XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

7,31-37 Mc Effatá
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 7,31-37
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e Lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più Egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’ “Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 4 – Capitolo 29

Non so dove abbiano pernottato i pellegrini. So che è di nuovo mattina, che sono per via, sempre per luoghi montuosi, e che Gesù ha la mano fasciata e Giacomo di Alfeo ha fasciata la fronte, mentre Andrea zoppica forte e Giacomo di Zebedeo è senza la sacca, che ha preso suo fratello Giovanni.
Per due volte Gesù ha chiesto: «Ce la fai a camminare, Andrea?».
«Sì, Maestro. Cammino male per la fasciatura. Ma il dolore non è forte». E la seconda volta aggiunge: «E la tua mano, Maestro?».
«Una mano non è una gamba. Sta a riposo e duole poco».
«Uhm! Poco non credo, così gonfia e aperta fino all’osso come è… L’olio fa bene. Ma forse era meglio se di quell’unguento di tua Madre ce ne facevamo dare un poco da…».
«Da mia Madre. Hai ragione». dice svelto Gesù, sentendo ciò che sta per uscire dalle labbra di Pietro, che arrossisce confuso, guardando con uno sguardo così desolato il suo Gesù che Egli ne sorride e appoggia proprio la mano ferita sulla spalla di Pietro per attirarlo a sé.
«Ti farà male a stare così».
«No, Simone. Tu mi vuoi bene e il tuo amore è un grande olio salutare».
«Oh! allora, se è per questo, dovresti già essere guarito! Abbiamo sofferto tutti di vederti trattato così, e c’è chi ha pianto».
E Pietro guarda Giovanni e Andrea…
«Olio e acqua sono buona medicina, ma il pianto d’amore e di pietà è più potente di tutto. E, vedete? Io sono molto più lieto oggi di ieri. Perché oggi so quanto siete ubbidienti e amorosi di Me. Tutti», e Gesù li guarda col suo sguardo soave, nella cui ormai abituale mestizia è una luce tenue di gioia, questa mattina.
«Ma che iene! Mai visto un odio tale!» dice Giuda d’Alfeo. «Dovevano essere tutti giudei».
«No, fratello. Non c’entra la regione. L’odio è uguale dappertutto. Ricordati che a Nazareth, da mesi, fui cacciato e mi si voleva prendere a colpi di pietra. Non te lo ricordi?» dice calmo Gesù, e ciò serve a consolare quelli che sono giudei delle parole del Taddeo.
Tanto consolare che l’Iscariota dice: «Ma questo lo dirò. Oh! se lo dirò! Non facevamo nulla di male. Non abbiamo reagito e Lui ha parlato tutto amore all’inizio. E a sassate, come serpi, ci hanno preso. Lo dirò».
«E a chi mai, se sono tutti contro di noi?».
«Lo so io a chi. Intanto, non appena vedo Stefano o Erma, glielo dico. Lo saprà subito Gamaliele. Ma a Pasqua lo dirò a chi so io. Dirò: “Non è giusto fare così. Siete illegali nel vostro furore. Voi siete colpevoli, non Lui”».
«Faresti meglio a non andarci molto vicino a quei signori!… Mi sembra che anche tu sia in colpa agli occhi loro» consiglia saggiamente Filippo.
«È vero. Meglio è che non li avvicini mai più. Sì. È meglio. Ma a Stefano lo dirò. Lui è buono e non avvelena…».
«Lascia andare, Giuda. Non muteresti nulla in meglio. Io ho perdonato. Non ci pensiamo più» dice calmo e persuasivo Gesù.
Due volte, incontrando ruscelli, tanto Andrea come i due Giacomi si bagnano le fasce che hanno sulle contusioni. Gesù no. Prosegue tranquillo come non sentisse dolore.
Pure il dolore deve essere sensibile se quando si fermano per mangiare, deve chiedere ad Andrea di spezzargli il pane; se, quando gli si slaccia un sandalo, deve pregare Matteo di legarglielo di nuovo…; se, soprattutto, nello scendere per una scorciatoia precipitosa e urtando in un tronco perché gli scivola il piede, non può reprimere un lamento, e se gli si arrossa di nuovo la benda di sangue, tanto che alla prima casa di un paese, dove giungono verso il tramonto, si fermano chiedendo acqua e olio per medicargli la mano che appare, levate le bende, molto gonfia, bluastra nel dorso con la ferita rosseggiante al centro.
Mentre aspettano che la donna della casa accorra con quanto desiderano, si curvano tutti ad osservare la mano ferita e fanno i loro commenti. Ma Giovanni si ritira un poco più in là a nascondere il suo pianto.
Gesù lo chiama: «Vieni qui. Non è un gran male. Non piangere».
«Lo so. Lo avessi io non piangerei. Ma l’hai Tu. E non lo dici tutto il male che ti fa questa cara mano, che non ha mai nuociuto a nessuno» risponde Giovanni, al quale Gesù ha abbandonato la sua mano ferita, che Giovanni carezza dolcemente sulla punta delle dita, sul polso, tutto intorno alla lividura, e che volta dolcemente per baciarla sul palmo e appoggiare la sua guancia nel cavo della mano dicendo:
«Scotta… Oh! quanto ti deve dolere!», e lacrime di pietà cadono su essa.
La donna porta l’acqua e l’olio, e con un lino Giovanni vuole detergere il sangue che imbratta la mano, e con delicatezza fa scorrere l’acqua tiepida sul posto ferito e poi la unge, la fascia con strisce pulite e sulla legatura pone un bacio. Gesù gli mette l’altra mano sulla testa china.
La donna chiede: «È tuo fratello?».
«No. È il mio Maestro. Il nostro Maestro».
«Da dove venite?» chiede ancora agli altri.
«Dal mare di Galilea».
«Lontano! Perché?».
«Per predicare la Salute».
«È quasi sera. Fermatevi in casa mia. Casa da poveri. Ma di onesti. Posso darvi del latte non appena tornano i miei figli con le pecore. Il mio uomo vi accoglierà volentieri».
«Grazie, donna. Se il Maestro vorrà, resteremo qui».
La donna va alle sue faccende mentre gli apostoli chiedono a Gesù cosa devono fare.
«Sì. È bene. Domani andremo a Cedes e poi verso Paneade. Ho pensato, Bartolomeo. Conviene fare come tu dici. Mi hai dato un buon consiglio. Spero trovare così altri discepoli e mandarli avanti a Me a Cafarnao. So che a Cedes devono ormai esservene stati alcuni, fra i quali i tre pastori libanesi».
Torna la donna e chiede: «Ebbene?».
«Sì donna buona. Restiamo qui per la notte».
«E per la cena. Oh! graditela. Non mi pesa. E poi ci è stata insegnata la misericordia da alcuni che sono i discepoli di quel Gesù di Galilea, detto Messia, che fa tanti miracoli e predica il Regno di Dio. Ma qui non c’è mai venuto. Forse perché siamo ai confini siro-fenici. Ma sono venuti i suoi discepoli. Ed è già molto. Per la Pasqua noi del paese vogliamo andare tutti in Giudea per vedere se lo vediamo questo Gesù. Perché abbiamo dei malati e i discepoli ne hanno guariti alcuni, ma altri no. E fra questi c’è un giovane figlio di un fratello della moglie di mio cognato».
«Che ha?» chiede Gesù sorridendo.
«È… Non parla e non sente. Nato così. Forse un demonio è entrato nel seno della madre per farla disperare e soffrire. Ma è buono, come indemoniato non fosse. I discepoli hanno detto che per lui ci vuole Gesù di Nazareth, perché deve essere con qualche cosa di mancante, e solo questo Gesù… Oh! ecco i miei figli e il mio sposo! Melchia, ho accolto questi pellegrini in nome del Signore e stavo raccontando di Levi… Sara, va’ presto a mungere il latte e tu, Samuele, scendi a prendere olio e vino nella grotta, e porta mele dal solaio. Spicciati, Sara, prepareremo i letti nelle stanze alte».
«Non ti affaticare, donna. Staremo bene da per tutto. Potrei vedere l’uomo di cui parlavi?».
«Sì… Ma… Oh! Signore! Ma sei forse Tu il Nazareno?».
«Sono Io».
La donna crolla in ginocchio strillando: «Melchia, Sara, Samuele! Venite ad adorare il Messia! Che giorno! Che giorno! E io l’ho in casa mia! E gli parlavo così! E gli ho portato l’acqua per lavare la ferita… Oh!…»; è strozzata di emozione. Ma poi corre al catino e lo vede vuoto: «Perché avete gettato quell’acqua? Era santa! Oh! Melchia! Il Messia da noi».
«Sì. Ma sta buona, donna, e non lo dire a nessuno. Va’ piuttosto a prendere il sordomuto e portamelo qui…» dice Gesù sorridendo…
…E presto Melchia torna col giovane sordomuto e con i parenti di lui e mezzo paese almeno… La madre dell’infelice adora Gesù e Lo supplica.
«Sì, sarà come tu vuoi», e preso per mano il sordomuto lo attira un po’ fuori dalla folla che si accalca, e che gli apostoli, per pietà della mano ferita, si danno da fare a respingere. Gesù si accosta bene il sordomuto, gli pone gli indici nelle orecchie e la lingua sulle labbra socchiuse, poi, alzando gli occhi al cielo che imbruna, alita sul volto del sordomuto e grida forte: «Apritevi!», e lo lascia andare.
Il giovane lo guarda un momento mentre la folla bisbiglia. È sorprendente la mutazione del volto prima apatico e mesto del sordomuto e poi sorpreso e sorridente. Si porta le mani alle orecchie, le preme e le stacca… Si persuade che sente per davvero e apre la bocca dicendo:
«Mamma! Io sento! Oh! Signore, io Ti adoro!».
La folla è presa dal solito entusiasmo e tanto più lo è perché si chiede:
«E come può già parlare se mai udì parola da quando è nato? Un miracolo nel miracolo! Gli ha slegato la favella e aperto le orecchie e insieme lo ha istruito a parlare. Viva Gesù di Nazareth! Osanna al Santo, al Messia!».
E si premono contro di Lui che alza la sua mano ferita a benedire, mentre alcuni, istruiti dalla donna della casa, si bagnano il viso o le membra con le superstiti gocce rimaste nel catino.
Gesù li vede e grida: «Per la vostra Fede siate tutti guariti. Andate alle vostre case. Siate buoni, onesti. Credete nella parola del Vangelo. E tenete ciò che sapete per voi finché sia l’ora di bandirlo sulle piazze e per le vie della terra. La mia pace sia con voi».
Ed entra nella vasta cucina, dove splende il fuoco e tremolano le luci di due lucerne.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

2 SETTEMBRE 2018 XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B Mc 7,1-8,14-15,21-23

Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 7,1-8.14-15.21-23

Allora si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate -i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli antichi, e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame- quei farisei e scribi Lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?». Ed Egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il Comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo». Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 4 – Capitolo 166  (12 ottobre 1945)

La città di Naim è in gran festa. Essa ospita Gesù. Per la prima volta dopo il miracolo del giovane Daniele risuscitato da morte.

Preceduto e seguito da un buon numero di persone, Gesù traversa, benedicendo, la città. A quelli di Naim si sono unite persone di altri luoghi, provenienti da Cafarnao, dove erano andati a cercarlo e da dove erano stati mandati a Cana e da qui a Naim. Ho l’impressione che, ora che ha molti discepoli, Gesù abbia costituito come una rete di informazioni, di modo che i pellegrini che Lo cercano Lo possano trovare nonostante il suo continuo spostarsi, sebbene di poche miglia al giorno, quanto lo consente la stagione e la brevità delle giornate. E fra questi, che sono venuti a cercarlo da altrove, non mancano farisei e scribi, in apparenza ossequienti…

Gesù è ospite in casa del giovane risuscitato. Nella stessa sono convenuti i notabili del paese. E la madre di Daniele, vedendo gli scribi e i farisei -sette come i peccati capitali- tutta umile li invita, scusandosi di non poter offrire loro più degna dimora.

«C’è il Maestro, c’è il Maestro, donna. Ciò dà valore anche a una spelonca. Ma la tua casa è ben più di una spelonca, e noi vi entriamo dicendo: “Pace a te e alla tua casa”».

Infatti la donna, pur non essendo certo una ricca, si è fatta in quattro per onorare Gesù. Certo sono entrate in lizza tutte le ricchezze di Naim, messe cooperativamente in moto per addobbare casa e mensa. E le rispettive proprietarie occhieggiano, da tutti i punti possibili, la comitiva che passa per il corridoio di ingresso diretta a due stanze prospicienti, nelle quali la padrona di casa ha approntato le tavole. Forse hanno chiesto questo solo, per il prestito delle stoviglie e tovaglie e sedili, e per la loro prestazione d’opera ai fornelli: questo di vedere da vicino il Maestro e respirare dove Egli respira.

Ed ora si affacciano qua e là, rosse, infarinate, incenerate, o con le mani sgocciolanti, a seconda delle loro incombenze culinarie; sbirciano, si prendono il loro scampolino di sguardo divino, la loro briciolina di voce divina, bevono la dolce benedizione e la dolce figura con lo sguardo e l’udito, e tornano ancor più rosse ai loro fornelli, madie e acquai: felici.

Felicissima, poi, quella che con la padrona di casa offre i bacili delle abluzioni agli ospiti di riguardo. È una giovanetta bruna nei capelli e negli occhi, ma dal colorito soffuso di rosa. E ancor più rosa diventa quando la padrona di casa avverte Gesù che essa è la sposa di suo figlio e presto verranno compiute le nozze.

«Abbiamo atteso la tua venuta a compirle, perché tutta la casa fosse santificata da Te. Ma ora benedici lei pure, acciò sia buona moglie in questa casa».

Gesù la guarda e, poiché la sposina si curva, le impone le mani dicendo: «Rifioriscano in te le virtù di Sara, Rebecca e Rachele, e da te si generino dei veri figli di Dio, per la sua gloria e per la letizia di questa dimora».

Ormai Gesù e i notabili sono tutti purificati ed entrano nella stanza del convito con il giovane padrone di casa, mentre gli apostoli con altri uomini di Naim meno influenti entrano nella stanza di fronte. E il convito ha luogo.

Capisco dai discorsi che, prima che avesse inizio la visione, Gesù aveva predicato e guarito in Naim. Ma i farisei e scribi poco si soffermano su questo, mentre tempestano di domande quelli di Naim per sapere particolari sulla malattia di cui era morto Daniele, e quante ore erano intercorse dalla morte alla risurrezione, e se era stato completamente imbalsamato, ecc. ecc.

Gesù si astrae da tutte queste indagini parlando col risuscitato, che sta benone e che mangia con un formidabile appetito. Ma un fariseo chiama Gesù per chiedergli se Egli era al corrente della malattia di Daniele.

«Venivo da Endor per puro caso, avendo voluto accontentare Giuda di Keriot come avevo accontentato Giovanni di Zebedeo. Non sapevo neppure di avere a passare per Naim quando avevo iniziato il cammino per il pellegrinaggio pasquale» risponde Gesù.

«Ah! non eri andato apposta a Endor?» chiede stupito uno scriba.

«No. Non ne avevo la minima volontà di andarvi, allora».

«E come mai allora vi andasti?».

«L’ho detto, perché Giuda di Simone voleva andarvi».

«E perché questo capriccio?».

«Per vedere la grotta della maga».

«Forse Tu ne avevi parlato…».

«Mai! Non ne avevo motivo».

«Voglio dire… forse hai spiegato con quell’episodio altri sortilegi, per iniziar i tuoi discepoli a…».

«A che? Per iniziare alla santità non c’è bisogno di pellegrinaggi. Una cella o una landa deserta, un picco montuoso o una casa solitaria, servono ugualmente. Basta che in chi insegna sia autorità e santità, e in chi ascolta volontà di santificarsi. Io insegno questo e non altro».

«Ma i miracoli che ora essi, i discepoli, fanno, che sono se non prodigi e…».

«E volere di Dio. Questo solo. E più Santi diverranno e più ne faranno. Con l’orazione, il sacrificio e la loro ubbidienza a Dio. Non con altro».

«Ne sei sicuro?» chiede uno scriba tenendosi il mento nella mano e sbirciando di sotto in su Gesù. E il suo tono è discretamente ironico e anche compassionevole.

«Io queste armi ho dato loro e queste dottrine. Se poi fra essi, e sono tanti, ve ne sarà alcuno che si corrompe con indegne pratiche, per superbia o altro, non da Me sarà venuto il consiglio. Io posso pregare per vedere di redimere il colpevole. Posso impormi dure penitenze espiatorie per ottenere che Dio lo aiuti particolarmente con lumi della sua sapienza a vedere l’errore. Posso gettarmi ai suoi piedi per supplicarlo, con tutto il mio amore di Fratello, Maestro e Amico, di lasciare la colpa. Né penserei di avvilirmi a far ciò, perché il prezzo di un’anima è tale che merita subire ogni umiliazione per ottenere quest’anima. Ma di più non posso fare. E, se ciononostante la colpa durerà, pianto e sangue gemeranno occhi e cuore del tradito e incompreso Maestro e Amico».

Che dolcezza e che tristezza nella voce e nell’aspetto di Gesù!

Scribi e farisei si guardano fra di loro. Tutto un gioco di sguardi. Ma non dicono altro in merito.

Interrogano invece il giovane Daniele. Si ricorda cosa è la morte? Che provò tornando alla vita? E che vide nello spazio fra morte e vita?

«Io so che ero malato mortalmente e patii l’agonia. Oh! tremenda cosa! Non mi ci fate pensare!… Eppure verrà il giorno in cui la dovrò risoffrire! Oh! Maestro!…». Lo sguardo terrorizzato, sbianchendo al pensiero di dovere morire di nuovo.

Gesù lo conforta dolcemente dicendo: «La morte è di per sé espiazione. Tu, morendo due volte, sarai completamente mondo da macchie e gioirai subito del Cielo. Però questo pensiero ti faccia vivere da santo, onde solo involontarie e veniali colpe siano in te».

Ma i farisei tornano all’attacco: «Ma cosa provasti tornando alla vita?».

«Nulla. Mi sono trovato vivo e sano come mi fossi svegliato da un lungo sonno pesante».

«Ma ti ricordavi di esser morto?».

«Mi ricordavo che ero stato molto malato, fino all’agonia, e basta».

«E che ricordi dell’altro mondo?».

«Niente. Non c’è niente. Un buco nero, uno spazio vuoto nella mia vita… Nulla».

«Allora per te non c’è il Limbo, il Purgatorio, l’Inferno?».

«Chi dice che non ci sono? Certo che ci sono! Ma io non li ricordo».

«Ma sei sicuro di esser stato morto?».

Scattano tutti quelli di Naim: «Se era morto? E che volete di più? Quando lo ponemmo sulla bara era già in procinto di puzzare. E poi! Con tutti quei balsami e quelle bende sarebbe morto anche un gigante».

«Ma tu non ti ricordi di esser morto?».

«Vi ho detto di no». Il giovane si impazienta e aggiunge: «Ma cosa volete stabilire con questi lugubri discorsi? Che tutto un paese facesse mostra di avere me morto, mia madre compresa, la mia sposa compresa, che era a letto morente di dolore, io compreso, legato, imbalsamato, mentre non era vero? Che dite? Che a Naim si fosse tutti bambini o ebeti in voglia di scherzare? Mia madre è divenuta bianca in poche ore. La sposa mia dovette essere curata perché dolore e gioia l’avevano resa come folle. E voi dubitate? E perché avremmo fatto questo?».

«Perché? È vero! Perché lo avremmo fatto?» dicono quelli di Naim.

Gesù non parla. Giocherella colla tovaglia come fosse assente. I farisei non sanno che dire… Ma Gesù apre la bocca all’improvviso, quando la conversazione e l’argomento parevano finiti, e dice:

«Il perché è questo. Essi (e accenna farisei e scribi) vogliono stabilire che il tuo risorgere non fu che un ben congegnato giuoco per accrescere la mia stima presso le folle. Io ideatore, voi complici per tradire Dio e prossimo. No. Io lascio le ciurmerie agli indegni. Non ho bisogno di stregonecci, né di stratagemmi, di giochetti o di complicità per essere ciò che sono. Perché volete negare a Dio il potere di restituire l’anima ad una carne? Se Egli la dà, quando la carne si forma, e crea le anime di volta in volta, non potrà renderla quando l’anima, tornando alla carne per preghiera del suo Messia, può essere fomite di venuta alla Verità di molte turbe? Potete negare a Dio il potere del miracolo? Perché lo volete negare?».

«Sei Tu Dio?».

«Io son chi sono. I miei miracoli e la mia dottrina dicono chi Io sia».

«Ma allora perché costui non ricorda, mentre gli spiriti evocati sanno dire cosa è l’aldilà?».

«Perché quest’anima parla la verità, già santificata come è dalla penitenza di una prima morte, mentre ciò che parla sulle labbra dei negromanti non è verità».

«Ma Samuele…».

«Ma Samuele venne per ordine di Dio, non della maga, a portare al fedifrago della Legge il verdetto del Signore che non si irride nei suoi comandi».

«E allora perché i tuoi discepoli lo fanno?».

La voce arrogante di un fariseo, che punto sul vivo alza il tono della stessa, richiama l’attenzione degli Apostoli che sono nella stanza di fronte, separati da un corridoio largo poco più di un metro, non isolati da porte o tende pesanti. Sentendosi chiamati in causa, si alzano e vengono senza far rumore nel corridoio, in ascolto.

«In che lo fanno? Spiegati, e se la tua accusa è vera Io li avviserò di non fare più cosa contraria alla Legge».

«In cosa lo so io, e con me molti altri. Ma Tu che risusciti i morti e ti dici più che profeta, scoprila da Te. Noi non te la diremo certo. Hai occhi, del resto, per vedere anche molte altre cose, fatte quando non si devono fare, o non fatte quando si devono fare, commesse dai tuoi discepoli. E Tu non te curi».

«Vogliate indicarmene alcune».

«Perché i tuoi discepoli trasgrediscono le tradizioni degli antichi? Oggi li abbiamo osservati. Anche oggi! Non più tardi di un’ora fa! Essi sono entrati nella loro sala per mangiare e non si sono purificate, avanti, le mani!». Se i farisei avessero detto: «E prima hanno sgozzato dei cittadini», non avrebbero avuto un tono simile di profondo orrore.

«Li avete osservati, sì. Ci sono tante cose da vedere. E belle, e buone. Cose che fanno benedire il Signore di averci dato la vita perché avessimo modo di vederle e perché ha creato o permesso quelle cose. Eppure voi non le osservate. E con voi molti altri. Ma perdete tempo e pace coll’inseguire le cose non buone.

Sembrate sciacalli, meglio, iene correnti sulla scia di un fetore, trascurando le ondate di profumi che vengono nel vento da giardini pieni di aromi. Le iene non amano gigli e rose, gelsomini e canfore, cinnamomi e garofani. Per loro sono sgradevoli odori. Ma il lezzo di un corpo putrefacente in fondo ad un burrone, o su una carraia, sepolto sotto i rovi dove l’ha gettato l’assassino, o gettato dalla tempesta sulla spiaggia deserta, gonfio, violaceo, crepato, orrendo, oh! quello è profumo gradevole alle iene!

E fiutano il vento della sera, che condensa e trasporta con sé tutti gli odori che il sole ha distillato dalle cose che ha scaldato, per sentire questo vago, invitante odore, e scopertolo, e afferratane la direzione, eccole partire di corsa, col muso all’aria, i denti già scoperti nel fremito delle mascelle simile ad un isterico riso, per andare là dove è putrefazione. E, sia cadavere d’uomo o di quadrupede, o di biscia spezzata dal contadino, o di faina uccisa dalla massaia, fosse anche un semplice topo, oh! ecco che piace, piace, piace! E in quel fetore ribollente si affondano le zanne, e si pasteggia, e ci si lecca le labbra…

Degli uomini si santificano giorno per giorno? Non è cosa che interessi! Ma se uno solo fa del male, o in più d’uno lasciano, non un comando divino, ma una pratica umana -chiamatela pure tradizione, precetto, come volete, è sempre cosa umana- ecco che allora si va, si nota. Si va anche dietro a un sospetto… tanto per godere, vedendo che il sospetto è realtà.

Ma allora, rispondete, rispondete voi che siete venuti non per amore, non per fede, non per onestà, ma per malvagio scopo, rispondete: perché voi trasgredite il comando di Dio per una vostra tradizione? Non vorrete già dirmi che una tradizione è da più di un Comandamento? Eppure Dio ha detto: “Onora il padre e la madre, e chi maledirà il padre e la madre è reo di morte”! E voi invece dite: “Chiunque abbia detto al padre e alla madre: ‘Quello che dovresti avere da me è corban’, non è più obbligato ad usarlo per padre e madre”. Dunque voi con la vostra tradizione avete annullato il comando di Dio.

Ipocriti! Ben disse di voi Isaia profetando: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da Me, perciò mi onorano invano insegnando dottrine e comandamenti d’uomo”.

Voi, mentre trascurate i precetti di Dio, state alle tradizioni degli uomini, alle lavature di anfore e calici, di piatti e di mani e simili altre cose. Mentre giustificate l’ingratitudine e l’avarizia di un figlio coll’offrirgli la scappatoia dell’offerta di sacrificio per non dare un pane a chi lo ha generato ed ha bisogno di aiuto, ed egli ha l’obbligo di onorarlo perché gli è genitore, avete scandalo perché uno non si lava le mani. Voi alterate e violate la parola di Dio per ubbidire a parole da voi fatte e da voi elevate a precetto. Voi vi proclamate perciò più giusti di Dio. Voi vi arrogate diritto di legislatori mentre Dio solo è Legislatore nel suo popolo. Voi…».

E continuerebbe, ma il gruppo nemico esce, sotto la grandine delle accuse, urtando gli Apostoli e quanti erano nella casa, ospiti o aiutanti della padrona, e che si erano raccolti nel corridoio, attirati dallo squillo della voce di Gesù.

Gesù, che si era alzato in piedi, si torna a sedere, facendo cenno ai presenti di entrare tutti dove Egli è, e dice loro:

«Ascoltatemi tutti e intendete questa verità. Non vi è nulla fuori dell’uomo che entrando in esso possa contaminarlo. Ma quello che esce dall’uomo, questo è quello che contamina. Chi ha orecchie da intendere intenda e usi ragione per comprendere e volontà per attuare. E ora andiamo. Voi di Naim perseverate nel bene e sia sempre con voi la mia pace».

Si alza, saluta in particolare i padroni di casa e si avvia per il corridoio.

Ma vede le donne amiche, che raccolte in un angolo Lo guardano incantate, e va diretto da loro dicendo:

«Pace a voi pure. Vi compensi il Cielo per avermi sovvenuto con un amore che non mi ha fatto rimpiangere la tavola materna. Ho sentito il vostro amore di madri in ogni mica di pane, in ogni intingolo o arrosto, nel dolce del miele, nel vino fresco e profumato. Vogliatemi sempre bene così, buone donne di Naim. E un’altra volta non fate tanta fatica per Me. Basta un pane e un pugno di ulive condito col vostro sorriso materno e il vostro sguardo onesto e buono. Siate felici nelle vostre case, perché la riconoscenza del Perseguitato è su voi ed Egli parte consolato dal vostro amore».

Le donne, beate eppure piangenti, sono tutte in ginocchio, ed Egli, nel passare, le sfiora una per una sui capelli bianchi o neri, come a benedirle. E poi esce e riprende il cammino…

Le prime ombre della sera calano nascondendo il pallore di Gesù amareggiato da troppe cose.

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

26 AGOSTO 2018 XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B Gv 6,60-69

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Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6,60-69

In quel tempo, molti tra i discepoli di Gesù, dissero: «Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?». Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’Uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra voi che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che Lo avrebbe tradito. E continuò: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a Me, se non gli è concesso dal Padre mio». Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con Lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Santo di Dio».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’”Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 5 – Capitolo 44  (7 dicembre 1945)

La spiaggia di Cafarnao formicola di gente che sbarca da una vera flottiglia di barche di tutte le dimensioni. E i primi che sbarcano vanno cercando fra la gente se vedono il Maestro, un apostolo, o almeno un discepolo. E vanno chiedendo…

Un uomo, finalmente, risponde: «Maestro? Apostoli? No. Sono andati via subito dopo il sabato e non sono tornati. Ma torneranno perché ci sono i discepoli. Ho parlato adesso con uno di loro. Deve essere un grande discepolo. Parla come Giairo! È andato verso quella casa fra i campi, seguendo il mare».

L’uomo che ha interrogato fa correre la voce e tutti si precipitano verso il luogo indicato. Ma, fatto un duecento metri sulla riva, incontrano tutto un gruppo di discepoli che vengono verso Cafarnao gestendo animatamente. Li salutano e chiedono: «Il Maestro dove è?».

I discepoli rispondono: «Nella notte, dopo il miracolo, se ne è andato coi suoi, colle barche, al di là del mare. Vedemmo le vele, al candore della luna, andare verso Dalmanuta».

«Ah! ecco! Noi Lo cercammo a Magdala presso la casa di Maria e non c’era! Però… potevano dircelo i pescatori di Magdala!».

«Non lo avranno saputo. Sarà forse andato sui monti d’Arbela in preghiera. Ci fu già un’altra volta, lo scorso anno avanti Pasqua. Io l’ho incontrato allora, per somma grazia del Signore al suo povero servo», dice Stefano.

«Ma non torna qui?».

«Certamente tornerà. Ci deve dare il commiato e gli ordini. Ma che volete?».

«Sentirlo ancora. Seguirlo. Farci suoi».

«Adesso va a Gerusalemme. Lo ritroverete là. E là, nella Casa di Dio, il Signore vi parlerà se per voi è utile seguirlo. Perché è bene che sappiate che, se Egli non respinge alcuno, noi abbiamo in noi elementi che sono respingenti la Luce. Ora, chi ne ha tanti da essere non solo saturo di essi -che poco male sarebbe, perché Egli è Luce e nel divenire lealmente suoi con volontà decisa la sua Luce ci penetra e vince le tenebre- ma da esserne composto e affezionato ad essi come alla carne della nostra persona, allora è bene che costui si astenga dal venire, a meno che non si distrugga per ricrearsi nuovamente.

Meditate, dunque, se avete in voi la forza di assumere un nuovo spirito, un nuovo modo di pensare, un nuovo modo di volere. Pregate per poter vedere la verità sulla vostra vocazione. E poi venite, se credete. E voglia l’Altissimo, che ha guidato Israele nel “passaggio”, guidare voi, in questo “pèsac”, a venire sulla scia dell’Agnello, fuori dai deserti, alla Terra eterna, al Regno di Dio», dice Stefano parlando per tutti i compagni.

«No, no! Subito! Subito! Nessuno fa ciò che Egli fa. Lo vogliamo seguire», dice la folla in tumulto.

Stefano ha un sorriso di molte espressioni. Apre le braccia e dice: «Perché vi ha dato il buono e abbondante pane volete venire? Credete che vi dia in futuro solo questo? Egli promette ai suoi seguaci ciò che è sua dote: il dolore, la persecuzione, il martirio. Non rose ma spine, non carezze ma schiaffi, non pane ma pietre sono pronte per i “cristi”. E così dico senza essere bestemmiatore, perché i suoi veri fedeli saranno unti coll’olio santo fatto della sua Grazia e del suo patire; e “unti” noi saremo per essere le vittime sull’altare e i re nel Cielo».

«Ebbene? Ne sei geloso forse? Ci sei tu? Ci vogliamo essere noi pure. Il Maestro è di tutti».

«Sta bene. Ve lo dicevo perché vi amo e voglio che sappiate ciò che è essere “discepoli”, onde non essere poi dei disertori. Andiamo allora tutti insieme ad attenderlo alla sua casa. Il tramonto ha inizio ed ha principio il sabato. Egli verrà per passarlo qui avanti la partenza».

E vanno verso la città, parlando. E molti interrogano Stefano ed Erma, che li ha raggiunti, i quali, agli occhi degli israeliti, hanno una luce speciale perché allievi prediletti di Gamaliele.

Molti chiedono: «Ma che dice Gamaliele di Lui?», altri: «Vi ci ha mandati lui?», e altri ancora: «Non si è doluto di perdervi?», oppure: «E il Maestro che dice del grande rabbi?».

I due rispondono pazienti: «Gamaliele parla di Gesù di Nazaret come del più grande uomo d’Israele».

«Oh! più grande di Mosè?», dicono quasi scandalizzati.

«Egli dice che Mosè è uno dei tanti precursori del Cristo. Ma non è che il servo del Cristo».

«Allora per Gamaliele questo è il Cristo? Dice così? Se così dice rabbi Gamaliele, la cosa è decisa. Egli è il Cristo!».

«Non dice ciò. Non riesce ancora a credere questo, per sua sventura. Ma dice che il Cristo è sulla Terra perché egli gli ha parlato molti anni fa. Egli e il saggio Illele. E attende il segno che quel Cristo gli ha promesso per riconoscerlo», dice Erma.

«Ma come ha fatto a credere che quello era il Cristo? Che faceva quello? Io sono vecchio quanto Gamaliele, ma non ho mai sentito che da noi fossero fatte le cose che il Maestro fa. Se non si persuade di questi miracoli, che vide mai di miracoloso in quel Cristo per potergli credere?».

«Lo vide unto della Sapienza di Dio. Egli dice così», risponde ancora Erma.

«E allora cosa è per Gamaliele questo?».

«Il più grande uomo, maestro e precursore di Israele. Quando potesse dire: “È il Cristo”, sarebbe salva l’anima sapiente e giusta del mio primo maestro», dice Stefano e termina: «Ed io prego perché ciò sia, a qualunque costo».

«E se non lo crede il Cristo, perché vi ha mandati?».

«Noi volevamo venirci. Egli ci ha lasciati venire dicendo che era bene».

«Forse per poter sapere e riferire al Sinedrio…», dice insinuando uno.

«Uomo come parli? Gamaliele è un onesto. Non fa la spia a nessuno, e specie ai nemici di un innocente!», scatta Stefano e pare un arcangelo tanto è sdegnato e quasi raggiante nel suo sdegno santo.

«Gli sarà spiaciuto perdervi, però», dice un altro.

«Sì e no. Come uomo che ci voleva bene, sì. Come spirito molto retto, no. Perché ha detto: “Egli è da più di me e di me più giovane. Perciò io potrò chiudere gli occhi in pace sul vostro futuro sapendovi del ‘Maestro dei maestri’ “».

«E Gesù di Nazaret che dice del grande rabbi?».

«Oh! non ha che parole elette per lui!».

«Non ne è invidioso?».

«Dio non invidia», dice severo Erma. «Non fare supposizioni sacrileghe».

«Ma per voi allora è Dio? Ne siete certi?».

E i due ad una voce: «Come di essere vivi in questo momento». E Stefano termina: «E vogliate crederlo pure voi per possedere la vera Vita».

Sono da capo sulla spiaggia che si muta in piazza e la traversano per andare a casa. Sulla soglia è Gesù che carezza dei bambini.

Discepoli e curiosi si affollano chiedendo: «Maestro, quando sei venuto?».

«Da pochi momenti». Il viso di Gesù ha ancora la maestà solenne, un poco estatica, di quando ha molto pregato.

«Sei stato in orazione, Maestro?» chiede Stefano a voce bassa per riverenza, così come ha curva la persona per lo stesso motivo.

«Sì. Da che lo comprendi, figlio mio?» dice Gesù posandogli la mano sui capelli scuri con una dolce carezza.

«Dal tuo volto d’angelo. Sono un povero uomo, ma è tanto limpido il tuo aspetto che su esso si leggono i palpiti e le azioni del tuo spirito».

«Anche il tuo è limpido. Tu sei uno di quelli che fanciulli restano…».

«E che c’è sul mio viso, Signore?».

«Vieni in disparte e te lo dirò», e lo prende per il polso portandolo in un corridoio oscuro.

«Carità, fede, purezza, generosità, sapienza; e queste Dio te le ha date, e tu le hai coltivate e più lo farai. Infine, secondo il tuo nome, hai la corona: d’oro puro, e con una grande gemma che splende sulla fronte. Sull’oro e sulla gemma sono incise due parole: “Predestinazione” e “Primizia”. Sii degno della tua sorte, Stefano. Va’ in pace con la mia benedizione». E gli posa nuovamente la mano sui capelli, mentre Stefano si inginocchia per poi curvarsi a baciargli i piedi.

Tornano dagli altri.

«Questa gente è venuta per sentirti…» dice Filippo.

«Qui non si può parlare. Andiamo alla sinagoga. Giairo ne sarà contento».

Gesù davanti, dietro il corteo degli altri, vanno alla bella sinagoga di Cafarnao; e Gesù, salutato da Giairo, vi entra, ordinando che tutte le porte restino aperte perché chi non riesce ad entrare possa sentirlo dalla via e dalla piazza che sono a fianco della sinagoga.

Gesù va al suo posto, in questa sinagoga amica, dalla quale oggi, per buona sorte, sono assenti i farisei, forse già partiti pomposamente per Gerusalemme. E inizia a parlare.

«In verità vi dico: voi cercate di Me non per sentirmi e per i miracoli che avete veduto, ma per quel pane che vi ho dato da mangiare a sazietà e senza spesa. I tre quarti di voi per questo mi cercava e per curiosità, venendo da ogni parte della Patria nostra. Manca perciò nella ricerca lo spirito soprannaturale, e resta dominante lo spirito umano con le sue curiosità malsane, o per lo meno di una imperfezione infantile, non perché semplice come quella dei pargoli, ma perché menomata come l’intelligenza di un ottuso di mente.

E con la curiosità resta la sensualità e il sentimento viziato. La sensualità che si nasconde, sottile come il demonio di cui è figlia, dietro apparenze e in atti apparentemente buoni, e il sentimento viziato che è semplicemente una deviazione morbosa del sentimento e che, come tutto ciò che è “malattia”, abbisogna e appetisce a droghe che non sono il cibo semplice, il buon pane, la buona acqua, lo schietto olio, il puro latte, sufficienti a vivere e a vivere bene.

Il sentimento viziato vuole le cose straordinarie per essere scosso e per provare il brivido che piace, il brivido malato dei paralizzati, che hanno bisogno di droghe per provare sensazioni che li illudano di essere ancora integri e virili. La sensualità che vuole soddisfare senza fatica la gola, in questo caso, col pane non sudato, avuto per bontà di Dio.

I doni di Dio non sono consuetudine, sono lo straordinario. Non si possono pretenderli, né impigrirsi dicendo: “Dio me li darà”. È detto: “Mangerai il pane bagnato col sudore della tua fronte”, ossia il pane guadagnato col lavoro. Ché se Colui che è Misericordia ha detto: “Ho compassione di queste turbe, che mi seguono da tre giorni e non hanno più da mangiare e potrebbero venire meno per via prima di avere raggiunto Ippo sul lago, o Gamala, o altre città”, e ha provveduto, non è però detto che Egli debba essere seguito per questo.

Per molto di più di un po’ di pane, destinato a divenire sterco dopo la digestione, Io vado seguito. Non per il cibo che empie il ventre ma per quello che nutre l’anima. Perché non siete soltanto animali che devono brucare e ruminare, o grufolare e ingrassare. Ma anime siete! Questo siete! La carne è la veste, l’essere è l’anima. È lei che è duratura. La carne, come ogni veste, si logora e finisce, e non merita curarla come fosse una perfezione alla quale va data ogni cura.

Cercate dunque ciò che è giusto procurarsi, non ciò che è ingiusto. Cercate di procurarvi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna. Questo, il Figlio dell’Uomo ve lo darà sempre, quando voi lo vogliate. Perché il Figlio dell’Uomo ha a sua disposizione tutto quanto viene da Dio, e può darlo, Egli padrone, e magnanimo padrone, dei tesori del Padre Dio, che ha impresso su di Lui il suo sigillo perché gli occhi onesti non siano confusi. E se voi avrete in voi il cibo che non perisce, potrete fare opere di Dio essendo nutriti del cibo di Dio».

«Che cosa dobbiamo fare per fare le opere di Dio? Noi osserviamo la Legge e i Profeti. Perciò già siamo nutriti di Dio e facciamo opere di Dio».

«È vero. Voi osservate la Legge. Meglio ancora: voi “conoscete” la Legge. Ma conoscere non è praticare. Noi conosciamo, ad esempio, le leggi di Roma, eppure un fedele israelita non le pratica altro che in quelle formule che sono imposte dalla sua condizione di suddito. Per il resto noi, parlo dei fedeli israeliti, non pratichiamo le usanze pagane dei romani pur conoscendole.

La Legge che voi tutti conoscete ed i Profeti dovrebbero, infatti, nutrirvi di Dio e darvi perciò capacità di fare opere di Dio. Ma per fare questo dovrebbero essere divenute un tutt’uno con voi, così come è l’aria che respirate e il cibo che assimilate, che si mutano entrambi in vita e sangue. Mentre essi rimangono estranei, pure essendo di casa vostra, così come può esserlo un oggetto della casa, che vi è noto e utile, ma che, se venisse a mancare, non vi leva l’esistenza.

Mentre… oh! provate un poco a non respirare per qualche minuto, provate a stare senza cibo per giorni e giorni… e vedrete che non potete vivere.

Così dovrebbe sentirsi il vostro io nella denutrizione e nell’asfissia della Legge e dei Profeti, conosciuti ma non assimilati e fatti tutt’uno con voi. Questo Io sono venuto ad insegnare e a dare: il succo, l’aria della Legge e dei Profeti, per ridare sangue e respiro alle vostre anime morenti di inedia e di asfissia. Voi siete simili a bambini che una malattia rende incapaci di conoscere ciò che è atto a nutrirli. Avete davanti dovizie di cibi, ma non sapete che vanno mangiati per mutarsi in cosa vitale, ossia che vanno veramente fatti nostri, con una fedeltà pura e generosa alla Legge del Signore che ha parlato a Mosè e ai Profeti per voi tutti.

Venire dunque a Me per avere aria e succo di Vita eterna, è dovere. Ma questo dovere presuppone una fede in voi. Perché se uno non ha fede, non può credere alle parole mie, e se non crede non viene a dirmi: “Dammi il vero pane”. E se non ha il vero pane non può fare opere di Dio, non avendo capacità di farle. Perciò per essere nutriti di Dio e per fare opere di Dio è necessario che voi facciate l’opera-base, che è questa: credere in Colui che Dio ha mandato».

«Ma che miracoli fai Tu dunque perché noi si possa credere in Te come il Mandato da Dio e perché si possa vedere su Te il sigillo di Dio? Che fai Tu che già, sebbene in forma minore, non abbiano fatto i Profeti? Mosè ti ha superato, anzi, perché, non per una volta tanto, ma per quarant’anni, nutrì di meraviglioso cibo i nostri padri. Così è scritto: che i nostri padri per quarant’anni mangiarono la manna del deserto, ed è detto che perciò Mosè diede loro da mangiare pane venuto dal cielo, egli che poteva».

«Siete in errore. Non Mosè ma il Signore poté fare questo. E nell’Esodo si legge: “Ecco: Io farò piovere del pane dal cielo. Esca il popolo e ne raccolga quanto basta giorno per giorno, e così Io provi se il popolo cammina secondo la mia legge. E il sesto giorno ne raccolga il doppio per rispetto al settimo giorno che è il sabato”.

E gli ebrei videro il deserto ricoprirsi, mattina per mattina, di quella “cosa minuta come ciò che è pestato nel mortaio e simile alla brina della terra, simile al seme di coriandolo, e dal buon sapore di fior di farina incorporata col miele”. Dunque non Mosè, ma Dio provvide alla manna. Dio che tutto può. Tutto. Punire e benedire. Privare e concedere. Ed Io ve lo dico, delle due cose preferisce sempre benedire e concedere a punire e privare.

Dio, come dice la Sapienza, per amore di Mosè -detto dall’Ecclesiastico “caro a Dio e agli uomini, di benedetta memoria, fatto da Dio simile ai santi nella gloria, grande e terribile per i nemici, capace di suscitare e por fine ai prodigi, glorificato nel cospetto dei re, suo ministro al cospetto del popolo, conoscitore della gloria di Dio e della voce dell’Altissimo, custode dei precetti e della Legge di vita e di scienza”- Dio, dicevo, per amore di questo Mosè, nutrì il suo popolo col pane degli Angeli, e dal cielo gli donò un pane bell’e fatto, senza fatica, contenente in sé ogni delizia ed ogni soavità di sapore.

E -ricordate bene ciò che dice la Sapienza- e poiché veniva dal Cielo, da Dio, e mostrava la sua dolcezza ai figli, aveva per ognuno il sapore che ognuno voleva, e dava ad ognuno gli effetti desiderati, essendo utile tanto al pargolo, dallo stomaco ancora imperfetto, come all’adulto, dall’appetito e digestione gagliardi, alla fanciulla delicata come al vecchio cadente.

E anche, per testimoniare che non era opera d’uomo, capovolse le leggi degli elementi, onde resisté al fuoco, esso, il misterioso pane che al sorgere del sole si squagliava come brina. O meglio: il fuoco -è sempre la Sapienza che parla- dimenticò la propria natura per rispetto all’opera di Dio suo Creatore e dei bisogni dei giusti di Dio, di modo che, mentre è solito ad infiammarsi per tormentare, qui si fece dolce per fare del bene a quelli che confidavano nel Signore.

Per questo allora, trasformandosi in ogni maniera, servì alla grazia del Signore, nutrice di tutti, secondo la volontà di chi pregava l’eterno Padre, affinché i figli diletti imparassero che non è il riprodursi dei frutti che nutrisce gli uomini, ma è la parola del Signore quella che conserva chi crede in Dio. Infatti non consumò, come poteva, la dolce manna, neppure se la fiamma era alta e potente, mentre bastava a scioglierla il dolce sole del mattino, affinché gli uomini ricordassero e imparassero che i doni di Dio vanno ricercati dall’inizio del giorno e della vita, e che per averli occorre anticipare la luce e sorgere, per lodare l’Eterno, dalla prima ora del mattino.

Questo insegnò la manna agli ebrei. Ed Io ve lo ricordo perché è dovere che dura e durerà sino alla fine dei secoli. Cercate il Signore ed i suoi doni celesti senza poltrire fino alle tarde ore del giorno e della vita. Sorgete a lodarlo prima ancora che lo lodi il sorgente sole, e pascetevi della sua parola che conserva e preserva e conduce alla Vita vera.

Non Mosè vi diede il pane del Cielo, ma in verità lo diede il Padre Iddio, e ora, in verità delle verità, è il Padre mio quello che vi dà il vero Pane, il Pane novello, il Pane eterno che dal Cielo discende, il Pane di misericordia, il Pane di Vita, il Pane che dà al mondo la Vita, il Pane che sazia ogni fame e leva ogni languore, il Pane che dà, a chi lo prende, la Vita eterna e l’eterna gioia».

«Dacci, o Signore, di codesto pane, e noi non morremo più».

«Voi morrete come ogni uomo muore, ma risorgerete a Vita eterna se vi nutrirete santamente di questo Pane, perché esso fa incorruttibile chi lo mangia. Riguardo a darvelo sarà dato a coloro che lo chiedono al Padre mio con puro cuore, retta intenzione e santa carità. Per questo ho insegnato a dire: “Dacci il pane quotidiano”.

Ma coloro che si nutriranno indegnamente diverranno brulichio di vermi infernali, come i gomor di manna conservati contro l’ordine avuto. E questo Pane di salute e vita diverrà per loro morte e condanna. Perché il sacrilegio più grande sarà commesso da coloro che metteranno quel Pane su una mensa spirituale corrotta e fetida, o lo profaneranno mescolandolo alla sentina delle loro inguaribili passioni. Meglio per loro sarebbe non averlo mai preso!».

«Ma dove è questo Pane? Come lo si trova? Che nome ha?».

«Io sono il Pane di Vita. In Me lo si trova. Il suo nome è Gesù. Chi viene a Me non avrà più fame, e chi crede in Me non avrà mai più sete, perché i fiumi celesti si riverseranno in lui estinguendo ogni materiale ardore. Io ve l’ho detto, ormai. Voi mi avete conosciuto, ormai. Eppure non credete. Non potete credere che tutto quanto è in Me. Eppure così è. In Me sono tutti i tesori di Dio.

E a Me tutto della terra è dato, onde in Me sono riuniti i gloriosi cieli e la militante terra, e fino la penante e attendente massa dei trapassati in grazia di Dio sono in Me, perché in Me e a Me è ogni potere. Ed Io ve lo dico: tutto quanto il Padre mi dà verrà a Me. Né Io scaccerò chi a Me viene, perché sono disceso dal Cielo non per fare la mia volontà ma quella di Colui che mi ha mandato.

E la volontà del Padre mio, del Padre che mi ha mandato, è questa: che Io non perda nemmeno uno di quelli che mi ha dato, ma che Io li risusciti all’ultimo giorno. Ora la volontà del Padre che mi ha mandato è che chiunque conosce il Figlio e crede in Lui abbia la vita Eterna e Io lo possa risuscitare nell’Ultimo Giorno, vedendolo nutrito della fede in Me e segnato del mio sigillo».

Vi è non poco brusìo nella sinagoga e fuori della stessa per le nuove e ardite parole del Maestro. E questo, dopo avere per un momento preso fiato, volge gli occhi sfavillanti di rapimento là dove più si mormora, e sono precisamente i gruppi in cui sono dei giudei. Riprende a parlare.

«Perché mormorate fra voi? Sì, Io sono il figlio di Maria di Nazareth figlia di Gioacchino della stirpe di Davide, Vergine consacrata nel Tempio e poi sposata a Giuseppe di Giacobbe, della stirpe di Davide. Voi avete conosciuto, in molti, i giusti che dettero vita a Giuseppe, legnaiolo regale, e a Maria, Vergine erede della stirpe regale. Ciò vi fa dire: “Come può Costui dirsi disceso dal Cielo?», e il dubbio sorge in voi.

Vi ricordo i Profeti nelle loro profezie sull’Incarnazione del Verbo. E vi ricordo come, più per noi israeliti che per qualsiasi altro popolo, è dogmatico che Colui che non osiamo chiamare non potesse darsi una Carne secondo le leggi della umanità, e umanità decaduta per giunta. Il Purissimo, l’Increato, se si è mortificato a farsi Uomo per amore dell’uomo, non poteva che eleggere un seno di Vergine più pura dei gigli per rivestire di Carne la sua Divinità.

Il pane disceso dal Cielo al tempo di Mosè è stato riposto nell’arca d’oro, coperta dal propiziatorio, vegliata dai cherubini, dietro i veli del Tabernacolo. E col pane era la Parola di Dio. E giusto era che ciò fosse, perché sommo rispetto va dato ai doni di Dio e alle tavole della sua Santissima Parola.

Ma che allora sarà stato preparato da Dio per la sua stessa Parola e per il Pane vero che è venuto dal Cielo? Un’arca più inviolata e preziosa dell’arca d’oro, coperta dal prezioso propiziatorio della sua pura volontà di immolazione, vegliata dai cherubini di Dio, velata dal velo di un candore verginale, di una umiltà perfetta, di una carità sublime e di tutte le virtù più sante.

E allora? Non capite ancora che la mia paternità è in Cielo e che perciò Io di là vengo? Sì, Io sono disceso dal Cielo per compiere il decreto del Padre mio, il decreto di salvazione degli uomini secondo quanto promise al momento stesso della condanna e ripeté ai Patriarchi e ai Profeti.

Ma questo è fede. E la fede viene data da Dio a chi ha l’animo di buona volontà. Perciò nessuno può venire a Me se non lo conduce a Me il Padre mio, vedendolo nelle tenebre ma rettamente desideroso di luce. È scritto nei Profeti: “Saranno tutti ammaestrati da Dio”. Ecco. È detto: È Dio che li istruisce dove andare per essere istruiti di Dio. Chiunque, dunque, ha udito in fondo al suo spirito retto parlare Iddio, ha imparato dal Padre a venire a Me».

«E chi vuoi che abbia sentito Iddio o visto il suo Volto?» chiedono in diversi che cominciano a mostrare segni di irritazione e di scandalo. E terminano: «Tu deliri, oppure sei un illuso».

«Nessuno ha veduto Iddio eccetto Colui che è da Dio; questo ha veduto il Padre. E questo Io sono.

Ed ora udite il “credo” della vita futura, senza il quale non ci si può salvare.

In verità, in verità vi dico che chi crede in Me ha la Vita eterna. In verità, in verità vi dico che Io sono il Pane della Vita eterna.

I vostri padri mangiarono nel deserto la manna e morirono. Perché la manna era un cibo santo ma temporaneo, e dava vita per quanto necessitava a giungere alla terra promessa da Dio al suo popolo. Ma la Manna che Io sono non avrà limitazione di tempo e di potere.

È non solo celeste, ma è divina, e produce ciò che è divino: l’incorruttibilità, l’immortalità di quanto Dio ha creato a sua immagine e somiglianza. Essa non durerà quaranta giorni, quaranta mesi, quaranta anni, quaranta secoli. Ma durerà finché durerà il tempo, e sarà data a tutti coloro che di essa hanno fame santa e gradita al Signore, che giubilerà di darsi senza misura agli uomini per cui si è incarnato, onde abbiamo la Vita che non muore.

Io posso darmi, Io posso transustanziarmi per amore degli uomini, onde il pane divenga Carne e la Carne divenga Pane per la fame spirituale degli uomini, che senza questo Cibo morirebbero di fame e di malattie spirituali. Ma se uno mangia di questo Pane con giustizia, egli vivrà in eterno. Il pane che Io darò sarà la mia Carne immolata per la vita del mondo, sarà il mio amore sparso nelle case di Dio, perché alla mensa del Signore vengano tutti coloro che sono amorosi o infelici e trovino ristoro al loro bisogno di fondersi a Dio e di trovare sollievo al loro penare».

«Ma come può darci da mangiare la tua carne? Per chi ci hai presi? Per belve sanguinarie? Per selvaggi? Per omicidi? A noi ripugna il sangue e il delitto».

«In verità, in verità vi dico che molte volte l’uomo è più di una belva, e che il peccato fa più che selvaggi, che l’orgoglio dà sete omicida, e che non a tutti dei presenti ripugnerà il sangue e il delitto. E anche in futuro l’uomo tale sarà, perché satana, il senso e l’orgoglio lo fanno belluino. E perciò con maggior bisogno che mai dovete e dovrà l’uomo sanare se stesso dai germi terribili con l’infusione del Santo.

In verità, in verità vi dico che se non mangerete la Carne del Figlio dell’Uomo e non berrete il suo Sangue, non avrete in voi la  Vita. Chi mangia degnamente la mia Carne e beve il mio Sangue ha la Vita eterna ed Io lo risusciterò all’Ultimo Giorno. Perché la mia Carne è veramente Cibo e il mio Sangue è veramente Bevanda.

Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in Me ed Io in lui. Come il Padre vivente mi inviò, ed Io vivo per il Padre, così chi mi mangia vivrà anch’egli per Me e andrà dove lo mando, e farà ciò che Io voglio, e vivrà austero come uomo e ardente come serafino, e sarà santo, perché per potersi cibare della mia Carne e del mio Sangue si interdirà le colpe e vivrà ascendendo per finire la sua ascesa ai piedi dell’Eterno.»

«Ma costui è folle! Chi può vivere in tal modo? Nella nostra religione è solo il sacerdote che deve essere purificato per offrire la vittima. Qui Egli ci vuole fare, di noi, tante vittime della sua follia. Questa dottrina è troppo penosa e questo linguaggio è troppo duro! Chi li può ascoltare e praticare?» sussurrano i presenti, e molti sono discepoli già riputati tali.

La gente sfolla commentando. E molto assottigliate appaiono le file dei discepoli quando restano solo nella sinagoga il Maestro e i più fedeli. Io non li conto, ma dico che, ad occhio e croce, sì e no si arriva a cento. Perciò ci deve essere stato un bell’abbandono anche nelle schiere dei vecchi discepoli ormai al servizio di Dio.

Fra i rimasti sono gli apostoli, il sacerdote Giovanni e lo scriba Giovanni, Stefano, Erma, Timoteo, Ermasteo, Agapo, Giuseppe, Salomon, Abele di Betlemme di Galilea e Abele il già lebbroso di Corozim col suo amico Samuele, Elia (quello che lasciò di seppellire il padre per seguire Gesù), Filippo di Arsela, Aser e Ismaele di Nazareth, più altri che non conosco di nome. Questi tutti parlano piano fra loro commentando la defezione degli altri e le parole di Gesù, che pensieroso sta con le braccia conserte appoggiato ad un alto leggio.

«E vi scandalizzate di ciò che ho detto? E se vi dicessi che vedrete un giorno il Figlio dell’Uomo ascendere al Cielo dove era prima e sedersi al fianco del Padre? E che avete capito, assorbito, creduto fino ad ora? E con che avete udito e assimilato? Solo con l’umanità? È lo spirito quello che vivifica e ha valore. La carne non giova a niente. Le mie parole sono spirito e vita, e vanno udite e capite con lo spirito per averne vita.

Ma ci sono molti fra voi che hanno morto lo spirito perché è senza fede. Molti di voi non credono con verità. E inutilmente stanno presso Me. Non ne avranno Vita ma Morte. Perché vi stanno, come ho detto in principio, o per curiosità, o per umano diletto, o, peggio, per fini ancora più indegni. Non sono portati qui dal Padre per premio alla loro buona volontà, ma da Satana. Nessuno può venire a Me, in verità, se non gli è concesso dal Padre mio.

Andate pure, voi che vi trattenete a fatica perché vi vergognate, umanamente, di abbandonarmi, ma avete ancora maggior vergogna di rimanere al servizio di Uno che vi pare “pazzo e duro”. Andate. Meglio lontani che qui per nuocere».

E molti si ritraggono fra i discepoli, fra i quali lo scriba Giovanni e Marco, il geraseno indemoniato, guarito mandando i demoni nei porci. I discepoli buoni si consultano e corrono dietro a questi fedifraghi tentando di fermarli.

Nella sinagoga sono ora Gesù, il sinagogo e gli apostoli…

Gesù si volge ai dodici che, mortificati, stanno in un angolo e dice: «Volete andarvene anche voi?». Lo dice senza acredine e senza mestizia. Ma con molta serietà.

Pietro, con impeto doloroso, gli dice: «Signore, e dove vuoi che si vada? Da chi? Tu sei la nostra vita e il nostro amore. Tu solo hai parole di Vita eterna. Noi abbiamo conosciuto che Tu sei il Cristo, Figlio di Dio. Se vuoi, cacciaci. Ma noi, di nostro, non ti lasceremo neppure… neppure se Tu non ci amassi più…», e Pietro piange senza rumore, con grandi lacrimoni…

Anche Andrea, Giovanni, i due figli di Alfeo, piangono apertamente, e gli altri, pallidi o rossi per l’emozione, non piangono, ma soffrono palesemente.

«Perché vi dovrei cacciare? Non sono stato Io che ho eletto voi dodici?…».

Giairo, prudentemente, si è ritirato per lasciare Gesù libero di confortare o redarguire i suoi apostoli. Gesù, che ne nota la silenziosa ritirata, dice, sedendosi accasciato come se la rivelazione che fa gli costasse uno sforzo superiore a quello che Egli può fare, stanco come è, disgustato, addolorato: «Eppure uno di voi è un demonio».

La parola cade lenta, paurosa, nella sinagoga, nella quale è solo allegra la luce delle molte lampade… e nessuno osa dire nulla. Ma si guardano l’un con l’altro con pauroso ribrezzo e angosciosa indagine e, con una ancor più angosciosa e intima domanda, ognuno esamina se stesso…

Nessuno si muove per qualche tempo. E Gesù resta solo, sul suo sedile, le mani incrociate sui ginocchi, il viso basso. Lo alza infine e dice: «Venite. Non sono già un lebbroso! O mi credete tale?…».

Allora Giovanni corre avanti e gli si avviticchia al collo dicendo: «Con Te, allora, nella lebbra, mio solo amore. Con Te nella condanna, con Te nella morte, se credi che ciò ti attenda…»; e Pietro striscia ai suoi piedi e li prende e se li mette sugli omeri e singhiozza: «Qui, premi, calpesta! Ma non mi fare pensare che Tu diffidi del tuo Simone».

Gli altri, vedendo che Gesù carezza i due primi, si fanno avanti e baciano Gesù sulle vesti, sulle mani, sui capelli… Solo l’Iscariota osa baciarlo sul viso.

Gesù si alza di scatto, e quasi lo respinge bruscamente tanto lo scatto è improvviso, e dice: «Andiamo a casa. Domani sera, di notte, partiremo con le barche per Ippo»

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta.

XX Domenica del Tempo Ordinario anno B (Gv 6,51-58)

M

La mia Carne è vero cibo e il mio Sangue vera bevanda.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,51-58)

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il Pane vivo, disceso dal Cielo. Se uno mangia di questo Pane vivrà in eterno e il Pane che Io darò è la mia Carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può Costui darci la sua Carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità Io vi dico: se non mangiate la Carne del Figlio dell’Uomo e non bevete il suo Sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue ha la vita eterna e Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia Carne è vero cibo e il mio Sangue vera bevanda. Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in Me e Io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato Me e Io vivo per il Padre, così anche colui che mangia Me vivrà per Me. Questo è il Pane disceso dal Cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo Pane vivrà in eterno». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Quando Gesù rivelò che il Pane disceso dal Cielo era la sua Carne e che avrebbe saziato tutti, toccò il massimo della sua imprevedibile predicazione. Se già molti insegnamenti risultavano ricolmi di mistero e sorprendenti, dare da mangiare la sua Carne risultò come un insulto per i «puri» che Lo ascoltavano.
Domenica scorsa abbiamo letto che quasi tutti quelli che Lo avevano ascoltato, lasciarono la sinagoga e rimasero gli Apostoli con il sinagogo.
Questa rivelazione di Gesù che anticipava l’istituzione dell’Eucaristia rimaneva fortemente incomprensibile agli ebrei e andarono via, si allontanarono da Gesù. Cosa dire invece dei cattolici di oggi di ogni grado che conoscono l’Eucaristia e non l’adorano?
Innanzitutto manca la predicazione sull’Eucaristia e per parlare di Gesù presente sacramentalmente in Anima, Corpo, Sangue e Divinità nell’Eucaristia, è indispensabile frequentarla, rimanendo davanti al Tabernacolo in adorante contemplazione.
I benefici che si ricevono dall’Eucaristia sono meravigliosi, è Gesù che trasmette i suoi sentimenti, che dona continua Grazie e migliora la vita di quanti rimangono con Fede in adorazione. Conoscendo chi è l’Eucaristia, tutte le Chiese dovrebbero rimanere aperte per molte ore del giorno, per dare ai credenti modo di rivolgersi al Signore e trovare la pace interiore.
Gesù rimane nel Tabernacolo per aiutarci, guarirci dalle malattie e far svanire le negatività dei diavoli. Dovremmo incontrarlo ogni giorno!
Nel Catechismo del 1992 che abbiamo come guida e nulla si può cambiare di quanto in esso è contenuto, l’Eucaristia è indicata come fonte e culmine della vita ecclesiale. L’Eucaristia è Gesù Cristo e la principale predicazione, il più forte richiamo dei prelati deve avere, appunto, come centro l’Eucaristia.
Negli ultimi tempi l’Eucaristia è stata dimenticata in molte omelie e catechesi, sostituita con temi sociali, parole poco spirituali.
Oggi l’Eucaristia viene ignorata nella predicazione e non si formano le nuove generazioni nell’adorazione di Dio incarnato, questo svuota le Chiese e arreca molta preoccupazione. Gesù parla di sé come del Pane che sazia e dona tutti gli aiuti necessari alle famiglie, ai giovani sbandati, agli ammalati, a tutti.
«Tutti i Sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente uniti alla Sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati. Infatti, nella Santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua» (Catechismo 144).
La Santa Comunione è fin da ora un anticipo del Cielo e la garanzia di raggiungerlo.
La Comunione, essendo alimento dell’anima, aumenta la vita soprannaturale dell’uomo; al tempo stesso e di conseguenza rende capaci di resistere a quanto in noi non è di Dio e impedisce una vera unione con Cristo.
La gloria eterna non è riservata solo all’anima ma anche al corpo, all’uomo nella sua interezza. Il Signore faceva riferimento a questa verità quando promise che chi mangia di Lui vivrà per Lui e non morirà mai, e che Egli lo risusciterà nell’ultimo giorno.
Gesù è la Vita, non solo quella dell’aldilà; è anche la vita soprannaturale che la Grazia opera nell’anima e nell’uomo tuttora in cammino.
Quando Gesù accorre a Betania per risuscitare Lazzaro, dice a Marta: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in Me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in Me non morrà in eterno». Ripete in Betania l’insegnamento di Cafarnao che oggi troviamo nel Vangelo della Messa: chi lo riceve non morrà.
Meditate sulla necessità di adorare l’Eucaristia e di entrare in intimo dialogo con Gesù, per dirgli tutto e ricevere ineffabilmente il suo Spirito che vi trasforma. Per superare le sofferenze, guarire da malattie dolorose e liberarvi da ogni forma di negatività. Gesù è la nostra salvezza.

Mercoledì 15 agosto 2018 XIX Settimana del Tempo Ordinario anno B Assunzione della Beata Vergine Maria

MAGNIFICAT A.

Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente: ha innalzato gli umili.

Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 1,39-56)

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la Madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Allora Maria disse:

«L’Anima mia magnifica il Signore

e il mio Spirito esulta in Dio, mio Salvatore,

perché ha guardato l’umiltà della sua Serva.

D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno Beata.

Grandi cose ha fatto in Me l’Onnipotente

e Santo è il suo Nome;

di generazione in generazione la sua misericordia

per quelli che Lo temono.

Ha spiegato la potenza del suo braccio,

ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;

ha rovesciato i potenti dai troni,

ha innalzato gli umili;

ha ricolmato di beni gli affamati,

ha rimandato i ricchi a mani vuote.

Ha soccorso Israele, suo servo,

ricordandosi della sua misericordia,

come aveva detto ai nostri padri,

per Abramo e la sua discendenza, per sempre».

Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua. Parola del Signore

RIFLESSIONI

Questa solennità ci ricorda che tutti siamo chiamati alla gloria eterna e che sono le nostre scelte a determinare il nostro futuro. La nostra vita vissuta in comunione con Gesù assimila il suo Spirito Divino e diventa sempre più bella, importante ai suoi occhi, sicuramente guarita dalle ferite morali e dai cattivi ricordi, guarita anche dalle malattie spirituali e fisiche.

L’Immacolata durante la vita terrena fu esente da ogni malattia fisica, ed è suo grande desiderio vederci guariti dalle malattie, ma dobbiamo meritare le Grazie ed anche i miracoli impossibili, come avvengono in tantissime parti del mondo.

L’Assunzione al Cielo è il premio che Maria di Nazaret meritò abbondantemente, è stata l’unica Creatura ad avere aderito perfettamente alla Volontà di Dio, ad essere Madre di Dio, dopo essersi trovata per speciale Grazie della Santissima Trinità, Immacolata fin dal suo concepimento.

Questa prerogativa è stata unica per una sola Creatura, chiamata a portare nel suo grembo il Figlio eterno del Padre, diventarne la Madre e accudirlo con un Amore che sfiorava l’infinito. Infatti infinito era il Figlio, occorreva un Amore proporzionato nel prendersi cura di Lui, piccino e bisognoso di ogni cura materna.

La stessa cura la Madonna vuole prenderla verso ognuno di noi, solo che noi siamo esseri umani con tante miserie e fuggiamo dal suo abbraccio materno, non ci lasciamo avvolgere dalla sua Luce, non riusciamo ad assorbire il suo Spirito che trasforma e rende migliori.

In moltissimi cristiani è assente la meditazione giornaliera di libri spirituali, a cominciare dal Vangelo, ma sono incalcolabili i buoni libri che infondono tanto fervore e spingono a vivere la Parola di Dio con maggiore determinazione.

Nel Vangelo di oggi, per esempio, possiamo cogliere tanti spunti importanti per imitare la Madonna e crescere nella Fede.

Non dimentichiamo che la Fede è come una bella e rara pianta, è indispensabile curarla con attenzione e premura. Bisogna togliere le erbacce che spuntano e sono le debolezze umane insieme alle tentazioni, ed innaffiarla ogni giorno con la preghiera e i Sacramenti.

Le buone opere sono determinanti, in queste mostriamo alla Madonna se vogliamo imitarla e se cerchiamo il suo aiuto. Non si può condurre una vita dissipata e poi cercare le Grazie speciali, o pretendere di risolvere problematiche difficili.

Nel Vangelo di oggi, dopo la meraviglia di Elisabetta nel trovarsi davanti «la Madre del mio Signore», emerge la carità soprannaturale della Vergine Maria. «Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda».

La premura della Madonna ci dice che non dobbiamo preoccuparci solamente delle nostre cose e che gli altri che soffrono per varie ragioni hanno necessità della nostra vicinanza. Tranne i casi in cui la vicinanza verso qualcuno è dannosa e che a causa delle sue stranezze ci rende la vita un inferno, dobbiamo donare sempre amore a tutti, fare del bene anche ai nostri nemici.

Alle parole ispirate di Elisabetta alla cugina Maria, la mite Fanciulla di Nazaret risponde con quel cantico di lode all’Altissimo e svela tutta la sua adorazione a quel Padre che ama ogni sua creatura, che non si dimentica di nessuno e vuole esaudire ogni richiesta espressa con amore.

Nel Magnificat troviamo il testamento spirituale dell’Immacolata.

Oggi Ella sale al Cielo in Anima e Corpo, accompagnata da miriadi di Arcangeli e di Angeli, accolta e abbracciata da suo Figlio Gesù, per coronarla Regina dell’Universo, donandole il posto e il ruolo di Mediatrice e Avvocata dell’umanità.

In Cielo abbiamo una Madre che ci difende innanzitutto da noi stessi… ovviamente se ricorriamo a Lei e Le chiediamo di cambiare la nostra vita, di farci perdere la vecchia e malata mentalità. Ella ci vuole guarire da tutti i mali spirituali e fisici, lo sanno bene tutti quelli che hanno pregato e pregano la Madre di Dio e rinascono a vita nuova.

Molti cristiani invece non vogliono rinascere nel Cuore della Madonna per diventare veri seguaci di Gesù e muoiono spiritualmente.

Questa solennità ci dice che il corpo è tempio dello Spirito Santo e disprezzarlo con abusi e trasgressioni comporta un continuo allontanamento da Gesù, si perde la sua Grazia e si scivola giorno dopo giorno in una vita confusa, orgogliosa, arrogante e menefreghista.

La Madonna si serve sempre di oggetti umili, come delle persone umili e buone. Agisce nei cuori docili e miti.

La Madonna è sempre pronta ad accogliere i peccatori pentiti, soprattutto ad aiutare i suoi devoti che cadono e si rialzano subito!

12 Agosto 2018 XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B Gv 6,41-51

ostensorio

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6,41-51

In quel tempo, i Giudei mormoravano di Gesù perché aveva detto: «Io sono il Pane disceso dal Cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il Figlio di Giuseppe? Di Lui conosciamo il Padre e la Madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal Cielo?». Gesù rispose: «Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a Me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei Profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da Lui, viene a Me. Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il Pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il Pane che discende dal Cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il Pane vivo, disceso dal Cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che Io darò è la mia Carne per la vita del mondo».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 5 – Capitolo 44

(In questa domenica Gesù continua a parlare del Pane della vita che è la sua Carne e la darà in cibo a tutti i credenti. Il discorso è ancora l’Eucaristia prefigurata dal Pane che ha moltiplicato e dato da mangiare, ma nessuno dei presenti ha la capacità di intendere il significato del suo Corpo che Gesù darà da mangiare.

Come domenica scorsa il capitolo 6 riguarda lo stesso argomento, e la meditazione che leggiamo ripropone una parte di quel testo che ci permette di conoscere meglio il Pane della vita, di riceverlo nella Santa Messa con grande amore, di ricorrere anche ogni giorno dinanzi all’Eucaristia per pregare, adorare e chiedere Grazie speciali.

Non c’è limite nella conoscenza di Gesù Eucaristia e durante l’adorazione, lo Spirito Santo agisce nel credente, gli infonde molta Grazia e lo trasfigura).

«Ma che miracoli fai Tu dunque perché noi si possa credere in Te come il Mandato da Dio e perché si possa vedere su Te il sigillo di Dio? Che fai Tu che già, sebbene in forma minore, non abbiano fatto i Profeti? Mosè ti ha superato, anzi, perché, non per una volta tanto, ma per quarant’anni, nutrì di meraviglioso cibo i nostri padri. Così è scritto: che i nostri padri per quarant’anni mangiarono la manna del deserto, ed è detto che perciò Mosè diede loro da mangiare pane venuto dal cielo, egli che poteva».

«Siete in errore. Non Mosè ma il Signore poté fare questo. E nell’Esodo si legge: “Ecco: Io farò piovere del pane dal cielo. Esca il popolo e ne raccolga quanto basta giorno per giorno, e così Io provi se il popolo cammina secondo la mia legge. E il sesto giorno ne raccolga il doppio per rispetto al settimo giorno che è il sabato”.

E gli ebrei videro il deserto ricoprirsi, mattina per mattina, di quella “cosa minuta come ciò che è pestato nel mortaio e simile alla brina della terra, simile al seme di coriandolo, e dal buon sapore di fior di farina incorporata col miele”. Dunque non Mosè, ma Dio provvide alla manna. Dio che tutto può. Tutto. Punire e benedire. Privare e concedere. Ed Io ve lo dico, delle due cose preferisce sempre benedire e concedere a punire e privare.

Dio, come dice la Sapienza, per amore di Mosè -detto dall’Ecclesiastico “caro a Dio e agli uomini, di benedetta memoria, fatto da Dio simile ai santi nella gloria, grande e terribile per i nemici, capace di suscitare e por fine ai prodigi, glorificato nel cospetto dei re, suo ministro al cospetto del popolo, conoscitore della gloria di Dio e della voce dell’Altissimo, custode dei precetti e della Legge di vita e di scienza”- Dio, dicevo, per amore di questo Mosè, nutrì il suo popolo col pane degli Angeli, e dal cielo gli donò un pane bell’e fatto, senza fatica, contenente in sé ogni delizia ed ogni soavità di sapore.

E -ricordate bene ciò che dice la Sapienza- e poiché veniva dal Cielo, da Dio, e mostrava la sua dolcezza ai figli, aveva per ognuno il sapore che ognuno voleva, e dava ad ognuno gli effetti desiderati, essendo utile tanto al pargolo, dallo stomaco ancora imperfetto, come all’adulto, dall’appetito e digestione gagliardi, alla fanciulla delicata come al vecchio cadente.

E anche, per testimoniare che non era opera d’uomo, capovolse le leggi degli elementi, onde resisté al fuoco, esso, il misterioso pane che al sorgere del sole si squagliava come brina. O meglio: il fuoco -è sempre la Sapienza che parla- dimenticò la propria natura per rispetto all’opera di Dio suo Creatore e dei bisogni dei giusti di Dio, di modo che, mentre è solito ad infiammarsi per tormentare, qui si fece dolce per fare del bene a quelli che confidavano nel Signore.

Per questo allora, trasformandosi in ogni maniera, servì alla grazia del Signore, nutrice di tutti, secondo la volontà di chi pregava l’eterno Padre, affinché i figli diletti imparassero che non è il riprodursi dei frutti che nutrisce gli uomini, ma è la parola del Signore quella che conserva chi crede in Dio. Infatti non consumò, come poteva, la dolce manna, neppure se la fiamma era alta e potente, mentre bastava a scioglierla il dolce sole del mattino, affinché gli uomini ricordassero e imparassero che i doni di Dio vanno ricercati dall’inizio del giorno e della vita, e che per averli occorre anticipare la luce e sorgere, per lodare l’Eterno, dalla prima ora del mattino.

Questo insegnò la manna agli ebrei. Ed Io ve lo ricordo perché è dovere che dura e durerà sino alla fine dei secoli. Cercate il Signore ed i suoi doni celesti senza poltrire fino alle tarde ore del giorno e della vita. Sorgete a lodarlo prima ancora che lo lodi il sorgente sole, e pascetevi della sua parola che conserva e preserva e conduce alla Vita vera.

Non Mosè vi diede il pane del Cielo, ma in verità lo diede il Padre Iddio, e ora, in verità delle verità, è il Padre mio quello che vi dà il vero Pane, il Pane novello, il Pane eterno che dal Cielo discende, il Pane di misericordia, il Pane di Vita, il Pane che dà al mondo la Vita, il Pane che sazia ogni fame e leva ogni languore, il Pane che dà, a chi lo prende, la Vita eterna e l’eterna gioia».

«Dacci, o Signore, di codesto pane, e noi non morremo più».

«Voi morrete come ogni uomo muore, ma risorgerete a Vita eterna se vi nutrirete santamente di questo Pane, perché esso fa incorruttibile chi lo mangia. Riguardo a darvelo sarà dato a coloro che lo chiedono al Padre mio con puro cuore, retta intenzione e santa carità. Per questo ho insegnato a dire: “Dacci il pane quotidiano”.

Ma coloro che si nutriranno indegnamente diverranno brulichio di vermi infernali, come i gomor di manna conservati contro l’ordine avuto. E questo Pane di salute e vita diverrà per loro morte e condanna. Perché il sacrilegio più grande sarà commesso da coloro che metteranno quel Pane su una mensa spirituale corrotta e fetida, o lo profaneranno mescolandolo alla sentina delle loro inguaribili passioni. Meglio per loro sarebbe non averlo mai preso!».

«Ma dove è questo Pane? Come lo si trova? Che nome ha?».

«Io sono il Pane di Vita. In Me lo si trova. Il suo nome è Gesù. Chi viene a Me non avrà più fame, e chi crede in Me non avrà mai più sete, perché i fiumi celesti si riverseranno in lui estinguendo ogni materiale ardore. Io ve l’ho detto, ormai. Voi mi avete conosciuto, ormai. Eppure non credete. Non potete credere che tutto quanto è in Me. Eppure così è. In Me sono tutti i tesori di Dio.

E a Me tutto della terra è dato, onde in Me sono riuniti i gloriosi cieli e la militante terra, e fino la penante e attendente massa dei trapassati in grazia di Dio sono in Me, perché in Me e a Me è ogni potere. Ed Io ve lo dico: tutto quanto il Padre mi dà verrà a Me. Né Io scaccerò chi a Me viene, perché sono disceso dal Cielo non per fare la mia volontà ma quella di Colui che mi ha mandato.

E la volontà del Padre mio, del Padre che mi ha mandato, è questa: che Io non perda nemmeno uno di quelli che mi ha dato, ma che Io li risusciti all’ultimo giorno. Ora la volontà del Padre che mi ha mandato è che chiunque conosce il Figlio e crede in Lui abbia la vita Eterna e Io lo possa risuscitare nell’Ultimo Giorno, vedendolo nutrito della fede in Me e segnato del mio sigillo».

Vi è non poco brusìo nella sinagoga e fuori della stessa per le nuove e ardite parole del Maestro. E questo, dopo avere per un momento preso fiato, volge gli occhi sfavillanti di rapimento là dove più si mormora, e sono precisamente i gruppi in cui sono dei giudei. Riprende a parlare.

«Perché mormorate fra voi? Sì, Io sono il figlio di Maria di Nazareth figlia di Gioacchino della stirpe di Davide, Vergine consacrata nel Tempio e poi sposata a Giuseppe di Giacobbe, della stirpe di Davide. Voi avete conosciuto, in molti, i giusti che dettero vita a Giuseppe, legnaiolo regale, e a Maria, Vergine erede della stirpe regale. Ciò vi fa dire: “Come può Costui dirsi disceso dal Cielo?», e il dubbio sorge in voi.

Vi ricordo i Profeti nelle loro profezie sull’Incarnazione del Verbo. E vi ricordo come, più per noi israeliti che per qualsiasi altro popolo, è dogmatico che Colui che non osiamo chiamare non potesse darsi una Carne secondo le leggi della umanità, e umanità decaduta per giunta. Il Purissimo, l’Increato, se si è mortificato a farsi Uomo per amore dell’uomo, non poteva che eleggere un seno di Vergine più pura dei gigli per rivestire di Carne la sua Divinità.

Il pane disceso dal Cielo al tempo di Mosè è stato riposto nell’arca d’oro, coperta dal propiziatorio, vegliata dai cherubini, dietro i veli del Tabernacolo. E col pane era la Parola di Dio. E giusto era che ciò fosse, perché sommo rispetto va dato ai doni di Dio e alle tavole della sua Santissima Parola.

Ma che allora sarà stato preparato da Dio per la sua stessa Parola e per il Pane vero che è venuto dal Cielo? Un’arca più inviolata e preziosa dell’arca d’oro, coperta dal prezioso propiziatorio della sua pura volontà di immolazione, vegliata dai cherubini di Dio, velata dal velo di un candore verginale, di una umiltà perfetta, di una carità sublime e di tutte le virtù più sante.

E allora? Non capite ancora che la mia paternità è in Cielo e che perciò Io di là vengo? Sì, Io sono disceso dal Cielo per compiere il decreto del Padre mio, il decreto di salvazione degli uomini secondo quanto promise al momento stesso della condanna e ripeté ai Patriarchi e ai Profeti.

Ma questo è fede. E la fede viene data da Dio a chi ha l’animo di buona volontà. Perciò nessuno può venire a Me se non lo conduce a Me il Padre mio, vedendolo nelle tenebre ma rettamente desideroso di luce. È scritto nei Profeti: “Saranno tutti ammaestrati da Dio”. Ecco. È detto: È Dio che li istruisce dove andare per essere istruiti di Dio. Chiunque, dunque, ha udito in fondo al suo spirito retto parlare Iddio, ha imparato dal Padre a venire a Me».

«E chi vuoi che abbia sentito Iddio o visto il suo Volto?» chiedono in diversi che cominciano a mostrare segni di irritazione e di scandalo. E terminano: «Tu deliri, oppure sei un illuso».

«Nessuno ha veduto Iddio eccetto Colui che è da Dio; questo ha veduto il Padre. E questo Io sono.

Ed ora udite il “credo” della vita futura, senza il quale non ci si può salvare.

In verità, in verità vi dico che chi crede in Me ha la Vita eterna. In verità, in verità vi dico che Io sono il Pane della Vita eterna.

I vostri padri mangiarono nel deserto la manna e morirono. Perché la manna era un cibo santo ma temporaneo, e dava vita per quanto necessitava a giungere alla terra promessa da Dio al suo popolo. Ma la Manna che Io sono non avrà limitazione di tempo e di potere.

È non solo celeste, ma è divina, e produce ciò che è divino: l’incorruttibilità, l’immortalità di quanto Dio ha creato a sua immagine e somiglianza. Essa non durerà quaranta giorni, quaranta mesi, quaranta anni, quaranta secoli. Ma durerà finché durerà il tempo, e sarà data a tutti coloro che di essa hanno fame santa e gradita al Signore, che giubilerà di darsi senza misura agli uomini per cui si è incarnato, onde abbiamo la Vita che non muore.

Io posso darmi, Io posso transustanziarmi per amore degli uomini, onde il pane divenga Carne e la Carne divenga Pane per la fame spirituale degli uomini, che senza questo Cibo morirebbero di fame e di malattie spirituali. Ma se uno mangia di questo Pane con giustizia, egli vivrà in eterno. Il pane che Io darò sarà la mia Carne immolata per la vita del mondo, sarà il mio amore sparso nelle case di Dio, perché alla mensa del Signore vengano tutti coloro che sono amorosi o infelici e trovino ristoro al loro bisogno di fondersi a Dio e di trovare sollievo al loro penare».

«Ma come può darci da mangiare la tua carne? Per chi ci hai presi? Per belve sanguinarie? Per selvaggi? Per omicidi? A noi ripugna il sangue e il delitto».

«In verità, in verità vi dico che molte volte l’uomo è più di una belva, e che il peccato fa più che selvaggi, che l’orgoglio dà sete omicida, e che non a tutti dei presenti ripugnerà il sangue e il delitto. E anche in futuro l’uomo tale sarà, perché satana, il senso e l’orgoglio lo fanno belluino. E perciò con maggior bisogno che mai dovete e dovrà l’uomo sanare se stesso dai germi terribili con l’infusione del Santo.

In verità, in verità vi dico che se non mangerete la Carne del Figlio dell’Uomo e non berrete il suo Sangue, non avrete in voi la  Vita. Chi mangia degnamente la mia Carne e beve il mio Sangue ha la Vita eterna ed Io lo risusciterò all’Ultimo Giorno. Perché la mia Carne è veramente Cibo e il mio Sangue è veramente Bevanda.

Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in Me ed Io in lui. Come il Padre vivente mi inviò, ed Io vivo per il Padre, così chi mi mangia vivrà anch’egli per Me e andrà dove lo mando, e farà ciò che Io voglio, e vivrà austero come uomo e ardente come serafino, e sarà santo, perché per potersi cibare della mia Carne e del mio Sangue si interdirà le colpe e vivrà ascendendo per finire la sua ascesa ai piedi dell’Eterno.»

«Ma costui è folle! Chi può vivere in tal modo? Nella nostra religione è solo il sacerdote che deve essere purificato per offrire la vittima. Qui Egli ci vuole fare, di noi, tante vittime della sua follia. Questa dottrina è troppo penosa e questo linguaggio è troppo duro! Chi li può ascoltare e praticare?» sussurrano i presenti, e molti sono discepoli già riputati tali.

La gente sfolla commentando. E molto assottigliate appaiono le file dei discepoli quando restano solo nella sinagoga il Maestro e i più fedeli. Io non li conto, ma dico che, ad occhio e croce, sì e no si arriva a cento. Perciò ci deve essere stato un bell’abbandono anche nelle schiere dei vecchi discepoli ormai al servizio di Dio.

Fra i rimasti sono gli apostoli, il sacerdote Giovanni e lo scriba Giovanni, Stefano, Erma, Timoteo, Ermasteo, Agapo, Giuseppe, Salomon, Abele di Betlemme di Galilea e Abele il già lebbroso di Corozim col suo amico Samuele, Elia (quello che lasciò di seppellire il padre per seguire Gesù), Filippo di Arsela, Aser e Ismaele di Nazareth, più altri che non conosco di nome. Questi tutti parlano piano fra loro commentando la defezione degli altri e le parole di Gesù, che pensieroso sta con le braccia conserte appoggiato ad un alto leggio.

«E vi scandalizzate di ciò che ho detto? E se vi dicessi che vedrete un giorno il Figlio dell’Uomo ascendere al Cielo dove era prima e sedersi al fianco del Padre? E che avete capito, assorbito, creduto fino ad ora? E con che avete udito e assimilato? Solo con l’umanità? È lo spirito quello che vivifica e ha valore. La carne non giova a niente. Le mie parole sono spirito e vita, e vanno udite e capite con lo spirito per averne vita.

Ma ci sono molti fra voi che hanno morto lo spirito perché è senza fede. Molti di voi non credono con verità. E inutilmente stanno presso Me. Non ne avranno Vita ma Morte. Perché vi stanno, come ho detto in principio, o per curiosità, o per umano diletto, o, peggio, per fini ancora più indegni. Non sono portati qui dal Padre per premio alla loro buona volontà, ma da Satana. Nessuno può venire a Me, in verità, se non gli è concesso dal Padre mio.

Andate pure, voi che vi trattenete a fatica perché vi vergognate, umanamente, di abbandonarmi, ma avete ancora maggior vergogna di rimanere al servizio di Uno che vi pare “pazzo e duro”. Andate. Meglio lontani che qui per nuocere».

E molti si ritraggono fra i discepoli, fra i quali lo scriba Giovanni e Marco, il geraseno indemoniato, guarito mandando i demoni nei porci. I discepoli buoni si consultano e corrono dietro a questi fedifraghi tentando di fermarli.

Nella sinagoga sono ora Gesù, il sinagogo e gli apostoli…

Gesù si volge ai dodici che, mortificati, stanno in un angolo e dice: «Volete andarvene anche voi?». Lo dice senza acredine e senza mestizia. Ma con molta serietà.

Pietro, con impeto doloroso, gli dice: «Signore, e dove vuoi che si vada? Da chi? Tu sei la nostra vita e il nostro amore. Tu solo hai parole di Vita eterna. Noi abbiamo conosciuto che Tu sei il Cristo, Figlio di Dio. Se vuoi, cacciaci. Ma noi, di nostro, non ti lasceremo neppure… neppure se Tu non ci amassi più…», e Pietro piange senza rumore, con grandi lacrimoni…

Anche Andrea, Giovanni, i due figli di Alfeo, piangono apertamente, e gli altri, pallidi o rossi per l’emozione, non piangono, ma soffrono palesemente.

«Perché vi dovrei cacciare? Non sono stato Io che ho eletto voi dodici?…».

Giairo, prudentemente, si è ritirato per lasciare Gesù libero di confortare o redarguire i suoi apostoli. Gesù, che ne nota la silenziosa ritirata, dice, sedendosi accasciato come se la rivelazione che fa gli costasse uno sforzo superiore a quello che Egli può fare, stanco come è, disgustato, addolorato: «Eppure uno di voi è un demonio».

La parola cade lenta, paurosa, nella sinagoga, nella quale è solo allegra la luce delle molte lampade… e nessuno osa dire nulla. Ma si guardano l’un con l’altro con pauroso ribrezzo e angosciosa indagine e, con una ancor più angosciosa e intima domanda, ognuno esamina se stesso…

Nessuno si muove per qualche tempo. E Gesù resta solo, sul suo sedile, le mani incrociate sui ginocchi, il viso basso. Lo alza infine e dice: «Venite. Non sono già un lebbroso! O mi credete tale?…».

Allora Giovanni corre avanti e gli si avviticchia al collo dicendo: «Con Te, allora, nella lebbra, mio solo amore. Con Te nella condanna, con Te nella morte, se credi che ciò ti attenda…»; e Pietro striscia ai suoi piedi e li prende e se li mette sugli omeri e singhiozza: «Qui, premi, calpesta! Ma non mi fare pensare che Tu diffidi del tuo Simone».

Gli altri, vedendo che Gesù carezza i due primi, si fanno avanti e baciano Gesù sulle vesti, sulle mani, sui capelli… Solo l’Iscariota osa baciarlo sul viso.

Gesù si alza di scatto, e quasi lo respinge bruscamente tanto lo scatto è improvviso, e dice: «Andiamo a casa. Domani sera, di notte, partiremo con le barche per Ippo».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

5 Agosto 2018 XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

 

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6,24-35

Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Trovatolo di là dal mare, gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell’Uomo vi darà. Perché su di Lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?». Gesù rispose: «Questa è l’opera di Dio: credere in Colui che Egli ha mandato». Allora gli dissero: «Quale segno dunque Tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è Colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose: «Io sono il Pane della vita; chi viene a Me non avrà più fame e chi crede in Me non avrà più sete.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’”Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 5 – Capitolo 44 (7 dicembre 1945)

La spiaggia di Cafarnao formicola di gente che sbarca da una vera flottiglia di barche di tutte le dimensioni. E i primi che sbarcano vanno cercando fra la gente se vedono il Maestro, un apostolo, o almeno un discepolo. E vanno chiedendo…

Un uomo, finalmente, risponde: «Maestro? Apostoli? No. Sono andati via subito dopo il sabato e non sono tornati. Ma torneranno perché ci sono i discepoli. Ho parlato adesso con uno di loro. Deve essere un grande discepolo. Parla come Giairo! È andato verso quella casa fra i campi, seguendo il mare».

L’uomo che ha interrogato fa correre la voce e tutti si precipitano verso il luogo indicato. Ma, fatto un duecento metri sulla riva, incontrano tutto un gruppo di discepoli che vengono verso Cafarnao gestendo animatamente. Li salutano e chiedono: «Il Maestro dove è?».

I discepoli rispondono: «Nella notte, dopo il miracolo, se ne è andato coi suoi, colle barche, al di là del mare. Vedemmo le vele, al candore della luna, andare verso Dalmanuta».

«Ah! ecco! Noi Lo cercammo a Magdala presso la casa di Maria e non c’era! Però… potevano dircelo i pescatori di Magdala!».

«Non lo avranno saputo. Sarà forse andato sui monti d’Arbela in preghiera. Ci fu già un’altra volta, lo scorso anno avanti Pasqua. Io l’ho incontrato allora, per somma grazia del Signore al suo povero servo», dice Stefano.

«Ma non torna qui?».

«Certamente tornerà. Ci deve dare il commiato e gli ordini. Ma che volete?».

«Sentirlo ancora. Seguirlo. Farci suoi».

«Adesso va a Gerusalemme. Lo ritroverete là. E là, nella Casa di Dio, il Signore vi parlerà se per voi è utile seguirlo. Perché è bene che sappiate che, se Egli non respinge alcuno, noi abbiamo in noi elementi che sono respingenti la Luce. Ora, chi ne ha tanti da essere non solo saturo di essi -che poco male sarebbe, perché Egli è Luce e nel divenire lealmente suoi con volontà decisa la sua Luce ci penetra e vince le tenebre- ma da esserne composto e affezionato ad essi come alla carne della nostra persona, allora è bene che costui si astenga dal venire, a meno che non si distrugga per ricrearsi nuovamente.

Meditate, dunque, se avete in voi la forza di assumere un nuovo spirito, un nuovo modo di pensare, un nuovo modo di volere. Pregate per poter vedere la verità sulla vostra vocazione. E poi venite, se credete. E voglia l’Altissimo, che ha guidato Israele nel “passaggio”, guidare voi, in questo “pèsac”, a venire sulla scia dell’Agnello, fuori dai deserti, alla Terra eterna, al Regno di Dio», dice Stefano parlando per tutti i compagni.

«No, no! Subito! Subito! Nessuno fa ciò che Egli fa. Lo vogliamo seguire», dice la folla in tumulto.

Stefano ha un sorriso di molte espressioni. Apre le braccia e dice: «Perché vi ha dato il buono e abbondante pane volete venire? Credete che vi dia in futuro solo questo? Egli promette ai suoi seguaci ciò che è sua dote: il dolore, la persecuzione, il martirio. Non rose ma spine, non carezze ma schiaffi, non pane ma pietre sono pronte per i “cristi”. E così dico senza essere bestemmiatore, perché i suoi veri fedeli saranno unti coll’olio santo fatto della sua Grazia e del suo patire; e “unti” noi saremo per essere le vittime sull’altare e i re nel Cielo».

«Ebbene? Ne sei geloso forse? Ci sei tu? Ci vogliamo essere noi pure. Il Maestro è di tutti».

«Sta bene. Ve lo dicevo perché vi amo e voglio che sappiate ciò che è essere “discepoli”, onde non essere poi dei disertori. Andiamo allora tutti insieme ad attenderlo alla sua casa. Il tramonto ha inizio ed ha principio il sabato. Egli verrà per passarlo qui avanti la partenza».

E vanno verso la città, parlando. E molti interrogano Stefano ed Erma, che li ha raggiunti, i quali, agli occhi degli israeliti, hanno una luce speciale perché allievi prediletti di Gamaliele.

Molti chiedono: «Ma che dice Gamaliele di Lui?», altri: «Vi ci ha mandati lui?», e altri ancora: «Non si è doluto di perdervi?», oppure: «E il Maestro che dice del grande rabbi?».

I due rispondono pazienti: «Gamaliele parla di Gesù di Nazaret come del più grande uomo d’Israele».

«Oh! più grande di Mosè?», dicono quasi scandalizzati.

«Egli dice che Mosè è uno dei tanti precursori del Cristo. Ma non è che il servo del Cristo».

«Allora per Gamaliele questo è il Cristo? Dice così? Se così dice rabbi Gamaliele, la cosa è decisa. Egli è il Cristo!».

«Non dice ciò. Non riesce ancora a credere questo, per sua sventura. Ma dice che il Cristo è sulla Terra perché egli gli ha parlato molti anni fa. Egli e il saggio Illele. E attende il segno che quel Cristo gli ha promesso per riconoscerlo», dice Erma.

«Ma come ha fatto a credere che quello era il Cristo? Che faceva quello? Io sono vecchio quanto Gamaliele, ma non ho mai sentito che da noi fossero fatte le cose che il Maestro fa. Se non si persuade di questi miracoli, che vide mai di miracoloso in quel Cristo per potergli credere?».

«Lo vide unto della Sapienza di Dio. Egli dice così», risponde ancora Erma.

«E allora cosa è per Gamaliele questo?».

«Il più grande uomo, maestro e precursore di Israele. Quando potesse dire: “È il Cristo”, sarebbe salva l’anima sapiente e giusta del mio primo maestro», dice Stefano e termina: «Ed io prego perché ciò sia, a qualunque costo».

«E se non lo crede il Cristo, perché vi ha mandati?».

«Noi volevamo venirci. Egli ci ha lasciati venire dicendo che era bene».

«Forse per poter sapere e riferire al Sinedrio…», dice insinuando uno.

«Uomo come parli? Gamaliele è un onesto. Non fa la spia a nessuno, e specie ai nemici di un innocente!», scatta Stefano e pare un arcangelo tanto è sdegnato e quasi raggiante nel suo sdegno santo.

«Gli sarà spiaciuto perdervi, però», dice un altro.

«Sì e no. Come uomo che ci voleva bene, sì. Come spirito molto retto, no. Perché ha detto: “Egli è da più di me e di me più giovane. Perciò io potrò chiudere gli occhi in pace sul vostro futuro sapendovi del ‘Maestro dei maestri’ “».

«E Gesù di Nazaret che dice del grande rabbi?».

«Oh! non ha che parole elette per lui!».

«Non ne è invidioso?».

«Dio non invidia», dice severo Erma. «Non fare supposizioni sacrileghe».

«Ma per voi allora è Dio? Ne siete certi?».

E i due ad una voce: «Come di essere vivi in questo momento». E Stefano termina: «E vogliate crederlo pure voi per possedere la vera Vita».

Sono da capo sulla spiaggia che si muta in piazza e la traversano per andare a casa. Sulla soglia è Gesù che carezza dei bambini.

Discepoli e curiosi si affollano chiedendo: «Maestro, quando sei venuto?».

«Da pochi momenti». Il viso di Gesù ha ancora la maestà solenne, un poco estatica, di quando ha molto pregato.

«Sei stato in orazione, Maestro?» chiede Stefano a voce bassa per riverenza, così come ha curva la persona per lo stesso motivo.

«Sì. Da che lo comprendi, figlio mio?» dice Gesù posandogli la mano sui capelli scuri con una dolce carezza.

«Dal tuo volto d’angelo. Sono un povero uomo, ma è tanto limpido il tuo aspetto che su esso si leggono i palpiti e le azioni del tuo spirito».

«Anche il tuo è limpido. Tu sei uno di quelli che fanciulli restano…».

«E che c’è sul mio viso, Signore?».

«Vieni in disparte e te lo dirò», e lo prende per il polso portandolo in un corridoio oscuro.

«Carità, fede, purezza, generosità, sapienza; e queste Dio te le ha date, e tu le hai coltivate e più lo farai. Infine, secondo il tuo nome, hai la corona: d’oro puro, e con una grande gemma che splende sulla fronte. Sull’oro e sulla gemma sono incise due parole: “Predestinazione” e “Primizia”. Sii degno della tua sorte, Stefano. Va’ in pace con la mia benedizione». E gli posa nuovamente la mano sui capelli, mentre Stefano si inginocchia per poi curvarsi a baciargli i piedi.

Tornano dagli altri.

«Questa gente è venuta per sentirti…» dice Filippo.

«Qui non si può parlare. Andiamo alla sinagoga. Giairo ne sarà contento».

Gesù davanti, dietro il corteo degli altri, vanno alla bella sinagoga di Cafarnao; e Gesù, salutato da Giairo, vi entra, ordinando che tutte le porte restino aperte perché chi non riesce ad entrare possa sentirlo dalla via e dalla piazza che sono a fianco della sinagoga.

Gesù va al suo posto, in questa sinagoga amica, dalla quale oggi, per buona sorte, sono assenti i farisei, forse già partiti pomposamente per Gerusalemme. E inizia a parlare.

«In verità vi dico: voi cercate di Me non per sentirmi e per i miracoli che avete veduto, ma per quel pane che vi ho dato da mangiare a sazietà e senza spesa. I tre quarti di voi per questo mi cercava e per curiosità, venendo da ogni parte della Patria nostra. Manca perciò nella ricerca lo spirito soprannaturale, e resta dominante lo spirito umano con le sue curiosità malsane, o per lo meno di una imperfezione infantile, non perché semplice come quella dei pargoli, ma perché menomata come l’intelligenza di un ottuso di mente.

E con la curiosità resta la sensualità e il sentimento viziato. La sensualità che si nasconde, sottile come il demonio di cui è figlia, dietro apparenze e in atti apparentemente buoni, e il sentimento viziato che è semplicemente una deviazione morbosa del sentimento e che, come tutto ciò che è “malattia”, abbisogna e appetisce a droghe che non sono il cibo semplice, il buon pane, la buona acqua, lo schietto olio, il puro latte, sufficienti a vivere e a vivere bene.

Il sentimento viziato vuole le cose straordinarie per essere scosso e per provare il brivido che piace, il brivido malato dei paralizzati, che hanno bisogno di droghe per provare sensazioni che li illudano di essere ancora integri e virili. La sensualità che vuole soddisfare senza fatica la gola, in questo caso, col pane non sudato, avuto per bontà di Dio.

I doni di Dio non sono consuetudine, sono lo straordinario. Non si possono pretenderli, né impigrirsi dicendo: “Dio me li darà”. È detto: “Mangerai il pane bagnato col sudore della tua fronte”, ossia il pane guadagnato col lavoro. Ché se Colui che è Misericordia ha detto: “Ho compassione di queste turbe, che mi seguono da tre giorni e non hanno più da mangiare e potrebbero venire meno per via prima di avere raggiunto Ippo sul lago, o Gamala, o altre città”, e ha provveduto, non è però detto che Egli debba essere seguito per questo.

Per molto di più di un po’ di pane, destinato a divenire sterco dopo la digestione, Io vado seguito. Non per il cibo che empie il ventre ma per quello che nutre l’anima. Perché non siete soltanto animali che devono brucare e ruminare, o grufolare e ingrassare. Ma anime siete! Questo siete! La carne è la veste, l’essere è l’anima. È lei che è duratura. La carne, come ogni veste, si logora e finisce, e non merita curarla come fosse una perfezione alla quale va data ogni cura.

Cercate dunque ciò che è giusto procurarsi, non ciò che è ingiusto. Cercate di procurarvi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna. Questo, il Figlio dell’Uomo ve lo darà sempre, quando voi lo vogliate. Perché il Figlio dell’Uomo ha a sua disposizione tutto quanto viene da Dio, e può darlo, Egli padrone, e magnanimo padrone, dei tesori del Padre Dio, che ha impresso su di Lui il suo sigillo perché gli occhi onesti non siano confusi. E se voi avrete in voi il cibo che non perisce, potrete fare opere di Dio essendo nutriti del cibo di Dio».

«Che cosa dobbiamo fare per fare le opere di Dio? Noi osserviamo la Legge e i Profeti. Perciò già siamo nutriti di Dio e facciamo opere di Dio».

«È vero. Voi osservate la Legge. Meglio ancora: voi “conoscete” la Legge. Ma conoscere non è praticare. Noi conosciamo, ad esempio, le leggi di Roma, eppure un fedele israelita non le pratica altro che in quelle formule che sono imposte dalla sua condizione di suddito. Per il resto noi, parlo dei fedeli israeliti, non pratichiamo le usanze pagane dei romani pur conoscendole.

La Legge che voi tutti conoscete ed i Profeti dovrebbero, infatti, nutrirvi di Dio e darvi perciò capacità di fare opere di Dio. Ma per fare questo dovrebbero essere divenute un tutt’uno con voi, così come è l’aria che respirate e il cibo che assimilate, che si mutano entrambi in vita e sangue. Mentre essi rimangono estranei, pure essendo di casa vostra, così come può esserlo un oggetto della casa, che vi è noto e utile, ma che, se venisse a mancare, non vi leva l’esistenza.

Mentre… oh! provate un poco a non respirare per qualche minuto, provate a stare senza cibo per giorni e giorni… e vedrete che non potete vivere.

Così dovrebbe sentirsi il vostro io nella denutrizione e nell’asfissia della Legge e dei Profeti, conosciuti ma non assimilati e fatti tutt’uno con voi. Questo Io sono venuto ad insegnare e a dare: il succo, l’aria della Legge e dei Profeti, per ridare sangue e respiro alle vostre anime morenti di inedia e di asfissia. Voi siete simili a bambini che una malattia rende incapaci di conoscere ciò che è atto a nutrirli. Avete davanti dovizie di cibi, ma non sapete che vanno mangiati per mutarsi in cosa vitale, ossia che vanno veramente fatti nostri, con una fedeltà pura e generosa alla Legge del Signore che ha parlato a Mosè e ai Profeti per voi tutti.

Venire dunque a Me per avere aria e succo di Vita eterna, è dovere. Ma questo dovere presuppone una fede in voi. Perché se uno non ha fede, non può credere alle parole mie, e se non crede non viene a dirmi: “Dammi il vero pane”. E se non ha il vero pane non può fare opere di Dio, non avendo capacità di farle. Perciò per essere nutriti di Dio e per fare opere di Dio è necessario che voi facciate l’opera-base, che è questa: credere in Colui che Dio ha mandato».

«Ma che miracoli fai Tu dunque perché noi si possa credere in Te come il Mandato da Dio e perché si possa vedere su Te il sigillo di Dio? Che fai Tu che già, sebbene in forma minore, non abbiano fatto i Profeti? Mosè ti ha superato, anzi, perché, non per una volta tanto, ma per quarant’anni, nutrì di meraviglioso cibo i nostri padri. Così è scritto: che i nostri padri per quarant’anni mangiarono la manna del deserto, ed è detto che perciò Mosè diede loro da mangiare pane venuto dal cielo, egli che poteva».

«Siete in errore. Non Mosè ma il Signore poté fare questo. E nell’Esodo si legge: “Ecco: Io farò piovere del pane dal cielo. Esca il popolo e ne raccolga quanto basta giorno per giorno, e così Io provi se il popolo cammina secondo la mia legge. E il sesto giorno ne raccolga il doppio per rispetto al settimo giorno che è il sabato”.

E gli ebrei videro il deserto ricoprirsi, mattina per mattina, di quella “cosa minuta come ciò che è pestato nel mortaio e simile alla brina della terra, simile al seme di coriandolo, e dal buon sapore di fior di farina incorporata col miele”. Dunque non Mosè, ma Dio provvide alla manna. Dio che tutto può. Tutto. Punire e benedire. Privare e concedere. Ed Io ve lo dico, delle due cose preferisce sempre benedire e concedere a punire e privare.

Dio, come dice la Sapienza, per amore di Mosè -detto dall’Ecclesiastico “caro a Dio e agli uomini, di benedetta memoria, fatto da Dio simile ai santi nella gloria, grande e terribile per i nemici, capace di suscitare e por fine ai prodigi, glorificato nel cospetto dei re, suo ministro al cospetto del popolo, conoscitore della gloria di Dio e della voce dell’Altissimo, custode dei precetti e della Legge di vita e di scienza”- Dio, dicevo, per amore di questo Mosè, nutrì il suo popolo col pane degli Angeli, e dal cielo gli donò un pane bell’e fatto, senza fatica, contenente in sé ogni delizia ed ogni soavità di sapore.

E -ricordate bene ciò che dice la Sapienza- e poiché veniva dal Cielo, da Dio, e mostrava la sua dolcezza ai figli, aveva per ognuno il sapore che ognuno voleva, e dava ad ognuno gli effetti desiderati, essendo utile tanto al pargolo, dallo stomaco ancora imperfetto, come all’adulto, dall’appetito e digestione gagliardi, alla fanciulla delicata come al vecchio cadente.

E anche, per testimoniare che non era opera d’uomo, capovolse le leggi degli elementi, onde resisté al fuoco, esso, il misterioso pane che al sorgere del sole si squagliava come brina. O meglio: il fuoco -è sempre la Sapienza che parla- dimenticò la propria natura per rispetto all’opera di Dio suo Creatore e dei bisogni dei giusti di Dio, di modo che, mentre è solito ad infiammarsi per tormentare, qui si fece dolce per fare del bene a quelli che confidavano nel Signore.

Per questo allora, trasformandosi in ogni maniera, servì alla grazia del Signore, nutrice di tutti, secondo la volontà di chi pregava l’eterno Padre, affinché i figli diletti imparassero che non è il riprodursi dei frutti che nutrisce gli uomini, ma è la parola del Signore quella che conserva chi crede in Dio. Infatti non consumò, come poteva, la dolce manna, neppure se la fiamma era alta e potente, mentre bastava a scioglierla il dolce sole del mattino, affinché gli uomini ricordassero e imparassero che i doni di Dio vanno ricercati dall’inizio del giorno e della vita, e che per averli occorre anticipare la luce e sorgere, per lodare l’Eterno, dalla prima ora del mattino.

Questo insegnò la manna agli ebrei. Ed Io ve lo ricordo perché è dovere che dura e durerà sino alla fine dei secoli. Cercate il Signore ed i suoi doni celesti senza poltrire fino alle tarde ore del giorno e della vita. Sorgete a lodarlo prima ancora che lo lodi il sorgente sole, e pascetevi della sua parola che conserva e preserva e conduce alla Vita vera.

Non Mosè vi diede il pane del Cielo, ma in verità lo diede il Padre Iddio, e ora, in verità delle verità, è il Padre mio quello che vi dà il vero Pane, il Pane novello, il Pane eterno che dal Cielo discende, il Pane di misericordia, il Pane di Vita, il Pane che dà al mondo la Vita, il Pane che sazia ogni fame e leva ogni languore, il Pane che dà, a chi lo prende, la Vita eterna e l’eterna gioia».

«Dacci, o Signore, di codesto pane, e noi non morremo più».

«Voi morrete come ogni uomo muore, ma risorgerete a Vita eterna se vi nutrirete santamente di questo Pane, perché esso fa incorruttibile chi lo mangia. Riguardo a darvelo sarà dato a coloro che lo chiedono al Padre mio con puro cuore, retta intenzione e santa carità. Per questo ho insegnato a dire: “Dacci il pane quotidiano”.

Ma coloro che si nutriranno indegnamente diverranno brulichio di vermi infernali, come i gomor di manna conservati contro l’ordine avuto. E questo Pane di salute e vita diverrà per loro morte e condanna. Perché il sacrilegio più grande sarà commesso da coloro che metteranno quel Pane su una mensa spirituale corrotta e fetida, o lo profaneranno mescolandolo alla sentina delle loro inguaribili passioni. Meglio per loro sarebbe non averlo mai preso!».

«Ma dove è questo Pane? Come lo si trova? Che nome ha?».

«Io sono il Pane di Vita. In Me lo si trova. Il suo nome è Gesù. Chi viene a Me non avrà più fame, e chi crede in Me non avrà mai più sete, perché i fiumi celesti si riverseranno in lui estinguendo ogni materiale ardore. Io ve l’ho detto, ormai. Voi mi avete conosciuto, ormai. Eppure non credete. Non potete credere che tutto quanto è in Me. Eppure così è. In Me sono tutti i tesori di Dio.

E a Me tutto della terra è dato, onde in Me sono riuniti i gloriosi cieli e la militante terra, e fino la penante e attendente massa dei trapassati in grazia di Dio sono in Me, perché in Me e a Me è ogni potere. Ed Io ve lo dico: tutto quanto il Padre mi dà verrà a Me. Né Io scaccerò chi a Me viene, perché sono disceso dal Cielo non per fare la mia volontà ma quella di Colui che mi ha mandato.

E la volontà del Padre mio, del Padre che mi ha mandato, è questa: che Io non perda nemmeno uno di quelli che mi ha dato, ma che Io li risusciti all’ultimo giorno. Ora la volontà del Padre che mi ha mandato è che chiunque conosce il Figlio e crede in Lui abbia la vita Eterna e Io lo possa risuscitare nell’Ultimo Giorno, vedendolo nutrito della fede in Me e segnato del mio sigillo».

Vi è non poco brusìo nella sinagoga e fuori della stessa per le nuove e ardite parole del Maestro. E questo, dopo avere per un momento preso fiato, volge gli occhi sfavillanti di rapimento là dove più si mormora, e sono precisamente i gruppi in cui sono dei giudei. Riprende a parlare.

«Perché mormorate fra voi? Sì, Io sono il figlio di Maria di Nazareth figlia di Gioacchino della stirpe di Davide, Vergine consacrata nel Tempio e poi sposata a Giuseppe di Giacobbe, della stirpe di Davide. Voi avete conosciuto, in molti, i giusti che dettero vita a Giuseppe, legnaiolo regale, e a Maria, Vergine erede della stirpe regale. Ciò vi fa dire: “Come può Costui dirsi disceso dal Cielo?», e il dubbio sorge in voi.

Vi ricordo i Profeti nelle loro profezie sull’Incarnazione del Verbo. E vi ricordo come, più per noi israeliti che per qualsiasi altro popolo, è dogmatico che Colui che non osiamo chiamare non potesse darsi una Carne secondo le leggi della umanità, e umanità decaduta per giunta. Il Purissimo, l’Increato, se si è mortificato a farsi Uomo per amore dell’uomo, non poteva che eleggere un seno di Vergine più pura dei gigli per rivestire di Carne la sua Divinità.

Il pane disceso dal Cielo al tempo di Mosè è stato riposto nell’arca d’oro, coperta dal propiziatorio, vegliata dai cherubini, dietro i veli del Tabernacolo. E col pane era la Parola di Dio. E giusto era che ciò fosse, perché sommo rispetto va dato ai doni di Dio e alle tavole della sua Santissima Parola.

Ma che allora sarà stato preparato da Dio per la sua stessa Parola e per il Pane vero che è venuto dal Cielo? Un’arca più inviolata e preziosa dell’arca d’oro, coperta dal prezioso propiziatorio della sua pura volontà di immolazione, vegliata dai cherubini di Dio, velata dal velo di un candore verginale, di una umiltà perfetta, di una carità sublime e di tutte le virtù più sante.

E allora? Non capite ancora che la mia paternità è in Cielo e che perciò Io di là vengo? Sì, Io sono disceso dal Cielo per compiere il decreto del Padre mio, il decreto di salvazione degli uomini secondo quanto promise al momento stesso della condanna e ripeté ai Patriarchi e ai Profeti.

Ma questo è fede. E la fede viene data da Dio a chi ha l’animo di buona volontà. Perciò nessuno può venire a Me se non lo conduce a Me il Padre mio, vedendolo nelle tenebre ma rettamente desideroso di luce. È scritto nei Profeti: “Saranno tutti ammaestrati da Dio”. Ecco. È detto: È Dio che li istruisce dove andare per essere istruiti di Dio. Chiunque, dunque, ha udito in fondo al suo spirito retto parlare Iddio, ha imparato dal Padre a venire a Me».

«E chi vuoi che abbia sentito Iddio o visto il suo Volto?» chiedono in diversi che cominciano a mostrare segni di irritazione e di scandalo. E terminano: «Tu deliri, oppure sei un illuso».

«Nessuno ha veduto Iddio eccetto Colui che è da Dio; questo ha veduto il Padre. E questo Io sono.

Ed ora udite il “credo” della vita futura, senza il quale non ci si può salvare.

In verità, in verità vi dico che chi crede in Me ha la Vita eterna. In verità, in verità vi dico che Io sono il Pane della Vita eterna.

I vostri padri mangiarono nel deserto la manna e morirono. Perché la manna era un cibo santo ma temporaneo, e dava vita per quanto necessitava a giungere alla terra promessa da Dio al suo popolo. Ma la Manna che Io sono non avrà limitazione di tempo e di potere.

È non solo celeste, ma è divina, e produce ciò che è divino: l’incorruttibilità, l’immortalità di quanto Dio ha creato a sua immagine e somiglianza. Essa non durerà quaranta giorni, quaranta mesi, quaranta anni, quaranta secoli. Ma durerà finché durerà il tempo, e sarà data a tutti coloro che di essa hanno fame santa e gradita al Signore, che giubilerà di darsi senza misura agli uomini per cui si è incarnato, onde abbiamo la Vita che non muore.

Io posso darmi, Io posso transustanziarmi per amore degli uomini, onde il pane divenga Carne e la Carne divenga Pane per la fame spirituale degli uomini, che senza questo Cibo morirebbero di fame e di malattie spirituali. Ma se uno mangia di questo Pane con giustizia, egli vivrà in eterno. Il pane che Io darò sarà la mia Carne immolata per la vita del mondo, sarà il mio amore sparso nelle case di Dio, perché alla mensa del Signore vengano tutti coloro che sono amorosi o infelici e trovino ristoro al loro bisogno di fondersi a Dio e di trovare sollievo al loro penare».

«Ma come può darci da mangiare la tua carne? Per chi ci hai presi? Per belve sanguinarie? Per selvaggi? Per omicidi? A noi ripugna il sangue e il delitto».

«In verità, in verità vi dico che molte volte l’uomo è più di una belva, e che il peccato fa più che selvaggi, che l’orgoglio dà sete omicida, e che non a tutti dei presenti ripugnerà il sangue e il delitto. E anche in futuro l’uomo tale sarà, perché satana, il senso e l’orgoglio lo fanno belluino. E perciò con maggior bisogno che mai dovete e dovrà l’uomo sanare se stesso dai germi terribili con l’infusione del Santo.

In verità, in verità vi dico che se non mangerete la Carne del Figlio dell’Uomo e non berrete il suo Sangue, non avrete in voi la  Vita. Chi mangia degnamente la mia Carne e beve il mio Sangue ha la Vita eterna ed Io lo risusciterò all’Ultimo Giorno. Perché la mia Carne è veramente Cibo e il mio Sangue è veramente Bevanda.

Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in Me ed Io in lui. Come il Padre vivente mi inviò, ed Io vivo per il Padre, così chi mi mangia vivrà anch’egli per Me e andrà dove lo mando, e farà ciò che Io voglio, e vivrà austero come uomo e ardente come serafino, e sarà santo, perché per potersi cibare della mia Carne e del mio Sangue si interdirà le colpe e vivrà ascendendo per finire la sua ascesa ai piedi dell’Eterno.»

«Ma costui è folle! Chi può vivere in tal modo? Nella nostra religione è solo il sacerdote che deve essere purificato per offrire la vittima. Qui Egli ci vuole fare, di noi, tante vittime della sua follia. Questa dottrina è troppo penosa e questo linguaggio è troppo duro! Chi li può ascoltare e praticare?» sussurrano i presenti, e molti sono discepoli già riputati tali.

La gente sfolla commentando. E molto assottigliate appaiono le file dei discepoli quando restano solo nella sinagoga il Maestro e i più fedeli. Io non li conto, ma dico che, ad occhio e croce, sì e no si arriva a cento. Perciò ci deve essere stato un bell’abbandono anche nelle schiere dei vecchi discepoli ormai al servizio di Dio.

Fra i rimasti sono gli apostoli, il sacerdote Giovanni e lo scriba Giovanni, Stefano, Erma, Timoteo, Ermasteo, Agapo, Giuseppe, Salomon, Abele di Betlemme di Galilea e Abele il già lebbroso di Corozim col suo amico Samuele, Elia (quello che lasciò di seppellire il padre per seguire Gesù), Filippo di Arsela, Aser e Ismaele di Nazareth, più altri che non conosco di nome. Questi tutti parlano piano fra loro commentando la defezione degli altri e le parole di Gesù, che pensieroso sta con le braccia conserte appoggiato ad un alto leggio.

«E vi scandalizzate di ciò che ho detto? E se vi dicessi che vedrete un giorno il Figlio dell’Uomo ascendere al Cielo dove era prima e sedersi al fianco del Padre? E che avete capito, assorbito, creduto fino ad ora? E con che avete udito e assimilato? Solo con l’umanità? È lo spirito quello che vivifica e ha valore. La carne non giova a niente. Le mie parole sono spirito e vita, e vanno udite e capite con lo spirito per averne vita.

Ma ci sono molti fra voi che hanno morto lo spirito perché è senza fede. Molti di voi non credono con verità. E inutilmente stanno presso Me. Non ne avranno Vita ma Morte. Perché vi stanno, come ho detto in principio, o per curiosità, o per umano diletto, o, peggio, per fini ancora più indegni. Non sono portati qui dal Padre per premio alla loro buona volontà, ma da Satana. Nessuno può venire a Me, in verità, se non gli è concesso dal Padre mio.

Andate pure, voi che vi trattenete a fatica perché vi vergognate, umanamente, di abbandonarmi, ma avete ancora maggior vergogna di rimanere al servizio di Uno che vi pare “pazzo e duro”. Andate. Meglio lontani che qui per nuocere».

E molti si ritraggono fra i discepoli, fra i quali lo scriba Giovanni e Marco, il geraseno indemoniato, guarito mandando i demoni nei porci. I discepoli buoni si consultano e corrono dietro a questi fedifraghi tentando di fermarli.

Nella sinagoga sono ora Gesù, il sinagogo e gli apostoli…

Gesù si volge ai dodici che, mortificati, stanno in un angolo e dice: «Volete andarvene anche voi?». Lo dice senza acredine e senza mestizia. Ma con molta serietà.

Pietro, con impeto doloroso, gli dice: «Signore, e dove vuoi che si vada? Da chi? Tu sei la nostra vita e il nostro amore. Tu solo hai parole di Vita eterna. Noi abbiamo conosciuto che Tu sei il Cristo, Figlio di Dio. Se vuoi, cacciaci. Ma noi, di nostro, non ti lasceremo neppure… neppure se Tu non ci amassi più…», e Pietro piange senza rumore, con grandi lacrimoni…

Anche Andrea, Giovanni, i due figli di Alfeo, piangono apertamente, e gli altri, pallidi o rossi per l’emozione, non piangono, ma soffrono palesemente.

«Perché vi dovrei cacciare? Non sono stato Io che ho eletto voi dodici?…».

Giairo, prudentemente, si è ritirato per lasciare Gesù libero di confortare o redarguire i suoi apostoli. Gesù, che ne nota la silenziosa ritirata, dice, sedendosi accasciato come se la rivelazione che fa gli costasse uno sforzo superiore a quello che Egli può fare, stanco come è, disgustato, addolorato: «Eppure uno di voi è un demonio».

La parola cade lenta, paurosa, nella sinagoga, nella quale è solo allegra la luce delle molte lampade… e nessuno osa dire nulla. Ma si guardano l’un con l’altro con pauroso ribrezzo e angosciosa indagine e, con una ancor più angosciosa e intima domanda, ognuno esamina se stesso…

Nessuno si muove per qualche tempo. E Gesù resta solo, sul suo sedile, le mani incrociate sui ginocchi, il viso basso. Lo alza infine e dice: «Venite. Non sono già un lebbroso! O mi credete tale?…».

Allora Giovanni corre avanti e gli si avviticchia al collo dicendo: «Con Te, allora, nella lebbra, mio solo amore. Con Te nella condanna, con Te nella morte, se credi che ciò ti attenda…»; e Pietro striscia ai suoi piedi e li prende e se li mette sugli omeri e singhiozza: «Qui, premi, calpesta! Ma non mi fare pensare che Tu diffidi del tuo Simone».

Gli altri, vedendo che Gesù carezza i due primi, si fanno avanti e baciano Gesù sulle vesti, sulle mani, sui capelli… Solo l’Iscariota osa baciarlo sul viso.

Gesù si alza di scatto, e quasi lo respinge bruscamente tanto lo scatto è improvviso, e dice: «Andiamo a casa. Domani sera, di notte, partiremo con le barche per Ippo».

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

XVII Domenica del Tempo Ordinario anno B

Giovanni 6,1-15

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6,1-15

In quel tempo, Gesù andò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero. E quando furono saziati, disse ai discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: «Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 4 – Capitolo 273

La prima moltiplicazione dei pani.

Il luogo è sempre quello. Soltanto il sole non viene più da oriente, filtrando fra la boscaglia che costeggia il Giordano in questo luogo selvaggio presso lo sbocco delle acque del lago nel letto del fiume, ma viene, ugualmente obliquo, da ponente, mentre cala in una gloria di rosso, sciabolando il cielo coi suoi ultimi raggi. E sotto questo fogliame denso già la luce molto temperata, tendente alle tinte pacate della sera. Gli uccelli, inebriati dal sole avuto per tutto il giorno, dal cibo abbondante carpito alle limitrofe campagne, si danno ad un baccanale di trilli e canti, sulle vette delle piante. La sera cala con le pompe finali del giorno.

Gli apostoli lo fanno notare a Gesù, che sempre ammaestra a seconda degli argomenti a Lui esposti.

«Maestro, la sera si avvicina. Il luogo è deserto, lontano da case e paesi, ombroso e umido. Fra poco qui non sarà più possibile vederci, né camminare. La luna alza tardi. Licenzia il popolo affinché vada a Tarichea o ai villaggi del Giordano a comprarsi cibo e cercare alloggio».

«Non occorre che se ne vadano. Date loro da mangiare. Possono dormire qui come dormirono attendendomi».

«Non ci sono rimasti che cinque pani e due pesci, Maestro, lo sai».

«Portatemeli».

«Andrea, va’ a cercare il bambino. È lui di guardia alla borsa.  Poco fa era col figlio dello scriba e due altri, intento a farsi coroncine di fiori giocando ai re».

Andrea va sollecito. E anche Giovanni e Filippo si danno a cercare Marziam fra la folla che sempre si sposta. Lo trovano quasi contemporaneamente, con la sua borsa dei viveri a tracolla, un grande tralcio di vitalba girato intorno alla testa e una cintura di vitalba dalla quale pende a far da spada un nocchio: l’elsa è il nocchio vero e proprio, la lama il gambo a canna dello stesso. Con lui sono altri sette, ugualmente bardati, e fanno corteggio al figlio dello scriba, un esilissimo fanciullo dall’occhio molto serio di chi ha tanto sofferto, che più infiorato degli altri fa da re.

«Vieni, Marziam. Il Maestro ti vuole!».

Marziam lascia in asso gli amici e va lesto senza neppure levarsi le sue… insegne floreali. Ma lo seguono anche gli altri e presto Gesù è circondato da una coroncina di fanciulli inghirlandati di fiori. Egli li carezza, mentre Filippo leva dalla borsa un fagotto con del pane, nel centro del quale sono avvolti due grossi pesci: due chili di pesce, poco più. Insufficienti anche ai diciassette, anzi diciotto con Mannaen, della comitiva di Gesù. Portano questi cibi al Maestro.

«Va bene. Ora portatemi dei cesti. Diciasette, quanti voi siete. Marziam darà il cibo ai bambini…». Gesù guarda fisso lo scriba, che gli è sempre stato vicino, e chiede: «Vuoi dare anche te il cibo agli affamati?».

«Mi piacerebbe. Ma ne sono privo io pure».

«Dai del mio. Te lo concedo».

«Ma… intendi sfamare un cinquemila uomini, oltre donne e i bambini, con quei due pesci e quei cinque pani?».

«Senza dubbio. Non essere incredulo. Chi crede vedrà compiersi il miracolo».

«Oh! Allora voglio proprio distribuire il cibo anche io!».

«Fatti dare allora una cesta tu pure».

Tornano gli apostoli con ceste e cestelli larghi e bassi, oppure fondi e stretti. E torna lo scriba con un paniere piuttosto piccolo. Si capisce che la sua fede o la sua incredulità gli hanno fatto scegliere quello come il massimo.

«Va bene. Mettete tutto qui davanti. E fate sedere le turbe con ordine, a linee regolari per quanto si può».

E, mentre ciò avviene, Gesù alza il pane con sopra i pesci, li offre, prega e benedice.

Lo scriba non Lo abbandona un istante con l’occhio. Poi Gesù spezza i cinque pani in diciotto parti e spezza i due pesci in diciotto parti, e mette il pezzo di pesce -un pezzettino ben meschino- in ogni cesta, e fa a bocconi i diciotto pezzi di pane: ogni pezzo in molti bocconi. Molti relativamente: una ventina, non di più. Ogni pezzo spezzettato, in un cesto, col pesce.

«E ora prendete e date a sazietà. Andate. Vai, Marziam, a darlo ai tuoi compagni».

«Uh! Come è peso!», dice Marziam alzando il suo cesto e andando subito dai suoi piccoli amici, camminando come chi porta un peso.

Gli apostoli, i discepoli, Mannaen, lo scriba, lo guardano andare, incerti… Poi prendono i cesti e, scuotendo il capo, dicono l’un coll’altro: «Il bambino scherza! Non pesano più di prima». E lo scriba guarda anche dentro e vi mette la mano a frugare nel fondo, perché ormai non c’è più molta luce, lì nel folto dove Gesù è, mentre più là, nella radura, vi è ancora una buona luce.

Ma però, nonostante la constatazione, vanno verso la gente e iniziano a distribuire. E danno, danno, danno. E ogni tanto si volgono stupiti, sempre più lontani, verso Gesù che a braccia conserte, addossato ad un albero, sorride finemente del loro stupore.

La distribuzione è lunga e abbondante… e l’unico che non mostra stupore é Marziam, che ride felice di empire di pane e pesce il grembo di tanti bambini poverelli. È anche il primo a tornare da Gesù dicendo: «Ho dato tanto, tanto, tanto!… perché io so cosa è la fame…», e alza il visetto non più macilento, che nel ricordo però impallidisce sbarrando gli occhi… Ma Gesù lo carezza e il sorriso torna luminoso su quel volto fanciullo che, fidente, si appoggia contro Gesù, suo Maestro e Protettore.

Pian piano tornano gli apostoli e i discepoli, ammutoliti dallo stupore. Ultimo lo scriba che non dice nulla. Ma fa un atto che è più di un discorso. Si inginocchia e bacia l’orlo della veste di Gesù.

«Prendete la vostra parte e datemene un poco. Mangiamo il cibo di Dio».

Mangiano infatti pane e pesce, ognuno secondo il bisogno…

Intanto la gente sazia si scambia le sue impressioni. Anche chi è intorno a Gesù osa parlare osservando Marziam che, finendo il suo pesce, scherza con altri fanciulli.

«Maestro», chiede lo scriba, «perché il bambino ha sentito subito il peso e noi no? Io ho anche frugato dentro. Erano sempre quei pochi bocconi di pane e quell’unico di pesce. Ho cominciato a sentire il peso andando verso la folla. Ma, se avesse pesato per quanto ne ho dato, ci sarebbe voluto una coppia di muli a portarlo, non già il cesto ma un carro, pieno, stivato di cibo. In principio andavo leggero… poi mi sono messo a dare, dare, e per non essere ingiusto sono ripassato dai primi dando di nuovo, perché ai primi avevo dato poco. Eppure è bastato».

«Io pure ho sentito farsi pesante il cesto mentre mi avviavo, ed ho dato subito molto perché ho capito che avevi fatto miracolo», dice Giovanni.

«Io invece mi sono fermato e mi sono seduto per rovesciare in grembo il peso e vedere… E ho visto pani e pani. Allora sono andato», dice Mannaen.

«Io li ho anche contati, perché non volevo fare brutte figure. Erano cinquanta piccoli pani. Ho detto: “Li darò a cinquanta persone e poi tornerò indietro”. E ho contato. Ma arrivato a cinquanta il peso era uguale ancora. Ho guardato dentro. Erano ancora tanti. Sono andato avanti e ne ho dati a centinaia. Ma non diminuivano mai», dice Bartolomeo.

«Io, lo confesso, non credevo e ho preso in mano i bocconi di pane e quel briciolo di pesce, e li guardavo dicendo: “E a chi servono? Gesù ha voluto scherzare!…” e li guardavo, li guardavo stando nascosto dietro un albero, sperando e disperando di vederli crescere. Ma rimanevano sempre gli stessi. Stavo per tornare indietro quando è passato Matteo dicendo: “Hai visto come sono belli?”. “Cosa?” ho detto. “Ma i pani e i pesce!…”. “Sei matto? Io vedo sempre pezzi di pane”. “Va’ a distribuirli con fede e vedrai”. Ho gettato dentro nel cestone quei pochi bocconi e sono andato con riluttanza… E poi… Perdonami, Gesù, perché sono un peccatore!», dice Tommaso.

«No. Sei uno spirito del mondo. Ragioni da mondo».

«Anche io, Signore, allora. Tanto che pensavo dare una moneta insieme al pane pensando: “Mangeranno altrove”», dice l’Iscariota. «Speravo aiutarti a fare una figura migliore. Che sono io, dunque? Come Tommaso o più ancora?».

«Molto più di Tommaso, tu sei “mondo”».

«Elemosina a te stesso, al tuo orgoglio. Ed elemosina a Dio. Quest’ultimo non ne ha bisogno, e l’elemosina al tuo orgoglio è colpa, non merito».

Giuda china il capo e tace.

«Io invece pensavo che quel boccone di pesce, che quei bocconi di pane li avrei dovuti sbriciolare per farli bastare. Ma non dubitavo che sarebbero stati sufficienti, né per numero né per nutrimento. Una goccia d’acqua data da Te può essere più nutriente di un banchetto», dice Simone Zelote.

«E voi che pensavate?», chiede Pietro ai cugini di Gesù.

«Noi ricordavamo Cana… e non dubitavamo», dice serio Giuda.

«E tu, Giacomo, fratello mio, questo solo pensavi?».

«No. Pensavo fosse un sacramento, come Tu hai detto a me… È così o sbaglio?».

Gesù sorride: «È e non è. Alla verità della potenza del nutrimento in una goccia d’acqua, detta da Simone, va unito il tuo pensiero per una figura lontana. Ma ancora non è un sacramento».

Lo scriba conserva una crosta fra le dita.

«Che ne fai?».

«Un… ricordo».

«La tengo anche io. La metterò al collo di Marziam in una piccola borsa», dice Pietro.

«Io la porterò alla madre nostra», dice Giovanni.

«E noi? Abbiamo mangiato tutto…», dicono mortificati gli altri.

«Alzatevi. Girate di nuovo coi cesti, raccogliete gli avanzi, separate fra la gente i più poveri e portatemeli qui insieme ai cesti, e poi andate tutti, voi discepoli miei, alle barche, e prendete il largo andando alla pianura di Genezaret. Io congederò la gente dopo aver beneficato i più poveri e poi vi raggiungerò».

Gli apostoli ubbidiscono… e tornano con dodici panieri colmi di avanzi e seguiti da una trentina di mendicanti o persone molto misere.

«Va bene. Andate pure».

Gli apostoli e quelli di Giovanni salutano Mannaen e se ne vanno con un poco di riluttanza a lasciare Gesù. Ma ubbidiscono. Mannaen attende a lasciare Gesù quando la folla, alle ultime luci del giorno, o si avvia ai villaggi o si cerca un posto per dormire fra gli alti e asciutti falaschi. Poi si accomiata. Prima di lui se ne è andato lo scriba, uno dei primi, anzi, perché, insieme al figlioletto, si è avviato in coda agli apostoli.

Partiti tutti, oppure caduti nel sonno, Gesù si alza, benedice i dormenti e a passo lento si porta verso il lago, verso la penisoletta di Tarichea, sopraelevata di qualche metro sul lago come fosse un frastaglio di colle spinto nel lago. E, raggiunto che ne ha le basi, senza entrare in città, ma costeggiandola, sale il ponticello e si mette su uno scrimolo, in preghiera davanti all’azzurro e al candore della notte serena e lunare.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

XVI Domenica del Tempo Ordinario anno B

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Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 6,30-34

Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un pò». Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 4 – Capitolo 134

È notte fatta quando Gesù torna a casa. Entra senza rumore nell’orto, si affaccia un attimo alla cucina buia. La vede vuota. Si affaccia alle due stanze dove sono le stuoie ed i letti. Vuote esse pure. Solo le vesti mutate, ammucchiate per terra, dicono che gli apostoli hanno fatto ritorno. La casa sembra disabitata tanto è silenziosa.
Gesù, facendo meno rumore di un’ombra, sale la scaletta, candore nel candore della luna piena, e giunge sulla terrazza. La percorre. Pare uno spettro che si muova senza rumore. Un luminoso spettro. Nell’incandescenza bianca della luna pare affinarsi, alzarsi più ancora.
Alza con la mano la tenda che è alla porta della stanza alta. Essa era rimasta calata da quando i discepoli di Giovanni vi erano entrati con Gesù. Dentro, seduti qua o là, a gruppi, o soli, sono gli apostoli coi discepoli di Giovanni e Mannaen, e, addormentato col capo sui ginocchi di Pietro, è Marziam. La luna si incarica di illuminare la stanza entrando coi suoi fiotti fosforici dalle finestre aperte. Nessuno parla. E nessuno, tolto il bambino seduto per terra su una stuoia, dorme.
Gesù entra piano e il primo che lo vede è Tommaso. «Oh! Maestro!», dice facendo un sobbalzo.
Gli altri si scuotono tutti. Pietro, nel suo impeto, fa per alzarsi di scatto, ma si sovviene del bambino e lo fa dolcemente, adagiando il capo bruno di Marziam sul suo sedile, di modo che giunge da Gesù per ultimo, mentre il Maestro, con voce stanca di chi ha molto sofferto, risponde a Giovanni, Giacomo e Andrea che gli dicono il loro dolore:
«Lo comprendo. Ma solo chi non crede ha da sentirsi desolato di una morte. Non noi che sappiamo e crediamo. Giovanni non ci è più separato. Lo era prima. Prima ci separava, anzi. O con Me, o con lui. Ora non più. Dove è lui Io sono. Presso a Me lui è».
Pietro insinua la sua testa brizzolata fra le teste giovanili e Gesù lo vede: «Anche tu hai pianto, Simone di Giona?»; e Pietro, con voce più rauca del solito: «Sì, Signore. Perché anche io ero stato di Giovanni… E poi… e poi… E pensare che il venerdì scorso io mi rammaricavo che la presenza dei farisei ci avesse ad amareggiare il sabato! Questo sì che è un sabato d’amarezza! Avevo portato il bambino… per avere un sabato anche più bello… Invece…».
«Non ti accasciare, Simone di Giona. Giovanni non è perduto. Lo dico anche a te. E in cambio abbiamo tre discepoli ben formati. Dove è il bambino?».
«Là, Maestro. Dorme…».
«Lascialo dormire», dice Gesù curvandosi sulla testolina bruna che dorme tranquilla. E poi chiede ancora: «Avete cenato?».
«No, Maestro. Ti aspettavamo ed eravamo in pensiero, ormai, per il ritardo, non sapendo dove cercarti… e parendoci di avere perduto anche Te».
«Abbiamo ancora tempo da stare insieme. Su, preparate la cena, perché dopo ce ne andremo altrove. Ho bisogno di isolarmi fra amici, e domani, qui stando, saremmo sempre circondati di persone».
«E io ti giuro che non li sopporterei, specie quelle serpentesse delle anime farisee. E sarebbe un brutto fatto se sfuggisse loro anche un sorriso a nostro riguardo, nella sinagoga!».
«Buono, Simone!… Ma Io ho calcolato anche questo. Perciò sono tornato a prendervi con Me».
Alla luce delle lucernette accese ai due lati della tavola si vedono meglio le alterazioni dei visi. Solo Gesù è di una maestà solenne, e Marziam sorride nel sonno.
«Il bambino ha mangiato prima», spiega Simone.
«È meglio lasciarlo dormire, allora», dice Gesù.
E in mezzo ai suoi offre e distribuisce il parco cibo che viene mangiato senza volontà. E presto la cena è finita.
«Ditemi ora che avete fatto…», incoraggia Gesù.
«Io sono stato con Filippo nelle campagne di Betsaida e abbiamo evangelizzato e curato un bambino malato», dice Pietro.
«Veramente è stato Simone che lo ha guarito», dice Filippo che non vuole prendersi una gloria non sua.
«Oh! Signore! Non so come ho fatto. Ho pregato molto, con tutto il cuore, perché mi faceva pietà il malatino. Poi l’ho unto con l’olio e l’ho soffregato con le mie mani rozze… ed è guarito. Quando l’ho visto colorirsi in viso e aprire gli occhi, rivivere insomma, ho avuto quasi paura».
Gesù gli posa la mano sul capo senza parlare.
«Giovanni ha stupito molto per aver cacciato un demonio. Ma a parlare è toccato a me», dice Tommaso.
«Anche tuo fratello Giuda lo ha fatto», dice Matteo.
«Allora anche Andrea», dice Giacomo d’Alfeo.
«Invece Simone lo Zelote ha guarito un lebbroso. Oh! Non ha avuto paura di toccarlo! E mi ha detto poi: “Ma non temere. A noi non si apprende nessun male fisico per volontà di Dio”», dice Bartolomeo.
«Hai detto bene, Simone. E voi due?», chiede Gesù a Giacomo di Zebedeo e all’Iscariota, che stanno un poco lontani, il primo parlando con i tre discepoli di Giovanni, il secondo solo e immusonito.
«Oh! Io non ho fatto nulla», dice Giacomo. «Ma Giuda ha fatto tre miracoli potenti: un cieco, un paralitico, un indemoniato. A me pareva un lunatico. Ma la gente diceva così…».
«E te ne stai con quel viso se Dio ti ha tanto aiutato?», chiede Pietro.
«So essere umile anche io», risponde l’Iscariota.
«E poi siamo stati ospitati da un fariseo. Io mi ci trovavo a disagio. Ma Giuda sa fare meglio e lo ha proprio ammansito. Il primo giorno era sostenuto, ma poi… Vero, Giuda?».
Giuda assente senza parlare.
«Molto bene. E farete sempre meglio. La prossima settimana staremo insieme. Intanto… Simone, vai a preparare la barche. Anche tu, Giacomo».
«Per tutti, Maestro? Non vi staremo».
«Non puoi averne un’altra?».
«Chiedendola a mio cognato, sì. Vado».
«Va. E, appena fatto, torna. E non dare molte spiegazioni».
I quattro pescatori partono. Gli altri scendono a prendere sacchi e mantelli. Resta Mannaen con Gesù. Il bambino continua a dormire.
«Maestro, vai lontano?».
«Non so ancora… Essi sono stanchi e addolorati. Io pure. Conto andare a Tarichea, nelle campagne, per isolarci in pace…».
«Io ho il cavallo, Maestro. Ma, se permetti, vengo seguendo il lago. Vi starai molto?»
«Forse tutta la settimana e non oltre».
«Allora verrò. Maestro, benedicimi in questo primo commiato. E levami un peso dal cuore».
«Quale, Mannaen?».
«Ho il rimorso di avere lasciato Giovanni. Forse se c’ero…».
«No. Era la sua ora. Ed egli certo è stato contento di vederti venire a Me. Non avere questo peso. Cerca anzi di liberarti presto e bene dall’unico peso che hai: il gusto di essere uomo. Divieni spirito, Mannaen. La mia pace sia con te. Presto ci rivedremo in Giudea».
Mannaen si inginocchia e Gesù lo benedice. Poi lo alza e lo bacia. Rientrano gli altri e si salutano fra di loro, sia gli apostoli che i discepoli di Giovanni. Vengono per ultimi i pescatori.
«È fatto, Maestro. Possiamo andare».
«Va bene. Salutate Mannaen che resta qui fino al tramonto di domani. Raccogliete le cibarie, prendete l’acqua e andiamo. Fate poco rumore».
Pietro si curva per svegliare Marziam.
«No, lascia. Potrebbe piangere. Lo prendo in braccio Io», dice Gesù e dolcemente solleva il bambino, che mugola un poco ma poi si accomoda istintivamente fra le braccia di Gesù.
Spengono le lampade. Escono. Chiudono la porta. Scendono. Sulla soglia dell’orto salutano nuovamente Mannaen e poi, in fila, per la via piena di luna vanno al lago: un enorme specchio d’argento sotto la luna allo zenit. Tre gocce rosse sullo specchio quieto sembrano i tre fanaletti delle prore già immersi nell’acqua. Salgono distribuendosi per le barche, ultimi salgono i pescatori: Pietro e un garzone dove è Gesù, Giovanni e Andrea nell’altra, Giacomo e un garzone nella terza.eraseni. Ora non ci sarà pantano. E vi sarà quiete».
Pietro prende il largo e gli altri, con le barche, dietro, una scia nell’altra. Nessuno parla. Soltanto quando sono al largo e Cafarnao svanisce nel chiarore di luna che uniforma tutto col suo pulviscolo d’argento, Pietro, quasi parlasse alla barra del timone, dice: «E ci ho gusto. Domani ci cercheranno, vecchia mia, e grazie a te non ci troveranno».
«A chi parli, Simone?», chiede Bartolomeo
«Alla barca. Non sai che per i pescatori è come una sposa? Quanto ho parlato con lei! Più che con Porfirea. Maestro!… È ben coperto il bambino? C’è guazza sul lago di notte…».
«Sì. Senti, Simone. Vieni qui. Ti devo parlare…».
Pietro affida la barra del timone al mozzo e viene da Gesù.
«Ho detto Tarichea. Ma basterà esserci dopo il sabato per salutare di nuovo Mannaen. Non potresti trovare un luogo lì vicino dove stare in pace?».
«Oh! Maestro! In pace noi o anche le barche? Per quelle ci vuole Tarichea oppure i porti dell’altra sponda. Ma se è per noi, basta che Tu ti inselli al di là del Giordano, che solo le bestie ti scoveranno… e forse qualche pescatore che sorveglia le tese dei pesci. Potremmo lasciare le barche a Tarichea. Vi giungeremo all’alba e noi fileremo svelti oltre il guado. Si passa bene di questi tempi».
«Va bene. Faremo così…».
«Fa schifo anche a Te il mondo, eh! Preferisci i pesci e le zanzare, eh? Hai ragione».
«Non ho schifo. Non bisogna averlo. Ma voglio evitare che voi facciate degli scandali e voglio consolarmi in voi in queste ore del sabato».
«Maestro mio!…». Pietro lo bacia sulla fronte e se ne va asciugandosi un lacrimone, che vuole proprio rotolare fuori e scendere verso la barba.
Torna al suo timone e punta a sud, fermamente, mentre la luce lunare decresce nel tramonto del pianeta che si abbassa oltre un colle, levando il suo faccione dalla vista degli uomini, ma lasciando ancora il cielo bianco della sua luce e d’argento il lago nella spiaggia di oriente. Il resto è indaco cupo che appena si distingue al lume del fanale di prora.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

XV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B (Mc 6,7-13)

Donaci, o Padre, di non avere nulla di più caro del Tuo Figlio,
che rivela al mondo il mistero del Tuo amore e la vera dignità dell’uomo

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 6,7-13)
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano. Parola del Signore

RIFLESSIONI

Gesù, per la prima volta, invia i suoi apostoli in missione di evangelizzazione. Egli vuole che essi facciano, sotto la sua direzione, l’esperienza di quella che sarà la loro vita di pescatori di uomini. Egli pensa che essi abbiano capito che ciò che egli ha condiviso con loro non è destinato solo a loro.
L’insegnamento che essi hanno ricevuto non è per un piccolo gruppo di iniziati privilegiati. Un giorno essi dovranno “andare per tutto il mondo e predicare il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15).
Questa evangelizzazione deve sgorgare dall’abbondanza del cuore, dal bisogno di condividere le “ricchezze” che hanno ricevuto. Poiché essi non sono dei propagandisti, ma dei testimoni. Non sono degli stipendiati, ma dei volontari: “Ciò che avete ricevuto gratuitamente, datelo gratuitamente” (Mt 10,8).
Ecco perché il Signore insiste sulla povertà: una sola tunica, un solo paio di sandali, il bastone del pellegrino. Essi devono essere accolti non a causa dei loro abiti eleganti, ma a causa della convinzione che mostrano le loro parole e la loro condotta.
Quanto alla loro sussistenza, ci sarà sempre un credente in ogni città che vi provvederà. Uno solo è sufficiente, non bisogna andare ogni giorno in una casa diversa. Non cadano nella tentazione di essere ospiti d’onore ogni giorno in una casa.
Ciò potrebbe distrarli dalla loro missione. Abbiamo sempre la tentazione di farci coccolare… E se nessuno ci ascolta, è molto semplice: bisogna scrollare la polvere dai sandali e ripartire, a digiuno, verso il prossimo villaggio.
La nostra grande tentazione oggi nell’evangelizzazione è di puntare troppo sui mezzi piuttosto che sul contenuto, su una presentazione piacevole piuttosto che sulla convinzione interiore. Gesù non condanna i mezzi, ma ci ricorda che la fede, la generosità, la dimenticanza di sé, la convinzione personale dell’apostolo sono il canale attraverso il quale può penetrare nei cuori il messaggio di Dio.

SE ASCOLTATE OGGI LA VOCE DEL SIGNORE NON INDURITE I VOSTRI CUORI