I DOMENICA DI QUARESIMA ANNO A (Mt 4,1-11) 1 MARZO 2020

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 4,1-11)
In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».
Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Gesù viene presentato come il nuovo Adamo che, contrariamente al primo, resiste alla tentazione. Ma egli è anche il rappresentante del nuovo Israele che, contrariamente al popolo di Dio durante la traversata del deserto che durò quarant’anni, rimette radicalmente la sua vita nelle mani di Dio – mentre il popolo regolarmente rifiutava di essere condotto da Dio.
In ognuno dei tre tentativi di seduzione, si tratta della fiducia in Dio. Si dice, nel Deuteronomio (Dt 6,4): “Ascolta, Israele: Il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”. Significa esigere che Dio sia il solo ad essere amato da Israele, il solo di cui fidarsi. Ciò significa anche rinunciare alla propria potenza, a “diventare come Dio” (Gen 3,5).
A tre riprese, Satana tenta Gesù a servirsi del suo potere: della sua facoltà di fare miracoli (v. 3), della potenza della sua fede che pretenderebbe obbligare Dio (v. 6), della dominazione del mondo sottomettendosi a Satana e al suo governo di violenza (v. 9). Gesù resiste perché Dio è nel cuore della sua esistenza, perché egli vive grazie alla sua parola (v. 4), perché egli ha talmente fiducia in lui che non vuole attentare alla sua sovranità né alla sua libertà (v. 7), perché egli sa di essere impegnato esclusivamente a servirlo (v. 10).

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato”
di Maria Valtorta.
Capitolo 46

Vedo la solitudine petrosa già vista alla mia sinistra nella visione del Battesimo di Gesù al Giorda­no. Però devo essere molto addentrata in essa, perché non vedo affatto il bel fiume lento e azzurro, né la vena di verde che lo costeggia alle sue due rive, come alimentata da quell’arteria d’acqua. Qui solo solitudine, pietroni, terra talmente arsa da esser ridotta a polvere giallastra, che ogni tan­to il vento solleva con piccoli vortici, che paion fiato di bocca febbrile tanto sono asciutti e caldi. E tormentosi per la polvere che penetra con essi nelle narici e nelle fauci.

Molto rari, qualche piccolo cespuglio spinoso, non si sa come resistente in quella desolazione. Sembrano ciuffetti di superstiti capelli sulla testa di un calvo. Sopra, un cielo spietatamente azzurro; sotto, il suolo arido; intorno, massi e silenzio. Ecco quanto vedo come natura.

Addossato ad un enorme pietrone, che per la sua forma, fatta su per giù così come mi sforzo a di­segnarla, fa un embrione di grotta, e seduto su un sasso trascinato nell’incavo, sta Gesù. Si ripara così dal sole cocente. E l’interno ammonitore mi avverte che quel sasso, su cui ora siede, è anche il suo inginocchiatoio e il suo guanciale quando prende le brevi ore di riposo avvolto nel suo mantello, al lume delle stelle e all’aria fredda della notte.

Infatti là presso è la sacca che gli ho visto prendere prima di partire da Nazareth. Tutto il suo avere. E, dal come si piega floscia, comprendo che è vuota del poco cibo che vi aveva messo Maria.

Gesù è molto magro e pallido. Sta seduto con i gomiti appoggiati ai ginocchi e gli avambracci sporti in avanti, con le mani unite ed intrecciate nelle dita. Medita. Ogni tanto solleva lo sguardo e lo gira attorno e guarda il sole alto, quasi a perpendicolo, nel cielo azzurro. Ogni tanto, e specie dopo aver girato lo sguardo attorno e averlo alzato verso la luce solare, chiude gli occhi e si appoggia al masso, che gli fa da riparo, come preso da vertigine.

Vedo apparire il brutto ceffo di Satana. Non che si presenti nella forma che noi ce lo raffiguriamo, con corna, coda, ecc. ecc. Pare un beduino avvolto nel suo vestito e nel suo mantellone, che pare un domino da maschera.

Sul capo il turbante, le cui falde bianche scendono a far riparo sulle spalle e lungo i lati del viso. Di modo che di questo appare un breve triangolo molto bruno, dalle labbra sot­tili e sinuose, dagli occhi nerissimi e incavati, pieni di bagliori magnetici.

Due pupille che ti leggono in fondo al cuore, ma nelle quali non leggi nulla, o una sola parola: mistero.

L’opposto dell’occhio di Gesù, tanto magnetico e fascinatore anche esso, che ti legge in cuore, ma nel quale leggi anche che nel suo Cuore è amore e bontà per te. L’occhio di Gesù è una carezza sull’anima. Questo è come un doppio pugnale che ti perfora e brucia. Si avvicina a Gesù:

«Sei solo?».

Gesù lo guarda e non risponde.

«Come sei capitato qui? Ti sei sperduto?».

Gesù lo guarda da capo e tace.

«Se avessi dell’acqua nella borraccia, te la darei. Ma ne sono senza anche io. M’è morto il cavallo e mi dirigo a piedi al guado. Là berrò e troverò chi mi dà un pane. So la via. Vieni con me. Ti guide­rò».

Gesù non alza più neppure gli occhi.

«Non rispondi? Sai che, se resti qui, muori? Già si leva il vento. Sarà bufera. Vieni».

Gesù stringe le mani in muta preghiera.

«Ah! sei proprio Tu, dunque? È tanto che ti cerco! Ed ora è tanto che ti osservo. Dal momento che sei stato battezzato. Chiami l’Eterno? È lontano. Ora sei sulla Terra ed in mezzo agli uomini. E negli uomini regno io.

Pure mi fai pietà e ti voglio soccorrere, perché sei buono e sei venuto a sacrificarti per nulla. Gli uomini ti odieranno per la tua bontà. Non capiscono che oro e cibo e senso. Sacrificio, dolore, ubbidienza, sono parole morte per loro più di questa terra che ci è d’intorno. Essi sono aridi più ancora di questa polvere. Solo il serpe può nascondersi qui, attendendo di mordere, e lo sciacallo di sbranare. Vieni via. Non merita soffrire per loro. Li conosco più di Te».

Satana si è seduto di fronte a Gesù e Lo fruga col suo sguardo tremendo e sorride con la sua boc­ca di serpe. Gesù tace sempre e prega mentalmente.

«Tu diffidi di me. Fai male. Io sono la sapienza della Terra. Ti posso esser maestro per insegnarti a trionfare.

Vedi: l’importante è trionfare.

Poi, quando ci si è imposti e si è affascinato il mondo,

allora lo si conduce anche dove si vuole noi.

Ma prima bisogna essere come piace a loro.

Come loro.

Sedurli facendo loro credere che li ammiriamo e li seguiamo nel loro pensiero.

Sei giovane e bello. Comincia dalla donna. È sempre da essa che si deve incominciare. Io ho sba­gliato inducendo la donna alla disubbidienza. Dovevo consigliarla per altro modo. Ne avrei fatto uno strumento migliore e avrei vinto Dio. Ho avuto fretta. Ma Tu! Io t’insegno, perché c’è stato un giorno che ho guardato a Te con giubilo angelico, e un resto di quell’amore è rimasto, ma Tu ascoltami ed usa della mia esperienza. Fatti una compagna. Dove non riuscirai Tu, essa riuscirà. Sei il nuovo Ada­mo: devi avere la tua Eva.

E poi, come puoi comprendere e guarire le malattie del senso se non sai che cosa sono? Non sai che è lì il nocciolo da cui nasce la pianta della cupidità e della prepotenza? Perché l’uomo vuo­le regnare? Perché vuole essere ricco, potente? Per possedere la donna. Questa è come l’allodola. Ha bisogno del luccichio per essere attirata.

L’oro e la potenza sono le due facce dello specchio che attirano le donne e le cause del male nel mondo.

Guarda: dietro a mille delitti dai volti diversi ce ne sono novecento almeno che hanno radice nella fame del possesso della donna o nella volontà di una donna, arsa da un desiderio che l’uomo non soddisfa ancora o non soddisfa più. Vai dalla donna se vuoi sapere cosa è la vita. E solo dopo saprai curare e guarire i morbi della umanità.

È bella, sai, la donna! Non c’è nulla di più bello nel mondo. L’uomo ha il pensiero e la forza. Ma la donna!

Il suo pensiero è un profumo, il suo contatto è carezza di fiori, la sua grazia è come vino che scende, la sua debolezza è come matassa di seta o ricciolo di bambino nelle mani dell’uomo, la sua carezza è forza che si rovescia sulla nostra e la accende.

Si annulla il dolore, la fatica, il cruccio quando si posa presso una donna, ed essa è fra le nostre braccia come un fascio di fiori.

Ma che stolto che sono! Tu hai fame e ti parlo della donna. La tua vigoria è esausta. Per questo, questa fragranza della terra, questo fiore del creato, questo frutto che dà e suscita amore, ti pare senza valore.

Ma guarda queste pietre. Come sono tonde e levigate, dorate sotto al sole che scende. Non sembrano pani? Tu, Figlio di Dio, non hai che dire: “Voglio”, perché esse divengano pane fra­grante come quello che ora le massaie levano dal forno per la cena dei loro familiari. E queste acacie così aride, se Tu vuoi, non possono empirsi di dolci pomi, di datteri di miele? Saziati, o Figlio di Dio! Tu sei il Padrone della Terra. Essa si inchina per mettere ai tuoi piedi se stessa e sfamare la tua fame.

Lo vedi che impallidisci e vacilli solo a sentir nominare il pane? Povero Gesù! Sei tanto debole da non potere più neppure comandare al miracolo? Vuoi che lo faccia io per Te? Non ti sono a pari. Ma qualcosa posso. Starò privo per un anno della mia forza, la radunerò tutta, ma ti voglio servire, per­ché Tu sei buono ed io sempre mi ricordo che sei il mio Dio, anche se ora ho demeritato di chiamarti tale. Aiutami con la tua preghiera perché io possa…».

«Taci. “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che viene da Dio”».

Il demonio ha un sussulto di rabbia. Digrigna i denti e stringe i pugni. Ma si contiene e volge il di­grigno in sorriso.

«Comprendo. Tu sei sopra le necessità della Terra e hai ri­brezzo a servirti di me. L’ho meritato. Ma vieni, allora, e vedi cosa è nella Casa di Dio. Vedi come anche i sacerdoti non ricusano di venire a transazioni fra lo spirito e la carne. Perché infine sono uo­mini e non Angeli.

Compi un miracolo spirituale. Io ti porto sul pinnacolo del Tempio e Tu trasfigurati in bellezza lassù, e poi chiama le coorti di Angeli e dì che facciano delle loro ali intrecciate pedana al tuo piede e ti calino così nel cortile principale. Che ti vedano e si ricordino che Dio è.

Ogni tanto è ne­cessario manifestarsi, perché l’uomo ha una memoria tanto labile, specie in ciò che è spirituale. Sai come gli Angeli saranno beati di far riparo al tuo piede e scala a Te che scendi!».

«“Non tentare il Signore Iddio tuo”, è detto».

«Comprendi che anche la tua apparizione non muterebbe le cose, e il Tempio continuerebbe ad esser mercato e corruzione. La tua divina sapienza lo sa che i cuori dei ministri del Tempio sono un nido di vipere, che si sbranano e sbranano pur di predominare. Non sono domati che dalla potenza umana.

E allora, vieni. Adorami. Io ti darò la Terra.

Alessandro, Ciro, Cesare, tutti i più grandi dominatori passati o viventi saranno simili a capi di meschine carovane rispetto a Te, che avrai tutti i regni della Terra sotto il tuo scettro. E, coi regni, tutte le ricchezze, tutte le bellezze della Terra, e donne, e cavalli, e armati e templi.

Potrai alzare dovunque il tuo Segno, quando sarai Re dei re e Signore del mondo. Allora sarai ubbidito e venerato dal popolo e dal sacerdozio. Tutte le caste ti onoreranno e ti serviran­no, perché sarai il Potente, l’Unico, il Signore.

Adorami un attimo solo! Levami questa sete che ho d’esser adorato! È quella che mi ha perduto. Ma è rimasta in me e mi brucia.

Le vampe dell’inferno sono fresca aria del mattino rispetto a questo ardore che mi brucia l’interno. È il mio inferno, questa sete. Un attimo, un attimo solo, o Cristo, Tu che sei buono! Un attimo di gioia all’eterno Tormentato! Fammi sentire cosa voglia dire essere dio e mi avrai devoto, ubbidiente come servo per tutta la vita, per tutte le tue imprese. Un attimo! Un solo attimo, e non ti tormenterò più!».

E Satana si butta in ginocchio, supplicando.

Gesù si è alzato, invece. Divenuto più magro in questi giorni di digiuno, sembra ancora più alto. Il suo volto è terribile di severità e potenza. I suoi occhi sono due zaffiri che bruciano. La sua voce è un tuono, che si ripercuote contro l’incavo del masso e si sparge sulla sassaia e la piana desolata, quando dice:

«Và via, Satana. È scritto: “Adorerai il Signore Iddio tuo e servirai Lui solo”!».

Satana, con un urlo di strazio dannato e di odio indescrivibile, scatta in piedi, tremendo a vedersi nella sua furente, fumante persona. E poi scompare con un nuovo urlo di maledizione.

Gesù si siede stanco, appoggiando indietro il capo contro il masso. Pare esausto. Suda.

Ma esseri Angelici vengono ad alitare con le loro ali nell’afa dello speco, purificandola e rinfrescandola. Gesù apre gli occhi e sorride. Io non Lo vedo mangiare. Direi che Egli si nutre dell’aroma del Paradiso e ne esce rinvigorito.

Il sole scompare a ponente. Egli prende la vuota bisaccia e, accompagnato dagli Angeli, che fanno una mite luce sospesi sul suo capo mentre la notte cala rapidissima, si avvia verso est, meglio verso nord-est. Ha ripreso la sua espressione abituale, il passo sicuro. Solo resta, a ricordo del lungo di­giuno, un aspetto più ascetico nel volto magro e pallido e negli occhi, rapiti in una gioia non di que­sta Terra.

Dice Gesù:

«Ieri eri senza la tua forza, che è la mia volontà, ed eri perciò un essere semivivo. Ho fatto ri­posare le tue membra e ti ho fatto fare l’unico digiuno che ti pesi: quello della mia Parola. Povera Maria! Hai fatto il mercoledì delle Ceneri. In tutto sentivi il sapor della cenere, poiché eri senza il tuo Maestro. Non mi facevo sentire. Ma c’ero.

Questa mattina, poiché l’ansia è reciproca, ti ho mormorato nel tuo dormiveglia: “Agnus Dei qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem”, e te l’ho fatto ripetere molte volte, e tante te le ho ripetu­te. Hai creduto che parlassi su questo. No. Prima c’era il punto che ti ho mostrato e che ti commen­terò. Poi questa sera ti illustrerò quest’altro.

Satana, lo hai visto, si presenta sempre con veste benevola. Con aspetto comune. Se le anime sono attente, e soprattutto in spirituali contatti con Dio, avvertono quell’avviso che le rende guardin­ghe e pronte a combattere le insidie demoniache.

Ma se le anime sono disattente al divino, separate da una carnalità che soverchia e assorda, non aiutate dalla preghiera che congiunge a Dio e riversa la sua forza come da un canale nel cuore dell’uomo, allora difficilmente esse si avvedono del tranello nascosto sotto l’apparenza innocua e vi cadono. Liberarsene è, poi, molto difficile.

Le due vie più comuni prese da Satana per giungere alle anime sono il senso e la gola.

Comincia sempre dalla materia. Smantellata e asservita questa, dà l’attacco alla parte superiore.

Prima il mo­rale: il pensiero con le sue superbie e cupidigie; poi lo spirito, levandogli non solo l’amore -quello non esiste già più quando l’uomo ha sostituito l’amore divino con altri amori umani- ma anche il timore di Dio.

È allora che l’uomo si abbandona in anima e corpo a Satana, pur di arrivare a godere ciò che vuole, godere sempre più.

Come Io mi sia comportato, lo hai visto. Silenzio e orazione. Silenzio. Perché, se Satana fa la sua opera di seduttore e ci viene intorno, lo si deve subire senza stolte impazienze e vili paure. Ma reagi­re con la sostenutezza alla sua presenza, e con la preghiera alla sua seduzione.

È inutile discutere con Satana. Vincerebbe lui, perché è forte nella sua dialettica. Non c’è che Dio che lo vinca. E allora ricorrere a Dio, che parli per noi, attraverso a noi. Mostrare a Satana quel No­me e quel Segno, non tanto scritti su una carta o incisi su un legno, quanto scritti e incisi nel cuore. Il mio Nome, il mio Segno.

Ribattere a Satana, unicamente quando insinua che egli è come Dio, usando la Parola di Dio. Egli non la sopporta.

Poi, dopo la lotta, viene la vittoria, e gli Angeli servono e difendono il vincitore dall’odio di Satana. Lo ristorano con le rugiade celesti, con la Grazia che riversano a piene mani nel cuore del figlio fede­le, con la benedizione che accarezza lo spirito.

Occorre avere volontà di vincere Satana e Fede in Dio e nel suo aiuto. Fede nella potenza della preghiera e nella bontà del Signore. Allora Satana non può fare del male.

Và in pace. Questa sera ti parlerò del resto».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A (Mt 5,38-48) 23 FEBBRAIO 2020

Mt 5,38-48

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,38-48)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Gesù Cristo, Dio-con-noi e umanità nuova, insegna ai suoi discepoli il comandamento dell’amore, la nuova legge del Vangelo che sostituisce per sempre la legge pagana del vecchio uomo: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”.
Il nostro spirito trema sentendo le esigenze di questo nuovo comandamento. Non è forse più facile aggredire chi ci aggredisce e amare chi ci ama? Forse è a questo che ci spingerebbero i nostri sensi, è questa la voce dell’anima umiliata non ancora raggiunta dalla luce del Dio di Gesù Cristo, del solo vero Dio. Ecco perché l’amore di carità è un precetto insolito, che apre ad un nuovo orizzonte antropologico la civiltà antica e ogni civiltà umana possibile.
Visto da questo orizzonte, l’uomo, ogni uomo, appare creato a immagine e somiglianza di Dio e non più formato secondo una natura disuguale e arbitraria, come invece credevano i pagani. Liberato dai suoi peccati grazie all’azione redentrice di Cristo e rinnovato dall’azione dello Spirito, l’uomo, ogni uomo, è il tempio in cui risplende lo Spirito di Dio. Dio ama l’uomo per se stesso, a tal punto che consegna alla morte suo Figlio.
Dal momento che Dio ci ama in questo modo e ci ha fatti partecipi del suo amore, noi non possiamo che perdonare il nostro prossimo e aiutarlo perché viva e si sviluppi.

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A 16 Febbraio 2020 (Mt 5,17-37)

Mt 5,17-37

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,17-37)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!
Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno». Parola del Signore.Forma breve:TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo (5, 20-22a.27-28.33-34a.37)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio.
Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

L’ideale religioso degli Ebrei devoti consisteva nell’osservare la legge, attraverso la quale si realizzava la volontà di Dio. Meditare, adempiere la legge, era per l’Israelita la sua “eredità”, “una lampada per i suoi passi”, suo “rifugio”, la sua “pace” (cf. Sal 119).
Gesù è la pienezza della legge perché egli è la parola definitiva del Padre (Eb 1,1). Paolo ci dice che “chi ama il suo simile ha adempiuto la legge… Pieno compimento della legge è l’amore” (Rm 13,8-10).
Ed è anche in questo senso che Gesù è la pienezza di ogni parola che esce dalla bocca di Dio: “Perché Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito… perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,16-17).
Il cristiano è prima di tutto il discepolo di Gesù, non colui che adempie la legge. I farisei erano ossessionati dalla realizzazione letterale e minuziosa della legge; ma ne avevano completamente perso lo spirito. Di qui la parola di Gesù: “Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei…”.
L’amore non è prima di tutto un sentimento diffuso per fare sempre quello di cui abbiamo voglia, ma al contrario il motore del servizio del prossimo, secondo i disegni divini. Ed è per questo che Gesù enumera sei casi della vita quotidiana la riconciliazione con il prossimo, non adirarsi, non insultare nessuno, non commettere adulterio neanche nel desiderio, evitare il peccato anche se vi si è affezionati come al proprio occhio o alla propria mano destra, non divorziare da un matrimonio valido…
Il contrasto con i criteri che reggono il mondo attuale non potrebbe essere maggiore. Per quali valori i cristiani scommetterebbero? Ancora una volta siamo confortati dalla affermazione di Cristo: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24,35).

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato”
di Maria Valtorta
Capitolo 171

 

Il luogo e l’ora sono sempre gli stessi. La gente è ancora più aumentata. In un angolo, presso un sentiero, come volesse udire ma non eccitare ripugnanze tra la folla, è un romano. Lo distinguo per la veste corta e il mantello diverso. Ancora vi sono Stefano e Erma.

E Gesù va lentamente al suo posto e riprende a parlare.

«Con quanto vi ho detto ieri non dovete giungere al pensiero che Io sia venuto per abolire la Legge. No. Solo, poiché sono l’Uomo e comprendo le debolezze dell’uomo, Io ho voluto rincuorarvi a seguirla col dirigere il vostro occhio spirituale non all’abisso nero, ma all’Abisso luminoso. Perché, se la paura di un castigo può trattenere tre volte su dieci, la certezza di un premio slancia sette volte su dieci. Perciò più che la paura fa la fiducia. Ed io voglio che voi l’abbiate piena, sicura, per potere fare non sette parti di bene su dieci, ma dieci parti su dieci e conquistare questo premio santissimo del Cielo.

Io non muto un iota della Legge. E chi l’ha data fra i fulmini del Sinai? L’Altissimo. Chi è l’Altissimo? Il Dio uno e trino. Da dove l’ha tratta? Dal suo Pensiero. Come l’ha data? Con la sua Parola. Perché l’ha data? Per il suo Amore. Vedete dunque che la Trinità era presente. Ed il Verbo, ubbidiente come sempre al Pensiero e all’Amore, parlò per il Pensiero e per l’Amore.

Potrei smentire Me stesso? Non potrei. Ma posso, poiché tutto Io posso, completare la Legge, farla divinamente completa, non quale la fecero gli uomini che durante i secoli non la fecero completa ma soltanto indecifrabile, inadempibile, sovrapponendo leggi e precetti, e precetti e leggi, tratti dal loro pensiero, secondo il loro utile, e gettando tutta questa macia a lapidare e soffocare, a sottrarre e isterilire la Legge santissima data da Dio.

Può una pianta sopravvivere se la sommergono per sempre valanghe, macerie e inondazioni? No. La pianta muore. La Legge è morta in molti cuori, soffocata sotto le valanghe di troppe soprastrutture. Io sono venuto a levarle tutte e, disseppellita la Legge, risuscitata la Legge, ecco che Io la faccio non più legge ma regina.

Le regine promulgano le leggi.

Le leggi sono opera delle regine, ma non sono da più delle regine. Io invece faccio della Legge la regina: la completo, l’incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei consigli evangelici. Prima era l’ordine. Ora è più dell’ordine. Prima era il necessario. Ora è più del necessario.

Ora è la perfezione. Chi la disposa, così come Io ve la dono, all’istante è re perché ha raggiunto il “perfetto”, perché non è stato soltanto ubbidiente ma eroico, ossia santo, essendo la santità la somma delle virtù portate al vertice più alto che possa esser raggiunto da creatura, eroicamente amate e servite col distacco completo da tutto quanto è appetito e riflessione umana verso qual che sia cosa.

Potrei dire che il santo è colui al quale l’amore e il desiderio fanno da ostacolo ad ogni altra vista che Dio non sia. Non distratto da viste inferiori, egli ha le pupille del cuore ferme nello Splendore Santissimo. che è Dio e nel quale vede, poiché tutto è in Dio, agitarsi i fratelli e tendere le mani supplici.

E senza staccare gli occhi da Dio, il santo si effonde ai fratelli supplicanti. Contro la carne, contro le ricchezze, contro le comodità, egli drizza il suo ideale: servire. Povero il santo? Menomato? No. È giunto a possedere la sapienza e la ricchezza vere. Possiede perciò tutto.

Né sente fatica perché, se è vero che è un produttore continuo, è pur anche vero che è un nutrito di continuo. Perché, se è vero che comprende il dolore del mondo, è anche vero che si pasce della letizia del Cielo. Di Dio si nutre, in Dio si allieta. È la creatura che ha compreso il senso della vita.

Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, ma non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane. Ma la completo. Essa è quello che è, e tale sarà fino all’estremo giorno, senza che se ne muti una parola o se ne levi un precetto. Ma è incoronata del perfetto.

Per avere salute basta accettarla così come fu data. Per avere immediata unità con Dio occorre viverla come Io la consiglio.

Ma poiché gli eroi sono l’eccezione, Io parlerò per le anime comuni, per la massa delle anime, acciò non si dica che per volere il perfetto rendo ignoto il necessario. Perciò di quanto dico ritenete bene questo: colui che si permette di violare uno fra i minimi di questi Comandamenti sarà tenuto minimo nel Regno dei Cieli. E colui che indurrà altri a violarli sarà ritenuto minimo per lui e per colui che egli indusse alla violazione.

Mentre colui che con la vita e le opere, più ancora che con la parola, avrà persuaso altri all’ubbidienza, costui grande sarà nel Regno dei Cieli, e la sua grandezza si aumenterà per ognuno di quelli che egli avrà portato ad ubbidire e a santificarsi così.

Io so che ciò che sto per dire sarà agro alla lingua di molti. Ma Io non posso mentire anche se la verità che sto per dire mi farà dei nemici.

In verità vi dico che se la vostra giustizia non si ricreerà, distaccandosi completamente dalla povera e ingiustamente definita giustizia che vi hanno insegnata scribi e farisei; che se non sarete molto più, e veramente, giusti dei farisei e scribi, che credono esserlo con l’aumentare delle formule ma senza mutazione sostanziale degli spiriti, voi non entrerete nel Regno dei Cieli.

Guardatevi dai falsi profeti e dai dottori d’errore. Essi vengono a voi in veste e d’agnelli e lupi rapaci sono, vengono in veste di santità e sono derisori di Dio, dicono di amare la verità e si pascono di menzogne. Studiateli prima di seguirli.

L’uomo ha la lingua e con questa parla, ha gli occhi e con questi guarda, ha le mani e con queste accenna. Ma ha un’altra cosa che testimonia con più verità del suo vero essere: ha i suoi atti. E che volete che sia un paio di mani congiunte in preghiera se poi l’uomo è ladro e fornicatore? E che due occhi che volendo fare gli ispirati si stravolgono in ogni senso, se poi, cessata l’ora della commedia, si sanno fissare ben avidi sulla femmina, o sul nemico, per lussuria o per omicidio?

E che volete sia la lingua che sa zufolare la bugiarda canzone delle lodi e sedurvi con i suoi detti melati, mentre poi alle vostre spalle vi calunnia ed è capace di spergiurare pur di farvi passare per gente spregevole?

Che è la lingua che fa lunghe orazioni ipocrite e poi veloce uccide la stima del prossimo o seduce la sua buona fede? Schifo è! Schifo sono gli occhi e le mani menzognere. Ma gli atti dell’uomo, i veri atti, ossia il suo modo di comportarsi in famiglia, nel commercio, verso il prossimo ed i servi, ecco quello che testimoniano: “Costui è un servo del Signore”. Perché le azioni sante sono frutto di una vera religione.

Un albero buono non dà frutti malvagi e un albero malvagio non dà frutti buoni. Questi pungenti roveti potranno mai darvi uva saporita? E quegli ancora più tribolanti cardi potranno mai maturarvi morbidi fichi? No, che in verità poche e aspre more coglierete dai primi e immangiabili frutti verranno da quei fiori, spinosi già pur essendo ancora fiori.

L’uomo che non è giusto potrà incutere rispetto con l’aspetto, ma con quello solo. Anche quel piumoso cardo sembra un fiocco di sottili fili argentei che la rugiada ha decorato di diamanti. Ma se inavvertitamente lo toccate, vedete che fiocco non è, ma mazzo di aculei, penosi all’uomo, nocivi alle pecore, per cui i pastori lo sterpano dai loro pascoli e lo gettano a perire nel fuoco acceso nella notte perché neppure il seme si salvi. Giusta e previdente misura.

Io non vi dico: “Uccidete i falsi profeti e gli ipocriti fedeli”. Anzi vi dico: “Lasciatene a Dio il compito”. Ma vi dico: “Fate attenzione scostatevene per non intossicarvi dei loro succhi”.

Come debba essere amato Dio, ieri l’ho detto. Insisto a come debba essere amato il prossimo.

Un tempo era detto: “Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico”. No. Non così. Questo è buono per i tempi in cui l’uomo non aveva il conforto del sorriso di Dio. Ma ora vengono i tempi nuovi, quelli in cui Dio tanto ama l’uomo da mandargli il suo Verbo per redimerlo. Ora il Verbo parla.

Ed è già Grazia che si effonde. Poi il Verbo consumerà il sacrificio di pace e di redenzione e la Grazia non solo sarà effusa, ma sarà data ad ogni spirito credente nel Cristo. Perciò occorre innalzare l’amore di prossimo a perfezione che unifica l’amico al nemico.

Siete calunniati? Amate e perdonate.

Siete percossi? Amate e porgete l’altra guancia a chi vi schiaffeggia pensando che è meglio che l’ira si sfoghi su voi, che la sapete sopportare, anziché su un altro che si vendicherebbe dell’affronto.

Siete derubati? Non pensate: “Questo mio prossimo è un avido”, ma pensate caritativamente: “Questo mio povero fratello è bisognoso” e dategli anche la tunica se già vi ha levato il mantello. Lo metterete nella impossibilità di fare un doppio furto perché non avrà più bisogno di derubare un altro della tunica.

Voi dite: “Ma potrebbe essere vizio e non bisogno”. Ebbene, date ugualmente. Dio ve ne compenserà e l’iniquo ne sconterà. Ma molte volte, e ciò richiama quanto ho detto ieri sulla mansuetudine, vedendosi così trattato, cade dal cuore del peccatore il suo vizio, ed egli si redime giungendo a riparare il furto col rendere la preda.

Siate generosi con coloro che, più onesti, vi chiedono, anziché derubarvi, ciò di cui abbisognano. Se i ricchi fossero realmente poveri di spirito come ho insegnato ieri, non vi sarebbero le penose disuguaglianze sociali, cause di tante sventure umane e sovrumane. Pensate sempre: “Ma se io fossi nel bisogno, che effetto mi farebbe la ripulsa di un aiuto?”, e in base alla risposta del vostro io agite.

Fate agli altri ciò che vorreste vi fosse fatto e non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi.

L’antica parola: “Occhio per occhio, dente per dente”, che non è nei dieci comandi ma che è stata messa perché l’uomo privo della Grazia è tal belva che non può che comprendere la vendetta, è annullata, questa sì che è annullata, dalla nuova parola: “Ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita, giustifica chi ti calunnia, benedici chi ti maledice, benefica chi ti fa danno, sii pacifico col rissoso, condiscendente con chi ti è molesto, soccorri di buon grado chi a te ricorre e non fare usura, non criticare, non giudicare”.

Voi non sapete gli estremi delle azioni degli uomini. In tutti i generi di soccorso siate generosi, misericordiosi siate.

Più darete più vi sarà dato, e una misura colma e premuta sarà versata da Dio in grembo a chi fu generoso. Dio non solo vi darà per quanto avete dato, ma più e più ancora. Cercate di amare e di farvi amare. Le liti costano più di un accomodamento amichevole e la buona grazia è come un miele che a lungo resta col suo sapore sulla lingua.

Amate, amate! Amate amici e nemici per essere simili al Padre vostro che fa piovere sui buoni e sui cattivi e fa scendere il sole sui giusti e sugli ingiusti riservandosi di dare sole e rugiade eterne, e fuoco e grandine infernali, quando i buoni saranno scelti, come elette spighe, fra i covoni del raccolto.

Non basta amare coloro che vi amano e dai quali sperate un contraccambio. Questo non è un merito, è una gioia, e anche gli uomini naturalmente onesti lo sanno fare. Anche i pubblicani lo fanno e anche i gentili.

Ma voi amate a somiglianza di Dio e amate per rispetto a Dio, che è Creatore anche di quelli che vi sono nemici o poco amabili. Io voglio in voi la perfezione dell’amore e perciò vi dico: “Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli”.

Tanto è grande il precetto d’amore verso il prossimo, il perfezionamento del precetto d’amore verso il prossimo, che Io più non vi dico come era detto: “Non uccidete”, perché colui che uccide sarà condannato dagli uomini. Ma vi dico: “Non vi adirate” perché un più alto giudizio è su voi e calcola anche le azioni immateriali. Chi avrà insultato il fratello sarà condannato dal Sinedrio. Ma chi lo avrà trattato da pazzo, e perciò danneggiato, sarà condannato da Dio.

Inutile fare offerte all’altare se prima non si è sacrificato nell’interno del cuore i propri rancori per amore di Dio e non si è compito il rito santissimo del saper perdonare. Perciò se quando stai per offrire a Dio tu ti sovvieni di avere mancato verso il tuo fratello o di avere in te rancore per una sua colpa, lascia la tua offerta davanti all’altare, fa prima l’immolazione del tuo amor proprio, riconciliandoti col tuo fratello, e poi vieni all’altare, e santo sarà allora, solo allora, il tuo sacrificio.

Il buon accordo è sempre il migliore degli affari. Precario è il giudizio dell’uomo, e chi ostinato lo sfida potrebbe perdere la causa e dovere pagare all’avversario fino all’ultima moneta o languire in prigione.

Alzate in tutte le cose lo sguardo a Dio. Interrogatevi dicendo: “Ho io il diritto di fare ciò che Dio non fa con me?”. Perché Dio non è così inesorabile e ostinato come voi siete. Guai a voi se lo fosse! Non uno si salverebbe. Questa riflessione vi induca a sentimenti miti, umili, pietosi. E allora non vi mancherà da parte di Dio, qui e oltre, la ricompensa.[…]

Qui, a Me davanti, è anche uno che mi odia e che non osa dirmi: “Guariscimi”, perché sa che Io so i suoi pensieri. Ma Io dico: “Sia fatto ciò che tu vuoi. E come ti cadono le scaglie dagli occhi così ti cadano dal cuore il rancore e le tenebre”.

Andate tutti con la mia pace. Domani ancora vi parlerò».

La gente sfolla lentamente, forse in attesa di un grido di miracolo che non viene.
Anche gli apostoli e i discepoli più antichi, che restano sul monte, chiedono: “Ma chi era? Non è guarito forse?”, e insistono presso il Maestro che è rimasto in piedi, a braccia conserte, a veder scendere la gente.

Ma Gesù sulle prime non risponde; poi dice: “Gli occhi sono guariti. L’anima no. Non può perché è carica di odio”.

“Ma chi è? Quel romano forse?”.

“No. Un disgraziato”.

“Ma perché lo hai guarito, allora?”, chiede Pietro.

“Dovrei fulminare tutti i suoi simili?”.

“Signore… io so che Tu non vuoi che dica: “sì”, e perciò non lo dico… ma lo penso… ed è lo stesso…”.

“È lo stesso, Simone di Giona. Ma sappi che allora… Oh! quanti cuori pieni di scaglie d’odio intorno a Me! Vieni. Andiamo proprio là in cima, a guardare dall’alto il nostro bel mare di Galilea. Io e te soli”.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A (Mt 5,13-16)

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,13-16)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Se metto un grosso cucchiaio di sale nella zuppa, sarà immangiabile. Ce ne vuole solo un pizzico, che basta ad insaporirla. O, senza utilizzare un’immagine, anche se non ci sono che pochi uomini a sopportare con buon umore, bontà e indulgenza le debolezze del loro prossimo (e le loro, in più!), a non essere solo preoccupati di imporsi, di perseguire i propri scopi e i propri interessi, questo pugno di uomini ha la possibilità di cambiare il proprio ambiente, contribuendo a che il nostro mondo resti umano. Il nostro mondo sarebbe povero, inumano e freddo se non ci fossero uomini che danno prova di questa cordialità e di questa generosità spontanee.
Essere il sale della terra: siamo abbastanza fiduciosi per credere al carattere contagioso della bontà? O ci accontentiamo di temere il potere contagioso del male? Un pizzico di sale basta a dare gusto a tutto un piatto.
Ognuno di noi, anche se si sente isolato, ha la fortuna di poter cambiare il clima che lo circonda! Gesù ci crede capaci: voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo! Lo siamo?

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato”
di Maria Valtorta
Capitolo 98

 

Gesù con tutti i suoi -ormai sono in tredici, più Lui- sono, sette per barca, sul lago di Galilea. Gesù è nella barca di Pietro, la prima, insieme a Pietro, Andrea, Simone, Giuseppe e i due cugini. Nell’altra sono i due figli di Zebedeo con gli altri: ossia l’Iscariota, Filippo, Tommaso, Natanaele e Matteo.

Le barche non pescano, sono solo adibite a trasporto delle persone. Gesù è seduto a prua e gode visibilmente della bellezza che lo circonda, dal silenzio, di tutto quell’azzurro puro di cielo e di acque a cui fanno anello sponde verdi, disseminate di paesi tutti bianchi fra il verde.

Si astrae dai discorsi dei discepoli, molto in avanti sulla prora, quasi sdraiato su un fascio di vele, a capo sovente chino su quello specchio di zaffiro che è il lago, come studiasse il fondale e si interessasse di quanto vive in quelle acque limpidissime. Ma chissà a cosa pensa…

Gesù chiede a Pietro: «Quella è Tiberiade?».

«Sì, Maestro. Ora faccio l’accostata».

«Attendi. Puoi metterti in quel seno quieto? Vorrei parlare a voi soltanto».

«Misuro il fondo e te lo so dire».

E Pietro cala una lunga pertica e va lento verso riva.

«Si può, Maestro. Vado ancora contro sponda?».

«Il più che puoi. C’è ombra e solitudine. Mi piace».

Pietro va fin sotto riva. La terra è lontana al massimo un quindici metri.

«Ora toccherei».

«Ferma. E voi venite accosto più che potete e udite».

Gesù lascia il suo posto e viene a sedersi al centro della bar­ca, su una panchetta che va da sponda a sponda. Di fronte ha l’altra barca, intorno gli altri della sua.

«Udite. Vi parrà che Io mi astragga talora dai vostri discor­si e sia perciò un maestro infingardo che non sorveglia la pro­pria scolaresca. Sappiate che l’anima mia non vi lascia un mo­mento.

Avete mai visto un medico che studia uno malato di un male ancora incerto e di contrastanti sintomi? Lo tiene d’oc­chio dopo averlo visitato, lo sorveglia e nel sonno e nella ve­glia, al mattino e alla sera, e nel silenzio e nel parlare, perché tutto può esser sintomo e guida a decifrare il morbo nascosto e ad indicare una cura.

Lo stesso faccio Io con voi. Vi tengo con fili invisibili, ma sensibilissimi, che si innestano in Me e mi trasmettono le anche più lievi vibrazioni del vostro io. Vi la­scio credere di esser liberi, perché vi palesiate sempre più per quello che siete, cosa che avviene quando uno scolaro, o un maniaco, si crede perso di vista dal sorvegliante.

Voi siete un gruppo di persone, ma formate un nucleo, ossia una cosa sola. Perciò siete un complesso che si forma a ente e che va studiato nelle singole sue caratteristiche, più o meno buone, per formarlo, amalgamarlo, smussarlo, accrescerlo nei lati poliedrici e farne un unico “che” perfetto. Perciò Io vi stu­dio. E studio su voi anche mentre voi dormite.

Cosa siete voi? Cosa dovete divenire? Voi siete il sale della Terra. Tali dovete divenire: sale della Terra. Con il sale si pre­servano le carni dalla corruzione e con la carne molte altre derrate. Ma potrebbe il sale salare se non fosse salato?

Con voi Io voglio salare il mondo per renderlo insaporito di sapor cele­ste. Ma come potete salare se mi perdete voi sapore?

Cosa vi fa perdere sapore celeste? Ciò che è umano.

L’acqua del mare, del vero mare, non è buona a bere tanto è salata, non è vero? Eppure, se uno prende una coppa di acqua di mare e la getta in un’idria di acqua dolce, ecco che può bere, perché l’ac­qua di mare è tanto diluita che ha perso il suo mordente. L’umanità è come l’acqua dolce che si mescola alla vostra sal­sedine celeste.

Ancora, se per un supposto si potesse derivare un rio dal mare e immetterlo nell’acqua di questo lago, potre­ste poi voi ritrovare quel filo di acqua salata? No. Si sarebbe perso in tanta acqua dolce.

Così avviene di voi quando immer­gete la vostra missione, meglio: la sommergete, in tanta uma­nità. Siete uomini. Sì. Lo so. Ma, e Io chi sono? Io sono Colui che ha seco ogni forza. E che faccio Io? Io vi comunico questa forza poi che vi ho chiamati. Ma che giova che Io ve la comunichi se voi la disperdete sotto valanghe di senso e di sentimenti uma­ni?

Voi siete, dovete essere, la luce del mondo. Vi ho scelti, Io, Luce di Dio, fra gli uomini, per continuare ad illuminare il mondo dopo che Io sarò tornato al Padre. Ma potete voi dare luce se siete lanterne spente o fumose?

No, che anzi col vostro fumo -peggio è il fumo ambiguo all’assoluta morte di un lu­cignolo- voi offuschereste quel barlume di luce che ancora possono avere i cuori. Oh! miseri quelli che cercando Dio si ri­volgeranno agli apostoli e in luogo di luce avranno fumo! Scandalo e morte ne avranno. Ma maledizione e castigo ne avranno gli apostoli indegni.

Grande sorte la vostra! Ma anche grande, tremendo impegno! Ricordatevi che colui a cui più è dato, più è tenuto a dare. E a voi il massimo è dato, di istruzione e di dono. Siete istruiti da Me, Verbo di Dio, e ricevete da Dio il dono di essere “i di­scepoli”, ossia i continuatori del Figlio di Dio.

Io vorrei che voi meditaste sempre questa vostra elezione, e ancor vi scrutaste, e ancor vi pesaste… e se uno sente di esser atto ad esser fedele -non voglio neppur dire: se uno non si sente che peccatore e im­penitente; dico solo: se uno si sente atto ad esser solo un fedele- ma non sente in sé nerbo di apostolo, si ritiri.

Il mondo, per chi è amante di esso, è tanto vasto, bello, suffi­ciente, vario! Offre tutti i fiori e tutti i frutti atti al ventre e al senso. Io non offro che una cosa: la santità. Questa, sulla Terra, è la cosa più angusta, povera, erta, spinosa, perseguitata che esista. Nel Cielo la sua angustia si muta in immensità, la sua povertà in ricchezza, la sua spinosità in tappeto fiorito, il suo esser erta in sentiero liscio e soave, la sua persecuzione in pace e beatitudine. Ma qui è fatica da eroe esser santi. Io non vi offro che questo.

Volete voi rimanere con Me? Non vi sentite di farlo? Oh! non vi guardate stupiti o addolorati! Mi sentirete fare ancora molte volte questa domanda. E quando la sentirete, pensate che il mio Cuore nel farla piange, perché è ferito dalla vostra sordità alla vocazione.

Esaminatevi, allora, e poi giudicate con onestà e sincerità, e decidete. Per non essere dei reprobi, decidete. Di­te: “Maestro, amici, io conosco di non essere fatto per questa via. Vi do bacio di commiato e vi dico: pregate per me”. Meglio così che tradire. Meglio così…

Che dite? Chi tradire? Chi? Me. La mia causa, ossia la causa di Dio -perché Io sono uno col Padre- e voi. Sì. Vi tradire­ste. L’anima vi tradireste, dandola a Satana. Volete rimanere ebrei? Ed Io non vi forzo a cambiare. Ma non tradite. Non tra­dite la vostra anima, il Cristo e Dio. Io vi giuro che né Io, né i fedeli a Me vi criticheranno, né vi additeranno allo sprezzo delle turbe fedeli.

Poco fa un vostro fratello ha detto una gran­de parola: “Le nostre piaghe e quelle di coloro che amiamo si cerca di tenerle nascoste”. E colui che si separerebbe sarebbe una piaga, una cancrena che, nata nel nostro organismo apo­stolico, si staccherebbe per cancrena completa, lasciando un segno doloroso che con ogni cura terremmo nascosto.

No. Non piangete, o voi migliori. Non piangete. Io non vi porto rancore, né sono intransigente per vedervi così tardi. Sie­te appena presi e non posso pretendere che siate perfetti. Ma non lo pretenderò neppure fra anni, dopo aver detto cento e duecento volte le stesse cose inutilmente.

Anzi, udite, fra anni sarete, almeno alcuni, meno ardenti di ora che siete neofiti. La vita è così… l’umanità è così… Perde lo slancio dopo il primo balzo.

Ma (Gesù si alza di scatto) ma Io vi giuro che Io vincerò. Depurati per naturale selezione, fortificati da soprannaturale mistura, voi migliori diverrete i miei eroi. Gli eroi del Cristo. Gli eroi del Cielo. La potenza dei Cesari sarà polvere rispetto alla regalità del vostro sacerdozio.

Voi, poveri pescatori di Ga­lilea, voi ignoti giudei, voi, numeri fra la massa degli uomini presenti, sarete più noti, acclamati, venerati di Cesare e di tutti i Cesari che ebbe e avrà la Terra.

Voi noti, voi benedetti in un prossimo futuro e nel più remoto dei secoli, sino alla fine del mondo. A questa sublime sorte Io vi eleggo. Voi che siete onesti nella volontà.

E, perché di essa siate capaci, vi do le linee es­senziali del vostro carattere di apostoli. Esser sempre vigili e pronti. I vostri lombi siano cinti, sem­pre cinti, e le vostre lampade accese come è di coloro che da un attimo all’altro devono partire o correre incontro ad uno che ar­riva.

E infatti voi siete, voi sarete, sin che la morte vi fermi, gli instancabili pellegrini alla ricerca di chi è errante; e finché la morte la spenga, la vostra lampada deve esser tenuta alta e ac­cesa per indicare la via agli sviati che vengono verso l’ovile di Cristo. Fedeli dovete essere al Padrone che vi ha preposti a questo servizio. Sarà premiato quel servo che il Padrone trova sempre vigilante e che la morte sorprende in stato di Grazia.

Non pote­te, non dovete dire: “Io sono giovane. Ho tempo di fare questo e quello, e poi pensare al Padrone, alla morte, all’anima mia”. Muoiono i giovani come i vecchi, i forti come i deboli. E all’as­salto della tentazione sono vecchi e giovani, forti e deboli, ugualmente soggetti.

Guardate che l’anima può morire prima del corpo e voi potete portare, senza sapere, in giro un’anima putrida. È così insensibile il morire di un’anima! Come la mor­te di un fiore. Non ha grido, non ha convulsione… china solo la sua fiamma come corolla stanca, e si spegne.

Dopo, molto dopo talora, immediatamente dopo talaltra, il corpo si accorge di portare dentro un cadavere verminoso, e diviene folle di spa­vento, e si uccide per sfuggire a quel connubio…

Oh! non sfug­ge! Cade proprio con la sua anima verminosa su un brulicare di serpi nella Geenna.

Non siate disonesti come sensali o causidici che parteggiano per due opposti clienti, non siate falsi come i politicanti che dicono “amico” a questo e a quello, e poi sono di questo e di quello nemici.

Non pensate di agire in due modi. Dio non si ir­ride e non si inganna. Fate con gli uomini come fate con Dio, perché offesa fatta agli uomini è come fatta a Dio.

Vogliate che Dio veda voi quali volete esser veduti dagli uomini. Siate umili. Non potete rimproverare il vostro Maestro di non esserlo. Io vi do l’esempio. Fate come faccio. Umili, dolci, pazienti. Il mondo si conquista con questo. Non con violenza e forza. Forti e violenti siate contro i vostri vizi. Sradicateli, a costo di lacerarvi anche lembi di cuore.

Vi ho detto, giorni or sono, di vigilare gli sguardi. Ma non lo sapete fare. Io vi dico: meglio sarebbe diveniste ciechi con lo strapparvi gli occhi in­gordi, anziché divenire lussuriosi.

Siate sinceri. Io sono Verità. Nelle eccelse come nelle umane cose. Voglio siate schietti voi pure. Perché andare con inganno o con Me, o coi fratelli, o con il prossimo? Perché giocare di in­ganno?

Che? Tanto orgogliosi qual siete, e non avete l’orgoglio di dire: “Voglio non esser trovato bugiardo”? E schietti siate con Dio. Credete di ingannarlo con forme di orazione lunghe e palesi? Oh! poveri figli! Dio vede il cuore! Siate casti nel fare il bene. Anche nel fare elemosina. Un pubblicano ha saputo esserlo prima della sua conversione. E voi non lo sapreste?

Sì, ti lodo, Matteo, della casta offerta setti­manale che Io e il Padre solo conoscevamo tua, e ti cito ad esempio. È una castità anche questa, amici. Non scoprire la vostra bontà come non scoprireste una figlia giovinetta agli occhi di una folla.

Siate vergini nel fare il bene. È vergine l’at­to buono quando è esente da connubio di pensiero di lode e di stima o da fomite di superbia.

Siate sposi fedeli della vostra vocazione a Dio. Non potete servire due padroni. Il letto nuziale non può accogliere due spose contemporaneamente. Dio e Satana non possono divi­dersi i vostri amplessi. L’uomo non può, e non lo possono né Dio né Satana, condividere un triplice abbraccio in antitesi fra i tre che se lo danno.

Siate alieni da fame d’oro come da fame di carne, da fame di carne come da fame di potenza. Satana questo vi offre. Oh! le sue bugiarde ricchezze! Onori, riuscita, potere, dovizie: mer­cati osceni che hanno a moneta la vostra anima.

Siate contenti del poco. Dio vi dà il necessario. Basta. Que­sto ve lo garantisce come lo garantisce all’uccello dell’aria, e voi siete da ben più degli uccelli. Ma vuole da voi fiducia e mo­rigeratezza. Se avrete fiducia, Egli non vi deluderà. Se avrete morigeratezza, il suo dono giornaliero vi basterà. Non siate pagani, pur essendo, di nome, di Dio. Pagani so­no coloro che, più che Dio, amano l’oro e il potere per apparire dei semidei.

Siate santi e sarete simili a Dio nell’eternità. Non siate intransigenti. Tutti peccatori, vogliate essere con gli altri come vorreste che gli altri con voi fossero: ossia pieni di compatimento e perdono. Non giudicate. Oh! non giudicate! Da poco siete con Me, eppure vedete quante volte già Io, innocente, fui a torto mal giudicato e accusato di peccati inesistenti.

Il mal giudizio è of­fesa. E solo chi è santo vero non risponde offesa ad offesa. Per­ciò astenetevi da offendere per non essere offesi. Non manche­rete così né alla carità né alla santa, cara, soave umiltà, la ne­mica di Satana insieme alla castità.

Perdonate, perdonate sempre. Dite: “Perdono, o Padre, per essere da Te perdonato dei miei infiniti peccati”.

Miglioratevi d’ora in ora, con pazienza, con fermezza, con eroicità. E chi vi dice che divenire buoni non sia penoso? Anzi vi dico: è fatica più grande di tutte. Ma il premio è il Cielo e merita perciò consumarsi in questa fatica.

E amate. Oh! quale, quale parola devo dire per persuadervi all’amore? Nessuna ve ne è atta a convertirvi ad esso, poveri uomini che Satana aizza! E allora, ecco Io dico: “Padre, affret­ta l’ora del lavacro. Questa terra e questo tuo gregge è arido e malato. Ma vi è una rugiada che lo può addolcire e mondare. Apri, apri la fonte di essa. Me apri, Me. Ecco, Padre. Io ardo di fare il tuo desiderio che è il mio e quello dell’Amore eterno. Padre, Padre, Padre! Guarda il tuo Agnello e siine il Sacrifica­tore”».

Gesù è realmente ispirato. Ritto in piedi, a braccia aperte a croce, il volto verso il Cielo, coll’azzurro del lago di dietro, nel­la sua veste di lino, pare un Arcangelo orante. Mi si annulla il vedere su questo suo atto.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

PRESENTAZIONE DEL SIGNORE DOMENICA DELLA IV SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A (Lc 2,22-40)

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 2,22-40)
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui. Parola del Signore.

Forma breve

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 2,22-32):
Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Il vecchio Simeone, certo della promessa ricevuta, riconosce Gesù e la salvezza di cui il Cristo è portatore e accetta il compiersi della sua esistenza.
Anche Anna, questa profetessa ormai avanti negli anni, che aveva però passato quasi tutta la sua vita in preghiera e penitenza riconosce Gesù e sa parlare di lui a quanti lo attendono. Anna e Simeone, a differenza di molti altri, capiscono che quel bimbo è il Messia perché i loro occhi sono puri, la loro fede è semplice e perché, vivendo nella preghiera e nell’adesione alla volontà del Padre, hanno conquistato la capacità di riconoscere la ricchezza dei tempi nuovi.
Prima ancora di Simeone e Anna è la fede di Maria che permette all’amore di Dio per noi di tramutarsi nel dono offertoci in Cristo Gesù.
Giovanni Paolo II nella “Redemptoris Mater” ci ricorda che “quello di Simeone appare come un secondo annuncio a Maria, poiché le indica la concreta dimensione storica nella quale il Figlio compirà la sua missione, cioè nell’incomprensione e nel dolore” (n. 16).

 

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Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta. Capitolo 32

(1 febbraio 1944)

Vedo partire da una casetta modestissima una coppia di persone. Da una scaletta esterna scende una giovanissima ma­dre con un bambino fra le braccia, avvolto in un panno bianco.

Riconosco questa Mamma nostra. È sempre Lei. Pallida e bionda, snella e tanto gentile in ogni suo atto. È vestita di bianco, col manto in cui si avvolge di un pallido azzurro. Sul capo un velo bianco. Porta con tanta cura il suo Bambino.

Ai piedi della scaletta l’attende Giuseppe presso ad un ciuchino bigio. Giuseppe è vestito tutto di color marrone chiaro, sia nella tunica che nel mantello. Guarda Maria e Le sorride. Quando Maria giunge presso il ciuchino, Giuseppe si passa la briglia dell’asinello sul braccio sinistro e prende per un mo­mento il Bambino, che dorme tranquillo, per permettere a Ma­ria di accomodarsi meglio sulla sella del ciuchino. Poi le rende Gesù e si incamminano.

Giuseppe cammina al fianco di Maria, tenendo sempre per la briglia il somarello e facendo attenzione che questo vada dritto e senza inciampi. Maria tiene in grembo Gesù e, come per tema che il freddo gli possa nuocere, gli stende addosso un lembo del suo mantello. Parlano pochissimo i due sposi, ma si sorridono sovente.

La strada, che non è un modello stradale, si snoda fra una campagna che la stagione fa nuda. Qualche altro viaggiatore si scontra coi due o li raggiunge, ma sono rari.

Poi ecco delle case che si mostrano e delle mura che serra­no una città. I due sposi entrano in essa da una porta e comin­cia il percorso sul selciato (molto sconnesso) cittadino. Il cam­mino diviene molto più difficile, sia perché vi è del traffico che fa fermare tutti i momenti il ciuchino, sia perché lo stesso sulle pietre e sulle buche che sostituiscono le pietre mancanti ha continue scosse, che disturbano Maria e il Bambino.

La strada non è piana. Sale, sebbene lievemente. È stretta fra case alte dalle porticine strette e basse e dalle rade finestre sulla via. In alto il cielo si affaccia con tante fettine di azzurro fra case e case, anzi fra terrazze e terrazze. In basso sulla via vi è gente e vocio, e si incrociano altre persone a piedi, o su somarelli, o conducenti somarelli carichi, e altre dietro ad una in­gombrante carovana di cammelli. Ad un certo punto passa con molto rumore di zoccoli e di armi una pattuglia di legionari ro­mani, che scompaiono oltre un arco posto a cavalcione di una via molto stretta e sassosa.

Giuseppe piega a sinistra e prende una via più larga e più bella. Vedo la cinta merlata, che già conosco, in fondo ad essa.

Maria smonta dal ciuchino presso la porta dove è una specie di posteggio per altri somarelli. Dico «posteggio» perché è una specie di capannone, meglio, di tettoia, dove è paglia sparsa e dei paletti con degli anelli per legare i quadrupedi.

Giuseppe dà alcune monete ad un ometto accorso e con esse acquista un poco di fieno, e attinge un secchio d’acqua da un pozzo rudimentale che è in un angolo, e li dà al ciuchino. Poi raggiunge Maria ed ambedue entrano nel recinto del Tempio.

Si dirigono prima verso un porticato, dove vi sono quelli che Gesù poi fustigò egregiamente: i venditori di tortore e agnelli e i cambiavalute. Giuseppe acquista due colombini bianchi. Non cambia il denaro. Si capisce che ha già quello che gli occorre.

Giuseppe e Maria si dirigono ad una porta laterale che ha otto gradini, come mi pare abbiano tutte le porte, quasi che il cubo del Tempio sia sopraelevato dal resto del suolo. Questa porta ha un grande atrio, come i portoni delle nostre case di città, per darle un’idea, ma più vasto e ornato. In esso vi sono a destra e a sinistra due specie di altari, ossia due costruzioni rettangolari, di cui sul principio non capisco bene lo scopo. Sembrano delle basse conche, perché l’interno è più basso dell’orlo esterno, che si sopraeleva di qualche centimetro.

Non so se chiamato da Giuseppe o se venuto di suo, accorre un sacerdote. Maria offre i due poveri colombi ed io, che capi­sco la loro sorte, volgo altrove lo sguardo. Osservo gli ornati del pesantissimo portale, del soffitto, dell’atrio. Mi pare però di vedere, con la coda dell’occhio, che il sacerdote asperga Ma­ria con dell’acqua. Deve essere acqua, perché non vedo mac­chie sul suo abito. Poi Maria, che insieme ai colombini aveva dato un mucchietto di monete al sacerdote (mi ero dimenticata di dirlo) entra con Giuseppe nel Tempio vero e proprio, accom­pagnata dal sacerdote.

Io guardo da tutte le parti. È un luogo ornatissimo. Sculture a teste d’angeli e palme e ornati corrono sulle colonne, le pareti e il soffitto. La luce penetra da curiose finestre lunghe, strette, naturalmente senza vetri, e tagliate diagonalmente alla parete. Suppongo che sia per impedire agli acquazzoni di entrare.

Maria si inoltra sino ad un certo punto. Poi si arresta. A qualche metro da Lei vi sono degli altri gradini e su questi sta un’altra specie di altare, oltre il quale vi è un’altra costruzione.

Mi accorgo che credevo essere nel Tempio e invece ero in ciò che contorna il Tempio vero e proprio, ossia il Santo, oltre il quale pare che nessuno, fuorché i sacerdoti, possano entrare. Quello che io credevo Tempio non è perciò che un chiuso vesti­bolo, che da tre parti cinge il Tempio, dove è chiuso il Taberna­colo. Non so se mi sono spiegata per bene. Ma non sono archi­tetto o ingegnere.

Maria offre il Bambino -che si è svegliato e gira i suoi oc­chietti innocenti intorno con lo sguardo stupito degli infanti di pochi giorni- al sacerdote. Questo Lo prende sulle braccia e Lo solleva a braccia tese, volto verso il Tempio, stando contro a quella specie di altare che sta su quei gradini. Il rito è compiu­to. Il Bambino viene restituito alla Mamma e il sacerdote se ne va.

Vi è della gente che guarda curiosa. Fra questa si fa largo un vecchietto curvo e arrancante, che si appoggia ad un basto­ne. Deve essere molto vecchio, direi certo oltre gli ottant’anni. Egli si accosta a Maria e Le chiede di dargli per un attimo il Piccino. Maria lo accontenta sorridendo.

Simeone, che io ho sempre creduto appartenesse alla casta sacerdotale e invece è un semplice fedele, almeno a giudicare dalla veste, Lo prende, Lo bacia. Gesù gli sorride con la smorfietta incerta dei poppanti. Sembra che lo osservi curioso, per­ché il vecchietto piange e ride insieme, e le lacrime fanno tutto un ricamo di luccichii insinuandosi fra le rughe e imperlando la barba lunga e bianca, verso la quale Gesù tende le manine.

È Gesù, ma è sempre un bambinello, e ciò che gli si muove da­vanti attira la sua attenzione e gli dà velleità di afferrare quel­la cosa per capire meglio cosa è. Maria e Giuseppe sorridono, e anche i presenti, che lodano la bellezza del Piccino.

Sento le parole del santo vecchio e vedo lo sguardo stupito di Giuseppe, quello commosso di Maria, e anche quelli della piccola folla, in parte stupita e commossa e in parte, alle paro­le del vecchio, presa da ilarità. Fra questi vi sono dei barbuti e tronfi sinedristi, che scuotono il capo, guardando Simeone con compatimento ironico. Lo devono pensare andato fuor di cer­vello per l’età.

Il sorriso di Maria si spegne in un più vivo pallore quando Simeone Le annuncia il dolore.

Per quanto Ella sappia, questa parola le trafigge lo spirito. Si avvicina di più a Giuseppe, Ma­ria, per confortarsi, si stringe con passione il suo Bambino al seno e beve, come anima assetata, le parole di Anna, a sua vol­ta sopraggiunta, la quale, donna come è, ha pietà del suo sof­frire e le promette che l’Eterno le addolcirà di una forza so­prannaturale l’ora del dolore.

«Donna, a Chi ha dato il Salva­tore al suo popolo non mancherà il potere di dare il suo Angelo a confortare il tuo pianto. Non è mai mancato l’aiuto del Si­gnore alle grandi donne d’Israele, e Tu sei ben più di Giuditta e di Giaele. Il nostro Dio ti darà cuore di oro purissimo per resi­stere al mare di dolore, per cui sarai la più grande Donna della creazione, la Madre. E Tu, Bambino, ricordati di me nell’ora della tua missione».

E qui mi cessa la visione.

 

(2 febbraio 1944)

Dice Gesù:

«Due insegnamenti per tutti sgorgano dalla descrizione che hai data.

Il primo: non al sacerdote immerso nei riti ma con lo spirito assente, sebbene ad un semplice fedele si svela la verità.

Il sacerdote, sempre a contatto con la Divinità, volto alla cura di quanto ha attinenza con Dio, dedicato a tutto quanto e più alto della carne, avrebbe dovuto intuire subito chi era il Bambino che veniva offerto al Tempio quella mattina.

Ma, perché potesse intuire, occorreva che avesse uno spirito vivo. Non unicamente una veste ricoprente uno spirito, se non morto, molto assonnato.

Lo Spirito di Dio può, se vuole, tuonare e scuotere come folgore e terremoto anche lo spirito più ottuso. Lo può ma generalmente, poiché è Spirito di ordine come è ordine Dio in ogni sua Persona e modo di agire, Esso si effonde e parla non dico dove è merito sufficiente a ricevere la sua effusione -allora ben poche volte si effonderebbe, e tu pure non ne conosceresti le luci- ma là dove vede la “buona volontà” di meritare la sua effusione.

Come si esplica questa buona volontà?

Con una vita fatta, per quanto vi è possibile, tutta di Dio. Nella fede, nell’ubbi­dienza, nella purezza, nella carità, nella generosità, nella pre­ghiera. Non nelle pratiche, nella preghiera. Vi è differenza minore fra la notte e il giorno che non fra le pratiche e la preghiera. Questa è comunione di spirito con Dio, dalla quale uscite rinvigoriti e decisi a sempre più essere di Dio. L’altra è una abitudine qualunque, fatta per scopi diversi ma sempre egoi­sti, la quale vi lascia quelli che siete, anzi vi aggrava di una colpa di menzogna e di accidia.

Simeone aveva questa buona volontà. La vita non gli aveva risparmiato affanni e prove. Ma egli non aveva perduto la sua buona volontà.

Gli anni e le vicende non avevano intaccato e scosso la sua Fede nel Signore, nelle sue promesse, e non aveva­no stancato la sua buona volontà d’esser sempre più degno di Dio. E Dio, prima che gli occhi del servo fedele si chiudessero alla luce del sole, in attesa di riaprirsi al Sole di Dio rutilante dai Cieli aperti al mio salire dopo il Martirio, gli mandò il rag­gio dello Spirito che lo guidasse al Tempio, per vedere la Luce venuta al mondo.

“Mosso da Spirito Santo”, dice il Vangelo. Oh! se gli uomini sapessero quale Amico perfetto è lo Spirito Santo, quale Gui­da, quale Maestro! Se Lo amassero e Lo invocassero, questo Amore della SS. Trinità, questa Luce della Luce, questo Fuoco del Fuoco, questa Intelligenza, questa Sapienza! Quanto più saprebbero di ciò che è necessario sapere!

Vedi, Maria; vedete, figli. Simeone ha atteso tutta una lunga vita di “vedere la Luce”, di sapere compiuta la promessa di Dio. Ma non ha mai dubitato. Non si è mai detto: “È inutile che io perseveri nello sperare e nel pregare”. Ha perseverato. E ha ottenuto di “vedere” ciò che non videro il sacerdote e i sine­dristi pieni di superbia e di opacità: il Figlio di Dio, il Messia, il Salvatore in quelle carni infantili che gli davano tepore e sorrisi.

Ha avuto il sorriso di Dio, primo premio della sua vita onesta e pia, attraverso le mie labbra di Bambino.

Seconda lezione: le parole di Anna. Anche ella, profetessa, vede in Me, neonato, il Messia. E questo, data la sua capacità di profezia, è naturale. Ma ascolta, ascoltate ciò che, spinta da Fede e da carità, dice a mia Madre. E fatevene luce al vostro spirito, che trema in questo tempo di tenebre e in questa festa della Luce. “A Chi ha dato un Salvatore non mancherà il pote­re di dare il suo Angelo a confortare il tuo, il vostro pianto”.

Pensate che Dio ha dato Se stesso per annullare l’opera di satana negli spiriti.

E non potrà vincere ora i satana che vi torturano? Non potrà asciugare il vostro pianto, sgominando questi satana e mandando da capo la pace del suo Cristo? Per­ché non glielo chiedete, con Fede? Fede vera, prepotente, una Fede davanti alla quale il rigore di Dio, sdegnato da tante vo­stre colpe, cada con un sorriso e venga il perdono che è aiuto, e venga la sua benedizione ad essere arcobaleno su questa Terra che si sommerge in un diluvio di sangue voluto da voi stessi?

Pensate: il Padre, dopo aver punito gli uomini col diluvio, disse a Se stesso e al suo patriarca: “Io non maledirò più la Terra a causa degli uomini, perché i sensi e i pensieri del cuore umano sono inclinati al male fin dall’adolescenza; quindi non colpirò più ogni vivente come ho fatto”.

Ed è stato fedele alla sua parola. Non ha più mandato il diluvio. Ma voi quante volte vi siete detti, e avete detto a Dio: “Se ci salviamo questa volta, se ci salvi, non faremo mai più guerre, mai più”, e poi ne avete sempre fatte di più tremende? Quante volte, o falsi e senza ri­spetto per il Signore e per la parola vostra? Eppure Dio vi aiu­terebbe ancora una volta, se la gran massa dei fedeli Lo chia­masse con Fede e amore prepotente.

Mettete -o voi tutti che, troppo pochi per controbilanciare i molti che mantengono vivo il rigore di Dio, rimanete però a Lui devoti nonostante l’ora tremenda che incombe e cresce di attimo in attimo- mettete il vostro affanno ai piedi di Dio. Egli saprà mandarvi il suo Angelo come ha mandato il Salvatore al mondo.

Non temete. State uniti alla Croce. Essa ha vinto sempre le insidie del demonio, che viene con la ferocia degli uomini e le tristezze della vita a cercare di piegare alla dispe­razione, ossia alla separazione da Dio, i cuori che non può prendere in altra maniera».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta