III DOMENICA DI PASQUA ANNO A (Lc 24,13-35) 26 APRILE 2020

Lc 24,13-35

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 24,13-35)
Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

La scena di Emmaus è un capolavoro di catechesi liturgica e missionaria. Vi è descritto l’itinerario di due discepoli che lasciano Gerusalemme illusi e delusi e vi ritornano per ripartire gioiosi e fiduciosi verso la testimonianza, perché sono stati incontrati dal Crocifisso-Risorto, spiegazione di tutta la Scrittura e presenza perenne tra i suoi nel sacramento del “pane spezzato”.
L’inizio del cammino è un allontanarsi dal Crocifisso. La crisi della croce sembra aver seppellito ogni speranza. Colui che l’ha fatta nascere, l’ha portata con sé nella tomba. Non bastano voci di donne per farla rinascere. Gesù raggiunge i due subito a questo inizio e chiede di spartire con loro domande e scandalo.
Ecco la prima tappa, quella del problema posto ad ogni persona dall’evento Gesù, il Crocifisso.
L’appello di Cristo ci raggiunge sulla strada della nostra fede incompiuta e della sua domanda.
Gesù non arriva di faccia, ma da dietro, come dice il testo greco, e cammina a fianco, da forestiero.
Il passaggio al riconoscimento ha bisogno della spiegazione delle Scritture. Solo il Risorto ne è l’interprete adeguato.
Il cuore riscaldato e riaperto dal segno della Parola spiegata implora il viatico di un segno più intimo, quello del pane spezzato. Gesù, però, sparisce.
La Chiesa non può trattenere Gesù nella visibilità storica di prima. Deve sapere e credere che egli è vivo con lei e la vivifica nell’Eucaristia. I discepoli capiscono e tornano a Gerusalemme per condividere con gli apostoli la testimonianza.
Emmaus è un capolavoro di dialogo confortante. Emmaus assicura tutti che, quando ascoltano la Scrittura nella liturgia della Parola e partecipano allo spezzare del pane nella liturgia eucaristica, sono realmente incontrati da Cristo e ritrovano fede e speranza.

II DOMENICA DI PASQUA O DELLA DIVINA MISERICORDIA ANNO A (Gv 20,19-31) 19 Aprile 2020

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 20,19-31)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Dopo la morte di Cristo, gli apostoli rimasero soli. Ebbero paura al punto di rinchiudersi per il timore delle persone malevoli. Avevano vissuto tre lunghi anni con il Maestro, ma non l’avevano capito, al punto che Cristo dovette rimproverarli seriamente (Lc 24,25). Non l’avevano capito perché il loro modo di pensare restava troppo terra terra. Vedendo Cristo impotente e senza coscienza sulla sua croce, essi avevano gettato tutt’intorno sguardi impauriti, dimenticando ciò che era stato detto loro: “Vi vedrò di nuovo, e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (Gv 16,22). Ed ancora: “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!” (Gv 16,33).
I discepoli si rallegrarono al vedere Cristo, furono rassicurati dalle sue parole: “Pace a voi! Ricevete lo Spirito Santo!”. Ma essi dovettero attendere la Pentecoste perché lo Spirito Santo venisse a purificare i loro spiriti e i loro cuori, a dare loro il coraggio di proclamare la gloria di Dio, di portare la buona novella agli stranieri e di infondere coraggio ai loro seguaci. Dio si è riavvicinato agli uomini ed essi si sono rimessi nelle sue mani, per mezzo di Cristo e dello Spirito Santo.
Concedendo agli apostoli il potere di rimettere i peccati, Cristo ha detto loro: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (Gv 20,22-23). Come Cristo ha fatto con gli apostoli, così il vescovo, imponendo le mani ai sacerdoti che vengono ordinati, trasmette oggi il potere dello Spirito Santo, che permette loro di dispensare i sacramenti e, attraverso di essi, di assolvere i peccati. Ogni sacramento, non solo evoca il ricordo di Cristo, ma è Cristo in persona, che agisce immediatamente per salvare l’uomo. Nel dispensare i sacramenti, la Chiesa si mette in un certo senso ai piedi della croce per portare la salvezza ai credenti. Come potrebbe quindi dimenticare la fonte dalla quale scaturiscono le grazie di salvezza che sgorgano dalle sue mani?
Dio realizzerà il suo più grande desiderio, renderà l’uomo felice se egli lo vorrà, se risponderà “sì” al Padre che gli offre la gioia, a Cristo che gli porta la salvezza, allo Spirito Santo che gli serve da guida.
Dio non impone il suo amore agli uomini. Egli attende che l’uomo stesso faccia un passo in avanti. Dio salva chi si apre a lui per mezzo della fede, della speranza e dell’amore. Dio si avvicina, e anche l’uomo deve avvicinarsi a lui. Allora Dio e l’uomo si incontrano sullo stesso cammino, in Cristo, nella sua Chiesa.
Cristo non è solo uomo, né solo Dio. È Dio e uomo allo stesso tempo; grazie a questa duplice natura, egli è come un ponte teso tra l’umanità e Dio. Questo ponte sarebbe rimasto deserto – né gli uomini né Dio vi avrebbero messo piede – se la causa della discordia e della separazione – il peccato – non fosse stata soppressa. Il sacrificio offerto a Dio da Cristo ha cancellato le colpe passate, presenti e future. “Egli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso” (Eb 7,27). Da allora gli uomini possono “per mezzo di lui accostarsi a Dio” fiduciosi del fatto che “egli resta sempre” (Eb 7,25).
Così, per la sua natura prodigiosa e il suo sacrificio completo, Cristo è il solo Intercessore e Sacerdote Supremo. In Cristo, gli uomini ritornano al Padre. In Cristo il Padre rivela agli uomini l’amore che egli porta loro.
È sempre più facile avvicinarsi a Dio prendendo la mano caritatevole che il Padre tende all’uomo per aiutarlo a seguire Cristo, nostro Redentore. Tale è il senso del salmo che evoca l’uomo miserabile il cui grido giunse fino agli orecchi del Signore, e che fu liberato dai suoi mali.

 

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta. Capitoli 628.1-6 e 629.1-13

I dieci sono nel cortile della casa del Cenacolo. Parlano fra loro e poi pregano. E poi tornano a parlare.

Dice Simone Zelote: «Sono veramente afflitto della sparizione di Tommaso. Non so più dove cercarlo».

«Ed io neppure», dice Giovanni.

«Dai parenti non c’è. E non è stato visto da nessuno. Che lo abbiano preso?».

«Se così fosse, il Maestro non avrebbe detto: “Dirò il resto quando ci sarà l’assente”».

«È vero. Io però voglio ancora andare a Betania. Forse si aggira per quelle montagne senza osare mostrarsi».

«Vai, vai, Simone. Tu ci hai tutti riuniti e… salvati col riunirci, perché ci hai portati da Lazzaro. Avete sentito che parole ebbe il Maestro per lui? Ha detto: “Il primo che in mio Nome ha perdonato e guidato”. Perché non lo mette al posto dell’Iscariota?», chiede Matteo.

«Perché non vorrà dare al perfetto amico il posto del traditore», risponde Filippo.

«Ho sentito poco fa, quando ho fatto un giro per i mercati e ho parlato ai venditori di pesce, che… -sì, mi posso fidare di loro- che quelli del Tempio non sanno che fare del corpo di Giuda. Non so chi fu… ma questa mattina all’alba i guardiani del Tempio hanno trovato dentro al sacro recinto il suo corpo putrido, con ancora la fune al collo. Io penso siano stati dei pagani a staccarlo e a gettarlo là dentro chissà come», dice Pietro.

«A me invece hanno detto ieri sera alla fonte, ho sentito dire, anzi, che da ieri sera hanno frombolato le viscere del Traditore fin contro la casa di Anna. Pagani, certo. Perché nessun ebreo avrebbe toccato, dopo più di cinque giorni, quel corpo. Chissà come era putrido!», dice Giacomo d’Alfeo.

«Oh! un orrore fin dal sabato!». Giovanni impallidisce al ricordo.

«Ma come finì in quel posto? Era suo?».

«E chi ha mai saputo niente di esatto da Giuda Iscariota? Vi ricordate come era chiuso, complicato…».

«Puoi dire: bugiardo, Bartolomeo. Mai era sincero. Per tre anni fu con noi, e noi che tutto avevamo in comune, davanti a lui eravamo come davanti all’alto muro di una fortezza».

«Di una fortezza? Oh! Simone! Dì di un labirinto!», esclama Giuda d’Alfeo.

«Oh! Sentite! Non parliamo di lui! Mi pare di averlo a evocare e che debba venire a darci disturbo. Io vorrei cancellare il suo ricordo da me e da ogni cuore. Ebreo o gentile che sia. Ebreo, per non arrossire di avere partorito dalla nostra razza questo mostro. Gentile, perché fra loro non ci sia chi ci può dire un giorno: “Fu uno di Israele il suo traditore”.

Io sono un ragazzo. E non dovrei parlare davanti a voi per primo. Sono l’ultimo e tu, Pietro, sei il primo. E qui c’è lo Zelote e Bartolomeo, istruiti, e ci sono i fratelli del Signore. Ma, ecco, io vorrei presto mettere uno al dodicesimo posto, uno che santo fosse, perché, finché vedrò quel posto vuoto nel gruppo nostro, io vedrò la bocca dell’inferno coi suoi fetori fra noi. E ho paura che ci travii…».

«Ma no, Giovanni! Sei rimasto impressionato dalla bruttezza del suo delitto e del suo corpo appeso…».

«No, no. Anche la Madre ha detto: “Ho visto satana vedendo Giuda di Keriot”. Oh! facciamo presto a cercare un santo da mettere a quel posto!».

«Senti, io non scelgo nessuno. Se Lui, che era Dio, ha scelto un Iscariota, che sceglierà mai il povero Pietro?».

«Eppure dovrai bene…».

«No, caro. Io non scelgo nulla. Lo chiederò al Signore. Basta di peccati fatti da Pietro!».

«Tante cose dobbiamo chiedere. L’altra sera siamo rimasti come ebeti. Ma dobbiamo farci insegnare. Perché… Come faremo a capire se una cosa è peccato proprio? O se non lo è? Vedi come il Signore parla diverso da noi sui pagani. Vedi come scusa più una viltà e un rinnegamento di quanto non scusi il dubbio sul possibile perdono… Oh! io ho paura di fare male», dice sconsolato Giacomo d’Alfeo.

«Veramente ci ha tanto parlato. Eppure mi pare di sapere niente. Sono ebete da una settimana», confessa sconsolato l’altro Giacomo.

«Io pure».

«Io pure».

«E anche io».

Sono tutti nelle stesse condizioni e, stupiti, si guardano l’un l’altro. Ricorrono alla ormai abituale soluzione: «Andremo da Lazzaro», dicono. «Forze là troveremo il Signore e… Lazzaro ci aiuterà».

Bussano al portone. Tacciono tutti ascoltando. E hanno un «oh!» di stupore vedendo entrare nel vestibolo Elia insieme a Tommaso. Un Tommaso così stranito che non pare più lui.

I compagni gli si affollano intorno gridando il loro giubilo: «Lo sai che è risorto e che è venuto? E aspetta te per tornare!».

«Sì. Me lo ha detto anche Elia. Ma non ci credo. Io credo a ciò che vedo. E vedo che per noi è finita. Vedo che siamo tutti dispersi. Vedo che non c’è più neppure un sepolcro noto dove piangerlo. Vedo che il Sinedrio si vuole disfare, e del complice di cui decreta il seppellimento, come fosse un animale sozzo, ai piedi dell’ulivo dove si è impiccato, e dei seguaci del Nazareno. Io sono stato fermato nel venerdì, alle porte, e mi hanno detto: “Anche tu eri uno dei suoi? È morto, ormai, torna a battere l’oro”. E sono scappato…».

«Ma dove? Ti abbiamo cercato da per tutto!».

«Dove? Sono andato verso la casa di mia sorella a Rama. Poi non ho osato entrare perché… per non essere rimproverato da una donna. Allora ho vagato per le montagne giudee e ieri sono finito a Betlemme, nella sua grotta. Quanto ho pianto… Mi sono addormentato fra le macerie e là mi ha trovato Elia, che era venuto… non so perché».

«Perché? Ma perché nelle ore di gioia o di dolore troppo grande si va dove più si sente Dio. Io molte volte, in questi anni, ero andato là, di notte, come un ladro, per sentirmi carezzare l’anima dal ricordo del suo vagito. E poi scappavo al primo sole per non essere lapidato. Ma ero già consolato. Ora sono andato là per dire a quel luogo: “Io sono felice” e per prendere quanto posso di esso. Abbiamo deciso così. Noi vogliamo predicare la sua Fede. Ma ce ne darà forza un pezzo di quel muro, un pugno di quella terra, una scheggia di quei pali. Non siamo santi tanto da osare di prendere la terra del Calvario…».

«Hai ragione, Elia. Lo dovremo fare noi pure. E lo faremo. Ma Tommaso?…».

«Tommaso dormiva e piangeva. Gli ho detto: “Svegliati e non piangere più. È risorto”: Non mi voleva credere. Ma tanto ho insistito che l’ho persuaso. Eccolo. Ora è fra voi ed io mi ritiro. Raggiungo i compagni diretti in Galilea. La pace a voi».

Elia se ne va.

«Tommaso, è risorto. Io te lo dico. Fu con noi. Mangiò. Parlò. Ci benedisse. Ci perdonò. Ci ha dato potestà di perdonare. Oh! perché non sei venuto prima?».

Tommaso non si scuote dal suo abbattimento.

Crolla il capo, testardo. «Io non credo. Avete visto un fantasma. Siete tutti folli. Le donne per prime. Un uomo morto, da sé non risorge».

«Un uomo no. Ma Egli è Dio. Non lo credi?».

«Sì. Lo credo che è Dio. Ma, appunto perché lo credo, penso e dico che, per quanto sia tanto buono, non può esserlo al punto di venire fra chi Lo ha così poco amato. E dico che, per quanto sia tanto umile, deve averne abbastanza di avvilirsi nella nostra carnaccia. No. Sarà, certo lo è, trionfante in Cielo e, forse, apparirà come Spirito. Dico: forse. Non meritiamo neppure questo! Ma Risorto in carne e ossa, no. Non lo credo».

«Ma se Lo abbiamo baciato, visto mangiare, udito la voce, sentito la sua mano, visto le ferite!».

«Niente. Io non credo. Non posso credere. Dovrei vedere per credere. Se non vedo nelle sue mani il foro dei chiodi e non vi metto dentro un dito, se non tocco le ferite dei piedi e se non metto la mano dove la lancia ha aperto il costato, io non credo.

Non sono un bambino o una donna. Io voglio l’evidenza. Quello che la mia ragione non può accettare lo rifiuto. E io non posso accettare questa vostra parola».

«Ma Tommaso! Ti pare che ti si voglia ingannare?».

«No. Poverini. Anzi! Beati voi che siete tanto buoni da volermi portare ad avere la pace che siete riusciti a darvi con questa vostra illusione. Ma… io non credo alla sua Risurrezione».

«Non temi di essere punito da Lui? Sente e vede tutto, sai?».

«Chiedo che mi persuada. Ho una ragione, e l’uso. Lui, Padrone della ragione umana, raddrizzi la mia se è deviata».

«Ma la ragione, Lui lo diceva, è libera».

«Ragion di più perché io non la faccia schiava di una suggestione collettiva. Io vi voglio bene e voglio bene al Signore. Lo servirò come posso e starò con voi per aiutarvi a servirlo. Predicherò la sua dottrina. Ma non posso credere altro che vedendo».

E Tommaso, cocciuto, non intende altro che se stesso. Gli parlano di tutti quelli che Lo hanno visto, e come Lo hanno visto. Lo consigliano a parlare con la Madre. Ma lui crolla il capo, seduto su un sedile di pietra, più pietra lui del sedile. Testardo come un bambino ripete: «Crederò se vedrò».

La grande parola degli infelici che negano ciò che è tanto dolce e santo credere ammettendo che Dio può tutto.

Passano delle ore e gli apostoli sono raccolti nel Cenacolo. Intorno alla tavola dove fu consumata la Pasqua. Però, per rispetto, il posto centrale, quello di Gesù, è stato lasciato vuoto.

Anche gli apostoli, ora che non c’è più chi li accentra e distribuisce per volere proprio e per elezione d’amore, si sono messi diversamente. Pietro è ancora al suo posto. Ma al posto di Giovanni è ora Giuda Taddeo. Poi viene il più anziano degli apostoli, che non so ancora chi sia, poi Giacomo, fratello di Giovanni, quasi all’angolo del tavolo dalla parte destra, secondo me che guardo. Vicino a Giacomo, ma sul lato corto del tavolo, è seduto Giovanni. Dopo Pietro, invece, viene Matteo e, dopo questo, Tommaso, poi uno di cui non so il nome, poi Andrea, poi Giacomo fratello di Giuda Taddeo e un altro, che non conosco di nome, dagli altri lati. Il lato lungo di fronte a Pietro è vuoto, essendo gli apostoli più vicini sui sedili di quanto non fossero per Pasqua.

Le finestre sono sprangate e le porte pure. Il lume, acceso con due soli becchi, sparge una luce tenue sulla sola tavola. Il resto del vasto stanzone è nella penombra.

Giovanni, che ha alle spalle una credenza, ha l’incarico di porgere ai compagni ciò che desiderano del loro parco cibo, composto di pesce, che è sulla tavola, pane, miele e formaggini freschi. È nel girarsi di nuovo verso il tavolo, per dare al fratello il formaggio che egli ha richiesto, che Giovanni vede il Signore.

Gesù è apparso in maniera molto curiosa.

La parete dietro le spalle dei commensali, tutta di un pezzo meno che nell’angolo della porticina, si è illuminata al centro, ad un’altezza di un metro circa dal suolo, di una luce tenue e fosforica come è quella che emanano certi quadretti che sono luminosi solo nel buio della notte. La luce, alta quasi due metri, ha forma ovale, come fosse una nicchia. Nella luminosità, come avanzasse da dietro veli di nebbia luminosa, emerge sempre più netto Gesù.

Non so se riesco a spiegarmi bene. Pare che il suo Corpo fluisca attraverso lo spessore della parete. Questa non si apre. Resta compatta, ma il Corpo passa ugualmente. La luce pare la prima emanazione del suo Corpo, l’annuncio del suo avvicinarsi. Il Corpo dapprima è a lievi linee di luce, così come io vedo in Cielo il Padre e gli Angeli Santi: immateriale.

Poi si materializza sempre più, prendendo in tutto l’aspetto di un corpo reale. Del suo divino Corpo glorificato.

Io ho messo molto a descrivere, ma la cosa è avvenuta in pochi secondi.

Gesù è vestito di bianco, come quando risorse e apparve alla Madre. Bellissimo, amoroso e sorridente.

Sta con le braccia lungo i lati del Corpo, un poco staccate da esso, con le Mani verso terra e dalla palma volta verso gli apostoli. Le due Piaghe delle Mani paiono due stelle di diamanti, da cui escono due raggi vivissimi. Non vedo i Piedi, coperti dalla veste, né il Costato. Ma dalla stoffa del suo abito non terreno trapela luce, là dove essa cela le divine Ferite.

In principio sembra che Gesù non sia che Corpo di candore lunare, poi, quando si è concretizzato, apparendo fuori dell’alone di luce, ha i colori naturali dei suoi capelli, occhi, pelle. È Gesù, insomma, Gesù-Uomo-Dio, ma fatto più solenne ora che è risorto.

Giovanni Lo vede quando Egli è già così. Nessun altro si era accorto dell’apparizione. Giovanni scatta in piedi lasciando cadere sulla tavola il piatto delle formaggelle tonde e, appoggiando le mani all’orlo della tavola, si piega un poco verso questa e obliquamente, come per calamita che lo attiri verso se stessa, e getta un «Oh!» sommesso e pur intenso.

Gli altri, che avevano alzato il capo dai loro piatti al cadere rumoroso del piatto delle formaggelle e allo scatto di Giovanni e l’avevano guardato stupiti, vedendo la sua posa estatica seguono il suo sguardo. Torcono il capo o si girano su se stessi, a seconda di come si trovano rispetto al Maestro, e vedono Gesù. Si alzano tutti in piedi, commossi e beati, e corrono a Lui, che accentuando il sorriso avanza verso di loro, camminando, ora, sul suolo come tutti i mortali.

Gesù, che prima fissava unicamente Giovanni, e credo che questi si sia voltato attratto da quello sguardo che l’accarezzava, guarda tutti e dice: «Pace a voi».

Tutti ora gli sono intorno, chi in ginocchio ai suoi piedi, e fra questi sono Pietro e Giovanni -anzi Giovanni bacia un lembo della veste e se la posa sul viso come per esserne carezzato- chi più indietro, in piedi, ma molto curvo in atto di ossequio.

Pietro, per fare più presto ad arrivare, ha fatto un vero salto al disopra del sedile, scavalcandolo, senza attendere che Matteo, uscendo per primo, lasciasse libero il posto. Bisogna ricordare che i sedili servivano a due persone per volta.

L’unico che resta un poco lontano, impacciato, è Tommaso. Si è inginocchiato presso la tavola. Ma non osa venire avanti e pare, anzi, tenti nascondersi dietro all’angolo di essa.

Gesù, dando le sue Mani a baciare -gli apostoli gliele cercano con bramosia santa e amorosa- gira lo sguardo sulle teste chine come cercasse l’undicesimo. Ma lo ha visto dal primo momento e fa così solo per dare tempo a Tommaso di rinfrancarsi e venire.

Vedendo che l’incredulo, vergognoso del suo non credere, non osa farlo, lo chiama: «Tommaso. Vieni qui».

Tommaso alza il capo, confuso, quasi piangente, ma non osa venire. Abbassa di nuovo il capo.

Gesù fa qualche passo nella sua direzione e torna a dire: «Vieni qui, Tommaso». La voce di Gesù è più imperiosa della prima volta.

Tommaso si alza riluttante e confuso e va verso Gesù.

«Ecco colui che non crede se non vede!» esclama Gesù. Ma nella sua voce è un sorriso di perdono.

Tommaso lo sente, osa guardare Gesù e vede che sorride proprio, allora prende coraggio e va più in fretta.

«Vieni qui, ben vicino. Guarda. Metti un dito, se non ti basta guardare, nelle ferite del tuo Maestro».

Gesù ha porto le Mani e poi si è aperto la veste sul petto scoprendo lo squarcio del Costato. Ora la luce non emana più dalle Ferite. Non emana più da quando, uscendo dal suo alone di luce lunare, si è messo a camminare come Uomo mortale, e le Ferite appaiono nella loro cruenta realtà: due fori irregolari, di cui il sinistro va fino al pollice, che trapassano un polso e un palmo alla sua base, e un lungo taglio, che nel lato superiore è lievemente ad accento circonflesso, al Costato.

Tommaso trema, guarda e non tocca. Muove le labbra, ma non riesce a parlare chiaramente.

«Dammi la tua mano, Tommaso» dice Gesù con tanta dolcezza. E prende con la sua destra la mano destra dell’apostolo e ne afferra l’indice e lo conduce nello squarcio della sua Mano sinistra, ve lo ficca ben dentro, per fargli sentire che il palmo è trapassato, e poi dalla Mano lo porta al Costato. Anzi, afferra ora le quattro dita di Tommaso, alla loro base, al metacarpo, e pone queste quattro grosse dita nello squarcio del Petto, facendole entrare, non limitandosi ad appoggiarle all’orlo, e ve le tiene guardando fisso Tommaso. Uno sguardo severo e pur dolce, mentre continua: «… Metti qua il tuo dito, poni le dita e anche la mano, se vuoi, nel mio Costato, e non essere incredulo ma fedele». Questo dice mentre fa quanto ho detto prima.

Tommaso -pare che la vicinanza del Cuore divino, che egli quasi tocca, gli abbia comunicato coraggio- riesce finalmente a parlare e a spiccare le parole, e dice, cadendo a ginocchio con le braccia alzate e uno scoppio di pianto di pentimento: «Signore mio e Dio mio!». Non sa dire altro.

Gesù lo perdona. Gli pone la destra sul capo e risponde: «Tommaso, Tommaso! Ora credi perché hai veduto… Ma beati coloro che crederanno in Me senza aver visto! Quale premio dovrò dare loro se devo premiare voi, la cui Fede è stata soccorsa dalla forza del vedere?…».

Poi Gesù pone il braccio sulla spalla di Giovanni, prendendo Pietro per mano, e si accosta al tavolo. Siede al suo posto. Ora sono seduti come la sera di Pasqua. Però Gesù vuole che Tommaso si sieda dopo Giovanni.

«Mangiate, amici» dice Gesù.

Ma nessuno ha più fame. La gioia li sazia. La gioia del contemplare.

Allora Gesù prende le sparse formaggelle, le riunisce sul piatto, le taglia, le distribuisce e il primo pezzo lo dà proprio a Tommaso, posandolo su un pezzo di pane e passandolo dietro le spalle di Giovanni; mesce dalle anfore il vino nel calice e lo passa ai suoi amici: questa volta è Pietro il primo servito. Poi si fa dare dei favi di miele, li spezza e ne dà per primo un pezzo a Giovanni, con un sorriso che è più dolce del filante e biondo miele. E di questo, per rincuorarli, ne mangia Lui pure. Non gusta che il miele.

Giovanni, con la mossa solita, appoggia il suo capo contro la spalla di Gesù, e Gesù se lo attira sul suo Cuore e parla tenendolo così.

«Non dovete turbarvi, amici, quando Io vi appaio. Sono sempre il vostro Maestro, che ha condiviso con voi cibo e sonno e che vi ha eletti perché vi ha amati. Anche ora vi amo».

Gesù appoggia molto su queste ultime parole.

«Voi», prosegue, «siete stati meco nelle prove… Sarete meco anche nella gloria. Non abbassate il capo. La sera della domenica, quando venni a voi per la prima volta dopo la mia Risurrezione, Io vi ho infuso lo Spirito Santo… anche a te che non eri presente venga lo Spirito… Non sapete che l’infusione dello Spirito è come un battesimo di fuoco, poiché lo Spirito è Amore e l’amore annulla le colpe? Il vostro peccato, perciò, di diserzione mentre Io morivo vi è condonato».

Nel dire questo, Gesù bacia sulla testa Giovanni, che non disertò, e Giovanni lacrima di gioia.

«Vi ho dato la potestà di rimettere i peccati. Ma non si può dare ciò che non si possiede. Voi dovete dunque esser certi che questa potestà Io la posseggo perfetta e la uso per voi, che dovete esser mondi al sommo per mondare chi verrà a voi, sporco di peccato.

Come potrebbe uno giudicare e mondare se fosse meritevole di condanna e fosse immondezza di suo?

Come potrebbe uno giudicare un altro se fosse con i travi nel suo occhio e i pesi infernali nel suo cuore?

Come potrebbe dire: “Io ti assolvo nel Nome di Dio” se, per i suoi peccati, non avesse Dio con sé?

Amici, pensate alla vostra dignità di Sacerdoti.

Prima Io ero fra gli uomini per giudicare e perdonare. Ora Io me ne vado al Padre. Torno al mio Regno. Non mi è levata facoltà di giudizio. Anzi essa è tutta nelle mie mani, poiché il Padre a Me l’ha deferita. Ma tremendo giudizio. Poiché avverrà quando non sarà più possibile all’uomo di farsi perdonare con anni di espiazione sulla Terra.

Ogni creatura verrà a Me con il suo spirito quando lascerà per morte materiale la carne come spoglia inutile. Ed Io la giudicherò per una prima volta. Poi l’Umanità tornerà con la sua veste di carne, ripresa per comando celeste, per esser separata in due parti. Gli agnelli col Pastore, i capri selvatici col loro Torturatore.

Ma quanti sarebbero gli uomini che sarebbero col loro Pastore se dopo il lavacro del Battesimo non avessero più chi perdona in Nome mio?

Ecco perché Io creo i Sacerdoti. Per salvare i salvati dal mio Sangue. Il mio sangue salva. Ma gli uomini continuano a cadere nella morte. A ricadere nella Morte. Occorre che chi ne ha potestà li lavi continuamente in Esso, settanta e settanta volte sette, perché della morte non siano preda. Voi e i vostri successori lo farete.

Per questo vi assolvo da tutti i vostri peccati. Perché avete bisogno di vedere, e la colpa acceca perché leva allo spirito la Luce che è Dio. Perché avete bisogno di comprendere, e la colpa inebetisce perché leva allo spirito l’Intelligenza che è Dio. Perché avete ministero di purificare, e la colpa insozza perché leva allo spirito la Purezza che è Dio.

Gran ministero il vostro di giudicare e assolvere in Nome mio!

Quando consacrerete per voi il Pane e il Vino e ne farete il Corpo e il Sangue mio, farete una grande, soprannaturalmente grande e sublime cosa. Per compierla degnamente dovrete esser puri, poiché toccherete Colui che è il Puro e vi nutrirete della Carne di un Dio.

Puri di cuore, di mente, di membra e di lingua dovrete essere, perché col cuore dovrete amare l’Eucarestia, e non dovranno esser mescolati a questo amore celeste profani amori che sarebbero sacrilegio.

Puri di mente, perché dovrete credere e comprendere questo mistero d’amore, e l’impurità di pensiero uccide la Fede e l’Intelletto. Resta la scienza del mondo, ma muore in voi la Sapienza di Dio. Puri di membra dovrete essere, perché nel vostro seno scenderà il Verbo così come scese nel seno di Maria per opera dell’Amore.

Avete l’esempio vivente di come deve essere un seno che accoglie il Verbo che si fa carne. L’esempio è la Donna senza colpa d’origine e senza colpa individuale che mi ha portato.

Osservate come è pura la vetta d’Ermon ancor fasciata nel velo della neve invernale. Dall’Oliveto essa pare un cumulo di gigli sfogliati o di spuma marina che si elevi come un’offerta contro l’altro candore delle nuvole, portate dal vento d’aprile per i campi azzurri del cielo. Osservate un giglio che apra ora la bocca della sua corolla ad un riso di profumo. Eppure, l’una e l’altra purezza sono men vive di quella del Seno che mi fu materno. Polvere portata dai venti è caduta sulle nevi del monte e sulla seta del fiore. L’occhio umano non la percepisce, tanto essa è leggera. Ma essa c’è, e corrompe il candore.

Più ancora, guardate la perla più pura che venga strappata al mare, alla conchiglia natìa, per adornare lo scettro di un re. È perfetta nella sua iridescenza compatta che ignora il contatto profanatore di ogni carne, formatosi come si è nell’incavo madreperlaceo dell’ostrica, isolata nello zaffiro fluido delle profondità marine. Eppure è men pura del Seno che mi ebbe.

Al suo centro è il granellino di rena: un corpuscolo minutissimo, ma sempre terrestre. In Colei che è la Perla del Mare non esiste granello di peccato, neppur di fomite di peccato. Perla nata nell’Oceano della Trinità per portare sulla Terra la Seconda Persona, Ella è compatta intorno al suo fulcro, che non è seme di terrena concupiscenza ma scintilla dell’Amore eterno. Scintilla che, trovando in Lei rispondenza, ha generato i vortici della divina Meteora che ora a Sé chiama e attira i figli di Dio: Io, il Cristo, Stella del Mattino.

Questa Purezza inviolata Io vi do a esempio.

Ma quando poi, come vendemmiatori ad un tino, voi tuffate le mani nel mare del mio Sangue e ne attingete di che mondare le stole corrotte dei miseri che peccarono, siate, oltre che puri, perfetti per non macchiarvi di un peccato maggiore, anzi, di più peccati, spargendo e toccando con sacrilegio il Sangue di un Dio mancando a carità e giustizia, negandolo o dandolo con un rigore che non è del Cristo -che fu buono coi malvagi per attirarli al suo Cuore e tre volte buono coi deboli per confortarli alla fiducia- usando questo rigore tre volte indegnamente, perché contro la mia Volontà, la mia Dottrina e la Giustizia.

Come esser rigorosi con gli agnelli quando si è pastori idoli?

O miei diletti, amici che Io mando per le vie del mondo per continuare l’opera che Io ho iniziata e che sarà proseguita finché il Tempio sarà, ricordate queste mie parole. Ve le dico perché le diciate a coloro che voi consacrerete al ministero nel quale Io vi ho consacrati.

Io vedo… Guardo nei secoli… Il tempo e le turbe infinite degli uomini che saranno mi sono tutti davanti… Vedo… stragi e guerre, paci bugiarde e orrende carneficine, odio e ladrocinio, senso e orgoglio. Ogni tanto un’oasi di verde: un periodo di ritorno alla Croce. Come obelisco che segna un’onda pura fra le aride arene del deserto, la mia Croce sarà alzata con amore, dopo che il veleno del male avrà reso malati di rabbia gli uomini, e intorno ad essa, piantate sui bordi delle acque salutari, fioriranno le palme di un periodo di pace e bene nel mondo.

Gli spiriti, come cervi e gazzelle, come rondini e colombi, accorreranno a quel riposante, fresco, nutriente rifugio, per guarire dai loro dolori e sperare nuovamente. Ed esso rinserrerà i suoi rami come una cupola per proteggere da tempeste e solleoni, e terrà lontano serpenti e fiere col Segno che mette in fuga il Male. Così, finché gli uomini vorranno.

Io vedo… Uomini e uomini… donne, vecchi, bambini, guerrieri, studiosi, dottori, contadini… Tutti vengono e passano col loro peso di speranze e di dolori. E molti vedo che vacillano, perché il dolore è troppo e la speranza è scivolata dalla soma per prima, dalla soma troppo grave, e si è sbriciolata al suolo… E molti vedo che cadono ai bordi della via perché altri più forti li sospingono, più forti o più fortunati nel peso che è lieve. E molti vedo che, sentendosi abbandonati da chi passa, calpestati anche, che sentendosi morire, giungono ad odiare e maledire.

Poveri figli! Fra tutti questi, percossi dalla vita, che passano o cadono, il mio Amore ha, intenzionalmente, sparso i samaritani pietosi, i medici buoni, le luci della notte, le voci nel silenzio, perché i deboli che cadono trovino un aiuto, rivedano la Luce, riodano la Voce che dice: “Spera. Non sei solo. Su te è Dio. Con te è Gesù”.

Ho messo, intenzionalmente, queste carità operanti, perché i miei poveri figli non mi morissero nello spirito, perdendo la dimora paterna, e continuassero a credere in Me-Carità vedendo nei miei ministri il mio riflesso.

Ma, o dolore che mi fai sanguinare la Ferita del Cuore come quando fu aperta sul Golgota! Ma che vedono i miei Occhi divini? Non ci sono forse sacerdoti fra le turbe infinite che passano? Per questo sanguina il mio Cuore? Sono vuoti i seminari? Il mio divino invito non suona più, dunque, nei cuori? Il cuore dell’uomo non è più capace di udirlo? No.

Nei secoli vi saranno seminari e in essi leviti. Da essi usciranno Sacerdoti, perché nell’ora dell’adolescenza il mio invito avrà suonato con voce celeste in molti cuori ed essi l’avranno seguito. Ma altre, altre, altre voci saranno poi venute con la giovinezza e la maturità, e la mia Voce sarà rimasta soverchiata in quei cuori.

La mia Voce che parla nei secoli ai suoi ministri perché essi siano sempre quello che voi ora siete: gli apostoli alla scuola di Cristo. La veste è rimasta. Ma il Sacerdote è morto. In troppi, nei secoli, accadrà questo fatto.

Ombre inutili e scure, non saranno una leva che alza, una corda che tira, una fonte che disseta, un grano che sfama, un cuore che è guanciale, una luce nelle tenebre, una voce che ripete ciò che il Maestro gli dice. Ma saranno, per la povera umanità, un peso di scandalo, un peso di morte, un parassita, una putrefazione… Orrore!

I Giuda più grandi del futuro Io li avrò ancora e sempre nei miei Sacerdoti!

Amici, Io sono nella gloria e pure Io piango. Ho pietà di queste turbe infinite, greggi senza pastori o con troppi rari pastori. Una pietà infinita! Ebbene, Io lo giuro per la mia Divinità, Io darò loro il pane, l’acqua, la luce, la voce che gli eletti a quest’opere non vogliono dare. Ripeterò nei secoli il miracolo dei pani e dei pesci. Con pochi, spregevoli pesciolini, e con dei tozzi scarsi di pane –anime umili e laiche- Io darò da mangiare a molti, e ne saranno saziati, e ve ne sarà per i futuri, perché “ho compassione di questo popolo” e non voglio che perisca.

Benedetti coloro che meriteranno d’esser tali. Non benedetti perché sono tali. Ma perché l’avranno meritato col loro amore e sacrificio! E benedettissimi quei Sacerdoti che sapranno rimanere apostoli: pane, acqua, luce, voce, riposo e medicina dei miei poveri figli. Di luce speciale splenderanno in Cielo. Io ve lo giuro, Io che sono la Verità.

Alziamoci, amici, e venite meco, che Io vi insegni ancora a pregare. L’orazione è quella che alimenta le forze dell’apostolo, perché lo fonde con Dio».

E qui Gesù si alza e va verso la scaletta.

Ma, quando è alla sua base, si volge e mi guarda. Oh! Padre! Mi guarda! Pensa a me! Cerca la sua piccola «voce» e la gioia d’esser coi suoi amici non Lo smemora di me! Mi guarda, al disopra delle teste dei discepoli, e mi sorride. Alza la mano benedicendomi e dice: «La pace sia con te».

E la visione finisce.

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

DOMENICA DI PASQUA – RISURREZIONE DEL SIGNORE (ANNO A) . (Gv 20,1-9)

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 20,1-9)
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. Parola del Signore.

***

Sequenza
Alla vittima pasquale,
s’innalzi oggi il sacrificio di lode.
L’Agnello ha redento il suo gregge,
l’Innocente ha riconciliato
noi peccatori col Padre.Morte e Vita si sono affrontate
in un prodigioso duello.
Il Signore della vita era morto;
ma ora, vivo, trionfa.«Raccontaci, Maria:
che hai visto sulla via?».
«La tomba del Cristo vivente,
la gloria del Cristo risorto,
e gli angeli suoi testimoni,
il sudario e le sue vesti.
Cristo, mia speranza, è risorto:
precede i suoi in Galilea».Sì, ne siamo certi:
Cristo è davvero risorto.
Tu, Re vittorioso,
abbi pietà di noi.

RIFLESSIONI

Che cos’è che fa correre l’apostolo Giovanni al sepolcro? Egli ha vissuto per intero il dramma della Pasqua, essendo molto vicino al suo maestro. Ci sembra perciò inammissibile un’affermazione del genere: “Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura”. Eppure era proprio così: non meravigliamoci allora di constatare l’ignoranza attuale, per molti versi simile. Il mondo di Dio, i progetti di Dio sono così diversi che ancor oggi succede che anche chi è più vicino a Dio non capisca e si stupisca degli avvenimenti.
“Vide e credette”. Bastava un sepolcro vuoto perché tutto si risolvesse? Credo che non fu così facile. Anche nel momento delle sofferenze più dure, Giovanni rimane vicino al suo maestro. La ragione non comprende, ma l’amore aiuta il cuore ad aprirsi e a vedere. È l’intuizione dell’amore che permette a Giovanni di vedere e di credere prima di tutti gli altri. La gioia di Pasqua matura solo sul terreno di un amore fedele. Un’amicizia che niente e nessuno potrebbe spezzare. È possibile? Io credo che la vita ci abbia insegnato che soltanto Dio può procurarci ciò. È la testimonianza che ci danno tutti i gulag dell’Europa dell’Est e che riecheggia nella gioia pasquale alla fine del nostro millennio.

Venerdì Della Settimana Santa Anno A

TESTO:-
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni.
(Gv 18,1-19,42)

– Catturarono Gesù e lo legarono
In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».- Lo condussero prima da Anna
Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo».Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.- Non sei anche tu uno dei suoi discepoli? Non lo sono!
Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.- Il mio regno non è di questo mondo
Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?».E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.- Salve, re dei Giudei!
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi.Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!».Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».- Via! Via! Crocifiggilo!
Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.- Lo crocifissero e con lui altri due
Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».- Si sono divisi tra loro le mie vesti
I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato -, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così.- Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.(Qui si genuflette e di fa una breve pausa)- E subito ne uscì sangue e acqua
Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato -, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».- Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli insieme ad aromi
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

La più grande lezione che Gesù ci dà nella passione, consiste nell’insegnarci che ci possono essere sofferenze, vissute nell’amore, che glorificano il Padre.
Spesso, è la “tentazione” di fronte alla sofferenza che ci impedisce di fare progressi nella nostra vita cristiana. Tendiamo infatti a credere che la sofferenza è sempre da evitare, che non può esserci una sofferenza “santa”. Questo perché non abbiamo ancora sufficientemente fatto prova dell’amore infinito di Dio, perché lo Spirito Santo non ci ha ancora fatto entrare nel cuore di Gesù. Non possiamo immaginarci, senza lo Spirito Santo, come possa esistere un amore più forte della morte, non un amore che impedisca la morte, ma un amore in grado di santificare la morte, di pervaderla, di fare in modo che esista una morte “santa”: la morte di Gesù e tutte le morti che sono unite alla sua.
Gesù può, a volte, farci conoscere le sofferenze della sua agonia per farci capire che dobbiamo accettarle, non fuggirle. Egli ci chiede di avere il coraggio di rimanere con lui: finché non avremo questo coraggio, non potremo trovare la pace del suo amore.
Nel cuore di Gesù c’è un’unione perfetta fra amore e sofferenza: l’hanno capito i santi che hanno provato gioia nella sofferenza che li avvicinava a Gesù.
Chiediamo umilmente a Gesù di concederci di essere pronti, quando egli lo vorrà, a condividere le sue sofferenze. Non cerchiamo di immaginarle prima, ma, se non ci sentiamo pronti a viverle ora, preghiamo per coloro ai quali Gesù chiede di viverle, coloro che continuano la missione di Maria: sono più deboli e hanno soprattutto bisogno di essere sostenuti.

Giovedì Santo Anno A (1 Corinzi 11:23-25)

TESTO:-
1 Corinzi 11:23-25
Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24 e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». 25 Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Gli apostoli rammentarono l’avvenimento nelle prime comunità cristiane, tanto che San Paolo, nella sua lettera ai Corinzi presentò l’eucaristia come un rito nel quale il fedele mangiava e beveva davvero il corpo e il sangue di Gesù. Quel gesto, secondo l’apostolo, sarebbe inoltre un collegamento fra l’ultima cena e la successiva passione, essendo in entrambi i momenti il suo corpo donato e il sangue versato.

***

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 13,1-15)
Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Fate questo in memoria di me
Il Triduo pasquale inizia con la commemorazione dell’Ultima Cena. Gesù, la vigilia della sua passione, offrì al Padre il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane e del vino e, donandoli in nutrimento agli Apostoli, comandò loro di perpetuarne l’offerta in sua memoria.
Questa sera la Chiesa ci raduna attorno all’Altare, come quella sera del Giovedì Santo in cui gli apostoli insieme al loro Maestro si riunirono attorno alla tavola, per celebrare e vivere il mistero della Cena.
San Paolo, nella lettera che scrive alla comunità di Corinto, racconta l’istituzione dell’Eucaristia dicendo che: «il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: Questo è il Mio Corpo, che è per voi; fate questo in memoria di Me. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio Sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di Me». Queste sono le stesse parole che si ripetono ogni volta che si celebra la Santa Messa. Secondo il linguaggio biblico, il termine «corpo» sta ad indicare tutta la persona di Gesù, tutta la sua esistenza, così come il termine «sangue» sta ad indicare la Sua morte. Ciò significa che Gesù offre tutta la Sua Vita e la Sua Morte al Padre per la nostra salvezza.
Il racconto della lavanda dei piedi dell’evangelista Giovanni, che ci presenta il Signore che si spoglia delle sue vesti; che si piega ai piedi dei discepoli, compreso Giuda Iscariota, il traditore; che si cinge dell’asciugamano; sono gesti che indicano il servizio e l’umiltà. Questo brano vuole ricordare a tutti i cristiani che Eucaristia e Amore fraterno sono inseparabili, e cioè: «Se uno dice: Io amo Dio e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4, 20).
Il gesto della lavanda dei piedi, ripetuto nella liturgia, diventa, dunque, simbolo della fraternità cristiana e anticipa e concretizza il comandamento dell’Amore: «Come Io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete Miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 34-35). Giovanni, infatti, annota scrivendo che il Signore e il Maestro dopo aver lavato i piedi ai Suoi dodici apostoli, dice loro: «anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come Io ho fatto a voi». Questa affermazione di Gesù sta a significare l’Amore che dobbiamo avere verso i più deboli, i malati, gli anziani, i poveri gli indifesi. Senza amore generoso, gratuito, non ci può essere vero servizio. La celebrazione della Messa, senza fraternità vissuta, senza Amore, senza servizio, non ha senso. A cosa serve andare in Chiesa se il nostro cuore è chiuso all’amore e alla misericordia? A cosa serve ricevere il Corpo del Signore se non siamo capaci di perdonare?
«Fate questo in memoria di Me» significa, quindi, che se vogliamo essere dei veri cristiani dobbiamo essere sinceramente disposti a lavarci i piedi gli uni gli altri e a riconoscere nei fratelli il Cristo servo, il Cristo umile, il Cristo povero, il Cristo obbediente. Solo così la celebrazione Eucaristica diventa il Sacramento della condivisione della Vita di Cristo tra fratelli che si Amano e si servono reciprocamente.

DOMENICA DELLE PALME ANNO A. (Mt 26,14-27,66)

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 21,1-11)
Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”». Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Dite alla figlia di Sion: “Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma”».
I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!».
Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea». Parola del Signore.
Imitiamo le folle di Gerusalemme, che acclamavano Gesù, Re e Signore.

TESTO:-
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo. (Mt 26, 14-27,66)
– Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?
In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.- Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?
Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.- Uno di voi mi tradirà
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».- Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue
Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo». Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati. Io vi dico che d’ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio». Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.- Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge
Allora Gesù disse loro: «Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: “Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge”. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea».Pietro gli disse: «Se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzerò mai». Gli disse Gesù: «In verità io ti dico: questa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». Pietro gli rispose: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dissero tutti i discepoli.- Cominciò a provare tristezza e angoscia
Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. E disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!».Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà». Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti. Li lasciò, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Ecco, l’ora è vicina e il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».- Misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono
Mentre ancora egli parlava, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una grande folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore aveva dato loro un segno, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!». Subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!». Allora si fecero avanti, misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù impugnò la spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote, staccandogli un orecchio. Allora Gesù gli disse: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno. O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli? Ma allora come si compirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno sedevo nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Ma tutto questo è avvenuto perché si compissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono.- Vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza
Quelli che avevano arrestato Gesù lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale si erano riuniti gli scribi e gli anziani. Pietro intanto lo aveva seguito, da lontano, fino al palazzo del sommo sacerdote; entrò e stava seduto fra i servi, per vedere come sarebbe andata a finire.I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte; ma non la trovarono, sebbene si fossero presentati molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: «Costui ha dichiarato: “Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni”». Il sommo sacerdote si alzò e gli disse: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio». «Tu l’hai detto – gli rispose Gesù -; anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo».Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!». Allora gli sputarono in faccia e lo percossero; altri lo schiaffeggiarono, dicendo: «Fa’ il profeta per noi, Cristo! Chi è che ti ha colpito?».- Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte
Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una giovane serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». Ma egli negò davanti a tutti dicendo: «Non capisco che cosa dici». Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». Ma egli negò di nuovo, giurando: «Non conosco quell’uomo!». Dopo un poco, i presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: «È vero, anche tu sei uno di loro: infatti il tuo accento ti tradisce!». Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola di Gesù, che aveva detto: «Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.- Consegnarono Gesù al governatore Pilato
Venuto il mattino, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Poi lo misero in catene, lo condussero via e lo consegnarono al governatore Pilato.
Allora Giuda – colui che lo tradì -, vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «A noi che importa? Pensaci tu!». Egli allora, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi. I capi dei sacerdoti, raccolte le monete, dissero: «Non è lecito metterle nel tesoro, perché sono prezzo di sangue». Tenuto consiglio, comprarono con esse il “Campo del vasaio” per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu chiamato “Campo di sangue” fino al giorno d’oggi. Allora si compì quanto era stato detto per mezzo del profeta Geremia: «E presero trenta monete d’argento, il prezzo di colui che a tal prezzo fu valutato dai figli d’Israele, e le diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore».- Sei tu il re dei Giudei?
Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla.Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua». Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!».Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.- Salve, re dei Giudei!
Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo.- Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni
Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte. Poi, seduti, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei».Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.- Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!
Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo.- Elì, Elì, lemà sabactàni?
A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito.(Qui si genuflette e si fa una breve pausa)Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra queste c’erano Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo.- Giuseppe prese il corpo di Gesù e lo depose nel suo sepolcro nuovo
Venuta la sera, giunse un uomo ricco, di Arimatèa, chiamato Giuseppe; anche lui era diventato discepolo di Gesù. Questi si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato allora ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia; rotolata poi una grande pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò. Lì, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Màgdala e l’altra Maria.- Avete le guardie: andate e assicurate la sorveglianza come meglio credete
Il giorno seguente, quello dopo la Parascève, si riunirono presso Pilato i capi dei sacerdoti e i farisei, dicendo: «Signore, ci siamo ricordati che quell’impostore, mentre era vivo, disse: “Dopo tre giorni risorgerò”. Ordina dunque che la tomba venga vigilata fino al terzo giorno, perché non arrivino i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: “È risorto dai morti”. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!». Pilato disse loro: «Avete le guardie: andate e assicurate la sorveglianza come meglio credete». Essi andarono e, per rendere sicura la tomba, sigillarono la pietra e vi lasciarono le guardie. Parola del Signore.Forma breveTESTO:-
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo. (27, 11-54)- Sei tu il re dei Giudei?
In quel tempo Gesù comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla.Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua». Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!».Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.- Salve, re dei Giudei!
Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo.- Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni
Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte. Poi, seduti, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei».Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.- Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!
Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo.- Elì, Elì, lemà sabactàni?
A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito.(Qui si genuflette e si fa una breve pausa)Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

È allo stesso tempo l’ora della luce e l’ora delle tenebre.
L’ora della luce, poiché il sacramento del Corpo e del Sangue è stato istituito, ed è stato detto: “Io sono il pane della vita… Tutto ciò che il Padre mi dà verrà a me: colui che viene a me non lo respingerò… E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto mi ha dato, ma lo risusciti l’ultimo giorno” (Gv 6,35-39). Come la morte è arrivata dall’uomo così anche la risurrezione è arrivata dall’uomo, il mondo è stato salvato per mezzo di lui. Questa è la luce della Cena.
Al contrario, la tenebra viene da Giuda. Nessuno è penetrato nel suo segreto. Si è visto in lui un mercante di quartiere che aveva un piccolo negozio, e che non ha sopportato il peso della sua vocazione. Egli incarnerebbe il dramma della piccolezza umana. O, ancora, quello di un giocatore freddo e scaltro dalle grandi ambizioni politiche.
Lanza del Vasto ha fatto di lui l’incarnazione demoniaca e disumanizzata del male.
Tuttavia nessuna di queste figure collima con quella del Giuda del Vangelo. Era un brav’uomo, come molti altri. È stato chiamato come gli altri. Non ha capito che cosa gli si faceva fare, ma gli altri lo capivano? Egli era annunciato dai profeti, e quello che doveva accadere è accaduto. Giuda doveva venire, perché altrimenti come si sarebbero compiute le Scritture? Ma sua madre l’ha forse allattato perché si dicesse di lui: “Sarebbe stato meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”? Pietro ha rinnegato tre volte, e Giuda ha gettato le sue monete d’argento, urlando il suo rimorso per aver tradito un Giusto. Perché la disperazione ha avuto la meglio sul pentimento? Giuda ha tradito, mentre Pietro che ha rinnegato Cristo è diventato la pietra di sostegno della Chiesa. Non restò a Giuda che la corda per impiccarsi. Perché nessuno si è interessato al pentimento di Giuda? Gesù l’ha chiamato “amico”. È veramente lecito pensare che si trattasse di una triste pennellata di stile, affinché sullo sfondo chiaro, il nero apparisse ancora più nero, e il tradimento più ripugnante? Invece, se questa ipotesi sfiora il sacrilegio, che cosa comporta allora l’averlo chiamato “amico”? L’amarezza di una persona tradita? Eppure, se Giuda doveva esserci affinché si compissero le Scritture, quale colpa ha commesso un uomo condannato per essere stato il figlio della perdizione?
Non chiariremo mai il mistero di Giuda, né quello del rimorso che da solo non può cambiare nulla. Giuda Iscariota non sarà più “complice” di nessuno.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato”
di Maria Valtorta
Capitolo 590 (30 marzo 1947)

Gesù passa il suo braccio sulle spalle di sua Madre, che si è alzata quando Giovanni e Giacomo d’Alfeo l’hanno raggiunta per dirle: «Tuo Figlio viene», e poi sono tornati indietro per riunirsi ai compagni che procedono lentamente, parlando, mentre Tommaso e Andrea sono corsi verso Betfage per cercare l’asina e l’asinello e condurli a Gesù.

Gesù intanto parla alle donne. «Eccoci presso alla città. Io vi consiglio di andare. E andare sicure. Entrate prima di Me in città. Presso En Rogel sono tutti i pastori e i più fidi discepoli. Hanno ordine di farvi scorta e protezione».

«È che… Abbiamo parlato con Aser di Nazaret e Abele di Betlemme di Galilea e anche con Salomon. Erano venuti fin qui per spiare il tuo arrivo. La folla prepara gran festa. E noi si voleva vedere… Vedi come si scuotono le cime degli ulivi? Non è vento che le agita così. Ma è la gente che coglie rami per spargerne la via e farti velo al sole. E là?! Guarda là, stanno spogliando le palme dei loro ventagli. Sembrano grappoli e sono uomini saliti sui fusti a cogliere e cogliere… E, sui pendii, vedi curvi i bambini a cogliere fiori. E le donne certo spogliano orti e giardini da corolle e da erbe odorose per giuncarti il cammino di fiori. Noi si voleva vedere… e imitare il gesto di Maria di Lazzaro, che raccolse tutti i fiori premuti dal tuo piede quando entrasti nel giardino di Lazzaro», prega Maria Cleofe per tutte.

Gesù carezza sulla guancia la sua vecchia parente, che sembra una bambina vogliosa di vedere uno spettacolo, e le dice: «Nella gran folla non vedresti nulla. Andate avanti. Alla casa di Lazzaro, quella che ha per custode Mattia. Passerò di là e mi vedrete dall’alto».

«Figlio mio… e vai solo? Non posso starti vicino?», dice Maria alzando il volto così triste e fissando i suoi occhi di cielo sul suo dolce Figlio.

«Vorrei pregarti di stare nascosta. Come la colomba nella fessura della rupe. Più della tua presenza mi è necessaria la tua preghiera, Mamma diletta!».

«Se è così, Figlio mio, noi pregheremo. Tutte. Per Te».

«Sì. Dopo averlo visto passare, verrete con noi nel mio palazzo di Sion. E io manderò dei servi al Tempio e sempre dietro al Maestro, perché essi ci portino i suoi ordini e le sue notizie», decide Maria di Lazzaro, sempre rapida nell’afferrare ciò che è il migliore da farsi e a farlo senza indugio.

«Hai ragione, sorella. Benché mi dolga non seguirlo, comprendo la giustizia dell’ordine. E, del resto, Lazzaro ci ha detto di non contraddire il Maestro in cosa alcuna, ma di ubbidirlo anche nella cose più tenui. E lo faremo».

«E allora andate. Vedete? Le vie si animano. Stanno per raggiungermi gli apostoli. Andate. La pace sia con voi. Vi farò venire nelle ore che giudicherò buone. Mamma, addio. Abbi pace. Dio è con noi».

La bacia e congeda. E le ubbidienti discepole se ne vanno sollecite.

I dieci apostoli raggiungono Gesù.

«Le hai mandate avanti?».

«Sì. Vedranno da una casa la mia entrata».

«Da quale casa?», chiede Giuda di Keriot.

«Eh! sono ormai tante le case amiche!», dice Filippo.

«Non da Annalia?», insiste l’Iscariota.

Gesù risponde negativamente e si incammina verso Betfage, che è poco lontana.

Gli è prossimo quando tornano indietro i due mandati a prendere l’asina e l’asinello. Gridano: «Abbiamo trovato come Tu hai detto e ti avremmo condotto gli animali. Ma il padrone di essi volle strigliarli e ornarli delle migliori bardature per onorarti. E i discepoli, uniti a quelli che hanno passato la notte nelle vie di Betania per onorarti, vogliono avere l’onore di condurteli, e noi abbiamo annuito. Ci è parso che il loro amore meritasse un premio».

«Avete fatto bene. Andiamo avanti, intanto».

«Sono molti i discepoli?», chiede Bartolomeo.

«Oh! una moltitudine. Non si riesce a penetrare per le vie di Betfage. Per questo ho detto a Isacco di condurre l’asino da Cleante il formaggiaio», risponde Tommaso.

«Hai fatto bene. Andiamo sino a quel balzo del colle. E attendiamo un poco all’ombra di quegli alberi».

Vanno dove Gesù indica.

«Ma ci allontaniamo! Tu superi Betfage girandola alle spalle!», esclama l’Iscariota.

«E se voglio farlo, chi me lo può impedire? Sono forse già prigioniero, che non mi sia lecito di andare dove voglio? E c’è forse fretta che Io lo sia e si teme che Io possa sfuggire alla cattura? E se giudicassi giusto di allontanarmi per luoghi più sicuri, c’è alcuno che lo potrebbe impedire?».

Gesù dardeggia i suoi occhi sul Traditore, che non apre più bocca e si stringe nelle spalle come per dire: «Fa ciò che ti pare».

Girano infatti dietro alle spalle del paesello, direi un sobborgo della stessa città, perché dal lato ovest è proprio poco lontano dalla città, facente già parte delle pendici dell’Uliveto che corona Gerusalemme nel lato orientale. In basso, fra le pendici e la città, il Cedron brilla al sole d’aprile.

Gesù si siede in quel silenzio verde e si concentra nei suoi pensieri. Poi si alza e va proprio sul ciglio del balzo…

Dice Gesù: «Qui metterai la visione del 31 luglio 1944: “Gesù che piange su Gerusalemme”, dalla frase che ti do detta per inizio di visione». E poi riprende a mostrarmi le fasi della sua entrata trionfale.

(30 luglio)

Da un poggio presso Gerusalemme Gesù guarda la città stessa ai suoi piedi.

Non è un poggio molto alto. Al massimo come può esserlo il piazzale di S. Miniato a monte, a Firenze; ma basta perché l’occhio domini sulla distesa di tutte le case e delle vie, che salgono e scendono su e giù per le piccole elevazioni di terreno che costituiscono Gerusalemme. Questo colle è certo molto più alto, se si prende il livello più basso della città, di quanto non sia il Calvario, ma è più vicino alla cinta di quello. Proprio ha inizio appena fuori delle mura e si alza con un balzo ripido dalla parte delle stesse, mentre dall’altra scende mollemente  verso una campagna tutta verde che si stende verso est. Almeno mi pare l’oriente, se giudico bene la luce solare.

Gesù e i suoi sono sotto un ciuffo di alberi, all’ombra, seduti. Si riposano del cammino fatto. Poi Gesù si alza, lascia lo spiazzo alberato dove erano seduti e si porta proprio sul ciglio del balzo. La sua alta persona si staglia netta sul vuoto che lo circonda. Pare ancora più alta, dritta così, e sola. Tiene le mani conserte sul petto, sul mantello azzurro, e guarda serio serio.

Gli apostoli l’osservano. Ma Lo lasciano fare senza muoversi né parlare. Devono pensare che Egli si sia isolato per pregare.

Ma Gesù non prega. Dopo aver lungamente guardato la città in ogni suo rione, in ogni suo poggio, in ogni sua particolarità, talora con lunghi sguardi su questo o quel punto, talaltra con minore insistenza, Gesù si mette a piangere. Senza scosse o rumore.

Le lacrime gonfiano l’orbita, poi sgorgano e rotolano sulle guance e cadono… Lacrimoni silenziosi e tanto tristi. Come di chi sa che deve piangere, solo, senza sperare conforto e comprensione da alcuno. Per un dolore che non può essere annullato e che deve essere sofferto, assolutamente.

Il fratello di Giovanni, per la sua posizione, è il primo che vede quel pianto e lo dice agli altri, che si guardano l’un l’altro stupiti.

«Nessuno di noi ha fatto male», dice uno; e un altro: «Anche la folla non ebbe insulti. Non vi fu fra essa nessuno a Lui nemico». «Perché piange, allora?», chiede il più anziano di tutti.

Pietro e Giovanni si alzano insieme e si accostano al Maestro. Pensano che l’unica cosa da farsi sia fargli sentire che Lo amano e chiedere che ha.

«Maestro, Tu piangi?», dice Giovanni posando la sua testa bionda sulla spalla di Gesù, che è più alto di lui di tutto il collo e il capo.

E Pietro, posandogli una mano alla cintura, cingendolo quasi di un braccio per attirarlo a sé, gli dice: «Cosa ti addolora, Gesù? Dillo a noi che ti amiamo».

Gesù appoggia la guancia sulla testa bionda di Giovanni e, dissertando le braccia, passa a sua volta il braccio sulla spalla di Pietro. Restano così abbracciati tutti e tre, in una posa di tanto amore. Ma il pianto continua a gocciare.

Giovanni, che lo sente scendere fra i suoi capelli, torna a chiedere: «Perché piangi, Maestro mio? Forse da noi ti viene pena?».

Gli altri apostoli si sono riuniti al gruppo amoroso e ansiosamente attendono una risposta.

«No», dice Gesù. «Non da voi. Voi mi siete amici e l’amicizia, quando è sincera, è balsamo e sorriso, mai pianto. Vorrei che amici mi rimaneste sempre. Anche ora che entreremo nella corruzione, che fermenta e che corrompe chi non ha volontà decisa di rimanere onesto».

«Dove andiamo, Maestro? Non a Gerusalemme? La folla ti ha già salutato con letizia. Vuoi Tu deluderla? Andiamo forse in Samaria per qualche prodigio? Proprio ora che la Pasqua è vicina?».

Le domande sono fatte da diversi contemporaneamente.

Gesù alza le mani imponendo silenzio e poi con la destra accenna la città. Un gesto largo come di uno che semini avanti a sé.

E dice: «Quella è la Corruzione. Noi entriamo in Gerusalemme. Noi vi entriamo. E solo l’Altissimo sa come vorrei santificarla portandovi la Santità che viene dai Cieli. Risantificarla, questa che dovrebbe essere la Città santa. Ma non potrò farle nulla. Corrotta è e corrotta rimane.

E i fiumi di santità che sgorgano dal Tempio vivo, e che ancor più sgorgheranno a giorni sino a lasciarlo vuoto di vita, non saranno sufficienti a redimerla. Verrà al Santo la Samaria e il mondo pagano. Sui templi bugiardi sorgeranno i templi del Dio vero. I cuori dei gentili adoreranno il Cristo. Ma questo popolo, questa città gli sarà sempre nemica, e il suo odio la porterà al più grande peccato. Ciò deve avvenire. Ma guai a coloro che saranno strumenti di questo delitto. Guai!…».

Gesù guarda fissamente Giuda che gli è quasi di fronte.

«Ciò a noi non avverrà mai. Noi siamo i tuoi apostoli e crediamo in Te, pronti a morire per Te».

Giuda mente spudoratamente e sostiene lo sguardo di Gesù senza impaccio. Gli altri uniscono le loro proteste.

Gesù risponde a tutti evitando di rispondere a Giuda direttamente.

«Voglia il Cielo che tali voi siate. Ma molta debolezza è ancora in voi, e la tentazione potrebbe rendervi simili a coloro che mi odiano. Pregate molto e molto vegliate su voi. Satana sa che sta per esser vinto e vuole vendicarsi strappandovi a Me. Satana è intorno a noi tutti.

A Me per impedirmi di fare la Volontà del Padre e compiere la mia missione. A voi per fare di voi dei suoi servi. Vegliate. Entro quelle mura satana prenderà colui che non saprà esser forte. Colui per il quale maledizione sarà stato l’esser eletto, perché fece della sua elezione uno scopo umano. Vi ho eletti per il Regno dei Cieli e non per quello del mondo. Ricordatevelo.

E tu, città che vuoi la tua rovina e sulla quale Io piango, sappi che il tuo Cristo prega per la tua redenzione. Oh! se almeno in quest’ora che ti resta tu sapessi venire a Chi sarebbe la tua pace! Almeno comprendessi in quest’ora l’Amore che passa fra te e ti spogliassi dell’odio che ti fa cieca e folle, crudele a te stessa e al tuo bene! Ma verrà il giorno in cui ricorderai quest’ora! Troppo tardi allora per piangere e pentirti!

L’Amore sarà passato e scomparso dalle tue strade, e resterà l’Odio che tu hai preferito. E l’Odio sarà verso te, verso i tuoi figli. Poiché si ha ciò che si è voluto, e l’odio si paga con l’odio. E non sarà allora odio di forti contro l’inerme. Ma odio contro odio, e perciò guerra e morte. Stretta da trincee e armati, languirai prima d’esser distrutta e vedrai cadere i tuoi figli per armi e per fame, e i superstiti andare prigionieri e scherniti, e chiederai misericordia, né più la troverai, poiché non hai voluto conoscere la tua Salute.

Piango, amici, poiché ho cuore d’uomo e le rovine della patria ne traggono lacrime. Ma ciò è giusto si compia poiché la corruzione supera, fra queste mura, ogni limite e attira il castigo di Dio. Guai ai cittadini causa del male della patria! Guai ai rettori che ne sono la principale causa! Guai a coloro che dovrebbero esser santi per portare gli altri ad essere onesti e invece profanano la Casa del loro ministero e se stessi! Venite. A nulla gioverà la mia azione. Ma facciamo che la Luce splenda ancora una volta fra le Tenebre!».

E Gesù scende seguito dai suoi. Va velocemente per la via con un viso serio e direi quasi accigliato. Né più parla. Entra in una casetta ai piedi del colle, né vedo più altro.

Dice Gesù:

«La scena narrata da Luca pare senza connessione, quasi illogica. Compiango le sventure di una città colpevole e non so compatire le abitudini di detta città? No. Non le so, non le posso compatire, poiché anzi sono proprio queste abitudini che generano le sventure; e il vederle acutizza il mio dolore. La mia ira sui profanatori del Tempio è logica conseguenza della mia meditazione sulle prossime sventure di Gerusalemme.

Sono sempre le profanazioni al culto di Dio, alla Legge di Dio, quelle che provocano i castighi del Cielo. Facendo della Casa di Dio una spelonca di ladri, quei sacerdoti indegni e quegli indegni credenti (di nome soltanto) attiravano su tutto il popolo maledizione e morte. Inutile dare questo o quel nome al male che fa soffrire un popolo. Cercate il giusto nome in questo: ”Punizione per un vivere da bruti”. Dio si ritira e il Male si avanza. Ecco il frutto di una vita nazionale indegna del nome di cristiana.

Come allora, anche ora, in questo scorcio di secolo, non ho mancato con prodigi di scuotere e richiamare. Ma, come allora, non ho attirato su Me e i miei strumenti che scherno, indifferenza e odio. Singoli e nazioni però ricordino che inutilmente piangono quando avanti non vollero conoscere la loro salvezza. Inutilmente mi invocano quando nell’ora in cui ero con loro mi cacciarono con una guerra sacrilega che, partendo dalle singole coscienze, devote al Male, si sparse per tutta la Nazione. Le Patrie non si salvano tanto con le armi quanto con una forma di vita che attiri le protezioni del Cielo.

Riposa, piccolo Giovanni. E fa di esser sempre fedele alla tua elezione. Va’ in pace».

Che fatica! Non ce la faccio proprio…

(30 marzo 1947)

Quasi Gesù non fa a tempo ad entrare nella casa benedicendone gli abitanti, quando si sentono un allegro suonar di bubboli e voci a festa. E subito dopo il volto scarno e pallido di Isacco appare nella fessura dell’uscio, e il pastore fedele entra e si prostra davanti al suo Signore Gesù.

Nell’inquadratura della porta spalancata si pigiano volti e volti e, dietro, altri se ne vedono… Un urtarsi, un pigiarsi, un voler farsi largo… Qualche grido di donna, qualche pianto di bambino preso in mezzo alla ressa, e grida di saluto, esclamazioni a festa:

«Felice questo giorno che a noi ti riporta! La pace a Te, Signore! Ben torni, o Maestro, a premiare la nostra fedeltà».

Gesù si alza in piedi e fa gesto di parlare. Tacciono tutti e netta si sente la voce di Gesù.

«Pace a voi! Non vi accalcate. Ora saliremo insieme al Tempio. Sono venuto per stare con voi. Pace! Pace! Non fatevi male. Fate largo, miei diletti! Lasciatemi uscire e seguitemi, ché entreremo insieme nella Città santa».

La gente, bene o male, ubbidisce, e si fa un poco di largo, tanto che Gesù possa uscire e montare sull’asinello. Perché Gesù indica il puledro, sino allora mai cavalcato, come sua cavalcatura, e allora dei ricchi pellegrini, che si pigiano fra la folla, stendono sulla groppa di questo i loro sontuosi mantelli, e uno si pone con un ginocchio a terra e l’altro a far da gradino al Signore, che siede sulla groppa del puledro d’asina, e il viaggio si inizia, mentre Pietro cammina a un lato del Maestro e Isacco dall’altro, tenendo le briglie della bestia non doma, che però procede tranquilla come fosse usa a quell’ufficio, senza imbizzarrirsi o spaventarsi dei fiori che, gettati come sono verso Gesù, colpiscono sovente la bestiola negli occhi e sul morbido muso, né dei rami di ulivo e delle foglie di palma agitate davanti e intorno ad esso, gettate in terra a far tappeto coi fiori, né dei gridi sempre più forti di: «Osanna, Figlio di Davide!», che salgono al cielo sereno, mentre la folla sempre più infittisce e si accresce per nuovi venuti.

Passare da Betfage, fra le viette strette e contorte, non è facile cosa, e le madri devono prendere in braccio i bambini, e gli uomini proteggere le donne da urti troppo violenti, e qualche padre si pone sulle spalle a cavalluccio il figliolino e lo porta alto sulla folla così, mentre le vocine dei bimbi sembrano belati di agnelli o stridi di rondini e le loro manine gettano fiori e foglie d’ulivo, che le madri porgono, e baci anche, al mite Gesù…

Usciti dalla strettoia della piccola borgata, il corteo si ordina e distende, e molti volonterosi vanno avanti a far da battistrada per preparare sgombra la via, e altri li seguono spargendo di rami il suolo, e uno per primo getta il suo mantello a far da tappeto, e un altro, e quattro, e dieci, e cento, e mille lo imitano. La via ha al centro una striscia multicolore di vesti stese al suolo e, passato Gesù, le vesti sono raccolte e portate più avanti, con altre, con altre, e sempre fiori, rami, foglie di palma vengono agitati e gettati, e gridi più forti vengono innalzati intorno e in onore del Re d’Israele, al Figlio di Davide, al suo Regno!

I soldati di guardia alla porta escono a vedere che cosa succede. Ma non è sedizione, ed essi, appoggiati alle loro lance, si fanno da lato, osservando stupiti o ironici lo strano corteo di quel Re che cavalca un puledro d’asina, bello come un dio, umile come il più povero degli uomini, mite, benedicente… circondato da donne e bambini e da uomini disarmati gridanti: «Pace! Pace!», di questo Re che, prima di entrare nella città, sosta un momento all’altezza dei sepolcri dei lebbrosi di Innon e di Siloan (credo di dire bene questi luoghi, dove ho visto miracoli di lebbrosi altre volte) e, puntandosi l’unica staffa in cui poggia il suo piede, essendo seduto sull’asino, non a cavallo dell’asino, si alza in piedi e apre le braccia gridando in direzione di quelle pendici orrende (dove volti e corpi paurosi si affacciano guardando verso Gesù e alzano il grido lamentoso dei lebbrosi: «Siamo infetti!», a respingere degli imprudenti che, pur di vedere bene Gesù, salirebbero anche sui corrotti e infetti scaglioni):

«Chi ha fede in Me invochi il mio Nome ed abbia salute per quello!», e benedice riprendendo il cammino e ordinando a Giuda di Keriot: «Comprerai cibi per i lebbrosi e con Simone li porterai ad essi avanti sera».

Quando il corteo entra sotto la volta della porta di Siloan e poi, come un torrente, si riversa entro la città passando per il borgo di Ofel -nel quale ogni terrazza è divenuta una piccola aerea piazza colma di popolo osannante, che getta fiori e rovescia profumi giù, nella via, cercando di gettarli sul Maestro, e l’aria è satura dell’odore dei fiori morenti sotto i passi delle turbe e di essenze che si spargono nell’aria prima di cadere fra la polvere della via- il grido della folla sembra aumentare e farsi forte, come se ognuno lo urlasse in una buccina, perché i numerosi archivolti dei quali è piena Gerusalemme lo amplificano con risonanze continue.

Sento gridare, e credo voglia dire ciò che dicono gli evangelisti: «Scialem, Scialem melchil!», (o malchit: cerco di rendere il suono delle parole, ma è difficile, perché hanno aspirazioni che noi non abbiamo).

Un grido continuo, simile all’urlo di un mare in tempesta, nel quale non è ancora caduto il fragor del maroso che schiaffeggia spiagge e scogliere che un altro maroso lo raccoglie e rialza in novello fragore, senza tregua mai. Ne sono assordita!

Profumi, odori, gridi, agitarsi di rami e di vesti, colori, urli… È una visione che sbalordisce.

Vedo rimescolarsi continuamente la folla, apparire e sparire volti conosciuti: tutti i discepoli di tutti i luoghi di Palestina, tutti i seguaci… Vedo per un attimo Giairo, vedo Jaia il giovinetto di Pella (mi pare) che era cieco come sua madre e che Gesù guarì, vedo Gioacchino di Bozra e quel contadino del piano di Saron coi fratelli, vedo il vecchio e solitario Mattia di quel luogo presso il Giordano (sponda orientale) presso il quale Gesù si rifugiò mentre tutto era inondato, vedo Zaccheo con i suoi amici convertiti, vedo il vecchio Giovanni di Nobe con quasi tutti i cittadini, vedo il marito di Sara di Jutta…

Ma chi può tener dietro a volti e nomi, se è un caleidoscopio di visi noti e ignoti, veduti più volte o una sola?… Ecco ora il viso del pastorello preso a Ennon. E, vicino a lui, il discepolo di Corozim che lasciò di seppellire il padre per seguire Gesù; e vicino a lui, per un momento, il padre e la madre di Beniamino di Cafarnao col loro figliolo, che per poco cade sotto le zampe dell’asinello per gettarsi avanti a ricevere una carezza di Gesù.

E -purtroppo!- volti di farisei e di scribi, lividi di ira per questo trionfo, che fendono prepotenti il cerchio di amore che si stringe intorno a Gesù e gli urlano: «Fa tacere questi pazzi! Richiamali alla ragione! Solo Dio va osannato. Di che tacciano!».

Al che Gesù risponde dolcemente: «Anche se Io dicessi di tacere e questi mi ubbidissero, le pietre griderebbero i prodigi del Verbo di Dio».

Perché infatti la gente -oltre che gridare:

«Osanna, osanna, al Figlio di Davide!

Benedetto Colui che viene nel nome del Signore.

Osanna a Lui e al suo Regno!

Dio è con noi!

L’Emmanuele è venuto.

È venuto il Regno del Cristo del Signore!

Osanna! Osanna dalla Terra sino all’alto dei Cieli!

Pace! Pace, mio Re!

Pace e benedizione a Te, Re Santo!

Pace e gloria nei Cieli e in Terra!

Gloria a Dio per il suo Cristo!

Pace agli uomini che lo sanno accogliere.

Pace in Terra agli uomini di buona volontà e gloria nei Cieli altissimi, perché l’ora del Signore è venuta»

(e chi grida quest’ultimo grido è il gruppo compatto dei pastori che ripetono in grido natalizio)- oltre questi gridi continui, la gente di Palestina narra ai pellegrini della Diaspora i miracoli che hanno visto, e a chi non sa ciò che avviene, perché straniero di passaggio fortuitamente dalla città e che chiede:

«Ma chi è Costui? Che avviene?», spiegano:

«È Gesù! Gesù, il Maestro di Nazaret di Galilea! Il Profeta! Il Messia del Signore! Il Promesso! Il Santo!».

Da una casa, e da poco è sorpassata la porta perché l’andare è lentissimo in tanta confusione, esce un gruppo di robusti giovani portando alti dei vasi di rame pieni di carboni accesi e di incenso, che arde spargendo nubi di fumo odoroso. E il gesto è raccolto e ripetuto, e molti corrono avanti o tornano indietro, alle case, per farsi dare fuoco e resine odorose da ardere in omaggio del Cristo.

La casa di Annalia appare. La terrazza, inghirlandata di vite dalle foglie novelle tremolanti ad un mite vento di aprile, ha sul lato della via tutta una fila di giovinette biancovestite e biancovelate, al centro delle quali è Annalia, con cesti di petali di rose sfogliate e di mughetti che già volteggino nell’aria.

«Le vergini di Israele ti salutano, Signore!», dice Giovanni, che si è fatto largo ed è ora al fianco di Gesù, attirando la sua attenzione sulla ghirlanda di purezza che si sporge sorridendo dal parapetto a spargere la via di petali rossi come sangue e di mughetti bianchi come perle.

Gesù trattiene per un attimo le redini e arresta il puledro d’asina. Alza il volto e la mano a benedire quella verginità di Lui innamorata sino a rinunciare ad ogni altro amore terreno.

E Annalia si protende e grida: «Il tuo trionfo io l’ho visto, o mio Signore! Prendi la mia vita per la tua glorificazione universale!», e con un grido altissimo, mentre Gesù passa sotto la sua casa e procede, lo saluta: «Gesù!».

E un altro, diverso grido, supera il clamore delle turbe. Ma la gente, pur sentendolo, non si arresta. È un fiume di entusiasmo, un fiume di popolo in delirio che non può sostare. E mentre le ultime onde di questo fiume sono ancor fuori della porta, le prime onde già assalgono le salite che conducono al Tempio.

«Tua Madre!», grida Pietro accennando ad una casa quasi all’angolo di una via che sale al Moria e per la quale si incanala il corteo. E Gesù alza il volto a sorridere a sua Madre, che è lassù fra le donne fedeli.

L’intoppo di una numerosa carovana arresta il corteo pochi metri dopo che la casa è superata. E mentre Gesù sosta con gli altri, carezzando i bambini che le madri gli porgono, accorre un uomo e si fa largo urlando:

«Lasciatemi passare! Una donna è morta. Una fanciulla. All’improvviso. La madre invoca il Maestro. Lasciatemi passare! Egli già l’ha salvata una volta!».

La gente fa largo e l’uomo corre presso Gesù: «Maestro, la figlia di Elisa è morta. Ti ha salutato con quel grido, poi si è piegata indietro dicendo: “Io son felice” ed è spirata. Il suo cuore si è franto nel gran tripudio di vederti trionfante. Sua madre mi ha visto sulla terrazza accanto alla sua casa e mi ha mandato a chiamarti. Vieni, Maestro!».

«Morta! Morta Annalia! Ma se era sana, florida, felice solo ieri?». Gli apostoli si affollano agitati, i pastori pure. Tutti l’hanno vista ieri in perfetta salute. Poco fa l’hanno vista rosea, ridente… Non si capacitano della sciagura… Chiedono, domandano i particolari…

«Non so. Tutti avete sentito le sue parole. Parlava forte, sicura. Poi la vidi piegarsi indietro più bianca delle sue vesti e udii gridare la madre… Altro non so».

«Non vi agitate. Non è morta. È caduto un fiore e gli Angeli di Dio lo hanno raccolto per portarlo in seno ad Abramo. Presto il giglio della Terra si aprirà felice in Paradiso, ignorando per sempre l’orrore del mondo. Uomo, di ad Elisa che non pianga la sorte della sua creatura. Dille che essa ebbe una grande Grazia da Dio e che fra sei giorni comprenderà qual Grazia Dio fece alla figlia sua.

Non piangete. Non pianga nessuno. Il suo trionfo è ancor più grande del mio, perché alla vergine fanno corteo gli Angeli per condurla alla pace dei giusti. Ed è trionfo eterno che salirà di grado senza mai conoscere discesa. In verità vi dico che per voi tutti, ma non per Annalia, avete ragione di piangere. Andiamo».

E ripete agli apostoli e a chi Lo circonda: «È caduto un fiore. Si è adagiato in pace e gli Angeli lo hanno raccolto. Beata la pura di carne e cuore perché presto vedrà Iddio».

«Ma come, di che è morta, Signore?», chiede Pietro che non si capacita.

«D’amore. D’estasi. Di gaudio infinito. Felice morte!».

Chi è molto avanti non sa, chi è molto indietro non sa. E perciò gli osanna continuano anche se qui, presso a Gesù, si è fatto un cerchio di pensoso silenzio.

È Giovanni che lo rompe: «Oh! vorrei la stessa sorte prima delle ore future!».

«Io pure», dice Isacco. «Vorrei vedere il volto della fanciulla morta d’amore per Te…».

«Vi prego di sacrificarmi il vostro desiderio. Ho bisogno della vostra vicinanza…».

«Non ti lasceremo, Signore. Ma a quella madre non un conforto?», chiede Natanaele.

«Provvederò ad esso…».

Sono alle porte della cinta del Tempio. Gesù scende dall’asinello, che uno di Betfage prende in custodia.

Occorre tenere presente che Gesù non si è fermato alla prima porta del Tempio, ma ha costeggiato la cinta, fermandosi soltanto quando è sul lato nord della cinta, vicino all’Antonia. È là che scende ed entra nel Tempio, come per far vedere che non si nasconde al potere dominante, sentendosi innocente in ogni sua azione.

Il primo cortile del Tempio mostra la solita gazzarra di cambiavalute e venditori di colombe, passeri e agnelli, soltanto che ora i venditori sono lasciati in asso perché tutti sono accorsi a vedere Gesù. E Gesù entra, solenne nella sua veste purpurea, e gira lo sguardo su quel mercato e su un gruppo di farisei e scribi che Lo osservano da sotto il portico.

Il suo volto sfolgora di sdegno. Balza al centro del cortile. Uno scatto improvviso che pare un volo. Il volo di una fiamma, ché di fiamma è la sua veste nel sole che inonda il cortile. E tuona con una voce potente:

«Via dalla casa del Padre mio! Non è questo luogo di usura e di mercato. Sta scritto: “La mia casa sarà chiamata casa di orazione”. Perché dunque l’avete mutata in spelonca di ladroni, questa casa nella quale è invocato il Nome del Signore? Via! Mondate la mia Casa. Che non vi avvenga che, in luogo di usar le funi, Io vi colpisca con i fulmini dell’ira celeste.

Via! Fuori di qui i ladri, i barattieri, gli impudichi, gli omicidi, i sacrileghi, gli idolatri della peggiore idolatria, quella del proprio io superbo, i corruttori e i menzogneri. Fuori! Fuori! O che Dio altissimo, Io ve lo dico, spazzerà per sempre questo luogo e farà le sue vendette su tutto un popolo».

Non ripete la fustigazione dell’altra volta, ma, visto che mercanti e cambiavalute stentano ad ubbidire, va al banco più vicino e lo ribalta spargendo bilance e monete al suolo.

I venditori e i  cambiavalute si affrettano a porre in atto l’ordine di Gesù, dopo che hanno avuto questo primo esempio. E Gesù grida dietro a loro: «E quante volte dovrò dire che questo luogo non deve essere luogo d’immondezza ma di preghiera?».

E guarda quelli del Tempio che, ubbidienti agli ordini ponteficali, non fanno un gesto di rappresaglia.

Mondato il cortile, Gesù va verso i portici dove sono raccolti ciechi, paralitici, muti, storpi e altri malati, che Lo invocano a gran voce.

«Che volete voi che Io vi faccia?».

«La vista, Signore! Le membra! Che mio figlio parli! Che mia moglie risani. Noi crediamo in Te, Figlio di Dio!».

«Dio vi ascolti. Sorgete e osannate al Signore!».

Non cura uno per uno i molti malati. Ma fa un gesto largo con la mano, e Grazia e salute scende da essa sugli infelici, che sorgono sani con gridi di giubilo che si mescolano a quelli dei molti bambini, che si stringono a Lui ripetendo: «Gloria, gloria al figlio di Davide! Osanna a Gesù Nazareno, Re dei re e Signore dei signori!».

Dei farisei, con finta deferenza, gli gridano: «Maestro, li senti? Questi fanciulli dicono ciò che non va detto. Riprendili! Che tacciano!».

«E perché? Il re profeta, il re della mia stirpe, non ha forse detto: “Dalla bocca dei fanciulli e dei lattanti hai fatto sgorgare la lode perfetta, a confusione dei tuoi nemici”? Non avete letto queste parole del salmista? Lasciate che i pargoli dicano le mie lodi. Sono loro suggerite dai loro Angeli, che vedono costantemente il Padre mio e ne sanno i segreti e li suggeriscono a questi innocenti. Ora lasciatemi tutti andare ad orare al Signore», e passando davanti alla gente passa nell’atrio degli Israeliti per pregare…

E poi, uscendo per un’altra porta, rasentando la piscina Probatica, esce dalla città tornando sui colli del monte Uliveto.

Gli apostoli sono entusiasti… Il trionfo li ha fatti sicuri e dimentichi, completamente dimentichi di tutti i terrori che le parole del Maestro avevano suscitato… Parlano di tutto… Ardono di sapere di Annalia. A stento Gesù li trattiene dall’andare, assicurando che provvederà in modo che sa Lui… Sordi, sordi, sordi ad ogni voce d’avviso divino… Uomini, uomini, uomini, che un grido di osanna smemora da ogni cosa…

Gesù parla ai servi di Maria di Magdala, che Lo hanno raggiunto al Tempio, e poi li licenzia…

«E ora dove andiamo?», chiede Filippo.

«A casa di Marco di Giona?», dice Giovanni.

«No. Al campo dei Galilei. Forse saranno venuti i miei fratelli e vorrei salutarli», dice Gesù.

«Lo potrai fare domani», gli osserva il Taddeo.

«Buona cosa è fare mentre si può fare. Andiamo dai Galilei. Saranno contenti di vederci. Voi avrete notizie delle famiglie. Io vedrò i bambini…».

«E questa sera? Dove dormiremo? In città? In che luogo? Dove è tua Madre? O da Giovanna?», chiede Giuda Iscariota.

«Non so. Certo non in città. Forse ancora sotto qualche tenda Galilea…».

«Ma perché?».

«Perché sono il Galileo e amo la patria mia. Andiamo».

Si rimettono in cammino salendo verso il campo dei Galilei, che è sull’Uliveto verso Betania e che è tutto un biancheggiare di tende al lieto sole d’aprile.

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta