Natività di San Giovanni Battista

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Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 1,57-66.80

Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei. All’ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta, e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: «Che sarà mai questo bambino?» si dicevano. Davvero la mano del Signore stava con lui. Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

 

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

Volume 1 – Capitolo 36

 

(3 aprile 1944)

In mezzo alle ripugnanti cose che ci offre il mondo di ora, scende dal Cielo -e non so come lo possa fare, dato che io sono come un fuscello in preda al vento in questi continui urti contro la malvagità umana, così discorde da quanto vive in me- scende dal Cielo questa visione di pace.

Ancora e sempre la casa di Elisabetta. In una bella sera d’estate, ancor chiara di un ultimo sole e pur già ornata nel cielo da un arco falcato di luna, che pare una virgola d’argento messa su un gran drappo azzurro intenso.

I rosai odorano fortemente e le api fanno gli ultimi voli, gocce d’oro ronzanti nell’aria cheta e calda della sera. Dai prati viene un grande odore di fieni asciugati al sole, un odor di pane quasi, di pane caldo, appena sfornato. Forse viene anche dai molti teli stesi ad asciugare per ogni dove e che ora Sara piega.

Maria passeggia dando braccio alla cugina. Adagio adagio vanno su e giù, sotto la pergola semioscura.

Ma Maria ha occhio a tutto e, pur occupandosi di Elisabetta, vede che Sara è impicciata a ripiegare un lungo telo che ha tolto da una siepe. «Attendimi qui seduta» dice alla parente. E va ad aiutare la vecchia servente, tirando la tela per raddrizzarla e piegandola poi con cura.

«Sanno ancora di sole, sono caldi» dice con un sorriso. E per far felice la donna aggiunge: «Questa tela, dopo la tua imbiancatura, è diventata bella quanto mai. Non ci sei che te che sai fare così bene».

Sara se ne va gongolante col suo carico di tele fragranti.

Maria torna da Elisabetta e dice: «Ancora un pochino di passi. Ti faranno bene». E siccome Elisabetta, stanca, non vorrebbe muoversi, le dice: «Andiamo soltanto a vedere se i tuoi colombi sono tutti nei loro nidi e se l’acqua della loro vasca è monda. Poi torniamo in casa».

I colombi devono essere i prediletti di Elisabetta. Quando sono davanti alla rustica torretta dove già i colombi sono tutti raccolti -le femmine nelle cove, i maschi davanti alle stesse e non si muovono, ma vedendo le due donne hanno ancora un cruccolio di saluto- Elisabetta si commuove. La debolezza del suo stato la soverchia e le dà dei timori che la fanno piangere.

Li appalesa alla cugina. «Se avessi a morire… poveri colombini miei! Tu non resti. Restassi Tu nella mia casa, non mi importerebbe di morire. Ho avuto il massimo di gioia che donna possa avere, una gioia che m’ero rassegnata a non conoscere mai, ed anche della morte non posso lamentarmi col Signore perché Egli, ne sia benedetto, mi ha colmata della sua benignità.

Ma c’è Zaccaria… e ci sarà il bambino. Uno vecchio e che si troverebbe come perduto in un deserto senza la sua donna. L’altro così piccino che sarebbe come fiore destinato a morir di gelo, perché senza la sua mamma. Povero bambino senza carezze della madre!…»

«Ma perché triste così? Dio ti ha dato la gioia d’esser madre, né te la leverà quando essa è piena. Il piccolo Giovanni avrà tutti i baci della mamma e Zaccaria tutte le cure della sposa fedele sino alla più tarda vecchiezza. Siete due rami di una stessa pianta. Uno non morrà lasciando l’altro solo».

«Tu sei buona e mi conforti. Ma io sono vecchia tanto per avere un figlio. Ed ora che sto per averlo ho paura».

«Oh! no! C’è qui Gesù! Non bisogna aver paura dove è Gesù. Il mio Bambino ti ha levato la sofferenza, tu l’hai detto, quando era come un boccio appena formato. Ora che sempre più si completa e già vive come creatura mia -ne sento battere il cuoricino nella mia gola e mi par di aver posato su essa un uccellino di nido dal cuoricino pulsante leggero- leverà da te ogni pericolo. Devi aver Fede».

«Ne ho. Ma se morissi… non lasciare subito Zaccaria. So che pensi alla tua casa. Ma resta un poco ancora. Per aiutare l’uomo mio nel primo dolore».

«Io resterò per bearmi della tua e della sua gioia, e ti lascerò quando sarai forte e lieta. Ma stai quieta, Elisabetta. Tutto andrà bene. La tua casa non soffrirà di nulla mentre tu soffrirai. Zaccaria sarà servito dalla più amorosa ancella, i tuoi fiori saranno curati, e curati i colombi, e li troverai, questi e quelli, lieti e belli per far festa alla ben tornata padrona. Rientriamo, ora, perché tu impallidisci…».

«Sì, mi pare di soffrire di nuovo. Forse l’ora è giunta. Maria, prega per me».

«Ti sorreggerò con la preghiera finché il tuo travaglio non sarà finito in gioia».

E le due donne rientrano lentamente in casa. Elisabetta si ritira nelle sue stanze. Maria, destra e previdente, dà ordini e prepara tutto quanto può occorrere, e conforta Zaccaria impensierito. Nella casa, che veglia in questa notte e dove ci sono voci estranee di donne chiamate in aiuto, Maria resta vigile come un faro in una notte di tempesta. Tutta la casa gravita su Lei.

Ed Ella, dolce e sorridente, provvede a tutto. E prega. Quando non è chiamata per questo o quello, Ella si raccoglie in preghiera. È nella stanza dove si raccoglievano sempre per i pasti e per il lavoro. E con Lei è Zaccaria, che sospira e passeggia turbato. Hanno già pregato insieme. Poi Maria ha continuato a pregare. Anche ora che il vecchio, stanco, si è seduto sul suo seggiolone presso la tavola e tace sonnacchioso, Ella prega.

E quando lo vede dormire del tutto, col capo sulle braccia conserte appoggiate al tavolo, Ella si slaccia i sandali per far meno rumore e cammina scalza e, facendo meno chiasso di quanto può farne una farfalla aggirandosi per una camera, Ella prende il mantello di Zaccaria e glielo stende sopra con leggerezza tale che egli continua a dormire nel tepore della lana che lo difende dal fresco notturno, che entra a sbuffi dalla porta di sovente aperta.

Poi torna a pregare. E sempre più intensamente prega, in ginocchio, a braccia alzate, quando il lamento della sofferente si fa più acuto.

Sara entra e le fa cenno di uscire. Maria esce, coi suoi piedi scalzi, nel giardino. «La padrona vi vuole» dice.

«Vengo» e Maria cammina lungo la casa, sale la scala… Pare un angelo bianco che si aggiri nella notte quieta e piena di astri. Entra da Elisabetta.

«Oh! Maria! Maria! Quanto dolore! Non ne posso più, Maria! Quanto dolore si deve soffrire per esser madre!».

Maria la carezza con amore e la bacia.

«Maria! Maria! Lasciami mettere le mani sul tuo seno!».

Maria prende le due mani rugose e gonfie e se le posa sull’addome arrotondato, tenendole premute con le sue manine lisce e sottili. E parla piano, ora che sono sole:

«Gesù è lì che ti sente e vede. Confida, Elisabetta. Il suo Cuore santo batte più forte, poiché Egli ora opera per il tuo bene. Lo sento palpitare come lo avessi fra mano e mano. Io le capisco le parole di palpito che mi dice il mio Bambino. Egli ora mi dice: “Dì alla donna che non tema. Ancora un poco di dolore. E poi, col primo sole, fra le tante rose che aspettano quel raggio mattutino per aprirsi sullo stelo, la sua casa avrà la rosa più bella, e sarà Giovanni, il mio Precursore”.

Elisabetta posa anche il volto sul seno di Maria e piange piano. Maria sta qualche tempo così, poiché pare che il dolore si assopisca in una sosta di ristoro. E accenna a tutti di star quieti. Resta in piedi, bianca e bella nel tenue chiarore di un lume ad olio, come un angelo presso chi soffre.

Prega. Le vedo muovere le labbra. Ma, anche se non le vedessi muovere, capirei che prega dall’espressione rapita del viso.

Il tempo passa. E il dolore riprende Elisabetta. Maria la bacia nuovamente e si ritira. Scende svelta nel raggio di luna e corre a vedere se il vecchio dorme ancora. Dorme, e geme nel sonno. Maria ha un gesto di pietà. Si rimette a pregare.

Passa il tempo. Il vecchio si scuote dal suo sonno ed alza un volto confuso, come di chi mal si sovviene perché è lì. Poi ricorda. Ha un gesto e un’esclamazione gutturale. Poi scrive: «Non è nato ancora?».

Maria fa un cenno di diniego. Zaccaria scrive: «Quanto dolore! Povera donna mia! Riuscirà senza morirne?».

Maria prende la mano del vecchio e lo rassicura: «All’alba, fra poco, il bambino sarà nato. Tutto andrà bene. Elisabetta è forte. Come sarà bello questo giorno -poiché fra poco è giorno- in cui il tuo bambino vedrà la luce! Il più bello della tua vita! Grazie grandi ha in serbo per te il Signore, e il tuo bambino ne è l’annunziatore».

Zaccaria scuote il capo mestamente e accenna alla sua bocca muta. Vorrebbe dire tante cose e non può. Maria comprende e risponde:

«Il Signore farà completa la tua gioia. Credi in Lui completamente, spera infinitamente, ama totalmente. L’Altissimo ti esaudirà più che tu non osi sperarlo. Egli vuole questa tua fede totale a lavacro della tua diffidenza passata. Di’ nel tuo cuore, con me: “Credo”. Dillo ad ogni battito del cuore. I tesori di Dio si aprono a chi crede in Lui e nella sua potente bontà».

La luce comincia a penetrare dalla porta socchiusa. Maria l’apre. L’alba fa tutta bianca la terra rugiadosa. C’è un grande odore di terra umida e di verde, e i primi zirli di uccelli si chiamano da ramo a ramo.

Il vecchio e Maria vanno sulla porta. Sono pallidi per la notte insonne e la luce dell’alba li fa ancor più pallidi. Maria si rimette i suoi sandali e va ai piedi della scala e ascolta. E quando una donna si affaccia, accenna e poi torna. Nulla ancora.

Maria va in una stanza e torna con del latte caldo che fa bere al vecchio, va dai colombi, torna a scomparire in quella stanza. Forse è la cucina. Gira, sorveglia. Pare abbia dormito il più bel sonno, tanto è svelta e serena.

Zaccaria passeggia nervosamente su e giù per il giardino. Maria lo guarda con pietà. Poi entra di nuovo nella stanza solita e, inginocchiata presso il suo telaio, prega intensamente, perché il lagno della sofferente si fa più acuto. Si curva fino a terra per supplicare l’Eterno.

Zaccaria rientra e la vede così prostrata e piange, il povero vecchio. Maria si alza e lo prende per mano. È tanto più giovane, ma pare Lei la mamma di quella vecchiezza desolata, e versa su essa i suoi conforti.

Stanno così l’uno presso l’altra nel sole che fa rosea l’aria del mattino, e così li raggiunge l’annuncio festante: «È nato! È nato! Un maschio! Padre felice! Un maschio florido come una rosa, bello come il sole, forte e buono come la madre. Gioia a te, padre benedetto dal Signore, che un figlio ti ha dato perché tu lo offra al suo Tempio. Gloria a Dio, che ha concesso posterità a questa casa! Benedizione a te ed al figlio che ti è nato! Possa la sua progenie perpetuare il tuo nome nei secoli dei secoli per generazioni e generazioni, e sia sempre in alleanza col Signore eterno».

Maria con lacrime di gioia benedice il Signore. E poi i due ricevono il piccolo, portato al padre perché lo benedica. Zaccaria non va da Elisabetta. Riceve il bambino, che strilla come un disperato, ma non va dalla moglie. Ci va Maria, portando con amore il piccino, il quale tace subito non appena Lei lo prende fra le braccia.

La comare che la segue nota il fatto. «Donna» dice a Elisabetta. «Il tuo bambino ha subito taciuto quando Ella lo ha preso. Guarda come dorme quieto. E lo sa il Cielo quanto è inquieto e forte. Ora, guarda! Pare un colombino».

Maria posa la creatura presso la madre e la carezza ravviandole i capelli grigi.

«La rosa è nata» le dice piano. «E tu sei viva. Zaccaria è felice».

«Parla?».

«Non ancora. Ma spera nel Signore. Riposa, adesso. Io sto con te».

 

(Dice la Vergine Maria)

«Se la mia presenza aveva santificato il Battista, non aveva levato ad Elisabetta la condanna venuta da Eva. “Tu darai dei figli con dolore” aveva detto l’Eterno. Io sola, senza macchia e che non avevo avuto coniugio umano, fui esente dal generare con dolore.

La tristezza e il dolore sono i frutti della colpa. Io, che ero l’Incolpevole, dovetti conoscere anche il dolore e la tristezza, perché ero la Corredentrice. Ma non conobbi lo strazio del generare. No. Non conobbi questo strazio.

Ma credimi, o figlia, che non vi fu né vi sarà mai strazio di puerperio simile al mio di Martire di una Maternità spirituale che si è compita sul più duro letto, quello della mia croce, ai piedi del patibolo del Figlio che mi moriva. E quale la madre che si trovi costretta a generare in tal modo? A mescolare lo strazio delle viscere, che si lacerano per i rantoli della sua Creatura morente, a quello delle viscere che si convellono per dover superare l’orrore di dover dire: “Vi amo. Venite a me che vi son Madre” agli uccisori del Figlio nato dal più sublime amore che abbia mai visto il Cielo, dall’amore di un Dio con una Vergine, dal bacio di Fuoco, dall’abbraccio di Luce che si fecero Carne, e di un seno di donna fecero il Tabernacolo di Dio?

“Quanto dolore per esser madre!” dice Elisabetta. Tanto! Ma un nulla rispetto al mio.

“Lasciami mettere le mani sul tuo seno”. Oh! se nel vostro soffrire mi chiedeste sempre questo!

Io sono l’eterna Portatrice di Gesù. Egli è nel seno mio, come tu lo hai visto lo scorso anno, come Ostia nell’ostensorio.

Chi viene a me, Lui trova. Chi a me si appoggia, Lui tocca. Chi a me si volge, con Lui parla.

Io sono la sua veste. Egli è l’anima mia. Più, più ancora unito, ora, di quanto non fosse nei nove mesi che mi cresceva in seno, il Figlio mio è unito alla sua Mamma. E si assopisce ogni dolore, e fiorisce ogni speranza, e fluisce ogni Grazia a chi viene a Me e mi posa il suo capo sul seno.

Io prego per voi. Ricordatevelo. La beatitudine d’esser nel Cielo, vivente nel raggio di Dio, non mi smemora dei miei figli che soffrono sulla terra. Ed io prego. Tutto il Cielo prega. Poiché il Cielo ama. Il Cielo è carità che vive. E la carità ha pietà di voi.

Ma, non ci fossi che Io, vi sarebbe già sufficiente preghiera per i bisogni di chi spera in Dio. Poiché Io non cesso di pregare per voi tutti, santi e malvagi, per dare ai santi la gioia, per dare ai malvagi il pentimento che salva.

Venite, venite, o figli del mio dolore. Vi attendo ai piedi della Croce per darvi Grazia».

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

 

XI Domenica del Tempo Ordinario Anno A

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Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 4,26-34

In quel tempo, Gesù diceva alla folla: «Il Regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il Regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra». Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere. Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa.

 

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 3 – Capitolo 184 (10 giugno 1945)

Il miracolo deve essere avvenuto da poco, perché gli Apostoli ne parlano e anche dei cittadini commentano, additandosi il Maestro che se ne va, diritto e severo, verso la periferia della città, verso la parte dei poveri.

Si ferma ad una casuccia da cui esce saltellando un bambino seguito dalla madre.

«Donna, mi lasci entrare nel tuo orto e sostare un poco finché il sole perda il suo calore?».

«Entra, Signore. Anche in cucina se vuoi. Ti porterò acqua e ristoro»

«Non ti affaticare. Mi basta rimanere in questo orto quieto».

Ma la donna vuole offrire acqua temperata da non so che, e poi gironzola per l’orto come vogliosa di parlare e non osa. Si occupa delle sue verdure, ma è una finta. In realtà si occupa del Maestro e le dà noia il bambino che coi suoi strilli, quando acciuffa una farfalla o un altro insetto, le impedisce di sentire ciò che Gesù dice. Se ne inquieta e lascia andare uno schiaffetto al bambino, il quale… strilla più forte.

Gesù -che stava rispondendo allo Zelote, che gli aveva chiesto: «Credi che Maria  Maddalena ne sia scossa?», con queste, parole: «Più che non vi appaia…»- si volge e chiama a sé il bambino, che accorre a finire il suo pianto sui ginocchi di Gesù.

La donna chiama: «Beniamino! Vieni qui. Non disturbare».

Ma Gesù dice: «Lascialo, lascialo. Starà buono e ti lascerà quieta»; poi al bambino: «Non piangere. Non ti ha fatto male la mamma. Solo ti ha fatto ubbidire, anzi, ti voleva fare ubbidire. Perché strillavi mentre lei voleva silenzio? Forse si sente male e i tuoi gridi le danno noia».

Il bambino, svelto svelto, con quella insuperabile schiettezza dei bambini che è la disperazione dei grandi, dice: «No. Non si sente male. Ma voleva sentire quello che Tu dicevi… Me lo ha detto. Ma io, che volevo venire da Te, facevo chiasso apposta perché Tu mi guardassi».

Ridono tutti e la donna si fa di fiamma.

«Non arrossire, donna. Vieni qui. Mi volevi sentire parlare? Perché?».

«Perché sei il Messia. Non puoi essere che Tu il Messia, col miracolo che hai fatto… E mi piaceva sentirti. Io non vado mai fuori di Magdala perché ho… un marito difficile e cinque bambini. Il più piccolo ha quattro mesi… e Tu qui non vieni mai».

«Sono venuto, e nella tua casa. Lo vedi».

«Per questo volevo sentirti».

«Dove è tuo marito?».

«Sul mare, Signore. Se non si pesca non si mangia. Io non ho che questo orticello. Può bastare a sette persone? Eppure Zaccheo vorrebbe che sì…»

«Sii paziente, donna. Tutti hanno la loro croce».

«Eh! no! Le spudorate non hanno che il godere. Hai visto l’opera delle spudorate! Godono e fanno soffrire. Loro non si spezzano le reni nel figliare e nel lavorare. Non si fanno venire le vesciche con la zappa o si spellano le mani con i bucati. Loro sono belle, fresche. Per loro non c’è la condanna di Eva. Sono la condanna nostra, anzi, perché… gli uomini… Tu mi capisci».

«Ti capisco. Ma sappi che hanno anche loro la loro tremenda croce. La più tremenda. Quella che non si vede. Quella della coscienza che le rimprovera, del mondo che le schernisce, del loro sangue che le ripudia, di Dio che le maledice.

Non sono felici, credi. Non si spezzano le reni nel generare e nel lavorare, non si fanno venire piaghe alle mani nel faticare. Ma si sentono spezzate lo stesso, e con vergogna. Ma il loro cuore è tutto una piaga.

Non invidiare il loro aspetto, la loro freschezza, la loro apparente serenità. È un velo steso su una rovina che morde e non dà pace. Non invidiare il loro sonno, tu, madre onesta che sogni i tuoi innocenti… Esse hanno l’incubo sul loro guanciale. E domani, nel giorno che saranno all’agonia o alla vecchiaia, il rimorso e il terrore».

« È vero… Perdona… Mi lasci stare qui?».

«Rimani. Racconteremo una bella parabola a Beniamino, e quelli che non sono bambini l’applicheranno a loro stessi ed a Maria di Magdala. Udite.

In voi è il dubbio sulla conversione di Maria al bene. Nessun segno in lei dà un indice verso questo passo. Sfrontata e impudente ella, conscia del suo grado e del suo potere, ha osato sfidare la gente e venire persino sulla soglia della casa dove si piange per causa sua. Al rimprovero di Pietro risponde con una risata. Al mio sguardo che l’invita con l’irrigidirsi superba.

Voi forse avreste voluto, chi per amore verso Lazzaro, chi per amore verso di Me, che Io le parlassi direttamente, a lungo, soggiogandola col mio potere, mostrando la mia forza di Messia Salvatore. No. Non occorre tanto.

L’ho detto per un’altra peccatrice molti mesi sono. Le anime devono farsi da sé. Io passo, getto il seme. Nel segreto il seme lavora. L’anima va rispettata in questo suo lavoro. Se il primo seme non attecchisce se ne semina un altro, un altro… ritirandosi solo quando si hanno prove sicure della inutilità del seminare. E si prega. La preghiera è come la rugiada sulle zolle: le tiene morbide e nutrite, e il seme può germogliare. Non fai così tu, donna, con le tue verdure?

Ora ascoltate la parabola del lavoro di Dio nei cuori per fondarvi il suo Regno. Perché ogni cuore è un piccolo regno di Dio sulla terra. Dopo, oltre la morte, tutti questi piccoli regni si agglomerano in uno solo, nello smisurato, santo, eterno Regno dei Cieli.

Il Regno di Dio nei cuori è creato dal Seminatore divino. Egli viene al suo podere -l’uomo è di Dio, perciò ogni uomo è inizialmente suo- e vi sparge il suo seme. Poi se ne va ad altri poderi, ad altri cuori. Si succedono i giorni alle notti e le notti ai giorni. I giorni portano sole o piogge, in questo caso raggi d’amore divino e effusione della divina Sapienza che parla allo spirito. Le notti portano stelle e silenzio riposante: nel nostro caso richiami luminosi di Dio e silenzio per lo spirito perché l’anima si raccolga e mediti.

Il seme, in questo succedersi di provvidenze inavvertibili e potenti, si gonfia, si fende, mette radici, si abbarbica, getta fuori le prime fogliette, cresce. Tutto questo senza che l’uomo lo aiuti. La terra produce spontaneamente l’erba dal seme, poi l’erba si fortifica e sorregge la spiga che sorge, poi la spiga si alza, si gonfia, si indurisce, si fa bionda, dura, perfetta nel suo granire. Quando è matura torna il seminatore e vi mette la falce, perché il tempo della perfezione è venuto per quel seme. Di più non potrebbe evolversi e per questo viene colto.

Nei cuori la mia Parola fa lo stesso lavoro. Parlo dei cuori che accolgono il seme. Ma il lavoro è lento. Bisogna non sciupare tutto con l’intempestività. Come è faticoso al piccolo seme fendersi e conficcare le radici nella terra! Anche al duro e selvaggio cuore è penoso questo lavoro.

Deve aprirsi, lasciarsi frugare, accogliere cose nuove, faticare a nutrirle, apparire diverso perché coperto di umili ed utili cose e non più dell’attraente, pomposo e inutile esuberante fiorire che lo copriva prima. Deve accontentarsi di lavorare con umiltà, senza attirare ammirazione, per l’utile dell’Idea divina. Deve spremere tutte le sue capacità per crescere e fare spiga. Si deve arroventare d’amore per divenire grano.

E quando, dopo avere superato rispetti umani tanto, tanto, tanto penosi; dopo aver faticato, sofferto ed essersi affezionato alla sua nuova veste, ecco che se ne deve spogliare con un taglio crudele. Dare tutto per avere tutto. Rimanere spoglia per essere rivestito in Cielo della stola dei Santi.

La vita del peccatore che diventa santo è il più lungo, eroico, glorioso combattimento. Io ve lo dico. Comprendete da quanto vi ho detto che è giusto che Io agisca verso Maria come agisco. Ho forse agito diverso con te, Matteo?».

«No, mio Signore».

«E, dimmi il vero, ti ha più persuaso la mia pazienza o le rampogne acerbe dei farisei?».

«La tua pazienza, tanto che sono qui. I farisei, coi loro sprezzi e i loro anatemi, mi facevano sprezzante, e per sprezzo facevo ancor più male di quanto avevo fino allora fatto. Succede così. Ci si irrigidisce di più quando, essendo in peccato, ci si sente trattare da peccatori. Ma quando in luogo di un insulto ci viene una carezza, si resta sbalorditi; poi si piange… e quando si piange l’armatura del peccato si schiavarda e crolla. Si resta nudi davanti alla Bontà e la si supplica, col cuore, di investirci di sé».

«Hai detto bene. Beniamino, ti piace la storia? Sì? Bravo. E la mamma dove è?».

Risponde Giacomo d’Alfeo: « È uscita al termine della parabola, andando di corsa per quella via».

«Andrà al mare per vedere se viene lo sposo» dice Tommaso.

«No. È andata dalla vecchia madre a prendere i fratellini. La mamma li porta là per potere lavorare» dice il bambino appoggiato confidenzialmente ai ginocchi di Gesù.

«E tu stai qui, uomo? Devi essere un bell’aspide se ti tiene solo!» osserva Bartolomeo.

«Io sono il più grande, e l’aiuto…»

«A guadagnarsi il Paradiso, povera donna! Quanti anni hai?» chiede Pietro.

«Fra tre anni sono figlio della Legge» dice con superbia il monello.

«Sai leggere?» domanda il Taddeo.

«Sì… ma vado adagio perché… perché il maestro mi mette fuori quasi tutti i giorni…».

«L’ho detto io!» dice Bartolomeo.

«Ma faccio così perché il maestro è vecchio e brutto e dice sempre le stesse cose che fanno dormire! Fosse come Lui (e accenna a Gesù) starei attento. Picchi, Tu, chi dorme o giuoca?».

«Io non picchio nessuno. Ma dico ai miei scolari: “State attenti per vostro bene e per amore mio”» risponde Gesù.

«Ecco, così sì! Per amore sì. Non per paura».

«Ma se tu diventi buono, il maestro ti vuole bene».

«Tu vuoi bene solo a chi è buono? Poco fa hai detto che sei stato paziente con questo qui, che non era buono…».

La logica infantile è stringente.

«Io sono buono con tutti. Ma chi diventa buono è amato molto, molto da Me, e con quello sono tanto, tanto buono».

Il bambino pensa… poi alza la testa e chiede a Matteo: «Tu come hai fatto a diventare buono?».

«Gli ho voluto bene».

Il bambino pensa ancora, e poi guarda i dodici e dice a Gesù: «Sono tutti buoni questi?».

«Certamente che lo sono».

«Ne sei sicuro? Delle volte io faccio il buono, ma è quando voglio fare un… danno più grosso».

La risata di tutti è fragorosa. Ride anche l’ometto in via di confessarsi. Ride anche Gesù, che se lo stringe al cuore e lo bacia. Il bambino, ormai molto amico di tutti, vuole giocare e dice: «Ora ti dico io chi è buono» e inizia la sua scelta.

Guarda tutti e va dritto da Giovanni e Andrea, che sono vicini, e dice: «Tu e tu. Venite qui».

Poi sceglie i due Giacomi e li unisce ai due. Poi prende il Taddeo. Resta molto in pensiero davanti allo Zelote e a Bartolomeo e dice: «Siete vecchi, ma siete buoni» e li unisce agli altri. Considera Pietro, che subisce l’esame facendo degli occhiacci per burla, e lo trova buono.

Matteo anche lui passa e così Filippo. A Tommaso dice: «Tu ridi troppo. Io faccio sul serio. Non sai che il mio maestro dice che chi ride sempre sbaglia poi alla prova?». Ma insomma anche Tommaso passa, con pochi voti, ma passa l’esame. Poi il bambino torna da Gesù.

«Ehi, monello! Ci sono anche io! Non sono una pianta. Sono giovane e bello. Perché non mi esamini?» dice Giuda Iscariota.

«Perché non mi piaci. La mamma dice che quando una cosa non piace non la si tocca. Si lascia sulla tavola, che la prendano gli altri ai quali può piacere. E dice che, se uno offre una cosa che non piace, non si dice: “Non mi piace”. Ma si dice: “Grazie, non ho fame”. Io non ho fame di te».

«Ma come? Guarda, se mi dici che sono buono ti do questa moneta».

«Che me ne faccio? Cosa compero con una bugia? La mamma dice che i denari frutti di inganno diventano paglia. Una volta dalla madre vecchia mi sono fatto dare con una bugia un didramma per comperarmi le focacce col miele, e nella notte mi è diventato paglia. Lo avevo messo in quel buco lì, sotto la porta, per prenderlo al mattino, e ci ho trovato un mannello di paglia».

«Ma perché non mi vedi buono? Che ho? Il piede fesso? Sono brutto?».

«No. Ma mi fai paura».

«Ma perché?» chiede l’Iscariota avvicinandosi.

«Non so. Lasciami stare. Non mi toccare o ti graffio».

«Che istrice! È folle». Giuda ride male.

«Non folle. Tu sei cattivo» e il bambino si rifugia in grembo a Gesù, che lo carezza senza parlare. Gli apostoli scherzano sull’accaduto, poco lusinghiero per l’Iscariota. Intanto ecco che torna la donna con una dozzina di persone e poi, ancora, ecco altre e altre. Saranno cinquanta circa. Tutta povera gente.

«Parleresti loro? Almeno un pochino. Questa è la madre di mio marito, questi i miei figli. E quell’uomo là è mio marito. Una parola, Signore» supplica la donna.

«Per dirti grazie dell’ospitalità. Sì. La dico».

La donna entra in casa dove la reclama il poppante e si siede sulla soglia dando il seno da succhiare.

«Udite. Qui sulle mie ginocchia ho un bambino che ha parlato molto saggiamente. Ha detto: “Tutte le cose ottenute con inganno divengono paglia”.

La sua mamma gli ha insegnato questa verità.

Non è favola. È verità eterna. Non riesce mai bene quanto si fa senza onestà. Perché la menzogna nelle parole, negli atti, nella religione, è sempre segno della alleanza con satana, maestro di menzogna.

Non vogliate credere che le opere atte a conseguire il Regno dei Cieli siano opere fragorosamente vistose. Sono atti continui, comuni, ma fatti con un fine soprannaturale d’amore. L’amore è il seme della pianta che nascendo in voi cresce fino al Cielo, e alla cui ombra nascono tutte le altre virtù.

Lo paragonerò ad un minuscolo granello di senape. Come è piccino! Uno dei più piccoli fra i semi che l’uomo sparge. Eppure guardate, quando è compita la pianta, quanto si fa forte e fronzuta e quanto frutto dà. Non il cento per cento, ma il cento per uno. Il più piccolo. Ma il più solerte nel lavorare. Quanto utile vi dona.

Così l’amore. Se voi chiuderete nel vostro seno un semino d’amore per il nostro santissimo Iddio e per il vostro prossimo e sulla guida dell’amore farete le vostre azioni, non mancherete a nessun precetto del Decalogo. Non mentirete a Dio con una falsa religione, di pratiche e non di spirito. Non mentirete al prossimo con una condotta di figli ingrati, di sposi adulteri o anche solo troppo esigenti, di ladri nei commerci, di mentitori nella vita, di violenti verso chi vi è nemico.

Guardate in quest’ora calda quanti uccellini si rifugiano fra le ramaglie di quest’orto. Fra poco quel solco di senape, per ora ancora piccina, sarà un vero passeraio. Tutti gli uccelli verranno al sicuro e all’ombra di quelle piante così folte e comode, ed i piccoli degli uccelli impareranno a fare sicura l’ala proprio fra quel rameggiare che fa scala e rete per salire e per non cadere. Così l’amore, base del Regno di Dio.

Amate e sarete amati. Amate e vi compatirete. Amate e non sarete crudeli volendo più di quanto non sia lecito da chi vi è sottoposto.

Amore e sincerità per ottenere la pace e la gloria dei Cieli. Altrimenti, come ha detto Beniamino, ogni vostra azione, fatta mentendo all’amore e alla verità, vi si muterà in paglia per il vostro letto infernale. Io non vi dico altre cose. Vi dico solo: abbiate presente il grande precetto dell’amore e siate fedeli a Dio Verità ed alla verità in ogni parola, atto e sentimento, perché la verità è figlia di Dio. Una continua opera di perfezionamento di voi, così come il seme continuamente cresce fino alla sua perfezione.

Un’opera silenziosa, umile, paziente. Siate certi che Dio vede le vostre lotte e vi premia più di un egoismo vinto, di una parola villana trattenuta, di un’esigenza non imposta, che non se, armati in battaglia, uccideste il nemico.

Il Regno dei Cieli, di cui sarete possessori se vivrete da giusti, è costruito con le piccole cose di ogni giorno. Con la bontà, la morigeratezza, la pazienza, col contentarsi di ciò che si ha, con il compatimento reciproco, con l’amore, l’amore, l’amore.

Siate buoni. Vivete in pace gli uni con gli altri. Non mormorate. Non giudicate. Dio sarà allora con voi. Vi do la mia pace come benedizione e ringraziamento della Fede che avete in Me».

Poi Gesù si volge alla donna dicendo: «Dio benedica te in particolare, perché sei una santa moglie e una santa madre. Persevera nella virtù. Addio, Beniamino. Sii sempre più amante della verità, e ubbidisci a tua madre. La benedizione a te e ai tuoi fratellini, e a te madre».

Un uomo si fa avanti. E confuso e balbetta: «Ma, ma… io sono commosso di quanto dici di mia moglie… Non sapevo…»

«Non hai occhi e intelletto forse?».

«Li ho».

«Perché non li usi? Vuoi che te li snebbi?».

«Lo hai già fatto, Signore. Ma le voglio bene, sai? È che… ci si abitua… e… e…»

«E ci si crede lecito pretendere troppo perché l’altro è più buono di noi… Non lo fare più. Sei sempre in pericolo col tuo mestiere. Non temere delle burrasche se Dio è con te. Ma se con te è l’Ingiustizia, temi fortemente. Hai capito?».

«Più che Tu non dica. Ma cercherò di ubbidirti… Non sapevo… Non sapevo…» e guarda la moglie come la vedesse per la prima volta.

Gesù benedice ed esce sulla stradetta. Riprende il cammino verso la campagna.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

X DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B Mc 3,20-35

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GESU’ RISPOSE: CHI FA LA VOLONTÀ DI DIO È PER ME FRATELLO, SORELLA E MADRE

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 3,20-35)
In quel tempo, Gesù entrò in una casa e di nuovo si radunò una folla, tanto che non potevano neppure mangiare. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé».
Gli scribi, che erano scesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni».
Ma egli li chiamò e con parabole diceva loro: «Come può Satana scacciare Satana? Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi; se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi. Anche Satana, se si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito. Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa.
In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna». Poiché dicevano: «È posseduto da uno spirito impuro».
Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, mandarono a chiamarlo. Attorno a lui era seduta una folla, e gli dissero: «Ecco, tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle stanno fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Gli scribi, accecati nella loro opposizione al Signore, diffondono la voce che Gesù ha potere sui demoni perché egli è
sottomesso a Beelzebul. Davanti a tali dicerie, il Signore vuole insegnare ai suoi discepoli l’importanza della comunione: il regno che è venuto a stabilire sulla terra non vacillerà e non perderà la sua virtù, se essi rimarranno uniti. Approfittiamo di questo insegnamento per esaminare il nostro atteggiamento di fronte alle azioni del prossimo, e in particolare se si tratta di membri della Chiesa. Pensiamo per esempio che i giudizi inutili – e talvolta temerari -, i dubbi senza motivo o i commenti negativi sulle intenzioni degli altri infrangono l’unità e la comunione della Chiesa. Noi dobbiamo avere, al contrario, un grande amore per l’unità, nella diversità legittima che si riscontra nel popolo di Dio. Anche se siamo tutti molto diversi, il nostro amore per la Chiesa saprà passare sopra questa diversità. Se ci orientiamo veramente verso la santità, lottando nel cammino che Dio stabilisce per ognuno di noi, perché non dovremmo essere uniti? E, se vediamo dei difetti negli altri, il nostro atteggiamento sarà di comprensione piena di misericordia, cercando di aiutarli a superarli. Abbiamo quindi bisogno di una grande rettitudine e umiltà, per evitare la posizione di coloro che – come quelli che accusano il Signore di essere posseduto da uno spirito immondo – interpretano male l’opera degli altri e rifiutano per principio di riconoscere l’azione di Dio nelle iniziative altrui.

FESTA DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA

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FESTA DEL CUORE IMMACOLATO DI MARIA

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 2,41-51)
I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Si dice che una cosa è immacolata quando è priva di qualsiasi macchia. Ciò che è immacolato non ha né difetti né imperfezioni. Quando uno dice: “Questa stanza è immacolata”, intende dire che la stanza è molto pulita. Dire a qualcuno: “Appari immacolato” significa che i suoi abiti sono stirati con eleganza e non fanno una grinza, mentre si presenta in ordine anche nel resto: capelli, unghie, barba: tutto è perfettamente apposto. Il cuore è l’organo del corpo che pompa sangue attraverso il sistema circolatorio. Però, la parola “cuore” si riferisce spesso al centro emozionale di una persona. L’amore e l’odio, il coraggio e la paura, la fiducia e l’offesa sono ritenuti come aventi la loro sede nel cuore. Dire a uno: “Abbi cuore” comporta un riferimento alla compassione umana. Certe funzioni, che sono localizzate nel cervello, vengono alle volte considerate come se fossero nel cuore. Maria, la Madre di Gesù, “serbava tutte queste cose nel suo cuore”. Dopo la nascita di Gesù e la visita dei pastori, Maria “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Fece cosi anche dopo che ebbe ritrovato Gesù dodicenne nel Tempio (Lc 2,5 1). Nel cuore puro della Madre di Dio, erano conservate le meraviglie della rivelazione di Dio al suo popolo.
Dio continua a rivelarsi nel cuore degli uomini. Ciò avviene spesso come una meditazione: uno sta seduto con calma e, senza dire una parola, riflette sugli eventi della giornata; cerca la presenza di Dio nel quotidiano della vita, negli incontri sul lavoro, nelle conversazioni durante il pranzo, mentre nella sua auto torna a casa alla sera, a tavola in famiglia durante la cena, ecc. In questi eventi, si può scoprire che è Dio che guida e porta avanti ogni cosa; è lui che aiuta a crescere nella grazia, a comprendere le sue vie. Riflettendo su queste cose. uno le serba nel suo cuore.

SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO ANNO B Mc 14,12-16.22-26

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo, dice il Signore,
se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.

ostensorio

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 14,12-16.22-26)
Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. Parola del Signore.

Sequenza
[Sion, loda il Salvatore,
la tua guida, il tuo pastore
con inni e cantici.

Impegna tutto il tuo fervore:
egli supera ogni lode,
non vi è canto che sia degno.

Pane vivo, che dà vita:
questo è tema del tuo canto,
oggetto della lode.

Veramente fu donato
agli apostoli riuniti
in fraterna e sacra cena.

Lode piena e risonante,
gioia nobile e serena
sgorghi oggi dallo spirito.

Questa è la festa solenne
nella quale celebriamo
la prima sacra cena.

È il banchetto del nuovo Re,
nuova Pasqua, nuova legge;
e l’antico è giunto a termine.

Cede al nuovo il rito antico,
la realtà disperde l’ombra:
luce, non più tenebra.

Cristo lascia in sua memoria
ciò che ha fatto nella cena:
noi lo rinnoviamo.

Obbedienti al suo comando,
consacriamo il pane e il vino,
ostia di salvezza.

È certezza a noi cristiani:
si trasforma il pane in carne,
si fa sangue il vino.

Tu non vedi, non comprendi,
ma la fede ti conferma,
oltre la natura.

È un segno ciò che appare:
nasconde nel mistero
realtà sublimi.

Mangi carne, bevi sangue;
ma rimane Cristo intero
in ciascuna specie.

Chi ne mangia non lo spezza,
né separa, né divide:
intatto lo riceve.

Siano uno, siano mille,
ugualmente lo ricevono:
mai è consumato.

Vanno i buoni, vanno gli empi;
ma diversa ne è la sorte:
vita o morte provoca.

Vita ai buoni, morte agli empi:
nella stessa comunione
ben diverso è l’esito!

Quando spezzi il sacramento
non temere, ma ricorda:
Cristo è tanto in ogni parte,
quanto nell’intero.

È diviso solo il segno
non si tocca la sostanza;
nulla è diminuito
della sua persona.]

Ecco il pane degli angeli,
pane dei pellegrini,
vero pane dei figli:
non dev’essere gettato.

Con i simboli è annunziato,
in Isacco dato a morte,
nell’agnello della Pasqua,
nella manna data ai padri.

Buon pastore, vero pane,
o Gesù, pietà di noi:
nutrici e difendici,
portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi.

Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutri sulla terra,
conduci i tuoi fratelli
alla tavola del cielo
nella gioia dei tuoi santi.

RIFLESSIONI

Gesù ci ha promesso di stare con noi fino alla fine del mondo (Mt 28,20). Egli ha mantenuto la sua parola in molti modi. Egli è con noi nella sua parola, che è sempre una parola viva e santa, che conduce al Padre chi ad essa si affida. Egli è presente, ancora di più, nel sacramento del suo corpo e del suo sangue. E ciò merita certo una festa. Questo sacramento ci colma, innanzi tutto perché fa arrivare fino a noi l’“incarnazione” del Verbo divino: Dio continua a venire per restare. Non ci abbandonerà più. In secondo luogo, questo sacramento ci nutre: alimenta in noi quella vita divina che è la nostra vera vita, poiché è eterna. Questo sacramento, infine, ci fa vedere, sotto forma di pane e di vino, colui che gli apostoli hanno visto, ma, proprio come Gesù di Nazaret non era visto da tutti come il Messia, il sacramento del suo corpo e del suo sangue non convince tutti. Per chi si ferma alle apparenze, tale sacramento non costituisce una prova, poiché ciò che si vede non basta. Infatti si vede solo ciò che si lascia vedere. Per il credente invece, cioè per chi si lascia raggiungere dall’amore di Dio, questo sacramento è il più grande fra i segni, il segno che mette in comunione con Gesù stesso. Il credente è da esso trasfigurato, il suo peccato è purificato, grazie ad esso pregusta il banchetto promesso: quello delle nozze del Figlio.