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VI Domenica di Pasqua anno B

amarsi

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 15,9-17.

“Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri”.

Rivelazione a Maria Valtorta

Lezione sull’Epistola di San Paolo ai Romani

29-5 / 3-6-48

Ai Romani C. 7° v. 14

Dice il Dolce Ospite:

«La Legge è spirituale. Lo è anche quando vieta cose materiali.

Veramente nel Decalogo i comandi puramente spirituali sono i primi tre. Gli altri sette, e specie gli ultimi sei, sono divieti a peccati contro il prossimo, contro la sua vita, la sua proprietà, i suoi diritti, il suo onore. Si potrebbe allora dire che chiamare “spirituale” la Legge è giusto perché essa viene da Dio, ma non è in tutto giusto in quanto essa comanda, per due buoni terzi di essa, di non commettere atti materiali che Dio vieta di commettere.

Ma al di sopra dei dieci Comandamenti della Legge perfetta sta la perfezione della Legge, coi due Comandamenti dati dal Verbo docente: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente”. Questo è il massimo e primo Comandamento. Il secondo è simile a questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due Coman­damenti dipende tutta la Legge ed i profeti.

Nella luce della Luce, che è il Verbo, si illumina la spiritua­lità che è in tutta la Legge perché è data a far vivere nell’amore. Perché tutta la Legge riposa e vive per l’amore. E perché l’amore è cosa spirituale, quale che sia l’Ente o la creatura verso i quali si volge.

Triplice amore a Dio: amore del cuore, dell’anima, della men­te; perché nell’uomo è questa piccola trinità: materia (cuore), anima (spirito), mente (ragione); e giusto è che le tre cose create da Dio per fare un’unica creatura -l’uomo- a Dio ugualmente diano riconoscenza per l’essere che hanno avuto da Dio.

Triplice amore dunque: amore del cuore, dell’anima, della mente; perché Adamo peccò col cuore (concupiscenza della car­ne), con l’anima (concupiscenza dello spirito), con la mente (concupiscenza della ragione), uscendo dall’ordine, per abusare dei doni ricevuti da Dio, e offendendo Dio con gli stessi doni da Lui ricevuti perché l’uomo potesse somigliargli ed essergli causa di gloria.

Con le cose che peccarono va dunque riparato il peccato, can­cellata l’offesa, ristabilito l’ordine violato.

E il Verbo si fece Carne per fare ciò, e per ridarvi “la Grazia e Verità” e in misura piena, traboccante, inesauribile.

Con quanto peccò il primo uomo, l’Uomo-Dio ripara.

E insegna a voi, con l’esempio più ancor che con la dottrina, che è perfetta ma che potreste giudicare impossibile a praticarsi, come si ripara. Egli è Maestro di fatti, non solo di parole. E quanto Egli ha fatto voi potete fare.

In ogni uomo persiste l’eredità di Adamo.

È come nascosto in ogni carne un Adamo che può essere debole nella prova, come lo fu il primo Adamo all’origine del tempo. Ma Cristo è venu­to perché le vostre cadute siano riparate, risarcite le vostre piaghe, restituita la Grazia vitale quando la vostra debolezza nelle prove quotidiane vi fa morti di quella vita soprannaturale che il Battesimo vi aveva data.

Ma Cristo è venuto per esservi Maestro e Modello e perché voi gli siate discepoli e fratelli, non soltanto di nome e nella carne, ma in spirito e verità, imitandolo nella sua perfezione, nel suo triplice amore verso Dio.

Per questo triplice amore, Gesù fu fedele alla giustizia della carne, nonostante fosse provato e fosse libero nel suo libero ar­bitrio come ogni uomo.

Per questo triplice amore, Gesù fu perfetto nella giustizia del­l’anima, ossia nell’ubbidienza all’antico precetto divino: “Ame­rai il Signore Iddio tuo”, non sentendosi esente da questo dovere perché era Dio come il suo Eterno Generante.

Uomo-Dio, vero Uomo e vero Dio non per infusione temporanea dello Spi­rito di Dio in una carne predestinata a tal sorte, o per unione morale di un giusto col suo Dio, ma per unione ipostatica del­le due Nature, senza mutazione della natura divina perché unita a quella umana, senza alterazione della natura umana -composta di carne, mente, spirito- perché unita alla natura di­vina.

Per questo triplice amore, infine, Gesù fu sublime nella giusti­zia della mente, sottomettendo il suo intelletto perfettissimo non soltanto alla Legge divina, come deve fare ogni uomo che la co­nosca, ma anche ai disegni di Dio Padre per Lui e su Lui: l’Uo­mo, accettando ogni cosa proposta, compiendo ogni ubbidienza, sino all’estrema della morte di croce.

“Fattosi servo” per tutta un’umanità decaduta, Gesù ha pas­sato il segno da Lui stesso messo agli uomini perché raggiunga­no l’amore perfetto, ma non ha imposto agli uomini il sacrificio totale come termine d’amore per possedere il Cielo, e nel secon­do precetto d’amore non vi dice altro che: “Amate il vostro prossimo come amereste voi stessi ”.

Egli è andato oltre. Non si è limitato ad amare il prossimo suo come amava Se stesso, ma lo ha amato ben più di Se stesso, perché per dare “bene” a questo suo prossimo ha sacrificato la sua vita e l’ha consumata nel dolore e nella morte. Ma a voi non propone tanto. Gli basta che la grande maggioranza dei membri del suo Corpo Mistico portino la piccola croce di ogni giorno e amino il prossimo come amano se stessi.

Solo ai suoi eletti, ai suoi predestinati, Egli indica la sua Croce e la sua sorte e dice: “Amatevi come Io vi ho amato”, e insiste: “Nessuno ha un amore più grande di quello di colui che da la vita per i suoi amici”, e termina: “Voi siete miei amici, se fa­rete quello che Io comando”.

La predestinazione non è mai separata dall’eroismo.

I Santi so­no eroi. In questa o in quella maniera, nella maniera che Dio loro propone, la loro vita è eroica. Essi sanno ciò che fanno, sanno a cosa li conduce il fare ciò che fanno. Ma non se ne spa­ventano.

Sanno anche che ciò che loro fanno, serve a continuare la Passione di Cristo, e ad aumentare i tesori della Comunio­ne dei Santi, a salvare il mondo dai castighi di Dio, a strappare all’inferno tanti tiepidi e peccatori che, senza la loro immola­zione, non si salverebbero dalla dannazione.

Perché anche la tie­pidezza, raffreddando gradatamente la carità che ogni uomo de­ve avere per poter vivere in Dio, conduce lentamente alla morte dell’anima come per un’inedia spirituale.

Se la predestinazione fosse disgiunta dal volere eroico della creatura, sarebbe cosa non giusta. E Dio non può volere cose non giuste. Parlo qui della predestinazione alla santità, proclamata dalla giustizia della vita e dai fatti straordinari che punteggiano come stelle la vita e la via del predestinato fedele alla sua pre­destinazione alla gloria, e che continuano ad essere proclamati dai miracoli oltre la morte del predestinato.

Perché altra è la predestinazione alla Grazia divina, comune a tutti gli uomini, e perciò concessa gratuitamente da Dio in mi­sura sufficiente a salvarsi; e altra è la predestinazione alla glo­ria che viene data a quelli che durante la vita terrena hanno bene usato del dono della Grazia, e le sono rimasti fedeli nono­stante ogni prova di tentazione al male, o di ogni altro dono straordinario, accettato con commossa gioia, ma non preteso e non distrutto facendo di esso una stolta presunzione di essere tanto amati e tanto sicuri di possedere già la gloria, da non essere più necessario lottare e perseverare nell’eroismo per ar­rivarvi.

Il quietismo, nel quale degenerano talora i primi impulsi di uno spirito chiamato a via straordinaria, è inviso a Dio.

E così pure la superbia e la gola spirituale: i due peccati così facili ne­gli eletti, beneficati -e provati per confermarli nella missione o privarli di essa come indegni- da doni straordinari, i pecca­ti di Lucifero, di Adamo, di Giuda di Keriot,

– che avendo moltis­simo, vollero aver tutto;

– che credendosi sicuri di salvarsi sen­za merito e per il solo amore da parte di Dio;

– che fidando sol­tanto nell’infinita Bontà senza pensare che la perfetta, divina Bontà, pur essendo infinita, non diviene mai stoltezza e ingiusti­zia;

– che credendosi “dèi” perché tanto erano stati eletti, pecca­rono così gravemente.

Dio certamente sa quali saranno coloro che rimarranno perseveranti eroicamente sino alla fine, mentre l’uomo non sa se sarà perseverante sino alla fine.

E anche in questo è giustizia. Perché se Dio volesse che nono­stante il libero arbitrio dell’uomo, molto sovente causa contra­ria rispetto al conseguimento della gloria -perché l’uomo diffi­cilmente usa giustamente di questo regale dono di Dio, donato onde l’uomo, conscio del suo fine ultimo, liberamente elegga di compiere solo le azioni buone per meritare il conseguimento di quel beato fine- ogni uomo fosse salvo, costringerebbe gli uo­mini a non peccare.

Ma allora verrebbe meno al suo rispetto per la libertà dell’individuo, creato da Lui con tutti quei doni che lo rendono capace di distinguere il bene e il male, capace di com­prendere la legge morale e la legge divina, capace di tendere al suo fine e di raggiungerlo.

E verrebbe pure a mancare per ogni singolo predestinato la causa della gloria: l’eroicità della vita per rimanere fedele al fine per cui fu creato e per usare, e usare santamente, dei doni gratuiti avuti da Dio, di quei doni che sono i frutti mirabili del­l’Amore divino che vorrebbe la salvezza e il gaudio eterno di ogni uomo, ma che lascia libero l’uomo di volere il suo eterno futuro di gloria o di condanna.

Ed è anche giustizia, questo ignorare, da parte vostra, la vo­stra sorte ultima.

Perché se voi sapeste il vostro futuro eterno, restereste senza il movente che spinge i giusti ad agire per me­ritare la visione beatifica di Dio che è gaudio senza misura, e po­treste cadere o in quietismo o in superbia anche transitori, ma sempre sufficienti a crearvi più lunga espiazione e minor grado di gloria, mentre gli ingiusti avrebbero in ciò il movente che li spingerebbe a divenire veri satana tanto giungerebbero ad odiare e bestemmiare Dio, odiare e nuocere al prossimo loro, senza più alcun freno, sapendosi già destinati all’inferno.

No. Conoscendo la Legge e il fine a cui porta l’ubbidienza o la disubbidienza alla Legge, ma ignorando quanto solo l’onni­veggenza di Dio sa, onde non manchi ai giusti lo sprone del puro amore che meriterà loro la gloria, e non manchi ai perversi, che preferiscono peccato e delitto a giustizia e amore, la libertà di  seguire ciò che a loro piace -onde, nell’ora della divina condanna, non compiano l’estremo peccato contro l’Amore lanciando­gli questa blasfema accusa: “Ho agito così perché Tu, da sem­pre, mi avevi destinato all’inferno”- ogni creatura ragionevole deve liberamente scegliere la via che le piace, ed eleggersi il fi­ne preferito.

La predestinazione alla gloria non è un dono gratuito conces­so a tutti gli uomini, ma è una conquista, oltre che un dono, fat­ta dai perseveranti nella giustizia, una conquista che si ottiene coll’uso perfetto dei doni e aiuti di Dio e con la buona volontà che non lascia mai inerte alcuna cosa proposta o donata da Dio, ma tutto rende attivo e tutto volge al fine santo della visione intuitiva di Dio, e al possesso gaudioso di Lui.

Alcuno obbietta: “Ma allora solo coloro che sono santi al mo­mento della morte hanno la gloria? E gli altri? Il Purgatorio è forse prigione meno dolorosa, ma sempre costringente, che se­para le anime da Dio? Non sono dei predestinati al Cielo anche gli spiriti purganti?”.

Lo sono. Un giorno verrà, e sarà quello del Giudizio finale, nel quale il Purgatorio non sarà più, e i suoi abitanti passeranno al Regno di Dio. E anche il Limbo non sarà più, perché il Reden­tore è tale per tutti gli uomini che seguono la giustizia per ono­rare il Dio in cui credono, e per tendere a Lui, così come lo co­noscono, con tutte le loro forze.

Però quanto esilio ancora, dopo la vita terrena, per costoro! E quanto, per coloro che limitano il loro amare ed operare a quel minimo sufficiente a non farli morire in disgrazia di Dio, che co­noscono come cattolici!

Quanta differenza tra costoro, salvati, più che per merito loro, per i meriti infiniti del Salvatore, per l’intercessione di Maria, per i tesori della Comunione dei Santi e le preghiere e sacri­fici dei giusti, e coloro che vollero la gloria non per egoismo ma per amore a Dio!

Quanto tra i primi che, a fatica e con molte soste di languore, sussurri di malcontento, e anche smarrimenti su vie di egoismo, trascinano come una catena e un peso il loro limitatissimo amo­re, e i secondi che, veri amanti di Dio e imitatori di Gesù Cristo, “amano come Gesù ha amato” dando anche la vita, e sempre abbracciando ogni croce, chiedendo anzi la croce come dono dei doni, per salvare la vita dell’anima al prossimo loro, anime-ostie le quali al conoscimento divino appaiono da sempre “ami­ci di Gesù” perché faranno ciò che Egli comanda loro!».

VI Domenica di Pasqua anno Bultima modifica: 2018-05-06T14:44:28+02:00da angela1845
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