Sabato IV Settimana Del Tempo Ordinario Anno A

Sabato Della IV Settimana Del Tempo Ordinario Anno A
Gesù ebbe compassione.
Perché erano come pecore che non hanno pastore.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 6,30-34)

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

La Scrittura ci rivela che il riposo è vita per l’uomo. Il Signore non ha creato una macchina a ciclo continuo, senza alcuna interruzione. Ha fatto il giorno per il lavoro, la notte per il riposo. In più ha stabilito che l’uomo lavori sei giorni, ma il settimo sia dedicato al riposo, con l’obbligo di astenersi da ogni lavoro manuale che di solito viene effettuato nei giorni di fatica. Al riposo sono anche obbligati gli animali di cui l’uomo si serve come aiuto. Dio stesso creò l’universo distinguendo notte e giorno e Lui stesso si riposò il settimo giorno.
Nella creazione l’uomo non è signore di nessuna cosa. Non è signore del suo corpo, del suo spirito, della sua anima, dell’intera sua vita, del suo respiro. Signore dell’uomo è Dio. Non è signore della terra, delle acque, dell’aria, degli alberi, degli animali, di tutto ciò che è animato o inanimato. Signore è Dio. Non è signore degli altri uomini, creati da Dio uguale a lui in dignità. Signore, unico e solo Signore di tutto è Dio. Se l’uomo si appropria di se stesso, del tempo, delle cose, degli animali, della terra, delle acque, lui commette un furto contro il suo Dio. Facendosi signore diviene idolatra di sé.
Gesù è venuto per ricordare anche questa purissima verità. Solo Lui è Signore del tempo, del sabato. Solo Lui può indicare modalità vere per vivere con infinita saggezza la legge del Signore sul riposo. Oggi vede i suoi discepoli stanchi, affaticati, perché la missione è stata per loro dura e li invita a recarsi con Lui in un luogo segreto e lì riposare un po’. Le forze vanno ricuperate, altrimenti il corpo crolla e non è in grado di fare bene ciò che è suo obbligo fare. Quando non si dona al corpo ciò che è suo, il corpo mai dona all’uomo ciò che l’uomo si attende da esso.
Oggi l’uomo ha sovvertito la legge divina sul riposo. Ha trasformato la notte in giorno e il giorno in notte. Non riposa di notte e non lavora di giorno. Vi è un disordine nella sua vita che va portato nella sua verità. Il corpo ha le sue leggi. Non possono essere infrante impunemente. Tutto ciò che viene tolto al corpo, esso se lo prende. Gli si toglie la notte, lui non lavora di giorno. Non può lavorare. È stato privato di ciò che è suo. La Chiesa non può stare passiva dinanzi ai disordini che l’uomo continuamente crea nella legge del Signore. Come oggi è anche grande disordine usare il sabato per se stessi e non invece consacrarlo al Signore, secondo quanto è stabilito dalla legge santa. Ogni disordine nella creazione è il frutto dell’idolatria dilagante che sta fagocitando la fede.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci obbedienti a Dio in tutto.

Venerdì IV Settimana Del Tempo Ordinario Anno A

Venerdì Della IV Settimana Del Tempo Ordinario Anno A
Erodìade lo odiava e voleva farlo morire.
Giovanni infatti diceva a Erode.
Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 6,14-29)
In quel tempo, il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi». Altri invece dicevano: «È Elìa». Altri ancora dicevano: «È un profeta, come uno dei profeti». Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!».
Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Che cosa devo chiedere?
Una parola ti salva, una parola ti uccide. Per una sola parola può cambiare il corso della storia. Si fa un domanda, si dona una risposta di odio: viene tagliata la testa a Giovanni il Battista. Questo evento deve insegnarci che ognuno, prima di proferire una sola parola, deve pesarne tutti gli effetti positivi e negativi e anche che dobbiamo essere capaci di ogni discernimento prima di accogliere una parola dell’altro nel nostro cuore. Come la salvezza è dalla parola, così anche la perdizione. Solo Dio potrà difenderci dalla lingua malvagia. Questa è la verità rivelata nella Scrittura Santa.
Ecco, recingi pure la tua proprietà con siepe spinosa, e sulla tua bocca fa’ porta e catenaccio. Metti sotto chiave l’argento e l’oro, ma per le tue parole fa’ bilancia e peso. Sta’ attento a non scivolare a causa della lingua, per non cadere di fronte a chi ti insidia (Sir 28,13-26).
Nella casa di Erode Dio non regna. Né regna nel cuore dei presenti. Stolto è il re, stolti i commensali, stolta la figlia con la madre. L’unico in cui regna il Signore è Giovanni il Battista. Non lo libera dalla lingua malvagia perché vuole fare di lui un grande martire.
Oggi le parole vengono moltiplicate all’infinito attraverso una miriade di casse di risonanza. Ognuno è responsabile non solo di ogni parola da lui direttamente proferita, ma anche di ogni altra riferita, interpretata, commentata, alterata, trasformata. Ognuno è obbligato a non dare spazio ad interpretazioni errate della sua parola. Deve essere sempre puntuale nel dire, nell’insegnare, nel dialogare. Tutti però siamo obbligati a operare un serio discernimento in modo che ad ogni parola non vera detta dall’altro non venga dato alcuno spazio perché possa entrare in altri cuori.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci persone dalla parola vera.

Giovedì IV Settimana Del Tempo Ordinario Anno A

Giovedì Della IV Settimana Del Tempo Ordinario Anno A
PRESENTAZIONE DEL SIGNORE
Ora puoi lasciare, o Signore,
che il tuo servo vada in pace,
secondo la tua parola
.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 2,22-40)
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui. Parola del Signore.

FORMA BREVE

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 2,22-32):
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Con la festa della Presentazione al Tempio di Gesù si chiudono idealmente le ricorrenze legate al Natale. Il brano di Vangelo da cui trae fondamento la festa di oggi fa parte dei vangeli dell’infanzia redatti da Luca.
Giuseppe e Maria vengono presentati come degli israeliti pienamente osservanti che portano il bambino al tempio quaranta giorni dopo la sua nascita, per essere riscattato come ogni primogenito. Questa pratica non era più diffusa tra i giudei ai tempi di Gesù, e non era più necessario portare il bambino nel tempio.
Questa presentazione al tempio assume un significato teologico: il Signore entra nel suo tempio, riprende il suo posto per eccellenza.
Riguardo alla famiglia di Gesù, Luca la presenta in piena consonanza con le usanze ebraiche. Gesù è venuto a portare qualcosa di nuovo, ma non di totalmente separato, inaudito, piuttosto la sua novità si inserisce all’interno delle usanze e delle aspettative del suo popolo.
Lectio
22 Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore
Secondo la legge di Mosè (Lv 12,1-8) la donna che aveva partorito un figlio veniva considerata impura per 7 giorni e poi doveva attendere confinata in casa per altri 33 giorni (in caso di una figlia femmina il periodo saliva ad 80 giorni complessivi). Al termine di questo periodo doveva presentarsi al tempio e offrire un agnello in olocausto o un colombo o una tortora in sacrificio di espiazione. Se non si poteva permettere l’agnello, erano sufficienti due colombi o due tortore. La purificazione riguardava solo la madre, ma Luca parla della “loro purificazione”, indicando così anche Giuseppe. Per quale motivo? Forse Luca seguiva una convinzione di tipo greco secondo la quale l’impurità riguardasse la madre, il figlio e anche tutti coloro che avevano assistito al parto. Più probabile che Luca, come si vede anche più sotto non conoscesse molto bene le usanze ebraiche e si limiti a ricordarle in modo generale.
Di fatto l’accento viene spostato sulla presentazione del bambino al Signore, altro rituale che accompagnava la nascita degli israeliti.
23 – come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore –
Il primogenito di ogni famiglia umana (e anche degli animali) era consacrato al Signore per la sua esistenza (Es 13,11ss). In un secondo momento la Legge ne previde il riscatto, attraverso il pagamento di cinque sicli d’argento (la paga di 20 giorni; Nm 8,14-16).
Però ai tempi di Gesù la presentazione del primogenito non si faceva più, e nel suo racconto Luca omette di parlare del riscatto del primogenito. Inoltre per realizzare questo riscatto non era necessario portare il bambino al tempio: il padre poteva pagare la somma richiesta a un sacerdote del villaggio. Luca cita Esodo 13,12 adattandolo all’annuncio che l’angelo Gabriele aveva fatto a Maria: “il bambino sarà chiamato santo”. Gesù quindi appartiene a Dio fin dalla nascita e non soltanto dal momento della sua presentazione.
24 e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Con questo versetto Luca ritorna al rito di purificazione della madre, ricordando il sacrificio che veniva richiesto per questo particolare frangente (Lv 5,7; 12,8). Tutto considerato, vediamo che Luca nei versetti 22-24 fa una strana commistione di riti ebraici e di avvenimenti.
O l’evangelista fraintende una tradizione giunta fino a lui, che conosceva poco bene, o egli modifica volutamente la tradizione per realizzare uno scopo ben preciso: sottolineare l’appartenenza di Gesù a Dio fin dalla sua nascita. La purificazione sarebbe dunque solo l’occasione per far venire Gesù al tempio.
Ancora Luca vuole mettere l’accento sul fatto che i genitori di Gesù erano fedeli alla tradizione giudaica. Per ben tre volte in questi versetti viene ricordata la Legge del Signore. Giuseppe e Maria appartengono al “resto” dei poveri di JHWH, disposti ad accogliere la venuta escatologica di Dio e del suo Inviato. Oppure Luca sottolineando la scrupolosa osservanza di Giuseppe e di Maria voleva rispondere a quei giudei che si mettevano in atteggiamento critico verso i cristiani, giudicandoli solo una setta fondata da un “eretico”, che aveva deviato dalle genuine tradizioni di Israele.
25 Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui.
Entra ora in scena Simeone (il suo nome significa “esaudimento”) e poi Anna. Entrambi sono anziani, simbolo di una lunga attesa giunta a termine. Simeone era un uomo giusto e pio, obbediente alla volontà di Dio, fedele al culto nel tempio, fiducioso nelle promesse di JHWH. Anch’egli è un povero di JHWH, che attende “la consolazione di Israele”. Egli non è un sacerdote, si avvicina di più alla categoria dei profeti. E infatti in questi versetti che lo riguardano viene più volte ricordato lo Spirito Santo. Luca ci suggerisce così che la Legge e i profeti sono i riferimenti indispensabili per accogliere Gesù e proclamare la sua messianicità.
26 Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Simeone non avrebbe visto la morte prima di aver visto il Cristo. Questa frase sarà portata a compimento con il cantico di Simeone stesso: “i miei occhi hanno visto la salvezza”.
27 Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo,
Lo Spirito sta conducendo i passi di Simeone e della famiglia di Gesù. Essi si incontrano nella parte esterna del tempio ( hieron, contrapposta a naos la parte più interna riservata ai sacerdoti).
28 anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
L’anziano Simeone prende tra le sue braccia Gesù. Questo quadro rappresenta l’incontro tra il vecchio e il giovane, tra l’antico e il nuovo Testamento: la novità del Vangelo si trova radicata nell’Antico Testamento.
Simeone rivolge la sua lode a Dio per quando gli viene donato di vivere, ma al tempo stesso questa lode diventa una rivelazione divina: lo Spirito permette all’uomo di riconoscere la realtà messianica del bambino.
29 “Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola,
Questo cantico di Simeone che la Chiesa ci fa ripetere ogni sera a Compieta è costruito a partire da passi dell’Antico Testamento, in particolare del Secondo Isaia (Is 40-55). Si apre con una formula di congedo che ricorda sia la liberazione ottenuta da parte di uno schiavo, sia l’ultimo saluto del pio giudeo prima di morire; un andarsene in pace: la serenità di una morte vissuta alla luce della pace messianica.
30 perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
Il bambino che Simeone tiene in braccio è la salvezza arrivata, salvezza che anche Zaccaria ha celebrato nel suo cantico (Lc 1,69.71.77) con tutto ciò che questo termine significa per Luca: liberazione, remissione dei peccati, pace).
31 preparata da te davanti a tutti i popoli:
Questa pace, questa salvezza ha una dimensione universale, abbraccia tutti i popoli, tutti coloro che sono chiamati a formare il nuovo Israele, il popolo di Dio.
32 luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele”.
La salvezza si manifesta come luce: così era attesa da Zaccaria, stella d’Oriente, chiamata a illuminare chi sta nelle tenebre (Lc 1,78ss). Ora questa luce si estende sino ai confini della terra. Si realizza così la profezia riguardante il servo di JHWH, chiamato ad essere luce delle nazioni.
Luca presenta così Gesù al centro della storia della salvezza, punto di arrivo delle promesse e punto di partenza di una salvezza destinata ad estendersi a tutte le nazioni chiamate a formare l’unico popolo di Dio.
33 Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.
Anche Maria e Giuseppe, pur conoscendo la straordinarietà di quel loro bambino, devono imparare a poco a poco ciò che lo riguarda. Quindi alle parole di Simeone non possono che rimanere stupiti. Ogni bambino del resto è una novità, porta in sé una promessa, un progetto che i suoi genitori possono solo conoscere di giorno in giorno.
34 Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: “Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione
Simeone benedice tutta la famiglia forse sul modello della benedizione di Isacco a Giacobbe (Gn 27 e 48).
Poi però si rivolge a Maria. Ecco la prima nota negativa nel clima fino ad ora sereno e gioioso degli oracoli messianici. Gesù sarà motivo di caduta e di risurrezione per molti in Israele. Viene adombrato il destino di Gesù presso il suo popolo. Egli sarà segno di contraddizione, la pietra di inciampo che diverrà testata d’angolo. Il rifiuto di Israele provocherà la morte del Messia e l’allontanamento di Israele dalla Chiesa.
35– e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori”.
Questa profezia riguardante Maria viene letta in previsione della presenza di Maria stessa sotto la croce il giorno della morte di Gesù. Ma questa presenza di Maria sotto la croce è ricordata solo da Giovanni, non da Luca e quindi va letta in un’altra prospettiva. Maria viene associata al destino del figlio. Ella condividerà in quanto madre l’ostilità che Gesù incontrerà nella sua vita. Questa condivisione va intesa in senso teologico.
Davanti a Gesù e a Maria i pensieri ostili, cattivi (il termine greco dialogismos ha sempre senso negativo nel NT), di molti (non tutto Israele è stato ostile a Gesù) verranno a galla.
36 C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio,
Anche Anna, come Simeone appartiene ai poveri di JHWH che attendono con desiderio la manifestazione del Messia. Anche i nomi che la riguardano sembrano avere una valenza simbolica. Anna= colei che ha ricevuto grazia. Fanuele= volto di Dio. Aser= fortunata. Aser era una piccola tribù dispersa nel nord della Galilea. Sorprende la sua presenza in Gerusalemme. Anna è una profetessa, come altre dell’Antico Testamento: Miriam, la sorella di Mosé e di Aronne, (Es 15,20), Debora (Gdc 4,4), Hulda (2Re 22,14), ma Anna è già segno dell’era messianica nella quale il dono dello Spirito scenderà su tutto il popolo (At 2,17s; Gl 3,1). Luca aggiunge l’episodio di Anna per dare valore legale alla testimonianza su Gesù, o forse per aggiungere una figura femminile accanto a quella di Simeone.
37 era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere.
Il numero 84, se riferito alla sua vedovanza, porterebbe la sua età a 104, gli anni di Giuditta, il modello di tutte le vedove nell’AT. Se riferito alla sua età potrebbe significare 12 x 7, cioè il numero delle tribù inteso nella loro perfezione, cioè Israele nella sua pienezza. La sua vita tutta dedicata a Dio ha il suo modello in Giuditta, ma raffigura anche l’ideale della vedova cristiana (1Tm 5,3-16).
38 Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Illuminata dallo Spirito, anche Anna riconosce il Messia in quel bambino e subito rivolge la buona notizia al gruppo ristretto di coloro che aspettano la liberazione di Gerusalemme, cioè di Israele, gruppo al quale essa stessa, come Simeone, appartiene.
39 Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret.
Questa prima conclusione ricorda ancora come Maria e Giuseppe seguano la legge di Mosè, una legge che attende il Messia. La famiglia ritorna nella regine della Galilea, nella città di Nazaret.
Questa indicazione offre il quadro della futura attività di Gesù: egli inoltre verrà conosciuto dalla tradizione come nazareno.
40 Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.
Questa seconda conclusione pone Gesù in parallelo a Giovanni (del quale però è detto che “cresceva nello Spirito”, per Gesù questa indicazione è forse superflua, perché concepito dallo Spirito?).
Luca introduce poi due elementi che caratterizzeranno il futuro comportamento di Gesù in mezzo agli uomini:
– la sapienza, cioè l’intelligenza spirituale che mostrerà già dal brano seguente. Era una delle caratteristiche del Messia atteso (cf. Is 11,2)
– la grazia di Dio, di cui anche Maria è stata ricolmata, e che susciterà lo stupore della folla (cf. Lc 4,22).
Luca descrive così non tanto la crescita psicologica e fisica del bambino, quanto la sua crescita interiore, sotto la benevolenza divina.
Meditatio
– Cosa significa per me, per la mia vita, seguire “la legge di Dio”?
– C’è una promessa che io ho sentito vera per la mia vita, di cui attendo la realizzazione?
– Posso dire anche io di aver visto la “salvezza di Israele”?

Mercoledì IV Settimana Del Tempo Ordinario Anno A

Mercoledì Della IV Settimana Del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 6,1-6),
Ma Gesù disse loro:
Un profeta è disprezzato nella sua patria,
tra i suoi parenti e in casa sua.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 6,1-6)
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigicome quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

La fede è necessaria perché il Signore possa agire liberamente e donare abbondantemente le sue grazie: per la mancanza di fede dei suoi compatrioti, dice san Marco, non potè operare fra loro alcun prodigio. Non riuscivano a credere in lui perché era uno di loro, non aveva niente di straordinario, l’avevano sempre conosciuto… proprio non si capacitavano come potesse essere qualcuno diverso da quello che loro vedevano.
Anche noi, e molto facilmente, possiamo fermarci alle apparenze contrarie e non riconoscere l’intervento di Dio. Questo succede nelle difficoltà, nelle prove. Le prove giungono per tutti, credenti e non credenti, ma noi abbiamo l’impressione che per noi credenti non dovrebbero esserci, o almeno dovrebbero essere solo di un certo tipo… Ci sconcertano e facciamo molta fatica a riconoscervi la mano di Dio.
La Scrittura ci insegna ad andare al di là delle circostanze, che ci sembrano sempre strane, penose, per riconoscere in esse la presenza di Dio che vuol operare e per questo ha bisogno che noi ci apriamo alla sua azione. “Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio”, diceva già il libro dei Proverbi. E l’autore della lettera agli Ebrei lo ricorda ai cristiani per ammonirli: “Tutto ciò che state soffrendo è una correzione; non prendetelo semplicemente come una difficoltà!”. Si tratti di malattie, o di difficoltà nei rapporti interpersonali, o di fallimenti in ciò che facciamo per il Signore, prendere le cose semplicemente nel loro aspetto esterno è mancanza di fede. “E per la vostra correzione che voi soffrite Dio vi tratta come figli”. C’è una relazione con Dio che dobbiamo riconoscere, una intenzione di Dio alla quale dobbiamo corrispondere nella fede. Allora cambia tutto. La prova è illuminata dall’interno e invece di essere semplicemente un motivo di sofferenza diventa una occasione per sentirci in relazione più diretta con Dio: Dio si interessa di noi. Quando si è provati si ha invece l’impressione contraria: Dio ci abbandona, non pensa più a noi, ci lascia in una situazione che non corrisponde al nostro essere figli suoi… E la verità è proprio il contrario di tutto questo. Invece di lamentarci dovremmo essere contenti, perché Dio si interessa di noi: “Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre?”.
È difficile, sempre difficile, sempre da ricominciare, il riconoscere in una prova, in una difficoltà l’intervento positivo di Dio verso di noi. È un atto di fede, perché non le apparenze ce lo dicono, ma la parola di Dio, ma lo Spirito Santo in noi, che ci apre gli occhi e ci fa capire che Dio sta intervenendo nella nostra vita, e in modo più attivo, in modo più affettuoso quando ci mette alla prova con delle difficoltà.
L’autore è molto realista e constata: “Certo, ogni correzione, sul momento, non sembra causa di gioia, ma di tristezza”. E una esperienza che non ha bisogno di essere commentata, dovuta all’amor proprio. Qui non la sofferenza, ma l’umiliazione è messa in rilievo: se qualcuno ci fa notare un nostro difetto, una nostra mancanza, noi ci rattristiamo al punto da pensare soltanto all’osservazione che ci è stata fatta, e non al difetto o alla mancanza! Dovremmo superare la reazione dell’amor proprio e riconoscere che ci è stato dato un aiuto, di cui dovremmo essere contenti. È una constatazione a cui erano già arrivati i filosofi antichi. Socrate diceva che il colmo della felicità è non aver difetti e non fare niente di male, e aggiungeva che subito dopo viene la felicità di essere corretti quando si sbaglia, perché allora ci si può emendare.
La Scrittura va molto più in profondità: dobbiamo essere felici che il Signore ci corregga non soltanto perché è una occasione per progredire, ma perché così la nostra relazione con lui diventa più stretta. È dunque un motivo di fiducia tanto più grande se pensiamo che la nostra sorte è legata a quella di Cristo.
La lettera agli Ebrei già ci ha detto come Gesù, pur essendo il Figlio perfetto, ha voluto per noi imparare l’obbedienza dalle cose che patì, ha voluto conoscere quella educazione dolorosa che a noi è necessaria. Ora, quando noi viviamo a nostra volta questi momenti di dolorosa educazione, siamo uniti a lui in modo speciale e possiamo crescere molto nel suo amore.
La prova motivo di speranza, la prova mezzo per amare: sono le prospettive da tener presenti nelle occasioni grandi e piccole di difficoltà e di disagio, che dovrebbero nutrire il nostro coraggio e la nostra fede. Il Signore non ci fa sapere in che modo intende comunicarci i suoi doni e farci crescere nella fede e nell’amore. Domandiamogli che ci apra gli occhi perché sappiamo vedere in tutto la sua paterna attenzione verso di noi.

Martedì IV Settimana Del Tempo Ordinario Anno A

Martedì Della IV Settimana Del Tempo Ordinario Anno A
San Giovanni Bosco
La mia figlioletta sta morendo.
Veni perché sia salvata e viva.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 5,21-43)
In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Chi ha toccato le mie vesti?
La fede in Gesù deve essere illimitata
. Nessun dubbio mai sulla sua onnipotenza, grazia, verità, luce, santità, sapienza, esemplarità, amore, misericordia, pietà, compassione, parola. Un solo dubbio e si cade dalla vera fede. Una sola incertezza e si affonda. Quando si cammina con Gesù dobbiamo fidarci di Lui in modo pieno. Lui può sempre dare vita alla nostra morte, salute alle nostre infermità, liberazione dai nostri peccati, sapienza alla nostra stoltezza, verità ai nostri infiniti errori.
Giàiro chiede a Gesù che si rechi a casa sua per guarire la sua figlioletta che sta morendo. Gesù accoglie la preghiera di questo padre afflitto e si incammina con lui. Nel frattempo sopraggiunge la morte. Gesù può ancora intervenire? Giàiro non lo sa. Gesù però lo sa e lo invita a continuare ad avere fede. La fede è un processo che inizia nel finito ma si consuma nell’infinito, non vi è limite per essa. Porre un limite alla fede è ridurla ad una pura e semplice verità, è sganciarla dall’Autore che è Dio, al quale nulla è impossibile. Gesù così ci insegna che la fede va sempre aiutata a consumarsi nel suo infinito, nella sua eternità, in Dio. Senza aiuto, la fede si riveste di limite ed è morta. Questo rischio lo si corre ogni giorno. È facile rivestire la fede di finito e di limite.
La donna dalla malattia inguaribile possiede invece una fede senza alcun limite. La sua è fede particolarissima. È una fede senza parola. Essa va dal suo cuore al cuore di Cristo in modo diretto. Lei è attenta conoscitrice di Gesù Signore. Ha studiato ogni sua azione. Ha meditato su ogni racconto su di Lui. Ha ragionato, dedotto, concluso: “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata”. Toccare le vesti di Gesù è guarire, è ritrovare la vita dentro di sé. Questa donna ci insegna che non sempre dobbiamo manifestare pubblicamente ciò che siamo. Vi è in ogni uomo una sfera di riservatezza che è giusto nascondere gelosamente. La donna non vuole che il mondo sappia della sua impurità rituale costante. Non vuole neanche mettere in difficoltà Gesù. Di certo non lo avrebbe reso impuro toccandolo. Gesù è la santità purissima e nessuno lo potrà mai rendere impuro. Se è giusto nascondere i nostri segreti, non è però giusto tenere nascoste le cose di Dio. La donna deve ora confessare la sua fede.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di fede vera, pura, santa.

Lunedì IV Settimana Del Tempo Ordinario Anno A

Lunedì Della IV Settimana Del Tempo Ordinario Anno A
Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo?
Gli diceva infatti: Esci, spirito impuro, da quest’uomo!

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 5,1-20)
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero all’altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro.
Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre.
Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest’uomo!». E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione – gli rispose – perché siamo in molti». E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese.
C’era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare.
I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. Giunsero da Gesù, videro l’indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all’indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio.
Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Nel Vangelo di oggi, un racconto vivo, pittoresco, secondo lo stile di Marco ci sono molte lezioni per noi.
C’è un uomo in uno stato spaventoso: “Posseduto da uno spirito immondo… nessuno riusciva a domarlo; continuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre”. E poi lo vediamo liberato, tranquillo, sano di mente. E c’è un branco di porci, numeroso (circa duemila, dice Marco) che affogano uno dopo l’altro nel mare. La gente vede l’una e l’altra cosa e, in conclusione, “si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio”. Sono accecati dall’egoismo, non vedono che la liberazione di un uomo è molto più importante di un danno materiale, non capiscono che la guarigione di questo indemoniato è anche per loro promessa della liberazione, della salvezza portata da Gesù. Senza la fede è veramente impossibile capire qualcosa nella vita.
Anche nella lettera agli Ebrei ci parla ancora della fede, in due quadri opposti, che potremmo intitolare: vittorie e sconfitte della fede. Per la fede i Giudici, i Profeti, hanno fatto grandi cose: “Conquistarono regni, esercitarono la giustizia, chiusero le fauci dei leoni, spensero la violenza del fuoco…”. Poi viene l’altro quadro: “Torturati, lapidati, segati, uccisi di spada”, sempre per la fede. E queste “sconfitte” sono più meravigliose ancora, perché sono prova di una fede più forte, che non si lascia sconcertare dagli avvenimenti, né accetta l’apostasia per la liberazione. Anche in Gesù vediamo i due quadri: Gesù che compie miracoli e suscita l’ammirazione delle folle; Gesù nella sua passione; condannato, deriso, crocifisso, morto.
Seguendolo nella fede, dobbiamo vivere realmente di fede. Anche nella nostra vita ci sono successi e insuccessi, cose che ci consolano e altre che ci desolano ed è solo la fede che ci fa approfittare delle une e delle altre. Le cose positive ci fanno vedere la fecondità della fede, ma sappiamo che sono terrestri e che dobbiamo oltrepassarle; le cose negative ci aiutano a rivolgerci alle cose del cielo, a cercare i veri valori spirituali. Così saremo uniti al mistero di morte e di risurrezione di Gesù e con lui riporteremo vittoria sul mondo: “Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo”.

IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A

Dio grande e misericordioso, concedi
a noi di adorarti con tutta l’anima
e di amare i nostri fratelli
nella carità del Cristo.

IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A
Vedendo le folle, Gesù salì sul monte,
si mise a parlare e insegnava loro.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,1-12)
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Beati i poveri davanti a Dio… Che messaggio! Lascia che Dio ti colmi! Egli ti ama malgrado la tua povertà, malgrado i tuoi limiti. Quando sei addolorato dall’effimero della felicità umana sempre minacciata, quando ti senti povero, quando l’afflizione ti paralizza, ascolta la grande promessa di Dio: sarete consolati, sarete sfamati, vedrete Dio… Questa promessa è nel cuore della nostra fede. Tutto il lieto messaggio di Gesù si riflette nelle beatitudini come uno specchio ardente. Colui che ha accolto la buona novella nel più profondo di sé stesso e nel quale questa verità raggiunge le radici dell’esistenza, diventerà naturalmente misericordioso e indulgente nel giudizio che ha sugli altri. Sarà capace di diffondere la pace, perché egli stesso la possiederà.
Se solamente fossimo in grado di vivere seguendo l’atteggiamento fondamentale delle beatitudini! Se solamente potessimo amare e avere fiducia come Gesù! Forse allora molti uomini che la vita ha reso amari e chiusi, ai quali le numerose delusioni hanno fatto perdere la fede in Dio e negli uomini, forse potrebbero ugualmente ricominciare a credere nella bontà di Dio e nella sua sollecitudine, attraverso la bontà e la sollecitudine umane. Forse allora molti uomini potrebbero ugualmente contare su Dio per instaurare su questa terra il bene, e offrirci quello che abbiamo sperato e atteso durante tutta la nostra vita: la sicurezza e la gioia. Una gioia che regna.

Sabato III settimana del Tempo Ordinario Anno A

Sabato della III settimana del Tempo Ordinario Anno A
San Tommaso d’Aquino
Maestro, non t’importa che siamo perduti?
Perché avete paura? Non avete ancora fede?

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 4,35-41)
In quel medesimo giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.
Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

“lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia.” Mc 4,38
Il lago di Tiberiade è così grande che ai tempi di Gesù lo chiamavano “mare”. La sua posizione è tale che, quando si scatena un temporale, è forte tempesta in furioso accavallarsi di onde.
Così comprendiamo la preoccupazione dei discepoli che, con un malcelato senso di rimprovero, dicono al Signore: “Non t’importa che siamo perduti?” Il loro Maestro, infatti, sembrava insensibile alla gravità della situazione, oppresso da un sonno pesante dopo una giornata di fatica missionaria. Ma, immediatamente presente a sé e a quel che stava capitando, sgrida il vento e impone al mare di quietarsi.
Immediatamente tutto intorno si placa in serena bonaccia.

Poco prima Marco aveva scritto che i suoi discepoli l’avevano preso così com’era sulla barca. Certo doveva essere affaticato e la sua stessa tunica bianca non era stirata e splendente… E’ il Gesù pienamente uomo che camminava con loro e condivideva tutto coi suoi: anche disagi climatici e stanchezze. Ma proprio ora, in quel vederlo immediatamente desto minacciare il vento e imporsi al mare sgridandolo forte, prende risalto la sua forza divina.
La violenza della natura in burrasca non è un fatto da poco. Qui è come un’ombra gigantesca che viene immediatamente divorata dalla luce del potere di Cristo: il potere di un uomo che è pienamente uomo, ma allo stesso tempo non cessa di essere Dio e di manifestarlo quando le vicende della vita chiedono il suo intervento che sempre è amore.
Signore, grazie perché tu sempre mi afferri e mi stupisci per questa Tua identità di Dio e di uomo in cui è l’Amore, solo l’Amore a dettare legge, una legge che è SALVEZZA.
“Nell’atto di fede c’è sempre un momento in cui bisogna chiudere gli occhi e buttarsi in acqua con cuore intrepido e senza garanzia apparente.” Paul Claudel.

Venerdì III settimana del Tempo Ordinario Anno A

Venerdì della III settimana del Tempo Ordinario Anno A
Il regno di Dio è come un granello di senape.
Quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 4,26-34)
In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Il Signore oggi ci dà una lezione di fede e di umiltà, facendoci vedere che la crescita spirituale non dipende da noi, ma dalla parola di Dio che è stata seminata in noi e che può salvare la nostra vita, come dice san Giacomo. Noi siamo preoccupati del nostro progresso e sovente lo siamo in modo troppo naturale, come se tutto dipendesse da noi, dalla nostra buona volontà, dai nostri sforzi, e ci sbagliamo. Facciamo come un agricoltore che volesse far crescere le piante che ha seminato tirandole verso l’alto: non è un buon sistema!
Il Signore ci insegna invece il fiducioso abbandono a Dio. Noi dobbiamo accogliere il seme, come fa la terra, accogliere cioè la parola di Dio. Poi la parola cresce e neppure noi sappiamo come. Quando il seme è gettato subito la terra lo copre, tanto che non lo si distingue più, ma contiene una potenza vitale straordinaria e bisogna lasciarlo tranquillo. Esso cresce spontaneamente, dice il Signore, e chi lo ha seminato può dormire o vegliare: la crescita non dipende da lui, che può soltanto aspettare con fiducia di vedere “prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga”.
Anche san Paolo lo dirà: “Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che fa crescere”.
San Francesco di Sales era molto severo verso quello che chiamava l'”empressement” la fretta febbrile di vedere i risultati in ogni campo in cui fatichiamo, e anche nella vita spirituale. Egli lavorava molto ma insegnava che bisogna fare tutto pacatamente: agire pacatamente, pregare pacatamente, perfino soffrire pacatamente, lottare pacatamente. Se ci appoggiamo sul Signore, constatiamo che davvero egli fa crescere tutto, talvolta più lentamente di quanto noi vorremmo, ma altre volte in modo più bello e anche più rapido di quel che ci aspettavamo. Non siamo noi che abbiamo il metro per misurare la crescita, neppure la nostra. Noi dobbiamo avere fede, fiducia e anche pazienza: il resto, la potenza di far crescere, è di Dio.

Giovedì III settimana del Tempo Ordinario Anno A

Giovedì della III settimana del Tempo Ordinario Anno A
Santi Timoteo e Tito.
Il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 10,1-9)

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro:
“È vicino a voi il regno di Dio”».
Parola del Signore.

RIFLESSIONI

“In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”.
” Lc 10,5

Nel vangelo di Luca a Timoteo e Tito, sono raccolti tutti i consigli che Gesù aveva lasciato ai suoi per portare la buona notizia. È un po’ il mansionario dell’evangelizzatore!
Prima regola: andare! Gesù contestualizza ogni suggerimento di come dire e fare, dentro ad un movimento. I discepoli vanno verso le persone, entrano nelle loro case, non aspettano di essere cercati. Perché chi ha bisogno della buona notizia a volte non lo sa. E chi ha la buona notizia, la deve portare là dove non è ancora arrivata.
Seconda regola: andare in sobrietà, senza pretese, né di essere attesi, amati, riconosciuti, né di ricevere compensi per la propria presenza.
Terza regola: presentarsi in pace, portando la pace! E se la pace è rifiutata, andarsene, neanche cominciare, né provocare o esasperare. La pace è la premessa per accogliere la buona notizia. La pace è un inizio che ritroviamo in noi come dono, ma che possiamo far crescere solo interagendo con gli altri. La pace si costruisce trafficandola, vivendo e lavorando insieme. Allora diventa possibile e si fa sinonimo di armonia, di disponibilità all’incontro con l’altro, senza pretese o attese esagerate nei confronti degli altri e di se stessi. La pace però è difficile, basta rifiutarla per precludere ogni suo ulteriore sviluppo.
Signore, ci sia pace nelle nostre case, nelle nostre comunità.
Pace che sia assenza di timori, di pigrizia, di invidia e gelosie, che sia voglia di cambiare, di crescere, amando e portando vita, la tua vita, ovunque.”La pace, che sogniamo, sarà possibile il giorno in cui ci sarà un atteggiamento di pace nei cuori”.