dio per coprire col loro canto le bestemmie del mondo deicida e il pianto dell’Innocente.

E noi siamo soli… Io e voi: soli. E i demoni sono i padroni dell’ora. Perciò ora prenderemo le apparenze e le misure dei poveri uomini che diffidano e non amano. Ora, chi ha una borsa prenda anche una bisaccia, chi non ha spada venda il suo mantello e ne comperi una. Perché anche questo è detto di Me nella Scrittura e si deve compiere: “Egli è stato annoverato fra i malfattori”. In verità tutto ciò che mi riguarda ha il suo fine».

Simone, che si è alzato andando alla cassapanca dove ha deposto il suo ricco mantello -perché questa sera sono tutti con gli abiti migliori e perciò hanno pugnali, damaschinati ma molto corti, più coltelli che pugnali, alle ricche cinture- prende due spade, due vere spade, lunghe, lievemente ricurve, e le porta a Gesù:

«Io e Pietro ci siamo armati questa sera. Queste abbiamo. Ma gli altri non hanno che il corto pugnale».

Gesù prende le spade, le osserva, ne snuda una e ne prova il taglio sull’unghia. È una strana vista e fa una ancora più strana impressione vedere quell’arnese feroce nelle mani di Gesù.

«Chi ve le ha date?», chiede l’Iscariota mentre Gesù osserva e tace. E pare sulle spine Giuda…

«Chi? Ti ricordo che mio padre era nobile e potente».

«Ma Pietro…».

«Ebbene? Da quando devo rendere conto dei doni che voglio fare ai miei amici?».

Gesù alza il capo dopo avere ringuainato l’arma. Le rende allo Zelote.

«Va bene. Bastano. Hai fatto bene a prenderle. Ma ora, avanti la bevuta al terzo calice, attendete un momento. Vi ho detto che il più grande è pari al più piccolo e che Io ho veste di servo a questa tavola, e più vi servirò. Finora vi ho dato cibo. Servizio per il corpo. Ora vi voglio dare un cibo per lo spirito. Non è un piatto del rito antico. È del nuovo rito. Io mi sono voluto battezzare prima di essere il “Maestro”. Per spargere la Parola bastava quel battesimo. Ora verrà sparso il Sangue.

Ci vuole un altro lavacro anche su voi, che pure vi siete purificati dal Battista, a suo tempo, e anche oggi nel Tempio. Ma non basta ancora. Venite, che Io vi purifichi. Sospendete il pasto. Vi è qualcosa di più alto e necessario del cibo dato al ventre perché si empia, anche se è cibo santo come questo del rito pasquale. Ed è uno spirito puro, pronto a ricevere il dono del Cielo, che già scende per farsi trono in voi e darvi la Vita. Dare la Vita a chi è mondo».

Gesù si alza in piedi, fa alzare Giovanni per uscire meglio dal suo posto, va ad una cassapanca e si leva la veste rossa deponendola piegata sul già piegato mantello, si cinge alla vita un ampio asciugamani, poi va ad un altro bacile, ancora vuoto e mondo. Vi versa dell’acqua, lo porta in mezzo alla stanza, presso la tavola, e lo mette su uno sgabello. Gli apostoli lo guardano stupefatti.

«Non mi chiedete che faccio?».

«Non sappiamo. Ti dico che siamo già purificati», risponde Pietro.

«Ed Io ti ripeto che non importa. La mia purificazione servirà a chi è già puro ad essere più puro».

Si inginocchia. Slaccia i sandali all’Iscariota ed uno per volta gli lava i piedi. È facile farlo, perché i letti-sedili sono fatti in modo che i piedi sono verso l’esterno. Giuda è sbalordito e non dice niente. Solo quando Gesù, prima di calzare il piede sinistro e alzarsi, fa l’atto di baciargli il piede destro già calzato, Giuda ritrae violentemente il piede e colpisce con la suola la bocca divina. Lo fa senza volere. Non è un colpo forte. Ma mi dà tanto dolore. Gesù sorride, e all’apostolo che gli chiede:

«Ti ho fatto male? Non volevo… Perdona», dice: «No, amico. L’hai fatto senza malizia e non fa male». Giuda lo guarda… Uno sguardo turbato, sfuggente…

Gesù passa a Tommaso, poi a Filippo… Gira il lato stretto della tavola e viene al cugino Giacomo. Lo lava e lo bacia, nell’alzarsi, in fronte. Passa ad Andrea, che è rosso di vergogna e fa sforzi per non piangere, lo lava, lo carezza come un bambino. Poi c’è Giacomo di Zebedeo, che non fa che mormorare:

«Oh! Maestro! Maestro! Maestro! Annichilito, sublime Maestro mio!».

Giovanni si è già slacciato i sandali e, mentre Gesù sta curvo ad asciugargli i piedi, si china e lo bacia sui capelli.

Ma Pietro!… Non è facile persuaderlo a quel rito! «Tu lavare i piedi a me? Non te lo pensare! Sinché sono vivo, non te lo permetterò. Io sono il verme, Tu sei Dio. Ognuno a suo posto».

«Ciò che Io faccio tu non lo puoi comprendere per ora. Ma poi lo comprenderai. Lasciami fare».

«Tutto quello che vuoi, Maestro. Vuoi tagliarmi il collo? Fallo. Ma lavarmi i piedi non lo farai».

«Oh! mio Simone! Tu non sai che, se non ti lavo, non avrai parte nel mio Regno? Simone, Simone! Tu hai bisogno di quest’acqua per la tua anima e per il tanto cammino che devi fare. Non vuoi venire con Me? Se non ti lavo, non vieni nel mio Regno».

«Oh! Signor mio benedetto! Ma allora lavami tutto! Piedi, mani e capo!».

«Chi ha fatto come voi un bagno non ha bisogno che di lavarsi i piedi, giacché è interamente puro. I piedi… L’uomo coi piedi va nelle lordure. E poco ancora sarebbe perché, ve l’ho detto, non è ciò che entra ed esce col cibo quello che sporca, e non è quello che si posa sui piedi per via ciò che contamina l’uomo. Ma è quanto incuba e matura nel suo cuore e di lì esce a contaminare le sue azioni e le sue membra.

E i piedi dell’uomo dall’animo impuro vanno alle crapule, alle lussurie, agli illeciti commerci, ai delitti… Perciò sono, fra le membra del corpo, quelle che hanno molta parte da purificare… con gli occhi, con la bocca… Oh! uomo! uomo! Perfetta creatura un giorno: il primo! E poi così corrotto dal Seduttore! E non c’era in te malizia, o uomo, e non peccato!… Ed ora? Sei tutto malizia e peccato, e non c’è parte di te che non pecchi!».

Gesù ha lavato i piedi a Pietro, li bacia, e Pietro piange e prende con le sue grosse mani le due mani di Gesù, se le passa sugli occhi e le bacia poi.

Anche Simone si è levato i sandali e senza parola si lascia lavare. Ma poi, quando Gesù sta per passare da Bartolomeo, Simone si inginocchia e gli bacia i piedi dicendo:

«Mondami dalla lebbra del peccato come mi mondasti dalla lebbra del corpo, acciocché io non sia confuso nell’ora del giudizio, mio Salvatore!».

«Non temere, Simone. Verrai nella Città celeste bianco come neve alpina».

«Ed io, Signore? Al tuo vecchio Bartolmai che dici? Tu mi hai visto sotto l’ombra del fico e mi hai letto nel cuore. Ed ora che vedi, e dove mi vedi? Rassicura un povero vecchio, che teme non avere forza e tempo per giungere a come Tu vuoi che si sia». Bartolomeo è molto commosso.

«Anche tu non temere. Ho detto allora: “Ecco un vero israelita in cui non è frode”. Ora dico: “Ecco un vero cristiano degno del Cristo”. Dove ti vedo? Su un trono eterno, vestito di porpora. Io sarò sempre con te».

È la volta di Giuda Taddeo. Questo, quando si vede ai piedi Gesù, non sa trattenersi, curva il capo sul braccio appoggiato sulla tavola e piange.

«Non piangere, dolce fratello. Ora sei come uno che deve sopportare lo strappo di un nervo e ti pare di non poterlo sopportare. Ma sarà un breve dolore. Poi… oh! tu sarai felice, perché mi ami, tu. Ti chiami Giuda. E sei come il nostro grande Giuda: come un gigante. Sei colui che protegge. Le tue azioni sono da leone e leoncello che rugge. Tu scoverai gli empi che davanti a te indietreggeranno, e saranno atterriti gli iniqui. Io so. Sii forte. Un’eterna unione stringerà e renderà perfetta la nostra parentela in Cielo».

Bacia anche lui sulla fronte come l’altro cugino.

«Io sono peccatore, Maestro. Non a me…».

«Tu eri peccatore, Matteo. Ora sei l’Apostolo. Sei una mia “voce”. Ti benedico. Questi piedi quanta strada hanno fatto per venire sempre avanti, verso Dio… L’anima li spronava ed essi hanno lasciato ogni via che non fosse la mia via. Procedi. Sai dove finisce il sentiero? Sul seno del Padre mio e tuo».

Gesù ha finito. Si leva il telo, si lava in acqua pulita le mani, si riveste, torna al suo posto e dice, mentre si siede al suo posto: «Ora siete puri, ma non tutti. Solo coloro che ebbero volontà di esserlo».

Fissa Giuda di Keriot che mostra di non udire, intento a spiegare al compagno Matteo come suo padre si decise a mandarlo a Gerusalemme. Un discorso inutile, che ha l’unico scopo di dare un contegno a Giuda che, per quanto audace, si deve sentire a disagio.

Gesù mesce per la terza volta nel calice comune. Beve, fa bere. Poi intona, e gli altri fanno coro: «Amo perché il Signore ascolta la voce della mia preghiera, perché piega il suo orecchio verso di me. Io Lo invocherò per tutta la vita. Mi avevano circondato dolori di morte».

Un attimo di sosta. Poi riprende a cantare: «Ebbi fede, per questo ho parlato. Ma ero fortemente umiliato. E dicevo nel mio smarrimento: “Ogni uomo è menzognero”». Guarda fisso Giuda.

La voce, stanca questa sera, del mio Gesù riprende lena quando esclama: «È preziosa al cospetto di Dio la morte dei santi», e «Tu hai spezzato le mie catene. A Te sacrificherò ostia di lode invocando il Nome del Signore», ecc. (Salmo 115).

Un’altra breve sosta nel canto e poi riprende: «Lodate tutte il Signore, o nazioni, tutti i popoli lodatelo. Perché si è affermata su noi la sua misericordia e la verità del Signore dura in eterno».

Altra breve sosta e poi un lungo inno: «Celebrate il Signore, perché Egli è buono, perché la sua misericordia dura in eterno…».

Giuda di Keriot canta stonato tanto che per due volte Tommaso lo rimette in tono col suo potente vocione baritonale e lo guarda fisso. Anche altri lo guardano, perché generalmente è sempre ben intonato, e della sua voce ho capito che se ne tiene come del resto. Ma questa sera! Certe frasi lo turbano al punto che stecca, e così certi sguardi di Gesù che sottolineano le frasi.

Una è: «Meglio confidare nel Signore che confidare nell’uomo». Un’altra è: «Urtato, vacillavo e stavo per cadere. Ma il Signore mi ha sorretto». Un’altra è: «Io non morrò ma vivrò e narrerò le opere del Signore». E infine queste due, che dico ora, fanno strozzare la voce in gola al traditore: «La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra angolare», e «Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».

Finito il Salmo, mentre Gesù taglia e porge di nuovo dell’agnello, Matteo chiede a Giuda di Keriot: «Ma ti senti male?».

«No. Lasciami stare. Non ti occupare di me».

Matteo si stringe nelle spalle.

Giovanni, che ha udito, dice: «Anche il Maestro non sta bene. Che hai, Gesù mio? La tua voce è fioca. Come di malato o di chi ha molto pianto», e lo abbraccia stando col capo sul petto di Gesù.

«Non ha che molto parlato, come io non ho che molto camminato e preso fresco», dice Giuda nervoso.

E Gesù, senza rispondere a lui, dice a Giovanni: «Tu mi conosci ormai… e sai cosa è che mi stanca…».

L’agnello è quasi consumato. Gesù, che ha mangiato pochissimo, bevendo solo un sorso di vino ad ogni calice e bevendo in compenso molta acqua come fosse febbrile, riprende a parlare:

«Voglio che voi comprendiate il mio gesto di dianzi. Vi ho detto che il primo è come l’ultimo e che vi darò un cibo non corporale. Un cibo di umiltà vi ho dato. Per lo spirito vostro. Voi chiamate Me: Maestro e Signore. Dite bene, perché tale Io sono. Se dunque Io ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete farvelo l’un l’altro. Io vi ho dato l’esempio affinché, come Io ho fatto, voi facciate.

In verità vi dico: il servo non è da più del padrone, né l’apostolo è più di Colui che tale lo ha fatto. Cercate di comprendere queste cose. Se poi, comprendendole, le metterete in pratica, sarete beati. Ma non sarete tutti beati. Io vi conosco. So chi ho scelto. Non parlo di tutti ad un modo. Ma dico ciò che è vero. D’altra parte, deve compiersi ciò che è scritto a mio riguardo:

“Colui che mangia il pane con Me ha levato il suo calcagno su Me”.

Tutto Io vi dico prima che avvenga, perché non abbiate dubbi su Me. Quando tutto sarà compiuto, voi crederete ancor più che Io sono Io. Chi accoglie Me accoglie Colui che mi ha mandato: il Padre Santo che è nei Cieli; e chi accoglierà coloro che Io manderò, accoglierà Me stesso. Perché Io sono col Padre e voi siete con Me… Ma ora compiamo il rito».

Versa di nuovo vino nel calice comune e, prima di berne e di farne bere, si alza, e con Lui si alzano tutti, e canta di nuovo uno dei salmi di prima: «Ebbi fede e per questo parlai…», e poi uno che non finisce mai. Bello… ma eterno! Credo di ritrovarlo, per l’inizio e la lunghezza, nel salmo 118. Lo cantano così. Un pezzo tutti insieme. Poi, a turno, uno ne dice un distico e gli altri insieme un pezzo, e così via sino alla fine. Lo credo che alla fine abbiano sete!

Gesù si siede. Non si mette sdraiato. Resta seduto, Come noi. E parla:

«Ora che l’antico rito è compiuto, Io celebro il nuovo rito. Vi ho promesso un miracolo d’amore. È l’ora di farlo. Per questo ho desiderato questa Pasqua. Da ora in poi questo è l’ostia che sarà consumata in perpetuo rito d’amore. Vi ho amato per tutta la vita della Terra, amici diletti. Vi ho amato per tutta l’eternità, figli miei. E amare vi voglio sino alla fine. Non vi è cosa più grande di questa. Ricordatevelo.

Io me ne vado. Ma resteremo per sempre uniti mediante il miracolo che ora Io compio».

Gesù prende un pane ancora intero, lo pone sul calice colmo. Benedice e offre questo e quello, poi spezza il pane e ne prende tredici pezzi e ne dà uno per uno agli apostoli dicendo:

«Prendete e mangiate. Questo è il mio Corpo. Fate questo in memoria di Me che me ne vado».

Dà il calice e dice:

«Prendete e bevete. Questo è il mio Sangue. Questo è il calice del nuovo patto nel Sangue e per il Sangue mio, che sarà sparso per voi per la remissione dei vostri peccati e per darvi la Vita. Fate questo in memoria di Me».

Gesù è tristissimo. Ogni sorriso, ogni traccia di luce, di colore lo hanno abbandonato. Ha già un volto d’agonia. Gli apostoli lo guardano angosciati.

Gesù si alza dicendo: «Non vi muovete. Torno subito». Prende il tredicesimo pezzetto di pane, prende il calice ed esce dal Cenacolo.

«Va dalla Madre», sussurra Giovanni.

E Giuda Taddeo sospira: «Misera donna!».

Pietro chiede in un soffio: «Credi che sappia?».

«Tutto sa. Tutto ha sempre saputo».

Parlano tutti a voce bassissima, come davanti ad un morto.

«Ma credete che proprio…», chiede Tommaso che non vuole ancora credere.

«E ne hai dubbi? È la sua ora», risponde Giacomo di Zebedeo.

«Dio ci dia la forza di essere fedeli», dice lo Zelote.

«Oh! io…», sta per parlare Pietro.

Ma Giovanni, che è all’erta, dice: «Sss. È qui».

Gesù rientra. Ha in mano il calice vuoto. Appena sul fondo vi è un’ombra di vino, e sotto la luce del lampadario pare proprio sangue.

Giuda Iscariota, che ha davanti il calice, lo guarda come affascinato e poi ne torce lo sguardo.
Gesù l’osserva ed ha un brivido che Giovanni, appoggiato come è al suo petto, sente. «Ma dillo! Tu tremi…», esclama.

«No. Non tremo per febbre… Io tutto vi ho detto e tutto vi ho dato. Di più non potevo darvi. Me stesso vi ho dato».

Ha il suo dolce gesto delle mani che, prima congiunte, ora si disgiungono e si allargano, mentre la testa si china come per dire: «Scusate se non posso di più. Così è».

«Tutto vi ho detto e tutto vi ho dato. E ripeto. Il nuovo rito è compiuto. Fate questo in memoria di Me. Io vi ho lavato i piedi per insegnarvi ad essere umili e puri come il Maestro vostro. Perché in verità vi dico che, come è il Maestro, così devono essere i discepoli. Ricordatelo, ricordatelo. Anche quando sarete in alto, ricordatelo. Non vi è discepolo da più del Maestro. Come Io vi ho lavato, voi fatelo fra voi.

Ossia amatevi come fratelli, aiutandovi l’un l’altro, venerandovi a vicenda, essendo l’un coll’altro d’esempio. E siate puri. Per essere degni di mangiare il Pane vivo disceso dal Cielo ed avere in voi e per Esso la forza d’essere i miei discepoli nel mondo nemico, che vi odierà per il mio Nome. Ma uno di voi non è puro. Uno di voi mi tradirà. Di questo sono fortemente conturbato nello spirito… La mano di colui che mi tradisce è meco su questa tavola, e non il mio amore, non il mio Corpo e il mio Sangue, non la mia parola lo ravvedono e lo fanno pentito. Io lo perdonerei, andando alla morte anche per lui».

I discepoli si guardano esterrefatti. Si scrutano, in sospetto l’un dell’altro. Pietro fissa l’Iscariota in un risveglio di tutti i suoi dubbi. Giuda Taddeo scatta in piedi per guardare a sua volta l’Iscariota al disopra del corpo di Matteo.

Ma l’Iscariota è così sicuro! A sua volta guarda fisso Matteo come sospettasse di lui. Poi fissa Gesù e sorride chiedendo: «Son forse io quello?». Pare il più sicuro della sua onestà e che dica così, tanto per non lasciare cadere la conversazione.

Gesù ripete il suo gesto dicendo: «Tu lo dici, Giuda di Simone. Non Io. Tu lo dici. Io non ti ho nominato. Perché ti accusi? Interroga il tuo interno ammonitore, la tua coscienza di uomo, la coscienza che Dio Padre ti ha data per condurti da uomo, e senti se ti accusa. Tu lo saprai prima di tutti. Ma se essa ti rassicura, perché dici una parola e pensi un fatto che è anatema anche a dirlo o a pensarlo per giuoco?».

Gesù parla con calma. Sembra sostenga la tesi proposta come lo può fare un dotto alla sua scolaresca. Il subbuglio è forte. Ma la calma di Gesù lo placa. Però Pietro, che è il più sospettoso di Giuda -forse lo è anche il Taddeo, ma lo pare meno, disarmato come è dalla disinvoltura dell’Iscariota- tira Giovanni per la manica e quando Giovanni, che si è tutto stretto a Gesù udendo parlare di tradimento, si volge, gli sussurra:

«Chiedigli chi è».

Giovanni riprende la sua posizione, solo alza lievemente il capo come per baciare Gesù, e intanto gli mormora all’orecchio:

«Maestro, chi è?».

E Gesù pianissimo, rendendogli il bacio fra i capelli:

«Colui a cui darò un pezzo di pane intinto».

E preso un pane ancora intero, non il resto di quello usato per l’Eucarestia, ne stacca un grosso boccone, lo intinge nel succo lasciato dall’agnello nel vassoio, allunga al disopra della tavola il braccio e dice: «Prendi, Giuda. Questo a te piace».

«Grazie, Maestro. Mi piace, sì», e ignaro di ciò che è quel boccone se lo mangia, mentre Giovanni, inorridito, chiude persino gli occhi per non vedere l’orrido riso dell’Iscariota mentre coi denti forti morde il pane accusatore.

«Bene. Ora che ti ho fatto felice, va’», dice Gesù a Giuda. «Tutto è compiuto qui (marca molto la parola). Quello che resta ancora da fare altrove fallo presto, Giuda di Simone».

«Ti ubbidisco subito, Maestro. Poi ti raggiungerò al Getsemani. Vai là, vero? Come sempre?».

«Vado là… come sempre… sì».

«Che ha da fare?», chiede Pietro. «Va solo?».

«Non sono un pargolo», motteggia Giuda che si sta mettendo il mantello.

«Lascialo andare. Io e lui sappiamo ciò che si deve fare», dice Gesù.

«Sì, Maestro». Pietro tace. Forse pensa di avere peccato di sospetto verso il compagno. Con la mano sulla fronte, pensa.

Gesù si stringe al cuore Giovanni e torna a sussurrargli fra i capelli: «Non dire nulla a Pietro, per ora. Sarebbe un inutile scandalo».

«Addio, Maestro. Addio, amici». Giuda saluta.

«Addio», dice Gesù.

E Pietro: «Ti saluto, ragazzo».

Giovanni, col capo quasi nel grembo di Gesù, mormora: «Satana!». Solo Gesù l’ode e sospira. Qui mi cessa tutto, ma Gesù dice: «Sospendo per pietà di te. Ti darò la fine della Cena in altro momento».

(Fine 1ª parte)

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

V DOMENICA DI QUARESIMA ANNO C Gv 8,1-11

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Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 8,1-11
Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da Lui ed Egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanche Io ti condanno; và e d’ora in poi non peccare più».

 Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Capitolo 494

Vedo l’interno del recinto del Tempio, ossia uno dei tanti cortili contornati da porticati. E vedo anche Gesù, il quale, molto ammantellato nel suo manto che Lo fascia sopra la veste, non bianca ma rosso cupo (sembra una stoffa di lana pesante), parla a della folla che Lo circonda.

Direi che è una giornata invernale, perché vedo che tutti sono molto ammantellati, e che faccia piuttosto freddo, perché invece di star fermi tutti camminano alla svelta come per scaldarsi. Vi è del vento che smuove i mantelli e solleva la polvere dei cortili.

Il gruppo che si stringe intorno a Gesù, l’unico che stia fermo mentre tutti gli altri, intorno a questo o a quel maestro, vanno avanti e indietro, si fende per lasciar passare un drappello di scribi e farisei gesticolanti e più che mai velenosi. Sprizzano veleno dallo sguardo, dal colore del volto, dalla bocca. Che vipere! Più che condurre, trascinano una donna sui trent’anni, scapigliata, disordinata nelle vesti come chi è stata malmenata, e piangente.

La buttano ai piedi di Gesù come fosse un mucchio di cenci o una spoglia morta. E lei resta là, rannicchiata su se stessa, col volto appoggiato alle due braccia, nascosto da esse che le fanno cuscino fra il volto e il suolo.

«Maestro, costei è stata colta in flagrante adulterio. Suo marito l’amava, nulla le faceva mancare. Ella era regina nella sua casa. E lei lo ha tradito perché è una peccatrice, una viziosa, un’ingrata, una profanatrice. Adultera è, e come tale va lapidata. Mosè l’ha detto. Nella sua legge lo comanda che queste tali siano lapidate come bestie immonde. E immonde sono. Perché tradiscono la fede e l’uomo che le ama e le cura, perché come terra mai sazia sempre sono affamate di lussuria.

Peggio delle meretrici sono, perché senza morso di bisogno danno se stesse per dare cibo alla loro impudicizia. Corrotte sono. Contaminatrici sono. A morte devono esser condannate. Mosè l’ha detto. E Tu, Maestro, che ne dici?».

Gesù, che aveva interrotto di parlare all’arrivo tumultuoso dei farisei e che aveva guardato la muta astiosa con sguardo penetrante e poi aveva chinato lo sguardo sulla donna avvilita, gettata ai suoi piedi, tace. Si è curvato, restando seduto, e con un dito scrive sulle pietre del portico, che la polvere sollevata dal vento copre di terriccio. Quelli parlano e Lui scrive.

«Maestro? Parliamo a Te. Ascoltaci. Rispondici. Non hai capito? Questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Nella sua casa. Nel letto dell’uomo suo. Ella lo ha sporcato con la sua libidine».

Gesù scrive.

«Ma è stolto quest’uomo! Non vedete che non capisce nulla e traccia dei segni sulla polvere come un povero folle?».

«Maestro, per il tuo buon Nome, parla. La tua sapienza risponda al nostro interrogare. Ti ripetiamo: questa donna non mancava di nulla. Aveva vesti, cibo, amore. E ha tradito».

Gesù scrive.

«Ha mentito all’uomo che aveva fiducia in lei. Con bocca mendace l’ha salutato e col sorriso l’ha accompagnato alla porta, e poi ha aperto la porta segreta e ha ammesso il suo amante. E mentre il suo uomo era assente per lavorare per lei, essa, come una bestia immonda, s’è avvoltolata nella sua lussuria».

«Maestro, è una profanatrice della Legge oltre che del talamo. Una ribelle, una sacrilega, una bestemmiatrice».

Gesù scrive.

Scrive e cancella lo scritto col piede calzato dal sandalo e scrive più là, girandosi piano su Se stesso per trovare altro spazio. Sembra un bambino che giuochi. Ma quello che scrive non è parola di giuoco. Ha scritto successivamente:

«Usuraio»,

«Falso»,

«Figlio irriverente»,

«Fornicatore»,

«Assassino»,

«Profanatore della Legge»,

«Ladro»,

«Libidinoso»,

«Usurpatore»,

«Marito e padre indegno»,

«Bestemmiatore»,

«Ribelle a Dio»,

«Adultero».

Scritto e riscritto mentre sempre nuovi accusatori parlano.

«Ma insomma, Maestro! Il tuo giudizio. La donna va giudicata. Non può col suo peso contaminare la terra. Il suo fiato è veleno che turba i cuori» .

Gesù si alza. Misericordia! Che viso! È un balenare di lampi che si avventano sugli accusatori.

Sembra ancor più alto, tanto tiene la testa eretta. Sembra un re sul suo trono, tanto è severo e solenne. Il manto gli è caduto da una spalla e fa un lieve strascico dietro a Lui. Ma Egli non se ne cura. Con volto chiuso e senza la più lontana traccia di sorriso sulla bocca e negli occhi, pianta questi occhi in volto alla folla, che arretra come davanti a due lame ben pontute.

Fissa uno per uno.

Con una intensità di indagine che fa paura. I fissati cercano di arretrare nella folla e di nascondersi in essa. Il cerchio così si allarga e sgretola come minato da una forza occulta.
Infine parla.

«Chi di voi è senza peccato scagli sulla donna la prima pietra».

E la voce è un tuono accompagnato da un ancor più vivo lampeggiare di sguardi. Gesù ha conserto le braccia sul petto e sta così, ritto come un giudice, in attesa. Il suo sguardo non dà pace. Fruga, penetra, accusa.

Prima uno, poi due, poi cinque, poi a gruppi, i presenti si allontanano a capo basso. Non solo gli scribi e i farisei, ma anche quelli che erano prima intorno a Gesù ed altri che si erano accostati per sentire il giudizio e la condanna e che, tanto quelli che questi, si erano uniti per insolentire la colpevole e chiedere la lapidazione.

Gesù resta solo con Pietro e Giovanni. Non vedo gli altri apostoli. Gesù si è rimesso a scrivere, mentre la fuga degli accusatori avviene, e ora scrive:

«Farisei»,

«Vipere»,

«Sepolcri di marciume»,

«Menzogneri»,

«Traditori»,

«Nemici di Dio»,

«Insultatori del suo Verbo»…

Quando tutto il cortile si è svuotato e un gran silenzio si è fatto, non rimanendo che il fruscio del vento e quello di una fontanella in un angolo, Gesù alza il capo e guarda. Ora il volto si è placato. È mesto, ma non più irato. Dà un’occhiata a Pietro, che si è lievemente allontanato appoggiandosi ad una colonna, ed una a Giovanni che, quasi dietro a Gesù, Lo guarda col suo sguardo innamorato.

Gesù ha un’ombra di sorriso guardando Pietro e un più vivo sorriso guardando Giovanni. Due sorrisi diversi. Poi guarda la donna, ancora prostrata e piangente ai suoi piedi. L’osserva. Si alza, si riaggiusta il manto come fosse in procinto di mettersi in cammino. Fa un cenno ai due apostoli di avviarsi verso l’uscita. Quando resta solo, chiama la donna.

«Donna, ascoltami. Guardami».

Ripete il comando, perché essa non osa alzare il viso.

«Donna, siamo soli. Guardami».

La disgraziata alza un viso su cui pianto e polvere fanno una maschera di avvilimento.

«Dove sono, o donna, quelli che ti accusavano?».

Gesù parla piano. Con serietà pietosa.

Tiene il volto e il corpo lievemente piegati verso terra, verso quella miseria, e gli occhi sono pieni di una espressione indulgente e risanatrice.

«Nessuno ti ha condannata?».

La donna, fra un singulto e l’altro, risponde:

«Nessuno, Maestro».

«E neppure Io ti condannerò. Và. E non peccare più. Và alla tua casa. E sappi farti perdonare. Da Dio e dall’offeso. Non abusare della benignità del Signore. Và».

E la aiuta a rialzarsi prendendola per una mano. Ma non la benedice e non le dà la pace.

La guarda avviarsi, a capo chino e lievemente barcollante sotto la sua vergogna, e poi, quando è scomparsa, si avvia a sua volta coi due discepoli.

Dice Gesù:

«Quello che mi feriva era la mancanza di carità e di sincerità negli accusatori. Non che mentissero nell’accusa. La donna era realmente colpevole. Ma erano insinceri facendosi scandalo di cosa da loro commessa mille volte e che unicamente una maggior astuzia e una maggior fortuna avevano permesso rimanesse occulta.

La donna, al suo primo peccato, era stata meno astuta e meno fortunata. Ma nessuno dei suoi accusatori ed accusatrici -perché anche le donne, se non alzavano la loro parola, la accusavano in fondo al cuore- erano scevri di colpa.

Adultero è chi trascende all’atto e chi appetisce all’atto e lo desidera con tutte le sue forze. La lussuria è tanto in chi pecca che in chi desidera peccare. Ricordati, Maria, la prima parola del tuo Maestro, quando ti ho chiamata dall’orlo del precipizio dove eri:

“Il male non basta non farlo. Bisogna anche non desiderare di farlo”.

Chi accarezza pensieri di senso, e suscita con letture e spettacoli cercati appositamente e con abitudini malsane sensazioni di senso, è ugualmente impuro come chi commette la colpa materialmente. Oso dire: è maggiormente colpevole. Perché va col pensiero contro natura, oltre che contro morale. Non parlo poi di chi trascende a veri atti contro natura. L’unica attenuante di costui è in una malattia organica o psichica. Chi non ha tale scusante è di dieci gradi inferiore alla bestia più lurida.

Per condannare con giustizia occorrerebbe essere immuni da colpa. Vi rimando a dettati passati, quando parlo delle condizioni essenziali per esser giudice. A Me non erano ignoti i cuori di quei farisei e di quegli scribi, non quelli di coloro che si erano uniti ad essi nell’inveire contro la colpevole.

Peccatori contro Dio e contro il prossimo, erano in loro colpe contro il culto, colpe contro i genitori, colpe contro il prossimo, colpe, soprattutto numerose, contro le mogli loro. Se per un miracolo avessi ordinato al loro sangue di scrivere sulla loro fronte il loro peccato, fra le molte accuse avrebbe imperato quella di “adulteri” di fatto o di desiderio.

Io ho detto: “È quello che viene dal cuore che contamina l’uomo”.

E, tolto il mio cuore, non vi era alcuno fra i giudici che avesse il cuore incontaminato. Senza sincerità e senza carità.

Neppure l’esser simili a lei nella fame concupiscente li induceva a carità. Io ero che avevo carità per l’avvilita. Io, l’Unico che ne avrei dovuto aver schifo. Ma ricordatevi però questo: che quanto più uno è buono e più è pietoso verso i colpevoli.

Non indulge alla colpa per se stessa. Questo no. Ma compatisce i deboli che alla colpa non hanno saputo resistere.

L’uomo! Oh! più che canna fragile e vilucchio sottile è facile ad esser piegato dalla tentazione e portato ad avvinghiarsi là dove spera trovare un conforto. Perché molte volte la colpa avviene, specie nel sesso più debole, per questa ricerca di conforto. Perciò Io dico che chi manca di affetto per la sua donna, ed anche per la figlia sua propria, è per novanta parti su cento responsabile della colpa della sua donna o della sua creatura e ne risponderà per esse.

Tanto l’affetto stolto, che è soltanto stupido schiavismo di un uomo ad una donna o di un genitore ad una figlia, quanto una trascuratezza d’affetti, o peggio una colpa di propria libidine che porta un marito ad altri amori e dei genitori ad altre cure che non siano i figli, sono fornite ad adulterio e prostituzione e, come tali, sono da Me condannati.

Siete esseri dotati di ragione e guidati da una legge divina e da una legge morale. Avvilirsi perciò ad una condotta da selvaggi o da bruti dovrebbe fare orrore alla vostra grande superbia. Ma la superbia, che in questo caso sarebbe anche utile, voi l’avete per ben altre cose.

Ho guardato Pietro e Giovanni in diversa maniera, perché al primo, uomo, ho voluto dire:

“Pietro, non mancare tu pure di carità e di sincerità”, e dirgli pure, come a futuro mio Pontefice: “Ricorda quest’ora e giudica come il tuo Maestro, in avvenire”; mentre al secondo, giovane dall’anima di bambino, ho voluto dire:

“Tu puoi giudicare e non giudichi perché hai il mio stesso cuore. Grazie, amato, d’esser tanto mio da essere un secondo Me”.

Ho allontanato i due prima di chiamare la donna per non aumentare la sua mortificazione con la presenza di due testimoni. Imparate, o uomini senza pietà. Per quanto uno sia colpevole, va sempre trattato con rispetto e carità.

Non gioire del suo annichilimento, non accanircisi contro neppure con sguardi curiosi. Pietà, pietà per chi cade!

Alla colpevole indico la via da seguirsi per redimersi. Tornare alla sua casa, umilmente chiedere perdono e ottenerlo con una vita retta. Non cedere più alla carne. Non abusare della bontà divina e della bontà umana per non scontare più duramente di ora la duplice o molteplice colpa.

Dio perdona, e perdona perché è la Bontà. Ma l’uomo, per quanto Io abbia detto: “Perdona al fratello tuo settanta volte sette”, non sa perdonare due volte.

Non le do pace e benedizione perché non era in lei quella completa recisione dal suo peccato che è richiesta per esser perdonati.

Nella sua carne, e purtroppo nel suo cuore, non era la nausea per il peccato. Maria di Magdala, sentito il sapore del mio Verbo, aveva avuto disgusto per il peccato ed era venuta a Me con la volontà totale di essere un’altra.

In costei era ancora un ondeggiamento fra le voci della carne e dello spirito. Né ella, nel turbamento dell’ora, aveva ancora potuto mettere la scure contro il ceppo della carne e reciderla per andare mutilata del suo peso bramoso al Regno di Dio. Mutilata di ciò che era rovina, ma accresciuta di ciò che è salvezza.

Vuoi sapere se si è poi salvata? Non a tutti fui Salvatore. Per tutti lo volli essere, ma non lo fui perché non tutti ebbero la volontà d’esser salvati. E questo è stato uno dei più penetranti strali della mia agonia del Getsemani.

Và in pace tu, Maria di Maria, e non voler più peccare neppure nelle inezie. Sotto il manto di Maria non stanno che cose pure. Ricordalo.

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta