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Venerdì Della Settimana Santa Anno A

TESTO:-
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni.
(Gv 18,1-19,42)

– Catturarono Gesù e lo legarono
In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».- Lo condussero prima da Anna
Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo».Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.- Non sei anche tu uno dei suoi discepoli? Non lo sono!
Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.- Il mio regno non è di questo mondo
Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?».E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.- Salve, re dei Giudei!
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi.Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!».Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».- Via! Via! Crocifiggilo!
Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.- Lo crocifissero e con lui altri due
Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».- Si sono divisi tra loro le mie vesti
I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato -, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così.- Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.(Qui si genuflette e di fa una breve pausa)- E subito ne uscì sangue e acqua
Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato -, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».- Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli insieme ad aromi
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

La più grande lezione che Gesù ci dà nella passione, consiste nell’insegnarci che ci possono essere sofferenze, vissute nell’amore, che glorificano il Padre.
Spesso, è la “tentazione” di fronte alla sofferenza che ci impedisce di fare progressi nella nostra vita cristiana. Tendiamo infatti a credere che la sofferenza è sempre da evitare, che non può esserci una sofferenza “santa”. Questo perché non abbiamo ancora sufficientemente fatto prova dell’amore infinito di Dio, perché lo Spirito Santo non ci ha ancora fatto entrare nel cuore di Gesù. Non possiamo immaginarci, senza lo Spirito Santo, come possa esistere un amore più forte della morte, non un amore che impedisca la morte, ma un amore in grado di santificare la morte, di pervaderla, di fare in modo che esista una morte “santa”: la morte di Gesù e tutte le morti che sono unite alla sua.
Gesù può, a volte, farci conoscere le sofferenze della sua agonia per farci capire che dobbiamo accettarle, non fuggirle. Egli ci chiede di avere il coraggio di rimanere con lui: finché non avremo questo coraggio, non potremo trovare la pace del suo amore.
Nel cuore di Gesù c’è un’unione perfetta fra amore e sofferenza: l’hanno capito i santi che hanno provato gioia nella sofferenza che li avvicinava a Gesù.
Chiediamo umilmente a Gesù di concederci di essere pronti, quando egli lo vorrà, a condividere le sue sofferenze. Non cerchiamo di immaginarle prima, ma, se non ci sentiamo pronti a viverle ora, preghiamo per coloro ai quali Gesù chiede di viverle, coloro che continuano la missione di Maria: sono più deboli e hanno soprattutto bisogno di essere sostenuti.

Giovedì Santo Anno A (1 Corinzi 11:23-25)

TESTO:-
1 Corinzi 11:23-25
Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24 e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». 25 Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Gli apostoli rammentarono l’avvenimento nelle prime comunità cristiane, tanto che San Paolo, nella sua lettera ai Corinzi presentò l’eucaristia come un rito nel quale il fedele mangiava e beveva davvero il corpo e il sangue di Gesù. Quel gesto, secondo l’apostolo, sarebbe inoltre un collegamento fra l’ultima cena e la successiva passione, essendo in entrambi i momenti il suo corpo donato e il sangue versato.

***

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 13,1-15)
Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.
Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto.
Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri».
Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Fate questo in memoria di me
Il Triduo pasquale inizia con la commemorazione dell’Ultima Cena. Gesù, la vigilia della sua passione, offrì al Padre il suo corpo e il suo sangue sotto le specie del pane e del vino e, donandoli in nutrimento agli Apostoli, comandò loro di perpetuarne l’offerta in sua memoria.
Questa sera la Chiesa ci raduna attorno all’Altare, come quella sera del Giovedì Santo in cui gli apostoli insieme al loro Maestro si riunirono attorno alla tavola, per celebrare e vivere il mistero della Cena.
San Paolo, nella lettera che scrive alla comunità di Corinto, racconta l’istituzione dell’Eucaristia dicendo che: «il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: Questo è il Mio Corpo, che è per voi; fate questo in memoria di Me. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio Sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di Me». Queste sono le stesse parole che si ripetono ogni volta che si celebra la Santa Messa. Secondo il linguaggio biblico, il termine «corpo» sta ad indicare tutta la persona di Gesù, tutta la sua esistenza, così come il termine «sangue» sta ad indicare la Sua morte. Ciò significa che Gesù offre tutta la Sua Vita e la Sua Morte al Padre per la nostra salvezza.
Il racconto della lavanda dei piedi dell’evangelista Giovanni, che ci presenta il Signore che si spoglia delle sue vesti; che si piega ai piedi dei discepoli, compreso Giuda Iscariota, il traditore; che si cinge dell’asciugamano; sono gesti che indicano il servizio e l’umiltà. Questo brano vuole ricordare a tutti i cristiani che Eucaristia e Amore fraterno sono inseparabili, e cioè: «Se uno dice: Io amo Dio e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1Gv 4, 20).
Il gesto della lavanda dei piedi, ripetuto nella liturgia, diventa, dunque, simbolo della fraternità cristiana e anticipa e concretizza il comandamento dell’Amore: «Come Io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete Miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13, 34-35). Giovanni, infatti, annota scrivendo che il Signore e il Maestro dopo aver lavato i piedi ai Suoi dodici apostoli, dice loro: «anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come Io ho fatto a voi». Questa affermazione di Gesù sta a significare l’Amore che dobbiamo avere verso i più deboli, i malati, gli anziani, i poveri gli indifesi. Senza amore generoso, gratuito, non ci può essere vero servizio. La celebrazione della Messa, senza fraternità vissuta, senza Amore, senza servizio, non ha senso. A cosa serve andare in Chiesa se il nostro cuore è chiuso all’amore e alla misericordia? A cosa serve ricevere il Corpo del Signore se non siamo capaci di perdonare?
«Fate questo in memoria di Me» significa, quindi, che se vogliamo essere dei veri cristiani dobbiamo essere sinceramente disposti a lavarci i piedi gli uni gli altri e a riconoscere nei fratelli il Cristo servo, il Cristo umile, il Cristo povero, il Cristo obbediente. Solo così la celebrazione Eucaristica diventa il Sacramento della condivisione della Vita di Cristo tra fratelli che si Amano e si servono reciprocamente.

DOMENICA DELLE PALME ANNO A. (Mt 26,14-27,66)

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 21,1-11)
Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”». Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Dite alla figlia di Sion: “Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma”».
I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!».
Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea». Parola del Signore.
Imitiamo le folle di Gerusalemme, che acclamavano Gesù, Re e Signore.

TESTO:-
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo. (Mt 26, 14-27,66)
– Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?
In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.- Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?
Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.- Uno di voi mi tradirà
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».- Questo è il mio corpo; questo è il mio sangue
Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: «Prendete, mangiate: questo è il mio corpo». Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati. Io vi dico che d’ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio». Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.- Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge
Allora Gesù disse loro: «Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo. Sta scritto infatti: “Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge”. Ma, dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea».Pietro gli disse: «Se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzerò mai». Gli disse Gesù: «In verità io ti dico: questa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». Pietro gli rispose: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Lo stesso dissero tutti i discepoli.- Cominciò a provare tristezza e angoscia
Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. E disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!».Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà». Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti. Li lasciò, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Ecco, l’ora è vicina e il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».- Misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono
Mentre ancora egli parlava, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una grande folla con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo. Il traditore aveva dato loro un segno, dicendo: «Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!». Subito si avvicinò a Gesù e disse: «Salve, Rabbì!». E lo baciò. E Gesù gli disse: «Amico, per questo sei qui!». Allora si fecero avanti, misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù impugnò la spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote, staccandogli un orecchio. Allora Gesù gli disse: «Rimetti la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che prendono la spada, di spada moriranno. O credi che io non possa pregare il Padre mio, che metterebbe subito a mia disposizione più di dodici legioni di angeli? Ma allora come si compirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?». In quello stesso momento Gesù disse alla folla: «Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi con spade e bastoni. Ogni giorno sedevo nel tempio a insegnare, e non mi avete arrestato. Ma tutto questo è avvenuto perché si compissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono.- Vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza
Quelli che avevano arrestato Gesù lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale si erano riuniti gli scribi e gli anziani. Pietro intanto lo aveva seguito, da lontano, fino al palazzo del sommo sacerdote; entrò e stava seduto fra i servi, per vedere come sarebbe andata a finire.I capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una falsa testimonianza contro Gesù, per metterlo a morte; ma non la trovarono, sebbene si fossero presentati molti falsi testimoni. Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: «Costui ha dichiarato: “Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni”». Il sommo sacerdote si alzò e gli disse: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio». «Tu l’hai detto – gli rispose Gesù -; anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo».Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!». Allora gli sputarono in faccia e lo percossero; altri lo schiaffeggiarono, dicendo: «Fa’ il profeta per noi, Cristo! Chi è che ti ha colpito?».- Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte
Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una giovane serva gli si avvicinò e disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo!». Ma egli negò davanti a tutti dicendo: «Non capisco che cosa dici». Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti: «Costui era con Gesù, il Nazareno». Ma egli negò di nuovo, giurando: «Non conosco quell’uomo!». Dopo un poco, i presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: «È vero, anche tu sei uno di loro: infatti il tuo accento ti tradisce!». Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola di Gesù, che aveva detto: «Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.- Consegnarono Gesù al governatore Pilato
Venuto il mattino, tutti i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Poi lo misero in catene, lo condussero via e lo consegnarono al governatore Pilato.
Allora Giuda – colui che lo tradì -, vedendo che Gesù era stato condannato, preso dal rimorso, riportò le trenta monete d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «A noi che importa? Pensaci tu!». Egli allora, gettate le monete d’argento nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi. I capi dei sacerdoti, raccolte le monete, dissero: «Non è lecito metterle nel tesoro, perché sono prezzo di sangue». Tenuto consiglio, comprarono con esse il “Campo del vasaio” per la sepoltura degli stranieri. Perciò quel campo fu chiamato “Campo di sangue” fino al giorno d’oggi. Allora si compì quanto era stato detto per mezzo del profeta Geremia: «E presero trenta monete d’argento, il prezzo di colui che a tal prezzo fu valutato dai figli d’Israele, e le diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore».- Sei tu il re dei Giudei?
Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla.Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua». Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!».Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.- Salve, re dei Giudei!
Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo.- Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni
Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte. Poi, seduti, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei».Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.- Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!
Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo.- Elì, Elì, lemà sabactàni?
A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito.(Qui si genuflette e si fa una breve pausa)Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».Vi erano là anche molte donne, che osservavano da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo. Tra queste c’erano Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo.- Giuseppe prese il corpo di Gesù e lo depose nel suo sepolcro nuovo
Venuta la sera, giunse un uomo ricco, di Arimatèa, chiamato Giuseppe; anche lui era diventato discepolo di Gesù. Questi si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. Pilato allora ordinò che gli fosse consegnato. Giuseppe prese il corpo, lo avvolse in un lenzuolo pulito e lo depose nel suo sepolcro nuovo, che si era fatto scavare nella roccia; rotolata poi una grande pietra all’entrata del sepolcro, se ne andò. Lì, sedute di fronte alla tomba, c’erano Maria di Màgdala e l’altra Maria.- Avete le guardie: andate e assicurate la sorveglianza come meglio credete
Il giorno seguente, quello dopo la Parascève, si riunirono presso Pilato i capi dei sacerdoti e i farisei, dicendo: «Signore, ci siamo ricordati che quell’impostore, mentre era vivo, disse: “Dopo tre giorni risorgerò”. Ordina dunque che la tomba venga vigilata fino al terzo giorno, perché non arrivino i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: “È risorto dai morti”. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!». Pilato disse loro: «Avete le guardie: andate e assicurate la sorveglianza come meglio credete». Essi andarono e, per rendere sicura la tomba, sigillarono la pietra e vi lasciarono le guardie. Parola del Signore.Forma breveTESTO:-
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo. (27, 11-54)- Sei tu il re dei Giudei?
In quel tempo Gesù comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla.Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua». Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!».Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.- Salve, re dei Giudei!
Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo.- Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni
Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte. Poi, seduti, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei».Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.- Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!
Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo.- Elì, Elì, lemà sabactàni?
A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito.(Qui si genuflette e si fa una breve pausa)Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

È allo stesso tempo l’ora della luce e l’ora delle tenebre.
L’ora della luce, poiché il sacramento del Corpo e del Sangue è stato istituito, ed è stato detto: “Io sono il pane della vita… Tutto ciò che il Padre mi dà verrà a me: colui che viene a me non lo respingerò… E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto mi ha dato, ma lo risusciti l’ultimo giorno” (Gv 6,35-39). Come la morte è arrivata dall’uomo così anche la risurrezione è arrivata dall’uomo, il mondo è stato salvato per mezzo di lui. Questa è la luce della Cena.
Al contrario, la tenebra viene da Giuda. Nessuno è penetrato nel suo segreto. Si è visto in lui un mercante di quartiere che aveva un piccolo negozio, e che non ha sopportato il peso della sua vocazione. Egli incarnerebbe il dramma della piccolezza umana. O, ancora, quello di un giocatore freddo e scaltro dalle grandi ambizioni politiche.
Lanza del Vasto ha fatto di lui l’incarnazione demoniaca e disumanizzata del male.
Tuttavia nessuna di queste figure collima con quella del Giuda del Vangelo. Era un brav’uomo, come molti altri. È stato chiamato come gli altri. Non ha capito che cosa gli si faceva fare, ma gli altri lo capivano? Egli era annunciato dai profeti, e quello che doveva accadere è accaduto. Giuda doveva venire, perché altrimenti come si sarebbero compiute le Scritture? Ma sua madre l’ha forse allattato perché si dicesse di lui: “Sarebbe stato meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!”? Pietro ha rinnegato tre volte, e Giuda ha gettato le sue monete d’argento, urlando il suo rimorso per aver tradito un Giusto. Perché la disperazione ha avuto la meglio sul pentimento? Giuda ha tradito, mentre Pietro che ha rinnegato Cristo è diventato la pietra di sostegno della Chiesa. Non restò a Giuda che la corda per impiccarsi. Perché nessuno si è interessato al pentimento di Giuda? Gesù l’ha chiamato “amico”. È veramente lecito pensare che si trattasse di una triste pennellata di stile, affinché sullo sfondo chiaro, il nero apparisse ancora più nero, e il tradimento più ripugnante? Invece, se questa ipotesi sfiora il sacrilegio, che cosa comporta allora l’averlo chiamato “amico”? L’amarezza di una persona tradita? Eppure, se Giuda doveva esserci affinché si compissero le Scritture, quale colpa ha commesso un uomo condannato per essere stato il figlio della perdizione?
Non chiariremo mai il mistero di Giuda, né quello del rimorso che da solo non può cambiare nulla. Giuda Iscariota non sarà più “complice” di nessuno.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato”
di Maria Valtorta
Capitolo 590 (30 marzo 1947)

Gesù passa il suo braccio sulle spalle di sua Madre, che si è alzata quando Giovanni e Giacomo d’Alfeo l’hanno raggiunta per dirle: «Tuo Figlio viene», e poi sono tornati indietro per riunirsi ai compagni che procedono lentamente, parlando, mentre Tommaso e Andrea sono corsi verso Betfage per cercare l’asina e l’asinello e condurli a Gesù.

Gesù intanto parla alle donne. «Eccoci presso alla città. Io vi consiglio di andare. E andare sicure. Entrate prima di Me in città. Presso En Rogel sono tutti i pastori e i più fidi discepoli. Hanno ordine di farvi scorta e protezione».

«È che… Abbiamo parlato con Aser di Nazaret e Abele di Betlemme di Galilea e anche con Salomon. Erano venuti fin qui per spiare il tuo arrivo. La folla prepara gran festa. E noi si voleva vedere… Vedi come si scuotono le cime degli ulivi? Non è vento che le agita così. Ma è la gente che coglie rami per spargerne la via e farti velo al sole. E là?! Guarda là, stanno spogliando le palme dei loro ventagli. Sembrano grappoli e sono uomini saliti sui fusti a cogliere e cogliere… E, sui pendii, vedi curvi i bambini a cogliere fiori. E le donne certo spogliano orti e giardini da corolle e da erbe odorose per giuncarti il cammino di fiori. Noi si voleva vedere… e imitare il gesto di Maria di Lazzaro, che raccolse tutti i fiori premuti dal tuo piede quando entrasti nel giardino di Lazzaro», prega Maria Cleofe per tutte.

Gesù carezza sulla guancia la sua vecchia parente, che sembra una bambina vogliosa di vedere uno spettacolo, e le dice: «Nella gran folla non vedresti nulla. Andate avanti. Alla casa di Lazzaro, quella che ha per custode Mattia. Passerò di là e mi vedrete dall’alto».

«Figlio mio… e vai solo? Non posso starti vicino?», dice Maria alzando il volto così triste e fissando i suoi occhi di cielo sul suo dolce Figlio.

«Vorrei pregarti di stare nascosta. Come la colomba nella fessura della rupe. Più della tua presenza mi è necessaria la tua preghiera, Mamma diletta!».

«Se è così, Figlio mio, noi pregheremo. Tutte. Per Te».

«Sì. Dopo averlo visto passare, verrete con noi nel mio palazzo di Sion. E io manderò dei servi al Tempio e sempre dietro al Maestro, perché essi ci portino i suoi ordini e le sue notizie», decide Maria di Lazzaro, sempre rapida nell’afferrare ciò che è il migliore da farsi e a farlo senza indugio.

«Hai ragione, sorella. Benché mi dolga non seguirlo, comprendo la giustizia dell’ordine. E, del resto, Lazzaro ci ha detto di non contraddire il Maestro in cosa alcuna, ma di ubbidirlo anche nella cose più tenui. E lo faremo».

«E allora andate. Vedete? Le vie si animano. Stanno per raggiungermi gli apostoli. Andate. La pace sia con voi. Vi farò venire nelle ore che giudicherò buone. Mamma, addio. Abbi pace. Dio è con noi».

La bacia e congeda. E le ubbidienti discepole se ne vanno sollecite.

I dieci apostoli raggiungono Gesù.

«Le hai mandate avanti?».

«Sì. Vedranno da una casa la mia entrata».

«Da quale casa?», chiede Giuda di Keriot.

«Eh! sono ormai tante le case amiche!», dice Filippo.

«Non da Annalia?», insiste l’Iscariota.

Gesù risponde negativamente e si incammina verso Betfage, che è poco lontana.

Gli è prossimo quando tornano indietro i due mandati a prendere l’asina e l’asinello. Gridano: «Abbiamo trovato come Tu hai detto e ti avremmo condotto gli animali. Ma il padrone di essi volle strigliarli e ornarli delle migliori bardature per onorarti. E i discepoli, uniti a quelli che hanno passato la notte nelle vie di Betania per onorarti, vogliono avere l’onore di condurteli, e noi abbiamo annuito. Ci è parso che il loro amore meritasse un premio».

«Avete fatto bene. Andiamo avanti, intanto».

«Sono molti i discepoli?», chiede Bartolomeo.

«Oh! una moltitudine. Non si riesce a penetrare per le vie di Betfage. Per questo ho detto a Isacco di condurre l’asino da Cleante il formaggiaio», risponde Tommaso.

«Hai fatto bene. Andiamo sino a quel balzo del colle. E attendiamo un poco all’ombra di quegli alberi».

Vanno dove Gesù indica.

«Ma ci allontaniamo! Tu superi Betfage girandola alle spalle!», esclama l’Iscariota.

«E se voglio farlo, chi me lo può impedire? Sono forse già prigioniero, che non mi sia lecito di andare dove voglio? E c’è forse fretta che Io lo sia e si teme che Io possa sfuggire alla cattura? E se giudicassi giusto di allontanarmi per luoghi più sicuri, c’è alcuno che lo potrebbe impedire?».

Gesù dardeggia i suoi occhi sul Traditore, che non apre più bocca e si stringe nelle spalle come per dire: «Fa ciò che ti pare».

Girano infatti dietro alle spalle del paesello, direi un sobborgo della stessa città, perché dal lato ovest è proprio poco lontano dalla città, facente già parte delle pendici dell’Uliveto che corona Gerusalemme nel lato orientale. In basso, fra le pendici e la città, il Cedron brilla al sole d’aprile.

Gesù si siede in quel silenzio verde e si concentra nei suoi pensieri. Poi si alza e va proprio sul ciglio del balzo…

Dice Gesù: «Qui metterai la visione del 31 luglio 1944: “Gesù che piange su Gerusalemme”, dalla frase che ti do detta per inizio di visione». E poi riprende a mostrarmi le fasi della sua entrata trionfale.

(30 luglio)

Da un poggio presso Gerusalemme Gesù guarda la città stessa ai suoi piedi.

Non è un poggio molto alto. Al massimo come può esserlo il piazzale di S. Miniato a monte, a Firenze; ma basta perché l’occhio domini sulla distesa di tutte le case e delle vie, che salgono e scendono su e giù per le piccole elevazioni di terreno che costituiscono Gerusalemme. Questo colle è certo molto più alto, se si prende il livello più basso della città, di quanto non sia il Calvario, ma è più vicino alla cinta di quello. Proprio ha inizio appena fuori delle mura e si alza con un balzo ripido dalla parte delle stesse, mentre dall’altra scende mollemente  verso una campagna tutta verde che si stende verso est. Almeno mi pare l’oriente, se giudico bene la luce solare.

Gesù e i suoi sono sotto un ciuffo di alberi, all’ombra, seduti. Si riposano del cammino fatto. Poi Gesù si alza, lascia lo spiazzo alberato dove erano seduti e si porta proprio sul ciglio del balzo. La sua alta persona si staglia netta sul vuoto che lo circonda. Pare ancora più alta, dritta così, e sola. Tiene le mani conserte sul petto, sul mantello azzurro, e guarda serio serio.

Gli apostoli l’osservano. Ma Lo lasciano fare senza muoversi né parlare. Devono pensare che Egli si sia isolato per pregare.

Ma Gesù non prega. Dopo aver lungamente guardato la città in ogni suo rione, in ogni suo poggio, in ogni sua particolarità, talora con lunghi sguardi su questo o quel punto, talaltra con minore insistenza, Gesù si mette a piangere. Senza scosse o rumore.

Le lacrime gonfiano l’orbita, poi sgorgano e rotolano sulle guance e cadono… Lacrimoni silenziosi e tanto tristi. Come di chi sa che deve piangere, solo, senza sperare conforto e comprensione da alcuno. Per un dolore che non può essere annullato e che deve essere sofferto, assolutamente.

Il fratello di Giovanni, per la sua posizione, è il primo che vede quel pianto e lo dice agli altri, che si guardano l’un l’altro stupiti.

«Nessuno di noi ha fatto male», dice uno; e un altro: «Anche la folla non ebbe insulti. Non vi fu fra essa nessuno a Lui nemico». «Perché piange, allora?», chiede il più anziano di tutti.

Pietro e Giovanni si alzano insieme e si accostano al Maestro. Pensano che l’unica cosa da farsi sia fargli sentire che Lo amano e chiedere che ha.

«Maestro, Tu piangi?», dice Giovanni posando la sua testa bionda sulla spalla di Gesù, che è più alto di lui di tutto il collo e il capo.

E Pietro, posandogli una mano alla cintura, cingendolo quasi di un braccio per attirarlo a sé, gli dice: «Cosa ti addolora, Gesù? Dillo a noi che ti amiamo».

Gesù appoggia la guancia sulla testa bionda di Giovanni e, dissertando le braccia, passa a sua volta il braccio sulla spalla di Pietro. Restano così abbracciati tutti e tre, in una posa di tanto amore. Ma il pianto continua a gocciare.

Giovanni, che lo sente scendere fra i suoi capelli, torna a chiedere: «Perché piangi, Maestro mio? Forse da noi ti viene pena?».

Gli altri apostoli si sono riuniti al gruppo amoroso e ansiosamente attendono una risposta.

«No», dice Gesù. «Non da voi. Voi mi siete amici e l’amicizia, quando è sincera, è balsamo e sorriso, mai pianto. Vorrei che amici mi rimaneste sempre. Anche ora che entreremo nella corruzione, che fermenta e che corrompe chi non ha volontà decisa di rimanere onesto».

«Dove andiamo, Maestro? Non a Gerusalemme? La folla ti ha già salutato con letizia. Vuoi Tu deluderla? Andiamo forse in Samaria per qualche prodigio? Proprio ora che la Pasqua è vicina?».

Le domande sono fatte da diversi contemporaneamente.

Gesù alza le mani imponendo silenzio e poi con la destra accenna la città. Un gesto largo come di uno che semini avanti a sé.

E dice: «Quella è la Corruzione. Noi entriamo in Gerusalemme. Noi vi entriamo. E solo l’Altissimo sa come vorrei santificarla portandovi la Santità che viene dai Cieli. Risantificarla, questa che dovrebbe essere la Città santa. Ma non potrò farle nulla. Corrotta è e corrotta rimane.

E i fiumi di santità che sgorgano dal Tempio vivo, e che ancor più sgorgheranno a giorni sino a lasciarlo vuoto di vita, non saranno sufficienti a redimerla. Verrà al Santo la Samaria e il mondo pagano. Sui templi bugiardi sorgeranno i templi del Dio vero. I cuori dei gentili adoreranno il Cristo. Ma questo popolo, questa città gli sarà sempre nemica, e il suo odio la porterà al più grande peccato. Ciò deve avvenire. Ma guai a coloro che saranno strumenti di questo delitto. Guai!…».

Gesù guarda fissamente Giuda che gli è quasi di fronte.

«Ciò a noi non avverrà mai. Noi siamo i tuoi apostoli e crediamo in Te, pronti a morire per Te».

Giuda mente spudoratamente e sostiene lo sguardo di Gesù senza impaccio. Gli altri uniscono le loro proteste.

Gesù risponde a tutti evitando di rispondere a Giuda direttamente.

«Voglia il Cielo che tali voi siate. Ma molta debolezza è ancora in voi, e la tentazione potrebbe rendervi simili a coloro che mi odiano. Pregate molto e molto vegliate su voi. Satana sa che sta per esser vinto e vuole vendicarsi strappandovi a Me. Satana è intorno a noi tutti.

A Me per impedirmi di fare la Volontà del Padre e compiere la mia missione. A voi per fare di voi dei suoi servi. Vegliate. Entro quelle mura satana prenderà colui che non saprà esser forte. Colui per il quale maledizione sarà stato l’esser eletto, perché fece della sua elezione uno scopo umano. Vi ho eletti per il Regno dei Cieli e non per quello del mondo. Ricordatevelo.

E tu, città che vuoi la tua rovina e sulla quale Io piango, sappi che il tuo Cristo prega per la tua redenzione. Oh! se almeno in quest’ora che ti resta tu sapessi venire a Chi sarebbe la tua pace! Almeno comprendessi in quest’ora l’Amore che passa fra te e ti spogliassi dell’odio che ti fa cieca e folle, crudele a te stessa e al tuo bene! Ma verrà il giorno in cui ricorderai quest’ora! Troppo tardi allora per piangere e pentirti!

L’Amore sarà passato e scomparso dalle tue strade, e resterà l’Odio che tu hai preferito. E l’Odio sarà verso te, verso i tuoi figli. Poiché si ha ciò che si è voluto, e l’odio si paga con l’odio. E non sarà allora odio di forti contro l’inerme. Ma odio contro odio, e perciò guerra e morte. Stretta da trincee e armati, languirai prima d’esser distrutta e vedrai cadere i tuoi figli per armi e per fame, e i superstiti andare prigionieri e scherniti, e chiederai misericordia, né più la troverai, poiché non hai voluto conoscere la tua Salute.

Piango, amici, poiché ho cuore d’uomo e le rovine della patria ne traggono lacrime. Ma ciò è giusto si compia poiché la corruzione supera, fra queste mura, ogni limite e attira il castigo di Dio. Guai ai cittadini causa del male della patria! Guai ai rettori che ne sono la principale causa! Guai a coloro che dovrebbero esser santi per portare gli altri ad essere onesti e invece profanano la Casa del loro ministero e se stessi! Venite. A nulla gioverà la mia azione. Ma facciamo che la Luce splenda ancora una volta fra le Tenebre!».

E Gesù scende seguito dai suoi. Va velocemente per la via con un viso serio e direi quasi accigliato. Né più parla. Entra in una casetta ai piedi del colle, né vedo più altro.

Dice Gesù:

«La scena narrata da Luca pare senza connessione, quasi illogica. Compiango le sventure di una città colpevole e non so compatire le abitudini di detta città? No. Non le so, non le posso compatire, poiché anzi sono proprio queste abitudini che generano le sventure; e il vederle acutizza il mio dolore. La mia ira sui profanatori del Tempio è logica conseguenza della mia meditazione sulle prossime sventure di Gerusalemme.

Sono sempre le profanazioni al culto di Dio, alla Legge di Dio, quelle che provocano i castighi del Cielo. Facendo della Casa di Dio una spelonca di ladri, quei sacerdoti indegni e quegli indegni credenti (di nome soltanto) attiravano su tutto il popolo maledizione e morte. Inutile dare questo o quel nome al male che fa soffrire un popolo. Cercate il giusto nome in questo: ”Punizione per un vivere da bruti”. Dio si ritira e il Male si avanza. Ecco il frutto di una vita nazionale indegna del nome di cristiana.

Come allora, anche ora, in questo scorcio di secolo, non ho mancato con prodigi di scuotere e richiamare. Ma, come allora, non ho attirato su Me e i miei strumenti che scherno, indifferenza e odio. Singoli e nazioni però ricordino che inutilmente piangono quando avanti non vollero conoscere la loro salvezza. Inutilmente mi invocano quando nell’ora in cui ero con loro mi cacciarono con una guerra sacrilega che, partendo dalle singole coscienze, devote al Male, si sparse per tutta la Nazione. Le Patrie non si salvano tanto con le armi quanto con una forma di vita che attiri le protezioni del Cielo.

Riposa, piccolo Giovanni. E fa di esser sempre fedele alla tua elezione. Va’ in pace».

Che fatica! Non ce la faccio proprio…

(30 marzo 1947)

Quasi Gesù non fa a tempo ad entrare nella casa benedicendone gli abitanti, quando si sentono un allegro suonar di bubboli e voci a festa. E subito dopo il volto scarno e pallido di Isacco appare nella fessura dell’uscio, e il pastore fedele entra e si prostra davanti al suo Signore Gesù.

Nell’inquadratura della porta spalancata si pigiano volti e volti e, dietro, altri se ne vedono… Un urtarsi, un pigiarsi, un voler farsi largo… Qualche grido di donna, qualche pianto di bambino preso in mezzo alla ressa, e grida di saluto, esclamazioni a festa:

«Felice questo giorno che a noi ti riporta! La pace a Te, Signore! Ben torni, o Maestro, a premiare la nostra fedeltà».

Gesù si alza in piedi e fa gesto di parlare. Tacciono tutti e netta si sente la voce di Gesù.

«Pace a voi! Non vi accalcate. Ora saliremo insieme al Tempio. Sono venuto per stare con voi. Pace! Pace! Non fatevi male. Fate largo, miei diletti! Lasciatemi uscire e seguitemi, ché entreremo insieme nella Città santa».

La gente, bene o male, ubbidisce, e si fa un poco di largo, tanto che Gesù possa uscire e montare sull’asinello. Perché Gesù indica il puledro, sino allora mai cavalcato, come sua cavalcatura, e allora dei ricchi pellegrini, che si pigiano fra la folla, stendono sulla groppa di questo i loro sontuosi mantelli, e uno si pone con un ginocchio a terra e l’altro a far da gradino al Signore, che siede sulla groppa del puledro d’asina, e il viaggio si inizia, mentre Pietro cammina a un lato del Maestro e Isacco dall’altro, tenendo le briglie della bestia non doma, che però procede tranquilla come fosse usa a quell’ufficio, senza imbizzarrirsi o spaventarsi dei fiori che, gettati come sono verso Gesù, colpiscono sovente la bestiola negli occhi e sul morbido muso, né dei rami di ulivo e delle foglie di palma agitate davanti e intorno ad esso, gettate in terra a far tappeto coi fiori, né dei gridi sempre più forti di: «Osanna, Figlio di Davide!», che salgono al cielo sereno, mentre la folla sempre più infittisce e si accresce per nuovi venuti.

Passare da Betfage, fra le viette strette e contorte, non è facile cosa, e le madri devono prendere in braccio i bambini, e gli uomini proteggere le donne da urti troppo violenti, e qualche padre si pone sulle spalle a cavalluccio il figliolino e lo porta alto sulla folla così, mentre le vocine dei bimbi sembrano belati di agnelli o stridi di rondini e le loro manine gettano fiori e foglie d’ulivo, che le madri porgono, e baci anche, al mite Gesù…

Usciti dalla strettoia della piccola borgata, il corteo si ordina e distende, e molti volonterosi vanno avanti a far da battistrada per preparare sgombra la via, e altri li seguono spargendo di rami il suolo, e uno per primo getta il suo mantello a far da tappeto, e un altro, e quattro, e dieci, e cento, e mille lo imitano. La via ha al centro una striscia multicolore di vesti stese al suolo e, passato Gesù, le vesti sono raccolte e portate più avanti, con altre, con altre, e sempre fiori, rami, foglie di palma vengono agitati e gettati, e gridi più forti vengono innalzati intorno e in onore del Re d’Israele, al Figlio di Davide, al suo Regno!

I soldati di guardia alla porta escono a vedere che cosa succede. Ma non è sedizione, ed essi, appoggiati alle loro lance, si fanno da lato, osservando stupiti o ironici lo strano corteo di quel Re che cavalca un puledro d’asina, bello come un dio, umile come il più povero degli uomini, mite, benedicente… circondato da donne e bambini e da uomini disarmati gridanti: «Pace! Pace!», di questo Re che, prima di entrare nella città, sosta un momento all’altezza dei sepolcri dei lebbrosi di Innon e di Siloan (credo di dire bene questi luoghi, dove ho visto miracoli di lebbrosi altre volte) e, puntandosi l’unica staffa in cui poggia il suo piede, essendo seduto sull’asino, non a cavallo dell’asino, si alza in piedi e apre le braccia gridando in direzione di quelle pendici orrende (dove volti e corpi paurosi si affacciano guardando verso Gesù e alzano il grido lamentoso dei lebbrosi: «Siamo infetti!», a respingere degli imprudenti che, pur di vedere bene Gesù, salirebbero anche sui corrotti e infetti scaglioni):

«Chi ha fede in Me invochi il mio Nome ed abbia salute per quello!», e benedice riprendendo il cammino e ordinando a Giuda di Keriot: «Comprerai cibi per i lebbrosi e con Simone li porterai ad essi avanti sera».

Quando il corteo entra sotto la volta della porta di Siloan e poi, come un torrente, si riversa entro la città passando per il borgo di Ofel -nel quale ogni terrazza è divenuta una piccola aerea piazza colma di popolo osannante, che getta fiori e rovescia profumi giù, nella via, cercando di gettarli sul Maestro, e l’aria è satura dell’odore dei fiori morenti sotto i passi delle turbe e di essenze che si spargono nell’aria prima di cadere fra la polvere della via- il grido della folla sembra aumentare e farsi forte, come se ognuno lo urlasse in una buccina, perché i numerosi archivolti dei quali è piena Gerusalemme lo amplificano con risonanze continue.

Sento gridare, e credo voglia dire ciò che dicono gli evangelisti: «Scialem, Scialem melchil!», (o malchit: cerco di rendere il suono delle parole, ma è difficile, perché hanno aspirazioni che noi non abbiamo).

Un grido continuo, simile all’urlo di un mare in tempesta, nel quale non è ancora caduto il fragor del maroso che schiaffeggia spiagge e scogliere che un altro maroso lo raccoglie e rialza in novello fragore, senza tregua mai. Ne sono assordita!

Profumi, odori, gridi, agitarsi di rami e di vesti, colori, urli… È una visione che sbalordisce.

Vedo rimescolarsi continuamente la folla, apparire e sparire volti conosciuti: tutti i discepoli di tutti i luoghi di Palestina, tutti i seguaci… Vedo per un attimo Giairo, vedo Jaia il giovinetto di Pella (mi pare) che era cieco come sua madre e che Gesù guarì, vedo Gioacchino di Bozra e quel contadino del piano di Saron coi fratelli, vedo il vecchio e solitario Mattia di quel luogo presso il Giordano (sponda orientale) presso il quale Gesù si rifugiò mentre tutto era inondato, vedo Zaccheo con i suoi amici convertiti, vedo il vecchio Giovanni di Nobe con quasi tutti i cittadini, vedo il marito di Sara di Jutta…

Ma chi può tener dietro a volti e nomi, se è un caleidoscopio di visi noti e ignoti, veduti più volte o una sola?… Ecco ora il viso del pastorello preso a Ennon. E, vicino a lui, il discepolo di Corozim che lasciò di seppellire il padre per seguire Gesù; e vicino a lui, per un momento, il padre e la madre di Beniamino di Cafarnao col loro figliolo, che per poco cade sotto le zampe dell’asinello per gettarsi avanti a ricevere una carezza di Gesù.

E -purtroppo!- volti di farisei e di scribi, lividi di ira per questo trionfo, che fendono prepotenti il cerchio di amore che si stringe intorno a Gesù e gli urlano: «Fa tacere questi pazzi! Richiamali alla ragione! Solo Dio va osannato. Di che tacciano!».

Al che Gesù risponde dolcemente: «Anche se Io dicessi di tacere e questi mi ubbidissero, le pietre griderebbero i prodigi del Verbo di Dio».

Perché infatti la gente -oltre che gridare:

«Osanna, osanna, al Figlio di Davide!

Benedetto Colui che viene nel nome del Signore.

Osanna a Lui e al suo Regno!

Dio è con noi!

L’Emmanuele è venuto.

È venuto il Regno del Cristo del Signore!

Osanna! Osanna dalla Terra sino all’alto dei Cieli!

Pace! Pace, mio Re!

Pace e benedizione a Te, Re Santo!

Pace e gloria nei Cieli e in Terra!

Gloria a Dio per il suo Cristo!

Pace agli uomini che lo sanno accogliere.

Pace in Terra agli uomini di buona volontà e gloria nei Cieli altissimi, perché l’ora del Signore è venuta»

(e chi grida quest’ultimo grido è il gruppo compatto dei pastori che ripetono in grido natalizio)- oltre questi gridi continui, la gente di Palestina narra ai pellegrini della Diaspora i miracoli che hanno visto, e a chi non sa ciò che avviene, perché straniero di passaggio fortuitamente dalla città e che chiede:

«Ma chi è Costui? Che avviene?», spiegano:

«È Gesù! Gesù, il Maestro di Nazaret di Galilea! Il Profeta! Il Messia del Signore! Il Promesso! Il Santo!».

Da una casa, e da poco è sorpassata la porta perché l’andare è lentissimo in tanta confusione, esce un gruppo di robusti giovani portando alti dei vasi di rame pieni di carboni accesi e di incenso, che arde spargendo nubi di fumo odoroso. E il gesto è raccolto e ripetuto, e molti corrono avanti o tornano indietro, alle case, per farsi dare fuoco e resine odorose da ardere in omaggio del Cristo.

La casa di Annalia appare. La terrazza, inghirlandata di vite dalle foglie novelle tremolanti ad un mite vento di aprile, ha sul lato della via tutta una fila di giovinette biancovestite e biancovelate, al centro delle quali è Annalia, con cesti di petali di rose sfogliate e di mughetti che già volteggino nell’aria.

«Le vergini di Israele ti salutano, Signore!», dice Giovanni, che si è fatto largo ed è ora al fianco di Gesù, attirando la sua attenzione sulla ghirlanda di purezza che si sporge sorridendo dal parapetto a spargere la via di petali rossi come sangue e di mughetti bianchi come perle.

Gesù trattiene per un attimo le redini e arresta il puledro d’asina. Alza il volto e la mano a benedire quella verginità di Lui innamorata sino a rinunciare ad ogni altro amore terreno.

E Annalia si protende e grida: «Il tuo trionfo io l’ho visto, o mio Signore! Prendi la mia vita per la tua glorificazione universale!», e con un grido altissimo, mentre Gesù passa sotto la sua casa e procede, lo saluta: «Gesù!».

E un altro, diverso grido, supera il clamore delle turbe. Ma la gente, pur sentendolo, non si arresta. È un fiume di entusiasmo, un fiume di popolo in delirio che non può sostare. E mentre le ultime onde di questo fiume sono ancor fuori della porta, le prime onde già assalgono le salite che conducono al Tempio.

«Tua Madre!», grida Pietro accennando ad una casa quasi all’angolo di una via che sale al Moria e per la quale si incanala il corteo. E Gesù alza il volto a sorridere a sua Madre, che è lassù fra le donne fedeli.

L’intoppo di una numerosa carovana arresta il corteo pochi metri dopo che la casa è superata. E mentre Gesù sosta con gli altri, carezzando i bambini che le madri gli porgono, accorre un uomo e si fa largo urlando:

«Lasciatemi passare! Una donna è morta. Una fanciulla. All’improvviso. La madre invoca il Maestro. Lasciatemi passare! Egli già l’ha salvata una volta!».

La gente fa largo e l’uomo corre presso Gesù: «Maestro, la figlia di Elisa è morta. Ti ha salutato con quel grido, poi si è piegata indietro dicendo: “Io son felice” ed è spirata. Il suo cuore si è franto nel gran tripudio di vederti trionfante. Sua madre mi ha visto sulla terrazza accanto alla sua casa e mi ha mandato a chiamarti. Vieni, Maestro!».

«Morta! Morta Annalia! Ma se era sana, florida, felice solo ieri?». Gli apostoli si affollano agitati, i pastori pure. Tutti l’hanno vista ieri in perfetta salute. Poco fa l’hanno vista rosea, ridente… Non si capacitano della sciagura… Chiedono, domandano i particolari…

«Non so. Tutti avete sentito le sue parole. Parlava forte, sicura. Poi la vidi piegarsi indietro più bianca delle sue vesti e udii gridare la madre… Altro non so».

«Non vi agitate. Non è morta. È caduto un fiore e gli Angeli di Dio lo hanno raccolto per portarlo in seno ad Abramo. Presto il giglio della Terra si aprirà felice in Paradiso, ignorando per sempre l’orrore del mondo. Uomo, di ad Elisa che non pianga la sorte della sua creatura. Dille che essa ebbe una grande Grazia da Dio e che fra sei giorni comprenderà qual Grazia Dio fece alla figlia sua.

Non piangete. Non pianga nessuno. Il suo trionfo è ancor più grande del mio, perché alla vergine fanno corteo gli Angeli per condurla alla pace dei giusti. Ed è trionfo eterno che salirà di grado senza mai conoscere discesa. In verità vi dico che per voi tutti, ma non per Annalia, avete ragione di piangere. Andiamo».

E ripete agli apostoli e a chi Lo circonda: «È caduto un fiore. Si è adagiato in pace e gli Angeli lo hanno raccolto. Beata la pura di carne e cuore perché presto vedrà Iddio».

«Ma come, di che è morta, Signore?», chiede Pietro che non si capacita.

«D’amore. D’estasi. Di gaudio infinito. Felice morte!».

Chi è molto avanti non sa, chi è molto indietro non sa. E perciò gli osanna continuano anche se qui, presso a Gesù, si è fatto un cerchio di pensoso silenzio.

È Giovanni che lo rompe: «Oh! vorrei la stessa sorte prima delle ore future!».

«Io pure», dice Isacco. «Vorrei vedere il volto della fanciulla morta d’amore per Te…».

«Vi prego di sacrificarmi il vostro desiderio. Ho bisogno della vostra vicinanza…».

«Non ti lasceremo, Signore. Ma a quella madre non un conforto?», chiede Natanaele.

«Provvederò ad esso…».

Sono alle porte della cinta del Tempio. Gesù scende dall’asinello, che uno di Betfage prende in custodia.

Occorre tenere presente che Gesù non si è fermato alla prima porta del Tempio, ma ha costeggiato la cinta, fermandosi soltanto quando è sul lato nord della cinta, vicino all’Antonia. È là che scende ed entra nel Tempio, come per far vedere che non si nasconde al potere dominante, sentendosi innocente in ogni sua azione.

Il primo cortile del Tempio mostra la solita gazzarra di cambiavalute e venditori di colombe, passeri e agnelli, soltanto che ora i venditori sono lasciati in asso perché tutti sono accorsi a vedere Gesù. E Gesù entra, solenne nella sua veste purpurea, e gira lo sguardo su quel mercato e su un gruppo di farisei e scribi che Lo osservano da sotto il portico.

Il suo volto sfolgora di sdegno. Balza al centro del cortile. Uno scatto improvviso che pare un volo. Il volo di una fiamma, ché di fiamma è la sua veste nel sole che inonda il cortile. E tuona con una voce potente:

«Via dalla casa del Padre mio! Non è questo luogo di usura e di mercato. Sta scritto: “La mia casa sarà chiamata casa di orazione”. Perché dunque l’avete mutata in spelonca di ladroni, questa casa nella quale è invocato il Nome del Signore? Via! Mondate la mia Casa. Che non vi avvenga che, in luogo di usar le funi, Io vi colpisca con i fulmini dell’ira celeste.

Via! Fuori di qui i ladri, i barattieri, gli impudichi, gli omicidi, i sacrileghi, gli idolatri della peggiore idolatria, quella del proprio io superbo, i corruttori e i menzogneri. Fuori! Fuori! O che Dio altissimo, Io ve lo dico, spazzerà per sempre questo luogo e farà le sue vendette su tutto un popolo».

Non ripete la fustigazione dell’altra volta, ma, visto che mercanti e cambiavalute stentano ad ubbidire, va al banco più vicino e lo ribalta spargendo bilance e monete al suolo.

I venditori e i  cambiavalute si affrettano a porre in atto l’ordine di Gesù, dopo che hanno avuto questo primo esempio. E Gesù grida dietro a loro: «E quante volte dovrò dire che questo luogo non deve essere luogo d’immondezza ma di preghiera?».

E guarda quelli del Tempio che, ubbidienti agli ordini ponteficali, non fanno un gesto di rappresaglia.

Mondato il cortile, Gesù va verso i portici dove sono raccolti ciechi, paralitici, muti, storpi e altri malati, che Lo invocano a gran voce.

«Che volete voi che Io vi faccia?».

«La vista, Signore! Le membra! Che mio figlio parli! Che mia moglie risani. Noi crediamo in Te, Figlio di Dio!».

«Dio vi ascolti. Sorgete e osannate al Signore!».

Non cura uno per uno i molti malati. Ma fa un gesto largo con la mano, e Grazia e salute scende da essa sugli infelici, che sorgono sani con gridi di giubilo che si mescolano a quelli dei molti bambini, che si stringono a Lui ripetendo: «Gloria, gloria al figlio di Davide! Osanna a Gesù Nazareno, Re dei re e Signore dei signori!».

Dei farisei, con finta deferenza, gli gridano: «Maestro, li senti? Questi fanciulli dicono ciò che non va detto. Riprendili! Che tacciano!».

«E perché? Il re profeta, il re della mia stirpe, non ha forse detto: “Dalla bocca dei fanciulli e dei lattanti hai fatto sgorgare la lode perfetta, a confusione dei tuoi nemici”? Non avete letto queste parole del salmista? Lasciate che i pargoli dicano le mie lodi. Sono loro suggerite dai loro Angeli, che vedono costantemente il Padre mio e ne sanno i segreti e li suggeriscono a questi innocenti. Ora lasciatemi tutti andare ad orare al Signore», e passando davanti alla gente passa nell’atrio degli Israeliti per pregare…

E poi, uscendo per un’altra porta, rasentando la piscina Probatica, esce dalla città tornando sui colli del monte Uliveto.

Gli apostoli sono entusiasti… Il trionfo li ha fatti sicuri e dimentichi, completamente dimentichi di tutti i terrori che le parole del Maestro avevano suscitato… Parlano di tutto… Ardono di sapere di Annalia. A stento Gesù li trattiene dall’andare, assicurando che provvederà in modo che sa Lui… Sordi, sordi, sordi ad ogni voce d’avviso divino… Uomini, uomini, uomini, che un grido di osanna smemora da ogni cosa…

Gesù parla ai servi di Maria di Magdala, che Lo hanno raggiunto al Tempio, e poi li licenzia…

«E ora dove andiamo?», chiede Filippo.

«A casa di Marco di Giona?», dice Giovanni.

«No. Al campo dei Galilei. Forse saranno venuti i miei fratelli e vorrei salutarli», dice Gesù.

«Lo potrai fare domani», gli osserva il Taddeo.

«Buona cosa è fare mentre si può fare. Andiamo dai Galilei. Saranno contenti di vederci. Voi avrete notizie delle famiglie. Io vedrò i bambini…».

«E questa sera? Dove dormiremo? In città? In che luogo? Dove è tua Madre? O da Giovanna?», chiede Giuda Iscariota.

«Non so. Certo non in città. Forse ancora sotto qualche tenda Galilea…».

«Ma perché?».

«Perché sono il Galileo e amo la patria mia. Andiamo».

Si rimettono in cammino salendo verso il campo dei Galilei, che è sull’Uliveto verso Betania e che è tutto un biancheggiare di tende al lieto sole d’aprile.

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

V DOMENICA DI QUARESIMA ANNO A (Gv 11,1-45) 29 Marzo 2020

Gv 11,1-45

GESU’

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 11,1-45)
In quel tempo, un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».
Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. Parola del Signore.

Forma breve:

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 11, 3-7.17.20-27.33b-45)
In quel tempo, le sorelle di Lazzaro mandarono a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!».
Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Marta, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Gesù si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Il racconto della risurrezione di Lazzaro è una delle “storie di segni” che racconta san Giovanni. Si tratta qui di presentare Gesù, vincitore della morte. Il racconto culmina nella frase di Gesù su se stesso: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me non morrà in eterno” (vv. 25-26).
Che Dio abbia il potere di vincere la morte, è già la convinzione dei racconti tardivi dell’Antico Testamento. La visione che ha Ezechiele della risurrezione delle ossa secche – immagine del ristabilimento di Israele dopo la catastrofe dell’esilio babilonese – presuppone questa fede (Ez 37,1-14). Nella sua “Apocalisse”, Isaia si aspetta che Dio sopprima la morte per sempre, che asciughi le lacrime su tutti i volti (Is 25,8). E, per concludere, il libro di Daniele prevede che i morti si risveglino – alcuni per la vita eterna, altri per l’orrore eterno (Dn 12,2). Ma il nostro Vangelo va oltre questa speranza futura, perché vede già date in Gesù “la risurrezione e la vita” che sono così attuali. Colui che crede in Gesù ha già una parte di questi doni della fine dei tempi. Egli possiede una “vita senza fine” che la morte fisica non può distruggere. In Gesù, rivelazione di Dio, la salvezza è presente, e colui che è associato a lui non può più essere consegnato alle potenze della morte.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta. Capitolo 548  

Gesù viene verso Betania da Ensemes. Devono aver fatto una marcia veramente faticosa su per i sentieri rompicollo dei monti Adomin. Gli apostoli, sfiatati, stentano a seguire Gesù che va rapidamente, come l’amore lo portasse sulle sue ali di fuoco. Gesù ha un sorriso radioso mentre procede avanti a tutti, a testa alta sotto i raggi tiepidi del sole meridiano.

Prima che giungano alle prime case di Betania, li vede un ragazzetto scalzo che va verso la fonte presso il paese con una brocca di rame vuota. Dà un grido. Posa la brocca in terra e via di corsa, con tutta la velocità  delle sue gambette, verso l’interno del paese.

«Certo va ad avvisare che Tu giungi», osserva Giuda Taddeo dopo aver sorriso come tutti della risoluzione… energica del ragazzino, che ha abbandonato anche la sua brocca alla mercé del primo che passa.

La cittadina, vista così da presso la fonte, che è un poco più in alto del paese, appare quieta, come deserta. Solo il fumo bigio che si alza dai camini indica che nelle case sono le donne intente a preparare il pasto meridiano, e qualche grossa voce di uomo fra gli ulivi e i frutteti vasti e silenziosi avverte che gli uomini sono al lavoro. Ciononostante, Gesù preferisce prendere una viottola che passa alle spalle del paese per poter giungere da Lazzaro senza attirare l’attenzione dei cittadini.

Sono quasi a mezzo tragitto quando si sentono alle spalle il ragazzetto di prima, che li sorpassa correndo e poi si punta in mezzo alla via a guardare Gesù, pensieroso…

«La pace a te, piccolo Marco. Hai avuto paura di Me che sei fuggito?», chiede Gesù carezzandolo.

«Io no, Signore, che non ho avuto paura. Ma siccome per molti giorni Marta e Maria hanno mandato servi sulle strade che vengono qui a vedere se venivi, ora che ti ho visto sono corso per dire che venivi…».

«Hai fatto bene. Le sorelle si prepareranno il cuore a vedermi».

«No, Signore. Le sorelle non si prepareranno nulla perché non sanno nulla. Non hanno voluto che lo dicessi. Mi hanno preso quando ho detto, entrando nel giardino: “C’è il Rabbi”, e mi hanno cacciato fuori dicendo: “Sei un bugiardo o uno stolto. Egli ormai non viene più perché ormai è certo che non può più fare il miracolo”. E perché io dicevo che eri proprio Tu, mi hanno dato due schiaffoni come ancora non ne avevo presi mai… Guarda qui che guance rosse. Mi bruciano! E mi hanno spinto via dicendo: “Questo per purificarti di aver guardato un demonio”. E io ti guardavo per vedere se eri diventato un demonio. Ma non lo  vedo… Sei sempre il mio Gesù, bello come gli Angeli che la mamma mi dice».

Gesù si china a baciarlo sulle gotine schiaffeggiate dicendo: «Così ti passa il pizzicore. Ne ho dolore che per Me tu abbia sofferto…».

«Io no, Signore, perché quegli schiaffi mi hanno fatto dare due baci da Te», e gli si attacca alle gambe sperandone altri.

«Dì un po’, Marco. Chi è che ti ha cacciato? Quei di Lazzaro?», chiede il Taddeo.

«No. I giudei. Vengono per il cordoglio tutti i giorni. Sono tanti! Sono in casa e nel giardino. Vengono presto, vanno via tardi. Sembrano i padroni loro. Maltrattano tutti. Vedi che non c’è nessuno per le vie? I primi giorni si stava a vedere… ma poi… Ora solo noi bambini si gira per… Oh! la mia brocca! La mamma che aspetta l’acqua… Ora mi picchierà anche lei!…».

Sorridono tutti della sua desolazione davanti alla prospettiva di altri schiaffi, e Gesù dice: «Vai allora svelto…».

«È che… volevo entrare con Te e vederti fare il miracolo…», e termina: «…e vedere le loro facce… per vendicarmi degli schiaffi…».

«Questo no. Non devi desiderare vendetta. Essere buono e perdonare devi… Ma la mamma aspetta l’acqua…».

«Vado io, Maestro. So dove sta Marco. Spiegherò alla donna e ti raggiungerò…», dice Giacomo di Zebedeo correndo via.

Si rimettono in cammino lentamente e Gesù tiene per mano il bambino gongolante…

Eccoli alla cancellata del giardino. La costeggiano. Molte cavalcature stanno legate ad essa, sorvegliate dai servi dei singoli proprietari. Il bisbiglio che si leva da essi attira l’attenzione di qualche giudeo, che si volge verso il cancello aperto proprio nel momento che Gesù pone piede sul limitare del giardino.

«Il Maestro!», dicono i primi che lo vedono, e questa parola scorre come un fruscio di vento da gruppo a gruppo, si propaga, va come un’onda, venuta da lontano a spezzarsi sulla riva, sin contro i muri della casa e vi penetra, certo portata dai molti giudei presenti, o da qualche fariseo, rabbi o scriba o sadduceo, sparsi qua e là.

Gesù si inoltra molto lentamente mentre tutti, pur accorrendo da ogni parte, si scansano dal viale sul quale Egli cammina. E dato che nessuno Lo saluta, Egli non saluta nessuno, come neppure conoscesse molti dei lì radunati a guardarlo con l’ira e l’odio negli sguardi, meno i pochi che, essendogli discepoli occulti, o per lo meno essendo di retto cuore anche se non Lo amano come Messia, Lo rispettano come un giusto.

E questi sono Giuseppe, Nicodemo, Giovanni, Eleazaro, l’altro Giovanni scriba, visto per la moltiplicazione dei pani, e l’altro Giovanni ancora, che sfamò i discesi dal monte delle beatitudini, Gamaliele col figlio suo, Giosuè, Gioacchino, Mannaen, lo scriba Gioele di Abia, incontrato al Giordano nell’episodio di Sabea, Giuseppe Barnaba discepolo di Gamaliele, Cusa che guarda Gesù da lontano, un poco intimidito di rivederlo dopo lo sbaglio fatto, o forse preso dal rispetto umano che lo trattiene dal farsi avanti come amico.

Certo è che né gli amici, o osservatori senz’astio, né i nemici salutano. E Gesù non saluta.

Si è limitato a un generico inchino mettendo piede sul viale. Poi ha proceduto diritto, come estraneo alla molta folla che ha d’intorno. Il ragazzetto gli cammina sempre al fianco nelle sue vesti di contadinello e coi piedini scalzi di bimbo povero, ma col viso luminoso di chi è in festa, gli occhietti neri, vispi, ben aperti a tutto vedere… e a sfidare tutti…

Marta esce dalla casa fra un gruppo di giudei visitatori, fra i quali sono mescolati Elchia e Sadoc. Si fa solecchio con la mano per aiutare gli occhi stanchi di pianto, ai quali è penosa la luce, a vedere dove è Gesù. Lo vede. Si stacca da chi l’accompagna e corre verso Gesù, che è a pochi passi dalla vasca che brilla di bagliori, colpita come è dal sole. Si getta ai piedi di Gesù dopo il primo inchino e glieli bacia, mentre dice fra un grande scoppio di pianto: «La pace a Te, Maestro!».

Anche Gesù le ha detto, non appena l’ha vista vicina: «La pace a te!», ed ha alzato la mano a benedire lasciando andare quella del bambino, che viene preso per mano da Bartolomeo e tirato un poco indietro.

Marta prosegue: «Ma pace per la tua serva non c’è più».

Alza il viso verso Gesù stando ancora in ginocchio e con un grido di dolore, che si sente bene nel silenzio che so è fatto, esclama:

«Lazzaro è morto! Se Tu fossi stato qui, egli non sarebbe morto. Perché non sei venuto prima, Maestro!».

Ha un involontario tono di rimprovero nel fare questa domanda. Poi torna al tono accasciato di chi non ha più la forza per rimproverare e ha l’unico conforto del poter ricordare gli ultimi atti e desideri di un parente, al quale si è cercato di dare ciò che desiderava, e non c’è rimorso perciò nel cuore:

«Ti ha tanto chiamato, Lazzaro, il fratello nostro!… Ora vedi! Io sono dolente e Maria piange e non sa darsi pace. Ed egli non è più qui. Tu sai se lo amavamo! Speravamo tutto da Te!…».

Un mormorio di compassione per la donna e di rimprovero per Gesù, un assentire al sottinteso pensiero: «e potevi esaudirci, perché noi lo meritavamo per l’amore che abbiamo per Te, e Tu invece ci hai delusi», scorre da gruppo a gruppo fra scuotii di teste o sguardi derisori.

Solo i pochi occulti discepoli sparsi fra la folla presente hanno sguardi di compassione per Gesù che ascolta, molto pallido e mesto, la dolente che gli parla. Gamaliele, le braccia conserte al petto nella sua ampia e ricca veste di lana finissima ornata di fiocchi azzurri, un poco in disparte fra un gruppo di giovani in cui è suo figlio e Giuseppe Barnaba, guarda fissamente Gesù, senza odio e senza amore.

Marta, dopo essersi asciugata il volto, riprende a parlare:

«Ma anche ora io spero, perché so che qualunque cosa Tu chiederai al Padre ti sarà concessa».

Una dolorosa, eroica professione di Fede, detta con la voce che trema di pianto, con l’ansia che trema nello sguardo, con l’ultima speranza che trema nel cuore.

«Tuo fratello risorgerà. Alzati, Marta».

Marta si alza, rimanendo curva in venerazione davanti a Gesù al quale risponde:

«Lo so, Maestro. Egli risorgerà all’ultimo giorno».

«Io sono la Risurrezione e la Vita. Chiunque crede in Me, anche se morto, vivrà. E chi crede in Me non morrà in eterno. Credi tu tutto questo?».

Gesù, che prima aveva parlato con voce piuttosto bassa, unicamente a Marta, per dire queste frasi in cui proclama la sua potenza di Dio alza la voce, e il perfetto timbro di essa echeggia come uno squillo d’oro nel vasto giardino. Un fremito quasi di spavento scuote gli astanti. Ma poi alcuni ghignano scuotendo il capo.

Marta, alla quale Gesù pare volere trasfondere speranza sempre più forte tenendole la mano appoggiata sulla spalla, alza il viso che teneva curvo. Lo alza verso Gesù fissando i suoi occhi addolorati nelle luminose pupille di Cristo e, stringendo le mani sul petto con un’ansia diversa, risponde:

«Si, Signore. Io credo questo. Credo che Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivo, venuto nel mondo. E che puoi tutto ciò che vuoi. Credo. Ora vado ad avvertire Maria», e va via lesta scomparendo nella casa.

Gesù resta dove è. Ossia, fa qualche passo avanti e si accosta all’aiuola che circonda la vasca, aiuola tutta imbrillantata, da quel lato, dal pulviscolo  acque dello zampillio, che un lieve vento fa inclinare, come fosse un piumetto d’argento, verso quel lato; e pare perdersi, Gesù, nel contemplare i guizzi dei pesci sotto il velo dell’acqua limpida, i loro giuochi che mettono virgole d’argento e riflessi d’oro nel cristallo delle acque percosse dal sole.

I giudei Lo osservano. Si sono involontariamente separati in gruppi ben distinti.

Da un lato, di fronte a Gesù, tutti quelli che gli sono nemici, divisi solitamente fra loro per spirito settario, ora concordi per osteggiare Gesù.

Al suo fianco, dietro gli apostoli, ai quali si è riunito Giacomo di Zebedeo, Giuseppe, Nicodemo e gli altri di spirito benevolo. Più là, Gamaliele, sempre al suo posto e nella stessa posa, e solo, perché il figlio e i discepoli si sono separati da lui dividendosi fra i due gruppi principali per essere più vicini a Gesù.

Col suo grido abituale: «Rabboni!», Maria esce dalla casa correndo a braccia tese verso Gesù e gettandoglisi ai piedi, che bacia singhiozzando forte. Diversi giudei, che erano in casa con lei e che l’hanno seguita, uniscono i loro pianti, di dubbia sincerità, a quelli di lei. Anche Massimino, Marcella, Sara, Noemi hanno seguito Maria e così tutti i servi, e i lamenti sono forti e alti. Io credo che nella casa non sia rimasto nessuno. Marta, vedendo piangere così Maria, piange forte lei pure.

«La pace a te, Maria. Alzati! Guardami! Perché questo pianto simile a quello di chi non ha speranza?».

Gesù si curva per dire piano queste parole, gli occhi negli occhi di Maria, che stando in ginocchio, rilassata sui calcagni, tende a Lui le mani in gesto di invocazione e non può parlare tanto è il suo singhiozzare.

«Non ti ho detto di sperare oltre il credibile per vedere la gloria di Dio? È forse mutato il tuo Maestro per avere ragione di angosciarsi così?».

Ma Maria non raccoglie le parole, che la vogliono già preparare alla gioia troppo forte dopo tanta angoscia, e grida, finalmente padrona della sua voce:

«Oh! Signore! Perché non sei venuto prima? Perché ti sei tanto allontanato da noi? Lo sapevi che Lazzaro era malato! Se Tu fossi stato qui, non sarebbe morto il fratello mio. Perché non sei venuto? Io dovevo mostrargli ancora che lo amavo. Egli doveva vivere. Io dovevo mostrargli che perseveravo nel bene. Tanto l’ho angustiato il fratello mio!

E ora! Ora che potevo farlo felice, mi è stato tolto! Tu me lo potevi lasciare. Dare alla povera Maria la gioia di consolarlo dopo avergli dato tanto dolore. Oh! Gesù! Gesù! Maestro mio! Mio Salvatore! Speranza mia!», e si ribatte, la fronte sui piedi di Gesù, che vengono di nuovo lavati dal pianto di Maria, e geme:

«Perché hai fatto questo, o Signore?! Anche per quei che ti odiano e che godono di quanto avviene… Perché hai fatto questo, Gesù?!».

Ma non è rimprovero nel tono di Maria come lo ha avuto Marta, ma ha solo l’angoscia di chi, oltre il suo dolore di sorella, ha anche quello di discepola che sente sminuito nel cuore di molti il concetto sul suo Maestro.

Gesù, molto curvo per raccogliere queste parole mormorate con la faccia al suolo, si rialza e dice forte:

«Maria, non piangere! Anche il tuo Maestro soffre per la morte dell’amico fedele… per averlo dovuto lasciar morire…».

Oh! che sogghigno e che sguardi di livido giubilo sono sui volti dei nemici di Cristo! Lo sentono vinto e gioiscono, mentre gli amici si fanno sempre più tristi.

Gesù dice ancor più forte: «Ma Io ti dico: non piangere. Alzati! Guardami! Credi tu che Io, che ti ho tanto amata, abbia fatto questo senza motivo? Puoi credere che Io ti abbia dato questo dolore inutilmente? Vieni. Andiamo da Lazzaro. Dove lo avete posto?».

Gesù, più che a Maria e Marta, che non parlano, prese come sono da un pianto più forte, interroga tutti gli altri, specie quelli che, usciti di casa con Maria, sembrano i più turbati. Forse sono parenti più anziani, non so.

E questi rispondono a Gesù, visibilmente afflitto: «Vieni e vedi», e si avviano verso il luogo del sepolcro che è ai termini del frutteto, là dove il suolo ha delle ondulazioni e delle vene di roccia calcarea che affiorano dal suolo.

Marta, al fianco di Gesù che ha forzato Maria ad alzarsi e che la guida, perché essa è accecata dal gran pianto, indica con la mano a Gesù dove è Lazzaro, e quando sono presso al luogo dice anche: «È lì, Maestro, che il tuo amico è sepolto», e accenna alla pietra posta obliquamente sulla bocca del sepolcro.

«Levate quella pietra», grida Gesù ad un tratto, dopo aver asciugato il suo pianto.

Tutti hanno un movimento di stupore, e un mormorio scorre per l’assembramento, che si è aumentato di alcuni betaniti che sono entrati nel giardino e si sono accodati agli ospiti. Vedo alcuni farisei che si toccano la fronte scuotendo il capo come per dire: «È pazzo!».

Nessuno eseguisce l’ordine. Anche nei più fedeli vi è della titubanza, della ripulsione a farlo. Gesù ripete più forte il suo ordine, facendo sbigottire più ancora la gente che, presa da due sentimenti opposti, ha un movimento come per fuggire e, subito dopo, uno di accostarsi di più per vedere, sfidando il prossimo fetore del sepolcro che Gesù vuole aperto.

«Maestro, non è possibile», dice Marta sforzandosi di trattenere il pianto per parlare.

«Già da quattro giorni è la sotto. E Tu sai di che male è morto! Solo il nostro amore lo poteva curare… Ora certo egli puzza già fortemente nonostante gli unguenti… Che vuoi vedere? La sua putredine?… Non si può… anche per l’impurità della corruzione e…».

«Non ti ho detto che se crederai vedrai la gloria di Dio? Levate quella pietra. Lo voglio!». È un grido di volere divino…

Un «oh!» sommesso esce da tutti i petti. I volti sbiadiscono. Qualcuno trema come se fosse passato su tutti un vento gelido di morte.

Marta fa un cenno a Massimino, e questo ordina ai servi di prendere gli arnesi atti a smuovere la pietra pesante.

I servi vanno via lesti per tornare con picconi e leve robuste. E lavorano, insinuando le punte dei picconi lucenti fra la roccia e la pietra, e poscia sostituendo i picconi con le leve robuste, infine sollevando attenti la pietra facendola scivolare da un lato e strascicandola poi cautamente contro la parete rocciosa. Un fetore ammorbante esce dal cunicolo oscuro, facendo arretrare tutti.

Marta chiede sottovoce: «Maestro, vuoi scendere là? Se sì, occorrono torce…». Ma è livida al pensiero di doverlo fare.

Gesù non le risponde. Alza gli occhi al cielo, apre le braccia a croce e prega con voce fortissima, scandendo le parole:

«Padre! Io ti ringrazio di avermi esaudito. Lo sapevo che Tu mi esaudisci sempre. Ma l’ho detto per questi che sono qui presenti, per il popolo che mi circonda, perché credano in Te, in Me, e che Tu mi hai mandato!».

Resta ancora così qualche momento, e pare rapito in una estasi tanto è trasfigurato, mentre senza più suono dice altre segrete parole di preghiera o di adorazione. Non so. Quello che so è che è così trasumanato che non lo si può guardare senza sentirsi tremare il cuore in petto.

Sembra farsi, da corpo, luce, spiritualizzarsi, alzarsi di statura e anche da terra. Pur conservando i suoi colori di capelli, occhi, pelle, vesti, non come durante la trasfigurazione del Tabor, durante la quale tutto divenne luce e candore abbagliante, pare emanare luce e tutto di Lui divenire luce. La luce pare fargli un alone intorno, specie intorno al volto levato al cielo, rapito in contemplazione certo del Padre.

Sta così qualche tempo, poi torna Lui, l’Uomo, ma di una maestà potente.

Si avanza sino alla soglia del sepolcro. Sposta le braccia -che sino a quel momento aveva tenuto aperte a croce, a palme volte al cielo- in avanti, a palme verso terra, e le mani sono perciò già dentro al cunicolo del sepolcro e biancheggiano nella nerezza che colma il cunicolo.

Egli sprofonda il fuoco azzurro dei suoi occhi, il cui bagliore di miracolo è oggi insostenibile, in quella nerezza muta, e con voce potente, con un grido più forte di quando sul lago comandò al vento di cadere, con una voce quale in nessun miracolo gli ho sentito, grida:

«Lazzaro! Vieni fuori!».

La voce si ripercuote per eco nel cavo sepolcrale e si spande uscendone poi per tutto il giardino, si ripercuote contro i dislivelli delle ondulazioni di Betania, io credo che vada sino alle prime balze collinose oltre i campi e di là torni, ripetuta e sommessa, come comando che non può cadere. Certo è che da infinite parti si riode: «fuori! fuori! fuori!».

Tutti hanno un più intenso brivido e, se la curiosità inchioda tutti ai loro posti, i volti sbiancano e gli occhi si spalancano, mentre le bocche si socchiudono involontariamente, con l’urlo dello stupore già nella strozza.

Marta, un poco indietro e di fianco, è come affascinata a guardare Gesù. Maria cade in ginocchio, lei che non si è mai scostata dal suo Maestro, cade in ginocchio sul limitare del sepolcro, una mano sul petto a frenare i palpiti del cuore, l’altra che inconsciamente e convulsamente tiene un lembo del mantello di Gesù, e si capisce che trema perché il mantello ha lievi scosse impresse dalla mano che lo tiene.

Un che di bianco pare emergere dal fondo profondo del cunicolo. Prima è appena una piccola linea convessa, poi si muta in un che di ovale, poi all’ovale si sottopongono linee più ampie, più lunghe, sempre più lunghe. E il già morto, stretto nelle sue fasce, viene avanti lentamente, sempre più visibile, fantomatico impressionante.

Gesù arretra, arretra, insensibilmente ma continuamente, più quello avanza. La distanza fra i due è perciò sempre uguale.

Maria è costretta a lasciare il lembo del manto, ma non si muove da dove è. La gioia, l’emozione, tutto, l’inchiodano al posto dove era.

Un «oh!» sempre più netto esce dalle gole chiuse prima da uno spasimo di attesa, da sussurro appena distinto si muta in voce, da voce in un grido potente.

Lazzaro è ormai sul limitare e si ferma là rigido, muto, simile ad una statua di gesso appena sbozzata, perciò informe, una lunga cosa, sottile nel corpo, sottile nelle gambe, più larga nel tronco, macabra come la morte stessa, spettrale nel biancore delle fasce contro lo sfondo scuro del sepolcro. Al sole che lo investe, le fasce appaiono qua e là già colanti putredine.

Gesù grida forte: «Scioglietelo e lasciatelo andare. Dategli vesti e cibo».

«Maestro!…», dice Marta e vorrebbe forse dire di più, ma Gesù la guarda fisso, soggiogandola col suo fulgido sguardo, e dice:

«Qui! Subito! Portate una veste. Vestitelo alla presenza di tutti e dategli da mangiare».

Ordina, e non si volge mai a guardare chi ha alle spalle e intorno. Il suo occhio guarda soltanto Lazzaro, Maria che è vicina al risorto, incurante del ribrezzo che danno a tutti le bende marciose, e Marta che ansima come le scoppiasse il cuore e non sa se gridare la sua gioia o se piangere…

I servi si affrettano ad eseguire. Noemi corre via per prima, e per prima torna con le vesti che tiene a cavalcioni del braccio. Alcuni slegano i lacci delle fasce dopo essersi rimboccate le maniche e cinte le vesti perché non tocchino la putredine colante. Marcella e Sara tornano con anfore di odori, seguite da servi, chi con catini e brocche fumanti d’acque calde e chi con vassoi, tazze colme di latte, e vino, frutta, focacce coperte di miele.

Le bende basse e lunghissime, di lino, mi pare, con le cimose ai due lati, certo tessute per quell’uso, si srotolano come rotoli di fettucce da una grande bobina e si accumulano al suolo, pesanti di aromi e di marciume. I servi le scansano usando dei bastoni. Hanno iniziato dal capo, eppure anche là è marciume, certo scolato dal naso, dalle orecchie, dalla bocca.

Il sudario messo sul volto è tutto zuppo di questi scoli e il volto di Lazzaro, che appare pallidissimo, scheletrito, con gli occhi tenuti chiusi dalle manteche messe nelle orbite, coi capelli appiccicati e così pure la barbetta rada sul mento, ne è bruttato.

Cade lentamente il lenzuolo, la sindone messa intorno al corpo, man mano che le bende scendono, scendono, scendono, liberando il tronco che avevano costretto per dei giorni e rendendo forma umana a ciò che prima avevano reso simile ad una grande crisalide. Le spalle ossute, le braccia scheletrite, le coste appena coperte di pelle, il ventre infossato appaiono lentamente. E man mano che le bende cadono, le sorelle, Massimino, i servi, si affannano a levare il primo strato di sudiciume e di balsami, e insistono sinché con acque sempre mutate e rese detergenti dagli aromi aggiunti alle acque, la pelle non appare netta.

Lazzaro, quando gli liberano il volto e può guardare, dirige il suo sguardo a Gesù prima ancora che alle sorelle, e si smemora e astrae da tutto ciò che avviene nel guardare, con un sorriso d’amore sulle labbra pallide e un luccichio di pianto nelle occhiaie fonde, il suo Gesù.

Anche Gesù gli sorride ed ha una lucentezza di pianto nell’angolo dell’occhio, ma senza parlare dirige lo sguardo di Lazzaro al cielo, e Lazzaro comprende e muove le labbra in una silenziosa preghiera.

Marta crede che voglia dire qualcosa e ancor non abbia voce e chiede: «Che mi dici, Lazzaro mio?».

«Nulla, Marta. Ringraziavo l’Altissimo». La pronuncia è sicura, forte la voce. La gente ha un nuovo «oh!» di stupore.

Ormai lo hanno liberato sino ai fianchi, liberato e pulito. E possono rivestirlo della tunica corta, una specie di camiciola che supera l’inguine ricadendo sulle cosce.

Lo fanno sedere per slegargli e lavargli le gambe. Come esse appaiono, Marta e Maria gridano forte accennando alle gambe e le fasce. E, se sulle fasce strette alle gambe e sulla sindone posta sotto le fasce gli scoli putridi sono tanto abbondanti da far rivoli sulle tele, le gambe appaiono cicatrizzate affatto. Solo le cicatrici rosso-cianotiche sono a indicare dove erano le cancrene.

La gente, tutta, grida più forte di stupore; Gesù sorride, e sorride Lazzaro che si guarda per un attimo le gambe guarite, e poi si torna ad astrarre guardando Gesù. Pare che non si possa saziare di vederlo.

I giudei, farisei, sadducei, scribi, rabbi, si fanno avanti, cauti per non contaminarsi le vesti. Guardano ben da vicino Lazzaro. Guardano ben da vicini Gesù. Ma né Lazzaro né Gesù si occupano di loro. Si guardano. E tutto il resto è nulla.

Ecco che vengono messi i sandali a Lazzaro. Egli si alza in piedi, agile, sicuro. Prende la veste che Marta gli porge, da sé se l’infila, si lega la cintura, si aggiusta le pieghe. Eccolo, magro e pallido, ma uguale a tutti. Si lava ancora le mani e le braccia sino al gomito, rimboccandosi le maniche. E poi, con nuova acqua, di nuovo il volto e il capo, sinché non si sente affatto netto. Si asciuga capelli e volto, rende l’asciugatoio al servo e va diritto da Gesù. Si prostra. Gli bacia i piedi.

Gesù si curva, lo rialza, lo stringe al cuore dicendogli:

«Ben tornato, amico mio. La pace sia teco e la gioia. Vivi per compiere la tua felice sorte. Alza il tuo volto, che Io ti dia il bacio di saluto». E lo bacia, ricambiato da Lazzaro, sulle guance.

Soltanto dopo aver venerato e baciato il Maestro, Lazzaro parla alle sorelle e le bacia, e poi bacia Massimino e Noemi che piangono di gioia, e alcuni di quelli che credo siano imparentati con la casa o amici intimissimi. Poi bacia Giuseppe, Nicodemo, Simone Zelote e qualche altro.

Gesù va personalmente da un servo, che ha sulle braccia un vassoio con del cibo, e prende una focaccia con del miele, una mela, una coppa di vino e le offre a Lazzaro, dopo averle offerte e benedette, perché se ne ristori. E Lazzaro mangia col sano appetito di uno che sta bene. Tutti hanno ancora un «oh!» di stupore.

Gesù sembra che non veda che Lazzaro, ma in realtà osserva tutto e tutti, e vedendo che con gesti d’ira Sadoc e Elchia, Canania, Felice, Doras e Cornelio e altri stanno per allontanarsi, dice forte:

«Attendi un momento, o Sadoc. Devo dirti una parola. A te e ai tuoi».

Quelli si fermano con un ceffo da delinquenti. Giuseppe d’Arimatea ha un atto di sgomento e fa cenno allo Zelote di trattenere Gesù.

Ma Egli sta già andando verso il gruppo astioso e già dice forte:

«Ti basta, o Sadoc, quanto hai visto? Mi hai detto un giorno che per credere avevi bisogno, tu e i tuoi uguali, di vedere ricomporsi un morto disfatto in sanità. Sei sazio della puledrine vista? Sei capace di confessare che Lazzaro era morto e che ora è vivo e sano come non era da anni? Lo so.

Voi siete venuti qui a tentare costoro, a mettere in loro maggior dolore e il dubbio. Voi siete venuti qui a cercarmi, sperando trovarmi nascosto nella stanza del morente. Voi siete venuti qui non per sentimento di amore e desiderio di onorare l’estinto, ma per assicurarvi che Lazzaro era realmente morto, e avete continuato a venire giubilando sempre più, più il tempo passava.

Se le cose fossero andate come speravate, come ormai credevate che andassero, avreste avuto ragione di giubilare. L’Amico che guarisce tutti, ma non guarisce l’amico. Il Maestro che premia tutte le fedi, ma non quelle dei suoi amici di Betania. Il Messia impotente davanti alla realtà di una morte. Questo era ciò che vi dava ragione di giubilare. Ma ecco. Dio vi ha risposto.

Nessun profeta ha mai potuto riunire ciò che era sfatto, oltre che morto. Dio lo ha fatto. Ecco là la testimonianza viva di ciò che Io sono.

Un giorno fu che Dio prese del fango e ne fece una forma e vi alitò lo spirito vitale e l’uomo fu. Io ero a dire: “Si faccia l’uomo a nostra immagine e somiglianza”. Perché Io sono il Verbo del Padre. Oggi, Io, Verbo, ho detto a ciò che è ancor meno del fango, alla corruzione: “Vivi”, e la corruzione si è tornata a comporre in carne, e in carne integra, viva, palpitante. Eccola là che vi guarda. E alla carne ho ricongiunto lo spirito giacente da giorni nel seno d’Abramo. L’ho richiamato col mio volere perché tutto Io posso, Io il Vivente, Io il Re dei re cui sono soggette tutte le creature e le cose. Or che mi rispondete?».

È davanti a loro, alto, sfolgorante di maestà, veramente Giudice e Dio. Essi non rispondono.

Egli incalza: «Non vi basta ancora per credere, per accettare l’ineluttabile?».

«Non hai mantenuto che una parte della promessa. Questo non è il segno di Giona…», dice aspro Sadoc.

«Avrete anche quello. L’ho promesso e lo mantengo», dice il Signore. «E un altro qui presente, che attende un altro segno, lo avrà. E poiché è un giusto, lo accetterà. Voi no. Voi rimarrete ciò che siete».

Fa un mezzo giro su Se stesso e vede Simone il sinedrista figlio di Elianna. Lo fissa. Lo fissa. Lascia in asso quelli di prima e, giunto viso a viso con lui, gli dice, a voce bassa ma incisiva: «Buon per te che Lazzaro non ricordi il suo soggiorno fra i morti! Che ne hai fatto di tuo padre, o Caino?».

Simone fugge con un grido di paura, che poi si muta in un urlo di maledizione:

«Che Tu sia maledetto, o Nazareno!», al che Gesù risponde:

«La tua maledizione sale al Cielo e dal Cielo l’Altissimo te la riscaglia. Sei segnato del marchio, o sciagurato!».

Torna indietro fra i gruppi stupiti, spaventati quasi. Incontra Gamaliele che si dirige verso la via. Lo guarda, e Gamaliele guarda Lui. Gesù gli dice senza fermarsi: «Stai pronto, o rabbi. Il segno presto verrà. Non mento mai».

Il giardino si svuota lentamente. I giudei sono sbalorditi, ma i più sprizzano ira da ogni poro. Se gli sguardi potessero incenerire, Gesù sarebbe da molto polverizzato.

Parlano, discutono fra loro, andandosene, così ormai sconvolti dalla sconfitta avuta da non saper più celare sotto una ipocrita apparenza di amicizia lo scopo della loro presenza qui. Se ne vanno senza salutare né Lazzaro né le sorelle.

Restano indietro alcuni che sono conquistati al Signore dal miracolo. Fra questi è Giuseppe Barnaba, che si getta in ginocchio davanti a Gesù e Lo adora. Un altro è lo scriba Gioele di Abia, che fa la stessa cosa prima di partire a sua volta. E altri ancora che non conosco, ma che devono essere influenti.

Lazzaro intanto, circondato dai suoi più intimi, si è ritirato in casa. Giuseppe, Nicodemo e gli altri buoni salutano Gesù e se ne vanno. Partono, con profondi saluti, i giudei che stavano presso Marta e Maria. I servi chiudono il cancello. La casa torna in pace.

Gesù si guarda intorno. Vede fumare e rosseggiare in fondo al giardino, là verso il sepolcro. Gesù, solo, ritto in mezzo ad un sentiero, dice:

«La putredine che viene annullata dal fuoco… La putredine della morte… Ma quella dei cuori… di quei cuori nessun fuoco l’annullerà… Neppure il fuoco dell’inferno. Sarà eterna… Che orrore!… Più della morte… Più della corruzione… E… Ma chi ti salverà, o Umanità, se tanto ami essere corrotta? Vuoi essere corrotta. E Io… Io ho strappato al sepolcro un uomo con una parola… E con un mare di parole… e uno di dolori non potrò strappare al peccato l’uomo, gli uomini, milioni di uomini».

Si siede e si copre il volto con le mani, accasciato…

Lo vede un servo che passa. Va in casa. Dopo poco esce di casa Maria. Va da Gesù, leggera come non toccasse il suolo. L’avvicina, dice piano:

«Rabboni, sei stanco… Vieni, o mio Signore. I tuoi apostoli stanchi sono andati nell’altra casa, tutti meno Simone lo Zelote… Piangi, Maestro? Perché?».

Si inginocchia ai piedi di Gesù… l’osserva… Gesù la guarda. Non risponde. Si alza e si dirige verso la casa, seguito da Maria.

Entrano in una sala. Lazzaro non c’è, e non c’è lo Zelote. Ma Marta c’è, felice, trasfigurata di gioia. Si volge a Gesù spiegando: «Lazzaro è andato al bagno. Per purificarsi ancora. Oh! Maestro! Maestro! Che dirti?». Lo adora con tutta se stessa. Nota la tristezza di Gesù e dice:

«Sei triste, Signore? Non sei felice che Lazzaro…». Le viene un sospetto: «Oh! Tu sei serio con me. Ho peccato. È vero».

«Abbiamo peccato, sorella», dice Maria.

«No. Tu no. Oh! Maestro, Maria non ha peccato. Maria ha saputo ubbidire. Io sola ho disubbidito. Io ti ho mandato a chiamare perché… perché non potevo più sentire che essi insinuassero che Tu non eri il Messia, il Signore… e non potevo più vedere soffrire… Lazzaro ti voleva tanto. Ti chiamava tanto… Perdonami, Gesù».

«E tu non parli, Maria?», interroga Gesù.

«Maestro… io… Io non ho sofferto allora altro che come donna. Soffrivo perché… Marta, giura, giura qui, davanti al Maestro, che mai, mai dirai a Lazzaro il suo delirio… Maestro mio… io ti ho conosciuto del tutto, o divina Misericordia, nelle ultime ore di Lazzaro. Oh! mio Dio! Ma come mi hai amata Tu, Tu che mi hai perdonata, Tu, Dio, Tu, Puro, Tu…, se mio fratello, che pur mi ama, che però è uomo, soltanto uomo, non ha in fondo al cuore perdonato tutto?! No. Dico male. Non ha dimenticato il mio passato e, quando la debolezza del morire ha ottuso in lui la sua bontà che io credevo dimenticanza del passato, egli ha urlato il suo dolore, il suo sdegno per me… Oh!…».

Maria piange…

«Non piangere, Maria. Dio ti ha perdonata e ha dimenticato. L’anima di Lazzaro pure ha perdonato e ha dimenticato, ha voluto dimenticare. L’uomo non ha potuto tutto dimenticare. E quando la carne ha dominato col suo spasimo estremo la volontà illanguidita, l’uomo ha parlato».

«Non ne ho sdegno, Signore. Mi ha servito ad amarti di più e ad amare ancor più Lazzaro. È stato da quel momento però che io pure ti ho desiderato… perché era troppo angoscioso pensare Lazzaro morto senza pace per causa mia… e dopo, dopo, quando ti ho visto schernito dai giudei… quando ho visto che Tu non venivi neppur dopo la morte, neppur dopo che io ti avevo ubbidito sperando oltre il credibile, sperando fin quando il sepolcro si aprì a riceverlo, allora anche il mio spirito ha sofferto. Signore, se avevo da espiare, e certo lo avevo, io ho espiato, Signore…».

«Povera Maria! Conosco il tuo cuore. Tu hai meritato il miracolo, e ciò ti affermi nel saper sperare e credere».

«Mio Maestro, io spererò e crederò sempre ormai. Io non dubiterò più, mai più, Signore. Io vivrò di Fede. Tu mi hai dato la capacità di credere l’incredibile».

«E tu, Marta? Tu hai imparato? No. Non ancora. Sei la mia Marta. Ma non sei ancora la mia perfetta adoratrice. Perché agisci e non contempli? È più santo. Tu vedi? La tua forza, perché troppo volta a cosa terrene, ha ceduto alla constatazione dei fatti terreni che sembrano talora senza rimedio. In verità non hanno rimedio le terrene cose se Dio non interviene.

La creatura per questo ha bisogno di saper credere e contemplare. Di amare sino all’estremo delle forze di tutto l’uomo, con il pensiero, l’anima, la carne, il sangue; con tutte le forze dell’uomo, ripeto. Io ti voglio forte, Marta. Io ti voglio perfetta.

Non hai saputo ubbidire perché non hai saputo credere e sperare completamente, e non hai saputo credere e sperare perché non hai saputo amare totalmente. Ma Io te ne assolvo. Ti perdono, Marta. Ho risuscitato Lazzaro oggi. Ora ti do un cuore più forte. A lui ho reso la vita. A te infondo la forza dell’amare, credere e sperare perfettamente. Ora siate felici e in pace. Perdonate a chi vi ha offese in questi giorni…».

«Signore, in questo io ho peccato. Poco fa, al vecchio Canania che ti aveva schernito gli altri giorni, ho detto: “Chi ha trionfato? Tu o Dio? Il tuo scherno o la mia fede? Cristo è il Vivente ed è la Verità. Io lo sapevo che la sua gloria sarebbe rifulsa più grande. E tu, vecchio, rifatti l’anima, se non vuoi conoscere la morte”».

«Hai detto bene. Ma non contendere coi malvagi, Maria. E perdona. Perdona se mi vuoi imitare… Ecco Lazzaro. Ne sento la voce».

Infatti Lazzaro entra, rivestito di nuovo e tutto rasato sulle guance, coi capelli regolati e odorosi di essenze. Con lui sono Massimino e lo Zelote.

«Maestro!». Lazzaro si inginocchia, ancora adorando.

Gesù gli pone la mano sul capo e sorride dicendo: «La prova è superata, amico mio. Per te e le sorelle. Ora siate felici e forti a servire il Signore. Che ti ricordi, amico, del passato? Voglio dire delle tue ore estreme?».

«Un grande desiderio di vederti ed una grande pace fra l’amor delle sorelle».

«E che ti doleva più di lasciare morendo?».

«Te, Signore, e le sorelle. Te per non poterti servire, esse perché mi hanno dato ogni gioia…».

«Oh! io, fratello!», sospira Maria.

«Tu più di Marta. Tu mi hai dato Gesù e la misura di ciò che è Gesù. E Gesù ti ha data a me. Tu sei il dono di Dio, Maria».

«Lo dicevi anche morendo…», dice Maria e studia il volto del fratello.

«Perché è il mio costante pensiero».

«Ma io ti ho dato tanto dolore…».

«Anche la malattia ha dato dolore. Ma per essa spero avere espiato le colpe del vecchio Lazzaro e d’esser risorto, purificato per essere degno di Dio. Tu ed io, i due risorti per servire il Signore, e Marta fra noi, lei che fu sempre la pace della casa».

«Lo senti, Maria? Lazzaro dice parole di sapienza e verità. Ora Io mi ritiro e vi lascio alla vostra gioia…».

«No, Signore. Tu resti. Con noi. Qui. Resti a Betania e nella mia casa. Sarà bello…».

«Resterò. Ti voglio compensare di tutto quanto hai patito. Marta, non essere triste. Marta pensa di avermi addolorato. Ma la mia pena non è per voi quanto per coloro che non si vogliono redimere. Essi odiano sempre più. Hanno il veleno nel cuore… Ebbene… perdoniamo».

«Perdoniamo, Signore», dice Lazzaro col suo mite sorriso…

E su questa parola tutto ha fine.

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

IV DOMENICA DI QUARESIMA – LAETARE ANNO A (Gv 9,1-41). 22 MARZO 2020

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 9,1-41)
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».
Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane». Parola del Signore.

Forma breve

Dal Vangelo secondo Giovanni. Gv 9, 1.6-9.13-17.34-38
In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita; sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

La “luce” è uno dei simboli originali delle Sacre Scritture. Essa annuncia la salvezza di Dio. Non è senza motivo che la luce è stata la prima ad essere creata per mettere un termine alle tenebre del caos (Gen 1,3-5). Ecco la professione di fede dell’autore dei Salmi: “Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura?” (Sal 28,1). E il profeta dice: “Alzati, Gerusalemme, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te” (Is 60,1). Non bisogna quindi stupirsi se il Vangelo di san Giovanni riferisce a Gesù il simbolo della luce. Già il suo prologo dice della Parola divina, del Logos: “In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Gv 1,4-5). La luce è ciò che rischiara l’oscurità, ciò che libera dalla paura che ispirano le tenebre, ciò che dà un orientamento e permette di riconoscere la meta e la via. Senza luce, non c’è vita.
Il racconto della guarigione del cieco è una “storia di segni” caratteristica di san Giovanni. Essa mette in evidenza che Gesù è “la luce del mondo” (v. 5, cf. 8, 12), che egli è la rivelazione in persona e la salvezza di Dio – offerte a tutti.

A

 

RIVELAZIONE DI GESÙ A MARIA VALTORTA
CORRISPONDENZA NELL’“EVANGELO COME MI È STATO RIVELATO” DI MARIA VALTORTA. CAPITOLO 510

 

Gesù esce insieme ai suoi discepoli e a Giuseppe di Sefori, diretto alla sinagoga. La giornata, limpida e serena, rallegra come una promessa di primavera dopo giorni di vento e di nuvole tutte invernali. Molti di Gerusalemme sono quindi per le vie, chi diretto alle sinagoghe, chi di ritorno da esse o da altri luoghi con la famiglia, intenzionato ad uscire dalla città per godersi il sole nelle campagne. Dalla porta di Erode, visibile dalla casa di Giuseppe di Sefori, si vede uscire la gente per degli allegri svaghi oltre le mura, all’aperto. Un tuffo nel verde, nell’ampio, nel libero, fuori delle vie anguste fra le alte case. Credo che la cintura agreste che era intorno a Gerusalemme fosse voluta spontaneamente dai cittadini, che volevano conciliare la misura del sabato col loro desiderio di aria e di sole, presi per le vie e non soltanto sulle altane delle case.

Ma Gesù non va verso la porta di Erode. Anzi volge le spalle alla stessa, dirigendosi verso l’interno della città. Ma non ha fatto che pochi passi nella via più larga, nella quale sbocca la stradetta dove è la casa di Giuseppe di Sefori, che Giuda di Keriot gli richiama l’attenzione su un giovane, che procede verso di loro toccheggiando il muro con un bastone, alzando il volto privo di occhi verso l’alto, nell’andatura caratteristica dei ciechi. Le vesti sono povere, sebbene pulite, e deve essere persona nota a molti di Gerusalemme, perché più di uno lo addita e alcuni vanno a lui dicendo: «Uomo, oggi hai sbagliato la strada. Le vie del Moria sono tutte superate. Già sei in Bezeta».

«Non chiedo elemosina di denaro, oggi», risponde con un sorriso il cieco e procede sempre con quel sorriso verso il nord della città.

«Maestro, osservalo. Ha le palpebre saldate. Anzi direi che non ha palpebre. La fronte si unisce alle guance senza incavo alcuno, e sembra che sotto non siano le palle degli occhi. È nato così l’infelice. E così morrà, senza aver visto una volta la luce del sole, né il volto dell’uomo. Ora dimmi, Maestro. Per essere così punito, certo ha peccato. Ma se è cieco nato, come certamente è, come può aver peccato prima di nascere? Avranno forse peccato i suoi parenti e Dio li ha puniti facendolo nascere in tal modo?».

Anche gli altri apostoli e Isacco e Marziam si stringono a Gesù per ascoltare la sua risposta. E affrettando il passo, come attirati dall’altezza di Gesù che domina la folla, accorrono due gerosolimitani di civile condizione, che erano un poco indietro del cieco. E fra questi è Giuseppe d’Arimatea, che non si avvicina ma addossandosi ad un portone alto su due gradini, gira lo sguardo su tutti i volti osservando tutto.

Gesù risponde, e si sentono nitidamente le parole nel silenzio che si è fatto: «Non ha peccato né lui né i suoi parenti più di quanto pecchi ogni uomo e forse anche meno. Perché povertà è sovente freno al peccare. Ma egli è nato così perché ancora una volta siano manifeste in lui le potenze e le opere di Dio.

Io sono la Luce venuta nel mondo perché quelli del mondo, che hanno dimenticato Iddio o smarrito la sua effigie spirituale, vedano e ricordino, e perché quelli che cercano Dio, o di Lui già sono, siano confermati nella fede e nell’amore.

Il Padre mi ha mandato perché nel giorno che ancora è concesso ad Israele Io completi la conoscenza di Dio in Israele e nel mondo. Ecco dunque che Io debbo compiere le opere di Colui che mi ha mandato, a testimoniare che Io posso ciò che Egli può, perché sono Uno con Lui. E il mondo sappia e veda che il Figlio non è dissimile dal Padre, e creda in Me per ciò che Io sono.

Dopo verrà la notte nella quale non si può lavorare, la tenebra, e chi non si sarà scolpito il mio segno e la fede in Me non potrà più farlo nelle tenebre e nella confusione, dolore, desolazione e rovina che copriranno questi luoghi e sbalordiranno gli spiriti con gli orgasmi degli affanni. Ma finché Io sono nel mondo, Io sono Luce e Testimonianza, Parola, Via e Vita, Sapienza, Potenza e Misericordia. Va’, dunque, e raggiungi il cieco nato e portamelo qui».

«Va’ tu, Andrea. Io voglio restare qui e vedere ciò che fa il Maestro», risponde Giuda indicando Gesù, che si è chinato verso la via polverosa, ha sputato in un mucchietto di terriccio e col dito sta stemperando la polvere nella saliva formando una pallina di fango e che, mentre Andrea, sempre condiscendente, va a prendere il cieco che sta per svoltare nella vietta dove è la casa di Giuseppe di Sefori, se la spalma sui due indici restando così, con le mani come le tengono  i sacerdoti nella Santa Messa, al Vangelo o all’Epistola.

Però Giuda si ritira dal suo posto dicendo a Matteo e Pietro:

«Venite qui, voi che avete poca statura, e vedrete meglio». E si mette dietro a tutti, quasi celato dai figli d’Alfeo e da Bartolomeo, che sono alti.

Andrea torna tenendo per mano il cieco, che si affanna a dire: «Non voglio denaro. Lasciami andare. So dove è quello chiamato Gesù. E vado per chiedere…».

«Questo è Gesù, questo che ti è davanti», dice Andrea fermandosi davanti al Maestro.

Gesù, contrariamente al solito, non chiede nulla all’uomo. Subito gli stende il poco fango, che ha sugli indici, sulle palpebre chiuse e gli ordina: «Ed ora va’, il più sollecito che puoi, alla cisterna di Siloe, senza fermarti a parlare con nessuno».

Il cieco, col volto impiastricciato di fango, resta un attimo perplesso e apre le labbra per parlare. Poi le chiude e ubbidisce. I primi passi sono lenti, come di chi è pensieroso oppure deluso. Poi affretta il passo, rasentando col bastoncello il muro, sempre più lesto, lesto quanto lo può un cieco, forse più, come se si sentisse guidato…

I due gerosolimitani ridono sarcastici scrollando il capo e se ne vanno. Giuseppe d’Arimatea, e mi stupisce il fatto, li segue senza neppure salutare il Maestro, tornando sui suoi passi, ossia verso il Tempio, mentre da quella stessa direzione veniva. Così tanto il cieco, come i due, come Giuseppe  d’Arimatea vanno verso il sud della città, mentre Gesù piega verso occidente e Lo perdo di vista, perché il volere del Signore mi fa seguire il cieco e quelli che lo seguono.

Superata Bezeta, entrano tutti nella valle che è fra il Moria e Sion -mi sembra di averla sentita altre volte chiamare Tiropeo- la percorrono tutta fino ad Ofel, lo costeggiano, escono sulla via che va alla fonte di Siloe, sempre stando con quest’ordine: per primo il cieco, che deve essere conosciuto in quella parte popolana, poi i due, ultimo, a qualche distanza Giuseppe d’Arimatea.

Giuseppe si ferma presso una casetta meschina, seminascosto da una siepe di bosso, che sporge contornando l’orticello della povera casa. Ma i due vanno proprio vicino alla fonte e osservano il cieco, che si accosta cauto al vasto bacino e, tastando il muro umido, spenzola dentro alla cisterna una mano e la trae gocciolante d’acqua e se ne lava gli occhi, una, due, tre volte. Alla terza preme sul viso anche l’altra mano, lasciando cadere il bastone e gettando un grido come di dolore.

Poi scosta lentamente le mani e il suo primo grido di pena si muta in un urlo di gioia:

«Oh! Altissimo! Io vedo!», e si getta a terra come vinto dall’emozione, le mani messe a parare gli occhi, strette alle tempie, per ansia di vedere, per sofferenza di luce, e ripete:

«Vedo! Vedo! Questa è dunque la terra! Questa la luce! Questa l’erba che conoscevo solo per la sua frescura…».

Si alza e stando curvo, come uno che porta un peso, il suo peso di gioia, va al ruscello che porta via il soprappiù dell’acqua e lo guarda scorrere scintillante e ridarella, e mormora:

«E questa è l’acqua… Ecco! Così la sentivo fra le dita fredda e che non si tiene, ma non ti conoscevo… Ah! Bella! Bella! Come è tutto bello!».

Alza il viso e vede un albero… ci va vicino, lo tocca, stende una mano, attira a sé un rametto, lo guarda e ride, ride, e fa solecchio, e guarda il cielo, il sole, e due lacrime scendono dalle vergini palpebre aperte a contemplare il mondo… E abbassa gli occhi sull’erba dove un fiore ondula sullo stelo, e vede se stesso riflesso nell’acqua del ruscello, e si guarda e dice:

«Così io sono!», e osserva stupito una tortora venuta a bere poco più là, e una capretta che strappa le ultime foglie di un rosaio selvatico, e una donna che viene verso la fonte con un figliolino in seno. E quella donna gli ricorda sua madre, la sua madre dallo sconosciuto volto, e alzando le braccia al cielo grida:

«Te benedetto, Altissimo, per la luce, per la madre, e per Gesù!», e corre via lasciando a terra il suo ormai inutile bastone…

I due non hanno atteso di vedere tutto questo. Appena visto che l’uomo ci vedeva, sono corsi via verso la città. Giuseppe invece resta fino alla fine e, quando il cieco non più cieco gli sfreccia davanti entrando nel dedalo di viuzze del popolano borgo di Ofel, lascia a sua volta il suo posto e torna sui suoi passi, verso la città, molto pensieroso…

Il borgo di Ofel, sempre rumoroso, è ora addirittura in subbuglio. Chi corre a destra, chi a sinistra. Domande, risposte.

«Ma vi sarete sbagliati con un altro…».

«No, ti dico. Gli ho parlato dicendo: “Ma sei proprio tu, Simonia detto Bartolomai?”, e lui ha detto: “Lo sono”. Volevo chiedergli come fu, ma è corso via».

«Dove è ora?».

«Dalla madre, certamente».

«Chi? Chi l’ha visto?», chiedono nuovi accorrenti.

«Io, io», dicono in diversi rispondendo.

«Ma come avvenne?».

«…L’ho visto correre senza bastone con due occhi nel volto e ho detto: “Guarda! Così sarebbe Bartolomai se…”».

«Ti dico che tremo tutta. Entrando ha gridato: “Madre, io ti vedo!”».

«Una grande gioia per i parenti. Ora potrà aiutare il padre e guadagnare il suo cibo…».

«Quella povera donna! Si è sentita male dalla gioia. Oh! una cosa! una cosa! Io ero andata a farmi dare un po’ di sale e…».

«Corriamo a sentire da lui…».

Giuseppe d’Arimatea si trova preso in mezzo a questo baccano e, non so se per curiosità o se per spirito di imitazione, segue la corrente e va a finire in un vicoletto cieco, che se proseguisse andrebbe al Cedron, dove la folla si accalca soverchiando col suo parlare il fruscio delle acque del torrente, ingrossato dalle piogge di autunno. E Giuseppe vi arriva quando da un altro vicolo che sbocca in questo, vengono i due di prima con altri tre: uno scriba, un sacerdote e un altro che non identifico alla veste. Essi si fanno largo con prepotenza e cercano di entrare nella casa stipata di gente.

La casa è fatta di una vasta cucina nera come il catrame, con un angolo tagliato fuori da un rustico assito, oltre il quale è un giaciglio e una porta che dà in un’altra stanza con un letto più grande. Una porta, aperta nella parete opposta, mostra un orticello di pochi metri quadri. Ed è tutto.

Il cieco guarito parla addossato al tavolo, rispondendo a chi lo interroga, tutta la gente povera come lui, popolo minuto di Gerusalemme, di questo borgo, che è forse il più povero di tutti. Sua madre, ritta vicino a lui, lo guarda e piange asciugandosi gli occhi nel suo velo. Il padre, un uomo sciupato dal lavoro, si stropiccia la barba con la mano scossa da un tremito. Entrare nella casa è impossibile anche alla prepotenza giudea e dottorale, e i cinque devono ascoltare da fuori le parole del guarito.

«Come mi si sono aperti? Quell’uomo che si chiama Gesù mi ha sporcato gli occhi con della terra bagnata e mi ha detto: “Va’ a lavarti alla fonte di Siloe”. Ci sono andato, mi sono lavato e si sono aperti gli occhi e ho visto».

«Ma come hai fatto a trovare il Rabbi? Dicevi sempre che eri disgraziato perché mai Lo incontravi, neppure quando passava sempre di qui per andare da Giona al Getsemani. E oggi, adesso che non si sa mai dove sia…».

«Eh! Ieri sera è venuto un suo discepolo e mi ha dato due monete dicendo:

“Perché non cerchi di vedere?”. Gli ho detto: “Ho cercato. Ma non trovo mai quel Gesù che fa miracoli. Lo cerco da quando ha guarito Annalia, del mio stesso borgo, ma se vado qua Egli è là…”, e lui mi ha detto:

“Io sono un suo apostolo e ciò che io voglio Egli fa. Vieni domani a Bezeta e cerca la casa di Giuseppe il galileo, quello del pesce secco, Giuseppe di Sefori, presso la porta di Erode e l’arco della piazza, dalla parte d’oriente, e vedrai che prima o poi Egli passa di là o entra nella casa ed io ti accennerò al Maestro”.

Ho detto: “Ma domani è sabato”. Volevo dire che Egli non farebbe nulla di sabato. Ma mi ha detto:

“Se vuoi guarire è il giorno, perché dopo lascia la città, né sai se Lo potrai più incontrare”. Io ho detto ancora:

“So che Lo perseguitano. Ho sentito dalle porte della cinta del Tempio, dove vado a mendicare. E perciò dico che ora che Lo perseguitano così, meno ancora vorrà essere perseguitato e non mi guarirà di sabato”.

E lui: “Fa ciò che ti dico e in sabato tu vedrai il sole”.

E io sono andato. Chi non sarebbe andato? Se lo dice un suo apostolo! Mi ha detto anche:

“Io sono quello che Egli più ascolta, e vengo apposta perché mi fai pietà e perché voglio che splenda il suo potere dopo che Lo hanno vilipeso. Tu, cieco nato, Lo farai risplendere. So ciò che dico. Vieni e vedrai”.

E io sono andato, e non ero ancora arrivato alla casa di Giuseppe che un uomo mi ha preso per mano, ma alla voce non era quello di ieri, e mi ha detto:

“Vieni con me, fratello”, e io non volevo andare, credevo mi volesse dare pane e denaro, vesti forse, e gli dicevo di lasciarmi andare perché avevo saputo dove trovare quello chiamato Gesù, e l’uomo mi ha detto:

“Questo è Gesù, questo che ti è davanti”.

Ma io non ho visto nulla, perché ero cieco. Ho sentito due dita coperte di terra bagnata toccarmi qui e qui, e una voce dire:

“Va’ sollecito a Siloe e lavati e non parlare con alcuno”, e l’ho fatto. Ma ero sconfortato perché speravo vederci subito, e quasi ho creduto che fosse uno scherzo di giovani senza cuore, e non volevo quasi andare. Ma ho sentito dentro una specie di voce dire: “Spera e ubbidisci”, e allora sono andato alla fonte e mi sono lavato e ho visto». E il giovane si ferma estatico a ripensare alla gioia del primo vedere…

«Fate uscire l’uomo. Lo vogliamo interrogare», gridano i cinque.

Il giovane si fa largo ed esce sulla soglia.

«Dove è Colui che ti ha guarito?».

«Io non lo so», dice il giovane, al quale un amico ha sussurrato: «Sono scribi e sacerdoti».

«Come non lo sai? Dicevi ora che lo sapevi. Non mentire ai dottori della Legge e al sacerdote! Guai a chi cerca ingannare i magistrati del popolo!».

«Non inganno nessuno. Quel discepolo mi ha detto: “È in quella casa” ed era vero, perché c’ero vicino quando sono stato preso e condotto da Lui. Ma dove ora sia non so. Il discepolo mi ha detto che vanno via. Potrebbe già essere uscito dalle porte».

«Ma dove andava?».

«E che ne so io?! Andrà in Galilea… Per come viene trattato qui!…».

«Stolto e irrispettoso! Bada a come parli, feccia del popolo! Ti ho detto: per che via si dirigeva?».

«Ma come volete che lo sappia se ero cieco? Può un cieco dire dove va un altro?».

«Sta bene. Seguici».

«Dove volete portarmi?».

«Dai capi dei farisei».

«Perché? Che c’entrano essi con me? Mi hanno forse guarito, essi, che io li debba ringraziare? Quando ero cieco e mendicavo, le mie mani non sentivano mai le loro monete, il mio udito mai la loro parola di pietà, e il mio cuore mai il loro amore. Che devo dire loro? Non ho che uno al quale dire “grazie”, dopo mio padre e mia madre che per tanti anni mi hanno amato infelice.

Ed è questo Gesù che mi ha guarito amandomi col suo Cuore, come i miei parenti col loro. Io non vengo dai farisei. Sto con mia madre e mio padre, a godere di vedere il loro volto ed essi i miei occhi nati ora, dopo tante primavere da quella in cui nacqui ma non vidi la luce».

«Non tante parole. Vieni e seguici».

«Che no! Non vengo! Avete voi forse mai asciugato una lacrima o un sudore a mia madre avvilita della mia sventura, a mio padre sfinito dal lavoro? Ora io lo posso fare col mio aspetto, e dovrei lasciarli e seguirvi?».

«Te lo ordiniamo. Non sei tu che ordini, ma il Tempio e i capi del popolo. Se la superbia di esser guarito ti rende ottusa la mente a ricordare che noi comandiamo, noi te lo ricordiamo. Avanti! Cammina!».

«Ma perché io devo venire? Che volete da me?».

«Che tu deponga della cosa. È sabato. Opera compiuta nel sabato. Va registrata per il peccato. Peccato tuo e di quel satana».

«Satana voi! Peccato voi! E io dovrei venire a deporre contro chi mi ha beneficato? Voi siete ebbri! Al Tempio verrò. A benedire il Signore. E non più di così. Nell’ombra della cecità sono stato per tanti anni. Ma le palpebre chiuse non hanno fatto tenebra che agli occhi. L’intelletto è stato in luce lo stesso, in grazia di Dio, e mi dice che non devo danneggiare l’unico Santo che è in Israele».

«Uomo, basta! Non sai che vi sono castighi per chi si oppone ai magistrati?».

«So niente io. Qui sono e qui sto. E non vi conviene nuocermi. Vedete che tutto l’Ofel è dalla mia parte».

«Sì! Sì! Lasciatelo! Sciacalli! È protetto da Dio. Non lo toccate! Dio è coi poveri! Dio è con noi, affamatori e ipocriti!».

La gente urla e minaccia con una di quelle spontanee manifestazioni popolari che sono le esplosioni di sdegno degli umili verso chi li preme, o di amore per chi li protegge. E grida:

«Guai a voi se colpite il nostro Salvatore! L’Amico dei poveri! Il Messia tre volte Santo. Guai a voi! Non si è temuto le ire di Erode, non quelle dei Presidi, quando si è voluto. Non temiamo le vostre, vecchie iene dalle mascelle sdentate! Sciacalli dalle unghie mozzate! Inutili prepotenti!

Roma non vuole i tumulti e non opprime il Rabbi perché Egli è pace. Ma voi vi conosce. Andate via! Via dai quartieri di quelli che opprimete con decime più forti delle loro forze, ad aver denaro per saziare le vostre fami e a compiere i turpi mercati. Discendenti di Giasone! Di Simone! Torturatori dei veri Eleazari, dei santi Onia. Conculcatori dei profeti! Via! Via!». Il tumulto si accende sempre più fiero.

Giuseppe d’Arimatea, schiacciato contro un muretto, sino allora spettatore attento ma inattivo dei fatti, con un’agilità insospettabile in un vecchio, e per di più così infagottato in vesti e mantelli, salta in piedi sul muricciolo e urla:

«Silenzio, cittadini. E ascoltate Giuseppe l’Anziano!».

Una, due, dieci teste si volgono in direzione del grido. Vedono Giuseppe. Gridano il suo nome. Deve essere molto noto il d’Arimatea e deve godere il favore del popolo, perché le urla di sdegno si mutano in urla di gioia:

«C’è Giuseppe l’Anziano! Viva lui! Pace e lunga vita al giusto! Pace e benedizione al benefattore dei miseri! Silenzio, ché parla Giuseppe! Silenzio!».

Il silenzio si fa a fatica, e si ode per qualche minuto il frusciare del Cedron oltre il vicolo. Tutte le teste sono rivolte a Giuseppe, avendo tutti dimenticato l’oggetto che prima li faceva volgere in opposta direzione: i cinque disgraziati e improvvidi che hanno suscitato il tumulto.

«Cittadini di Gerusalemme, uomini di Ofel, perché volete lasciarvi accecare dal sospetto e dall’ira? Perché mancare al rispetto e alle consuetudini, voi sempre così fedeli alle leggi dei padri? Di che temete? Forse che il Tempio sia un Moloch che non rende ciò che accoglie? Forse che i giudici vostri siano tutti ciechi, più del vostro amico, ciechi nel cuore e sordi nella giustizia? Non è forse usanza che un fatto prodigioso sia deposto, scritto e conservato da chi di dovere per le cronache di Israele?

Lasciate dunque che, anche per onore del Rabbi che amate, il miracolato salga a deporre l’opera da Esso compiuta. Ancora titubate? Ebbene, io mi fo mallevadore che nulla avverrà di male a Bartolomai. E voi sapete che io non mento. Come un figlio a me caro lo scorterò lassù, e ve lo ricondurrò qui poi. A me credete. E del sabato non fate un giorno di peccato con la ribellione ai vostri capi».

«Dice giusto! Non si deve. Possiamo credergli. Egli è un giusto. Nelle buone deliberazioni del Sinedrio è sempre la sua voce». La gente si scambia le sue idee e finisce per gridare:

«A te sì. Il nostro amico a te lo affidiamo!».

E rivolta al giovane: «Vieni! Non temere. Con Giuseppe d’Arimatea sei sicuro come e più che con tuo padre», e fa largo perché il giovane possa andare da Giuseppe, che è sceso dal suo pulpito improvvisato, e mentre passa gli dicono:

«Veniamo anche noi. Non temere!».

Giuseppe, nelle sue ricche vesti di splendida lana, pone una mano sulla spalla del giovane e si mette in cammino. La tunica bigia e consumata del giovane, il suo piccolo mantello, strusciano contro l’ampia veste rosso cupa e il pomposo manto ancor più scuro del vecchio sinedrista. Dietro, i cinque e, dopo questi, molti e molti di Ofel…

Eccoli al Tempio, dopo aver traversato le vie centrali attirando l’attenzione di molti, che si additano il già cieco dicendo: «Ma è colui che mendicava cieco! E ora ha gli occhi! Ma forse è uno che gli somiglia! No. È lui certo e lo conducono al Tempio. Andiamo a sentire», e il codazzo aumenta sempre più, sinché le mura del Tempio li inghiottono tutti.

Giuseppe guida il giovane in una sala, non è il Sinedrio, dove sono molti farisei e scribi. Giuseppe entra e con lui entra Bartolomai e i cinque. I popolani di Ofel vengono respinti nel cortile.

«Ecco l’uomo. Io stesso ve l’ho condotto, avendo, non visto, assistito al suo incontro col Rabbi e alla sua guarigione. E vi posso dire che fu del tutto casuale da parte del Rabbi. L’uomo, lo sentirete anche voi, fu condotto, o meglio, invitato ad andare dove era il Rabbi, da Giuda di Keriot, che voi conoscete. E io ho sentito, e anche questi due con me hanno sentito perché erano presenti, come fu Giuda a tentare Gesù di Nazaret al miracolo.

Or io qui depongo che, se uno vi è da punire, non è il cieco, né il Rabbi, ma l’uomo di Keriot, che -Dio mi vede se mento nel dire ciò che il mio intelletto pensa- è il solo autore del fatto come colui che lo ha con apposita manovra provocato. Ho detto».

«Il tuo dire non annulla la colpa del Rabbi. Se un suo discepolo pecca non deve peccare il Maestro. Ed Egli ha peccato guarendo in sabato. Ha compiuto opera servile».

«Sputare in terra non è fare opera servile. E toccare gli occhi di un altro non è fare opera servile. Io pure tocco l’uomo e non credo di peccare».

«Egli ha fatto miracolo in sabato. In questo sta il peccato».

«Onorare il sabato con un miracolo è grazia di Dio e sua bontà. È il suo giorno. E non potrà l’Onnipotente celebrarlo con un miracolo che faccia splendere la sua potenza?».

«Non siamo qui per ascoltare te. Tu non sei imputato. È l’uomo che vogliamo interrogare. Rispondi, tu. Come hai ottenuto la vista?».

«L’ho detto. E questi mi hanno sentito. Il discepolo di quel Gesù mi ha detto ieri: “Vieni e io ti farò guarire”. E sono venuto. E mi sono sentito mettere del fango qui e una voce dirmi di andare a Siloe e lavarmi. E l’ho fatto e ci vedo».

«Ma sai tu chi ti ha guarito?».

«Certo che lo so! Gesù. Ve l’ho detto».

«Ma sai di preciso chi è Gesù?».

«Non so niente io. Sono un povero e un ignorante. E fino poco fa ero cieco. Questo so. E so che Lui mi ha guarito. E se lo ha potuto fare, certo Dio è con Lui».

«Non bestemmiare! Non può Dio essere con chi non osserva il sabato», urlano alcuni.

Ma Giuseppe e i farisei Eleazaro, Giovanni e Gioacchino osservano: «Neppure però può un peccatore fare tali prodigi».

«Siete sedotti voi pure, forse, da quel posseduto?».

«No. Siamo giusti. E diciamo che, se Dio non può essere con chi opera in sabato, neppure può l’uomo senza Dio fare che un cieco nato veda», dice calmo Eleazaro. E gli altri annuiscono.

«E il demonio dove lo mettete?», urlano bisbetici i malevoli.

«Non posso credere, e neppur voi lo credete, che il demonio possa far opera capace di far lodare il Signore», dice il fariseo Giovanni.

«E chi lo loda?».

«Il giovane, i suoi parenti, tutto Ofel, ed io con loro, e con me tutti quelli che giusti sono e santamente timorati di Dio», ribatte Giuseppe.

I malevoli, scornati, non sapendo cosa obbiettare, investono Sidonia detto Bartolomai: «Tu che cosa dici di colui che ti ha aperto gli occhi?».

«Per me è un profeta. E più grande di Elia col figlio della vedova di Sarepta. Perché Elia fece tornare l’anima nel fanciullo. Ma questo Gesù mi ha dato ciò che non avevo mai perso perché non l’avevo mai avuto: la vista. E se mi ha fatto gli occhi così in un baleno e con nulla, salvo un po’ di fango, mentre in nove mesi mia madre con carne e sangue non era riuscita a farmeli, deve essere grande come Dio, che col fango ha fatto l’uomo».

«Va’ via! Va’ via! Bestemmiatore! Bugiardo! Merce d’acquisto!», e cacciano fuori l’uomo come fosse un dannato.

«L’uomo mente. Non può esser vero. Tutti lo possono dire che chi è nato cieco non può guarire. Sarà uno che gli somiglia a Bartolomai e che il Nazareno ha preparato… oppure… Bartolomai non è mai stato cieco».

Davanti a questa sorprendente affermazione Giuseppe d’Arimatea scatta:

«Che l’odio accechi si sa dal tempo di Caino. Ma che faccia stolti non si sapeva ancora. Vi pare che uno giunga alla maturità della gioventù fingendosi cieco per… attendere un presumibile evento strepitoso e molto futuro? O che i parenti di Bartolomai non conoscano il figlio o si prestino a questa menzogna?».

«Il denaro può tutto. Ed essi sono poveri».

«Il Nazareno lo è più di loro».

«Tu menti! Somme da satrapo gli passano fra le mani».

«Ma non vi si fermano un istante. Sono dei poveri quelle somme. Usate per il bene, non per la menzogna».

«Come lo difendi! E sei uno degli Anziani!».

«Giuseppe ha ragione. La verità va detta quale che sia la carica che l’uomo ricopre», dice Eleazaro.

«Correte a richiamare il cieco. E portatelo di nuovo qui. E altri vadano dai parenti e li portino qui», urla Elchia spalancando la porta e ordinando ad alcuni in attesa lì fuori. E la sua bocca è quasi coperta di bava tanto l’ira lo strozza.

Chi corre di qua, chi di là. Il primo che torna è Sidonia detto Bartolomai, stupito e seccato. Lo ficcano in un angolo guardandolo come una muta di cani guata una selvaggina… Poi, dopo un bel po’, ecco venire i genitori di lui, circondati da folla.

«Venite dentro voi. E gli altri fuori!».

I due entrano spaventati e vedono il figlio là in fondo, sano, ma in stato di arresto. La madre geme:

«Figlio mio! E doveva esser giorno di festa per noi!».

«Ascoltate noi. È vostro figlio quell’uomo?», interroga rudemente un fariseo.

«Sì che è nostro figlio! E chi volete che sia se non lui?».

«Ne siete proprio sicuri?».

Il padre e la madre sono tanto sbalorditi della domanda che prima di rispondere si guardano.

«Rispondete!».

«Nobile fariseo, e puoi pensare che un padre e una madre si possano ingannare sulla loro creatura?», dice umilmente il padre.

«Ma… potete giurare che… sì, che per nessuna somma vi fu chiesto di dire che questo è vostro figlio mentre è uno che gli somiglia?».

«Chiesto di dire? E da chi mai? Giurare? Ma mille volte, e per l’altare e il Nome di Dio, se vuoi!». È così sicura l’affermazione che smonterebbe anche il più ostinato.

Ma i farisei non si smontano! Chiedono: «Ma vostro figlio non era nato cieco?».

«Sì. Così era nato. A palpebre chiuse e, sotto, il vuoto, il nulla…».

«E come mai ora ci vede, ha gli occhi e le palpebre aperte su essi? Non vorrete già dire che gli occhi possono nascere così, come fiori a primavera, e che una palpebra si schiuda, come giusto fa il calice di un fiore!…», dice un altro fariseo e ride sarcastico.

«Sappiamo che questo uomo è veramente nostro figlio da quasi trent’anni e che è nato cieco, ma come ora ci veda non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi. Del resto, chiedetene a lui. Non è ebete e non è fanciullo. Ha i suoi buoni anni. Interrogatelo e vi risponderà».

«Voi mentite. Egli, in casa vostra, ha narrato come fu guarito e da chi. Perché dite che non sapete?», urla uno dei due che avevano sempre seguito il cieco.

«Eravamo tanto sbalorditi dalla sorpresa che non abbiamo sentito», si scusano i due.

I farisei si volgono a Simonia detto Bartolomai:

«Vieni avanti tu. E dà pur gloria a Dio se ti riesce! Non sai che chi ti ha toccato gli occhi è un peccatore? Non lo sai? Ebbene, sappilo. Noi te lo diciamo, che lo sappiamo».

«Mah! Sarà come voi dite. Io, se sia peccatore, non lo so. So soltanto che prima ero cieco e ora ci vedo, e ben chiaro».

«Ma cosa ti fece? Come ti aprì gli occhi?».

«Ve l’ho già detto e voi mi avete ascoltato. Ora volete sentire di nuovo? Perché? Forse volete farvi discepoli di Lui?».

«Stolto! Sii tu discepolo di quell’uomo. Noi siamo discepoli di Mosé. E di Mosé sappiamo ogni cosa e che Dio gli ha parlato. Ma di quest’uomo nulla sappiamo, né di dove venga né chi sia, e nessun prodigio del Cielo lo indica come profeta».

«Qui appunto sta il meraviglioso! Che voi non sapete di dove Egli sia e dite che nessun prodigio lo indica per giusto. Ma Egli mi ha aperto gli occhi e nessuno di noi d’Israele aveva mai potuto farlo, neppure l’amore di una madre e i sacrifici del padre mio. Una cosa però sappiamo tutti, tanto io che voi, ed è che Dio non esaudisce il peccatore, ma colui che ha timore di Dio e fa la sua volontà. Non si è mai sentito che nessuno in tutto il mondo abbia potuto aprire gli occhi ad un cieco nato, ma questo Gesù lo ha fatto. Se Egli non fosse da Dio, non lo avrebbe potuto fare».

«Sei nato nel peccato interamente, e deforme sei nello spirito come e più che non lo fosti nel corpo, e ti pretendi di insegnare a noi? Va’ via, maledetto aborto, e fatti satana col tuo seduttore. Via! Via tutti, plebe stolta e peccatrice!», e buttano fuori figlio, padre e madre, come fossero tre lebbrosi.

I tre se ne vanno lesti, seguiti dagli amici. Ma, giunto fuori dalla cinta, Simonia si volge e dice: «E state! E dite ciò che volete! Il vero è che io ci vedo e ne lodo Iddio. E satana voi sarete, non già il Buono che mi ha guarito».

«Taci, figlio! Taci! Purché ciò non ci faccia del male!…», geme la madre.

«Oh! madre mia! Ti ha avvelenato l’anima l’aria di quella sala, tu che nel mio dolore mi insegnavi a lodar Dio e che ora nella gioia non lo sai ringraziare e temi gli uomini? Se Dio mi ha amato tanto e ti ha amata tanto da darci il miracolo, non saprà difenderci da un pungolo di uomini?».

«Il figlio ha ragione, donna. Andiamo alla sinagoga nostra a lodare il Signore, posto che dal Tempio ci hanno cacciato. E andiamoci lesti, prima che termini il sabato…».

E, affrettando il passo, si sperdono nelle vie della valle.

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

III DOMENICA DI QUARESIMA ANNO A (Gv 4,5-42) 15 MARZO 2020

Immagine gv-45-42
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TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 4,5-42)
In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.
Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».
Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo». Parola del Signore.

Forma breve

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 4, 5-15.19b-26.39a.40-42)
In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua. Vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».
Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità».
Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
Molti Samaritani di quella città credettero in lui. E quando giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

La conversazione di Gesù con la Samaritana si svolge sul tema dell’”acqua viva”. Quest’acqua è indispensabile alla vita, e non è sorprendente che, nelle regioni del Medio Oriente dove regna la siccità, essa sia semplicemente il simbolo della vita e, anche, della salvezza dell’uomo in un senso più generale.
Questa vita, questa salvezza, si possono ricevere solo aprendosi per accogliere il dono di Dio. È questa la convinzione dell’antico Israele come della giovane comunità cristiana. E l’autore dei Salmi parla così al suo Dio: “È in te la sorgente della vita” (Sal 036,10). Ecco la sua professione di fede: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio” (Sal 042,2). La salvezza che Dio porta viene espressa con l’immagine della sorgente che zampilla sotto l’entrata del tempio e diventa un grande fiume che trasforma in giardino il deserto della Giudea e fa del mar Morto un mare pieno di vita (Ez 47,1-12). Gesù vuole offrire a noi uomini questa salvezza e questa vita. Per calmare definitivamente la nostra sete di vita e di salvezza. “Io, sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato”
di Maria Valtorta Capitolo 143

“Io mi fermo qui. Andate nella città, comperate quanto occorre per il pasto. Qui mangeremo”.

“Tutti andiamo?”.

“Sì, Giovanni. È bene siate in gruppo”.

“E Tu? Resti solo… Sono samaritani…”.

“Non saranno i peggiori tra i nemici del Cristo. Andate, andate. Io prego mentre vi attendo. Per voi e per questi”.

I discepoli se ne vanno a malincuore, e per tre o quattro volte si volgono a guardare Gesù, che si è seduto su un basso muretto soleggiato che è presso il basso e largo bordo di un pozzo. Un grande pozzo, quasi una cisterna tanto è largo. D’estate deve essere ombreggiato da grandi alberi, ora spogli. L’acqua non si vede, ma il terreno, presso il pozzo, mostra chiari segni di acque attinte, con piccole pozze o con cerchi lasciati dalle brocche umide.

Gesù si siede e medita, nella sua solita posa, coi gomiti appoggiati alle ginocchia e le mani congiunte in avanti, il corpo lievemente piegato e il capo curvo verso terra. Poi sente il bel solicello scardarlo e si fa cadere il mantello dal capo e dalle spalle, tenendolo però ancora raccolto in grembo.

Alza il capo per sorridere a uno stormo di passeri rissosi che si litigano una grossa mollica perduta da qualche persona presso il pozzo. Ma i passeri fuggono per il sopraggiungere di una donna che viene al pozzo con un’anfora vuota tenuta per un manico con la mano sinistra, mentre la destra scosta con un atto di sorpresa il velo per vedere chi è l’uomo là seduto.

Gesù sorride a questa donna sui 35-40 anni, alta, dai tratti fortemente marcati, ma belli. Un tipo che noi diremmo quasi spagnolo per il colorito di un pallore olivastro, le labbra molto accese e piuttosto tumide, gli occhioni fino smisuratamente grandi e neri sotto sopracciglia foltissime, e le trecce corvine che traspaiono dal velo leggero.

Anche le forme, tendenti al formoso, hanno un marcato tipo orientale lievemente molle come quello delle donne arabe. È vestita di una stoffa a righe multicolori, ben stretta alla cintura, tesa sui fianchi e sul petto grassocci, e pendente poi, in una specie di balza ondulante, fino a terra.

Molti anelli e bracciali alle mani grassottelle e brunette e ai polsi che appaiono dalle sottomaniche di lino. Al collo una collana pesante da cui pendono delle medaglie, direi degli amuleti perché ce ne sono di tutte le forme. Pesanti orecchini scendono fin verso il collo e brillano sotto il velo.

“La pace sia con te, donna. Mi dai da bere? Ho molto camminato e ho sete”.

“Ma non sei Tu giudeo? E chiedi da bere a me, samaritana? Che è avvenuto dunque? Siamo riabilitati oppure siete disfatti? Certo  un grande avvenimento è avvenuto se un giudeo parla cortese con una samaritana. Dovrei dirti però: ‘Non ti do nulla per punire in Te tutte le ingiurie che i giudei da secoli ci danno”.

“Hai detto bene. Un grande avvenimento è avvenuto. E per esso molte cose sono cambiate e più ne cambieranno. Dio ha fatto un grande dono al mondo e per esso molte cose sono cambiate. Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è Colui che ti dice: ‘Dammi da bere, forse tu stessa gli avresti chiesto da bere, ed Egli ti avrebbe dato acqua viva”.

“L’acqua viva è nelle vene della terra. Questo pozzo ce l’ha. Ma è nostro”. La donna è beffarda e prepotente.

“L’acqua è di Dio. Come la bontà è di Dio. Come la vita è di Dio. Tutto è di un unico Dio, donna. E tutti gli uomini vengono da Dio, samaritani come giudei. Questo pozzo non è quello di Giacobbe? E Giacobbe non è il capo della stirpe nostra? Se poi un errore ci ha divisi , ciò non cambia l’origine”.

“Errore nostro, vero?” chiede aggressiva la donna.

“Non nostro né vostro. Errore di uno che aveva perso di vista carità e giustizia. Io non ti offendo e non offendo la tua razza. Perché vuoi essere tu offensiva?”.

“Sei il primo giudeo che odo parlare così. Gli altri… Ma, riguardo al pozzo, sì, è quello di Giacobbe e ha un’acqua così abbondante e chiara che noi di Sicar lo preferiamo alle altre fontane. Ma è molto profondo. Tu non hai anfora né otre.

Come potresti dunque attingere per me acqua viva? Sei da più di Giacobbe, il santo patriarca nostro, che ha trovato questa abbondante vena per lui, per i suoi figli e i suoi armenti, e ce l’ha lasciata a suo ricordo e dono?”.

“Tu lo hai detto. Ma chi beve di quest’acqua avrà ancora sete. Io invece ho un’acqua che chi l’ha bevuta non sentirà più sete. Ma è solo mia. Ed Io la darò a chi Me la chiede. Ed in verità ti dico che chi avrà l’acqua che Io gli darò, diverrà per sempre irrorato e non avrà più sete, perché l’acqua mia diventerà in lui sorgente sicura, eterna”.

“Come? Io non capisco. Sei un mago? Come può un uomo divenire un pozzo? Il cammello beve e fa scorta d’acqua nel capace ventre. Ma poi la consuma e non gli dura per tutta la sua vita. E Tu dici che la tua acqua dura per tutta la vita?”.

“Più ancora: zampillerà fino alla vita eterna. Sarà in chi la beve zampillante fino alla vita eterna e darà germi di vita eterna. Perché è sorgente di salute”.

“Dammi di quest’acqua, se è vero che la possiedi. Io mi stanco a venire fin qui. L’avrò e non avrò più sete, e non diverrò mai malata né vecchia”.

“Di questo solo ti stanchi? Non di altro? E non senti bisogno che di attingere per bere, per il tuo misero corpo? Pensaci. Vi è qualcosa da più del corpo. Ed è l’anima. Giacobbe non dette solo l’acqua del suolo a sé e ai suoi. Ma si preoccupò di darsi e di dare la santità, l’acqua di Dio”.

“Ci dite pagani, voi… Se è vero ciò che voi dite, noi non possiamo essere santi..”.

La donna ha perduto il tono petulante e ironico ed è sottomessa e lievemente confusa.

Anche un pagano può essere virtuoso. E Dio, che è giusto, lo premierà per il bene fatto. Non sarà un premio completo, ma, Io te lo dico, fra un fedele in colpa grave e un pagano senza colpa Dio guarda con meno rigore il pagano.

E perché, se sapete d’esser tali, non venite al vero Dio? Come ti chiami?”.

“Fotinai”.

“Ebbene, rispondi a Me, Fotinai. Te ne duoli di non potere aspirare alla santità perché sei pagana, come tu dici, perché sei nelle nebbie di un antico errore, come dico Io?”.

“Sì, che me ne dolgo”.

“E allora perché non vivi almeno da virtuosa pagana?”.

“Signore!…”.

“Sì. Puoi negarlo? Và a chiamare tuo marito e torna qua con lui”.

“Non ho marito…”.

La confusione della donna cresce.

“Hai detto bene. Non hai marito. Hai avuto cinque uomini ed ora hai con te uno che non ti è marito. Era necessario questo? Anche la tua religione non consiglia l’impudicizia. Il Decalogo lo avete voi pure.

Perché allora, Fotinai, tu vivi così? Non ti senti stanca di questa fatica di essere carne di tanti e non l’onesta moglie di uno solo?

Non ti fa paura la tua sera, quando ti troverai sola coi ricordi? Con i rimpianti? Con le paure? Sì. Anche quelle. Paura di Dio e degli spettri. Dove sono le tue creature?”.

La donna abbassa del tutto il capo e non parla.

“Non le hai sulla terra, Ma le loro piccole anime, alle quali tu hai impedito di conoscere il giorno della luce, ti rimproverano. Sempre. Gioielli… belle vesti… casa ricca… nutrita mensa… Sì. Ma vuoto, e lacrime, e miseria interiore. Sei una derelitta, Fotinai.

E solo con un pentimento sincero, attraverso il perdono di Dio, e per conseguenza il perdono delle tue creature, puoi tornare ricca”.

“Signore vedo che Tu sei Profeta. E ne ho vergogna…”.

“E del Padre che è nei Cieli non ne avevi vergogna quando facevi il male? Non piangere di avvilimento davanti all’Uomo…Vieni qui, Fotinai. Vicino a Me. Io ti parlerò di Dio. Forse non Lo conoscevi bene. E per questo, certo per questo, tu hai tanto errato. Se avessi conosciuto bene il vero Dio non ti saresti avvilita così. Egli ti avrebbe parlato e sorretto…”.

“Signore, i nostri padri hanno adorato su questo monte. Voi dite che solo in Gerusalemme si deve adorare. Ma, Tu lo dici, Dio è uno solo. Aiutami a vedere dove e come devo fare…”.

“Donna, credi a Me. Fra poco viene l’ora in cui né sul monte di Samaria né in Gerusalemme sarà adorato il Padre. Voi adorate Colui che non conoscete. Noi adoriamo Colui che conosciamo, perché la salute viene dai giudei. Ti ricordo i Profeti. Ma viene l’ora, anzi ha già inizio, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, non più col rito antico ma col nuovo rito in cui non saranno sacrifici e ostie di animali consumati col fuoco.

Ma il sacrificio eterno dell’Ostia immacolata arsa dal Fuoco della Carità. Culto spirituale nel Regno spirituale. E sarà compreso da coloro che sapranno adorare in spirito e verità. Iddio è Spirito. Quelli che Lo adorano Lo devono adorare spiritualmente”.

“Tu hai sante parole. Io so, perché anche noi qualcosa sappiamo, che il Messia sta per venire, il Messia, Colui che si chiama anche ‘il Cristo’. Quando sarà venuto ci insegnerà ogni cosa. Qui presso c’è anche quello che dicono il suo Precursore. E molti vanno a sentirlo. Ma è tanto severo!… Tu sei buono… e le povere anime non hanno paura di Te. Penso che il Cristo sarà buono. Lo dicono Re della Pace. Starà molto a venire?”.

“Ti ho detto che il suo tempo è già presente”.

“Come lo sai? Sei forse un suo discepolo? Il Precursore ha molti discepoli. Anche il Cristo li avrà”.

“Sono Io che ti parlo il Cristo Gesù”.

“Tu!…Oh!…”.

La donna, che si era seduta presso Gesù, si alza e fa per fuggire.

“Perché fuggi, donna?”.

“Perché ho orrore di mettere me presso a Te. Sei Santo…”.

“Sono il Salvatore. Sono venuto qui -non era necessario- perché lo sapevo che la tua anima era stanca di essere errante. Ti sei nauseata del tuo cibo… Sono venuto a darti un nuovo cibo e che ti leverà nausea e stanchezza… Ecco i miei discepoli che tornano col mio pane. Ma già Io sono nutrito dall’avere dato a te le briciole iniziali della tua redenzione”.

I discepoli sbirciano, più o meno prudentemente, la donna, ma nessuno parla. Lei se ne va senza più pensare all’acqua e all’anfora.

“Ecco, Maestro”, dice Pietro. “Ci hanno trattato bene. Qui vi è cacio, pane fresco, ulive e mele. Prendi ciò che vuoi. Quella donna ha fatto bene a lasciare l’anfora. Faremo più presto che con le nostre piccole vesciche. Berremo e le faremo piene. Senza avere da chiedere altro ai samaritani. Neppure di avvicinarsi alle loro fontane.

Non mangi? Volevo trovarti del pesce, ma non ce n’è. Forse ti piaceva di più. Sei stanco e pallido”.

“Ho un cibo che voi non conoscete. Mangerò di quello. Mi ristorerà molto”.

I discepoli si guardano fra loro interrogativamente.

Gesù risponde alle loro mute interrogazioni.

“Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato e portare a termine l’opera che è suo desiderio Io compia. Quando un seminatore getta il seme, può forse dire di avere già tutto fatto per dire che ha raccolto? No, davvero. Quanto ancora ha da fare per dire: ‘Ecco che la mia opera è compiuta’! E fino a quell’ora non può riposare.

Guardate questi campicelli sotto il lieto sole dell’ora di sesta. Solo un mese fa, anche meno di un mese, la terra era nuda, scura per essere bagnata dalle piogge. Ora guardate. Steli e steli di grano, appena spuntati, di un verde tenuissimo, che nella gran luce pare anche più chiaro, la fanno come coperta di un tenue velo biancheggiante.

Questa è la messe futura e voi vedendola dite: ‘Fra quattro mesi è il raccolto. I seminatori prenderanno i mietitori, perché se uno è sufficiente a seminare il suo campo, molti necessitano per mieterlo. E ambi sono contenti. Tanto colui che ha seminato un piccolo sacchetto di grano, e ora deve preparare granai a riceverlo, come coloro che in pochi giorni guadagnano di che vivere per qualche mese’.

Anche nel campo dello spirito coloro che mieteranno ciò che Io ho seminato si rallegreranno con Me, e come Me, perché Io darò loro il mio salario e il frutto debito. Darò di che vivere nel mio Regno eterno. Voi non avete che da mietere. Il più duro lavoro Io l’ho fatto.

Eppure vi dico: ‘Venite. Mietete nel mio campo. Io sono lieto che voi vi carichiate dei manipoli del mio grano. Quando tutto il mio grano che Io avrò seminato, instancabile, ovunque, sarà da voi raccolto, allora sarà compiuta la volontà di Dio ed Io mi siederò al banchetto della celeste Gerusalemme’.

Ecco che vengono i samaritani con Fotinai. Usate carità con essi. Sono anime che vengono a Dio”.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

II DOMENICA DI QUARESIMA ANNO A (Mt 17,1-9) 8 Marzo 2020

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 17,1-9)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Nelle Scritture, la montagna è sempre il luogo della rivelazione. Sono gli uomini come Mosè (Es 19) e Elia (1Re 19) che Dio incontra. Si racconta anche che il volto di Mosè venne trasfigurato da quell’incontro: “Quando Mosè scese dal monte Sinai – le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte – non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con il Signore” (Es 34,29). La magnificenza della rivelazione divina si comunica anche a coloro che la ricevono e diventano i mediatori della parola di Dio.
Gesù si mette a brillare come il sole sotto gli occhi di tre discepoli: questo lo individua come colui che è l’ultimo a rivelare Dio, come colui che oltrepassa tutti i suoi predecessori. Ciò è sottolineato ancor più dal fatto che Mosè ed Elia appaiono e si intrattengono con lui.
Essi rappresentano la legge e i profeti, cioè la rivelazione divina prima di Gesù. Gesù è l’ultima manifestazione di Dio. È quello che dimostra la nube luminosa – luogo della presenza divina (come in Es 19) – da dove una voce designa Gesù come il servitore regale di Dio (combinazione del salmo 2, 7 e di Isaia 42, 1). A ciò si aggiunge, in riferimento a Deuteronomio 18, 15, l’esortazione ad ascoltare Gesù, ad ascoltare soprattutto il suo insegnamento morale.

 

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta. Capitolo 349.

 

Sono col mio Gesù su un alto monte. Con Gesù sono Pietro, Giacomo e Giovanni. Salgono ancor più in alto e l’occhio spazia per aperti orizzonti che un bel giorno sereno rende netti nei particolari fino nelle lontananze.

Il monte non fa parte di un sistema montano come è quello della Giudea; sorge isolato avendo, rispetto al luogo dove ci troviamo, l’oriente in faccia, il nord alla sinistra, il sud a destra e dietro, a ovest, la vetta che si alza di ancora qualche centinaio di passi. È molto elevato e l’occhio è libero di vedere per un largo raggio.

Il lago di Genezaret pare un lembo di cielo sceso a incastonarsi fra il verde della terra, una turchese ovale chiusa da smeraldi di diverse gradazioni, uno specchio che tremula e si increspa a un vento lieve e sul quale scivolano, con agilità di gabbiani, le barche dalle vele spiegate, leggermente curvate verso l’onda azzurrina, proprio con la grazia del volo candido di un alcione, scorrente l’onda in cerca di preda.

Poi ecco che dalla vasta turchese esce una vena, di un azzurro più pallido là dove il greto è più ampio, e più scuro là dove le rive si stringono e l’acqua è più profonda e cupa per l’ombra che vi gettano gli alberi che crescono vigorosi presso il fiume, nutriti dal suo umore. Il Giordano pare una pennellata quasi rettilinea nel verde della pianura.

Dei paeselli sono sparsi per la pianura al di qua e al di là del fiume. Alcuni sono proprio un pugno di case, altri sono più vasti, già arieggianti a cittadine. Le vie maestre sono rughe giallognole fra il verde. Ma qua, dalla parte del monte, la pianura è molto più coltivata e fertile, molto bella. Si vedono le diverse colture coi loro diversi colori ridere al bel sole che scende dal cielo sereno.

Deve essere primavera, forse marzo, se calcolo la latitudine della Palestina, perché vedo i grani già più alti, ma ancora verdi, ondulare come un mare glauco, e vedo i pennacchi dei più precoci fra gli alberi da frutto mettere come delle nuvolette bianche e rosee su questo piccolo mare vegetale, poi prati tutti in fiore per gli alti fieni sui quali pecorelle pascolanti paiono mucchietti di neve ammucchiata qua e là sul verde.

Proprio vicino al monte, sulle colline che ne sono la base, basse e brevi colline, sono due cittadine, una verso sud, una verso nord. La pianura fertilissima si estende specialmente e più ampiamente verso il sud.

Gesù, dopo una breve sosta al fresco di un ciuffo di alberi, certo concessa per pietà di Pietro che nelle salite fatica palesemente, riprende a salire. Va fin quasi sulla vetta, là dove è un pianoro erboso che ha un semicerchio di alberi verso la costa.

«Riposate, amici. Io vado là a pregare». E accenna con la mano ad un ampio sasso, una roccia che affiora dal monte e che si trova perciò non verso la costa ma verso l’interno, la vetta.

Gesù si inginocchia sulla terra erbosa appoggia le mani e il capo al masso, nella posa che prenderà anche nella preghiera del Getsemani. Il sole non lo colpisce perché la vetta lo ripara. Ma il resto dello spiazzo erboso è tutto lieto di sole, sino al limite d’ombra dello scrimolo alberato sotto il quale si sono seduti gli apostoli.

Pietro si leva i sandali e ne scuote via la polvere e sassolini e sta così, scalzo, coi piedi stanchi fra l’erba fresca, quasi steso, col capo su un ciuffo smeraldino che sporge più degli altri sulla sua zolla come un guanciale. Giacomo lo imita, ma per stare comodo cerca un tronco d’albero al quale appoggia il suo mantello e su questo le spalle. Giovanni resta seduto e osserva il Maestro. Ma la calma del luogo, il venticello fresco, il silenzio e la stanchezza vincono anche lui, e la testa gli si abbassa sul petto e così le palpebre sugli occhi. Non dormono profondamente nessuno dei tre, ma sono in quella sonnolenza estiva che intontisce.

Li scuote una luminosità così viva che annulla quella del sole e dilaga e penetra fin sotto il verde dei cespugli e alberi sotto cui si sono messi.

Aprono gli occhi stupiti e vedono Gesù trasfigurato. Egli è ora tale e quale come Lo vedo nelle visioni del Paradiso.

Naturalmente senza le Piaghe e senza il vessillo della Croce. Ma la maestà del Volto e del Corpo è uguale, uguale ne è la luminosità, e uguale la veste che da un rosso cupo si è mutata nel diamantifero e perlifero tessuto immateriale che Lo veste in Cielo. Il suo Viso è un sole dalla luce siderale ma intensissima, nel quale raggiano gli occhi di zaffiro.

Sembra più alto ancora, come la sua glorificazione ne avesse aumentato la statura. Non saprei dire se la luminosità, che rende persino fosforescente il pianoro, provenga tutta da Lui o se alla sua propria si mesca quella che ha concentrata sul suo Signore tutta la luce che è nell’universo e nei cieli. So che è qualche cosa di indescrivibile.

Gesù è ora in piedi, direi anzi che è alzato da terra, perché fra Lui e il verde del prato vi è come un vaporare di luce, uno spazio dato unicamente da una luce sul quale pare Egli si eriga. Ma è tanto viva che potrei anche ingannarmi, e il non vedere più il verde dell’erba sotto le piante di Gesù potrebbe esser provocato da questa luce intensa che vibra e fa onde come si vede talora nei grandi fuochi. Onde, qui, di un colore bianco, incandescente. Gesù sta col Volto alzato verso il cielo e sorride ad una sua visione che Lo sublima.

Gli apostoli ne hanno quasi paura e Lo chiamano, perché non pare più a loro che sia il loro Maestro tanto è trasfigurato.

«Maestro, Maestro», chiamano piano ma con ansia. Egli non sente.

«È in estasi» dice Pietro tremante. «Che vedrà mai?».

I tre si sono alzati in piedi. Vorrebbero accostarsi a Gesù, ma non osano.

La luce aumenta ancora per due fiamme che scendono dal cielo e si collocano ai lati di Gesù.

Quando sono stabilite sul pianoro, il loro velo si apre e ne appaiono due maestosi e luminosi personaggi. L’uno più anziano, dallo sguardo acuto e severo e da una lunga barba bipartita. Dalla sua fronte partono corni di luce che me lo indicano per Mosè.

L’altro è più giovane, scarno, barbuto e peloso, su per giù come il Battista, al quale direi assomiglia per statura, magrezza, conformazione e severità. Mentre la luce di Mosè è candida come è quella di Gesù, specie nei raggi della fronte, quella che emana Elia è solare, di fiamma viva.

I due Profeti prendono una posa di riverenza davanti al loro Dio Incarnato e, sebbene Questi parli loro con famigliarità, essi non abbandonano la loro posa riverente. Non comprendo neppure una delle parole dette.

I tre apostoli cadono a ginocchio tremanti, col volto fra le mani. Vorrebbero vedere, ma hanno paura.

Finalmente Pietro parla: «Maestro, Maestro. Odimi». Gesù gira lo sguardo con un sorriso verso il suo Pietro, che si rinfranca e dice: «È bello lo stare qui con Te, Mosè e Elia. Se vuoi facciamo tre tende per Te, per Mosè e per Elia, e noi stiamo qui a servirvi…».

Gesù lo guarda ancora e sorride più vivamente. Guarda anche Giovanni e Giacomo. Uno sguardo che li abbraccia con amore. Anche Mosè e Elia guardano i tre fissamente. I loro occhi balenano. Devono essere come raggi che penetrano i cuori.

Gli apostoli non osano dire altro. Intimoriti, tacciono. Sembrano un poco ebbri come chi è sbalordito. Ma quando un velo che non è nebbia, che non è nuvola, che non è raggio, avvolge e separa i Tre gloriosi dietro una schermo ancor più lucido di quello che già li circondava e li nasconde alla vista dei tre, e una Voce potente e armonica vibra ed empie di sé lo spazio, i tre cadono col volto contro l’erba.

«Questo è il mio Figliuolo diletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo».

Pietro nel gettarsi bocconi esclama: «Misericordia di me, peccatore! È la Gloria di Dio che scende!». Giacomo non fiata. Giovanni mormora con un sospiro, come fosse prossimo a svenire: «Il Signore parla!».

Nessuno osa alzare la testa anche quando il silenzio si è rifatto assoluto. Non vedono perciò neppure il tornare della luce alla sua naturalezza di luce solare e mostrare Gesù rimasto solo e tornato il Gesù solito nella sua veste rossa.

Egli cammina verso loro sorridendo e li scuote e tocca e chiama per nome.

«Alzatevi. Sono Io. Non temete» dice, perché i tre non osano alzare il volto e invocano misericordia sui loro peccati, temendo che sia l’Angelo di Dio che vuol mostrarli all’Altissimo.

«Levatevi, dunque. Ve lo comando» ripete Gesù con imperio. Essi alzano il volto e vedono Gesù che sorride.

«Oh! Maestro, Dio mio!» esclama Pietro. «Come faremo a viverti accanto ora che abbiamo visto la tua gloria? Come faremo a vivere fra gli uomini, e noi, uomini peccatori, ora che abbiamo udito la voce di Dio?».

«Dovrete vivermi accanto e vedere la mia gloria sino alla fine. Siatene degni perché il tempo è vicino. Ubbidite al Padre mio e vostro.

Torniamo ora fra gli uomini, perché sono venuto per stare fra essi e per portare essi a Dio. Andiamo. Siate santi per ricordo di quest’ora, forti, fedeli. Avrete parte alla mia più completa gloria. Ma non parlate ora di questo che avete visto ad alcuno. Neppure ai compagni. Quando il Figlio dell’Uomo sarà risuscitato dai morti e tornato nella gloria del Padre, allora parlerete. Perché allora occorrerà credere per avere parte nel mio Regno».

«Ma non deve venire Elia per preparare il tuo Regno? I rabbi dicono così».

«Elia è già venuto ed ha preparato le vie del Signore. Tutto avviene come è stato rivelato. Ma coloro che insegnano la Rivelazione non la conoscono e non la comprendono, e non vedono e riconoscono i segni dei tempi e i messi di Dio. Elia è tornato una volta. La seconda verrà quando il tempo ultimo sarà vicino per preparare gli ultimi a Dio. Ma ora è venuto per preparare i primi al Cristo, e gli uomini non lo hanno voluto riconoscere e lo hanno tormentato e messo a morte. Lo stesso faranno col Figlio dell’Uomo, perché gli uomini non vogliono riconoscere ciò che è loro bene».

I tre chinano la testa pensosi e tristi, e scendono per la via dalla quale sono saliti insieme a Gesù.

Ed è ancora Pietro che dice, in una sosta a mezza via:

«Ah! Signore! Dico anche io come tua Madre ieri: “Perché ci hai fatto questo?”; e anche dico: “Perché ci hai detto questo?”. Le tue ultime parole hanno cancellato la gioia della gloriosa vista dai nostri cuori! Gran giorno di paure questo! Prima ci ha fatto paura la grande luce che ci ha destati, più forte che se il monte ardesse o che se la luna fosse scesa a raggiare sul ripiano, sotto i nostri occhi; poi il tuo aspetto e il tuo staccarti dal suolo come fossi per volare via.

Ho avuto paura che Tu, disgustato dalle nequizie di Israele, te ne tornassi ai Cieli, magari per ordine dell’Altissimo. Poi ho avuto paura di vedere apparire Mosè, che i suoi del suo tempo non potevano più vedere senza velo tanto splendeva sul suo volto il riflesso di Dio, e ancora era uomo, mentre ora è spirito beato e acceso di Dio, e Elia… Misericordia divina!

Ho creduto essere giunto al mio ultimo momento, e tutti i peccati della mia vita, da quando rubavo le frutta nella dispensa da piccino, all’ultimo di averti mal consigliato giorni fa, mi sono venuti alla mente. Con che tremore me ne sono pentito! Poi mi parve che mi amassero quei due giusti… e ho osato parlare.

Ma anche il loro amore mi faceva paura, perché io non merito l’amore di simili spiriti. E dopo… e dopo! … La paura delle paure! La voce di Dio! … Geovè che ha parlato! A noi! Ci ha detto: “Ascoltatelo!”. Tu. E ti ha proclamato “suo Figlio diletto nel quale Egli si compiace”.

Che paura! Geovè!… a noi!… Certo solo la tua forza ci ha tenuti in vita! … Quando Tu ci hai toccato, le tue dita ardevano come punte di fuoco, io ho avuto l’ultimo spavento. Ho creduto che fosse l’ora di essere giudicato e che l’Angelo mi toccasse per prendermi l’anima e portarla all’Altissimo…

Ma come ha fatto tua Madre a vedere… a sentire… a vivere, insomma, quell’ora che Tu hai detto ieri, senza morire, Lei che era sola, giovanetta, senza di Te?».

«Maria, la Senza Macchia, non poteva avere paura di Dio. Eva non ne aveva paura finché fu innocente.  Ed Io c’ero. Io, il Padre e lo Spirito, Noi, che siamo in Cielo e in Terra e in ogni luogo, e che avevamo il nostro Tabernacolo nel cuore di Maria» dice dolcemente Gesù.

«Che cosa! Che cosa! … Ma dopo Tu hai parlato di morte… E ogni gioia è finita… Ma perché proprio a noi tre tutto questo? Non era bene darla a tutti questa visione della tua gloria?».

«Appunto perché tramortite udendo parlare di morte, e morte per supplizio, del Figlio dell’Uomo, l’Uomo-Dio vi ha voluto fortificare per quell’ora e per sempre con la precognizione di ciò che Io sarò dopo la Morte. Ricordatevi tutto questo, per dirlo a suo tempo… Avete capito?».

«Oh! sì, Signore. Non è possibile dimenticare. E sarebbe inutile raccontare. Ci direbbero “ebbri”».

Dice Gesù:

«Non ti eleggo soltanto a conoscere le tristezze del tuo Maestro e i suoi dolori. Chi sa stare meco nel dolore deve avere parte meco nella gloria”. E tu riposa, fedele, piccolo Giovanni, ché il tuo riposo è ben meritato. La mia pace sia gioia in te».

«Ti ho preparata a meditare la mia Gloria. Domani la Chiesa la celebra. Ma Io voglio che il mio piccolo Giovanni la veda nella sua verità per comprenderla meglio. Non ti eleggo soltanto a conoscere le tristezze del tuo Maestro e i suoi dolori. Chi sa stare meco nel dolore deve aver parte meco nella gioia.

Voglio che tu, davanti al tuo Gesù che ti si mostra, abbia gli stessi sentimenti di umiltà e pentimento dei miei apostoli.

Mai superbia. Saresti punita perdendomi.

Continuo ricordo di Chi sono Io e di chi sei tu.

Continuo pensiero alle tue manchevolezze e alla mia perfezione per avere un cuore lavato dalla contrizione.

Ma insieme anche tanta fiducia in Me.

Io ho detto: “Non temete. Alzatevi. Andiamo. Andiamo fra gli uomini perché sono venuto per stare con essi. Siate santi, forti e fedeli per ricordo di quest’ora”. Lo dico anche a te e a  tutti i miei prediletti fra gli uomini, a quelli che mi hanno in maniera speciale.

Non temete di Me. Mi mostro per elevarvi, non per incenerirvi.

Alzatevi: la gioia del dono vi dia vigoria e non vi ottunda nel sapore del quietismo, credendovi già salvi perché vi ho mostrato il Cielo.

Andiamo insieme fra gli uomini. Vi ho invitati a sovrumane opere con sovrumane visioni e lezioni perché possiate essermi di maggiore aiuto. Vi associo alla mia opera. Ma Io non ho conosciuto e non conosco riposo.

Perché il Male non riposa mai e il Bene deve essere sempre attivo per annullare il più che si può l’opera del Nemico. Riposeremo quando il Tempo sarà compiuto. Ora occorre andare instancabilmente, operare continuamente, consumarsi indefessamente per la messe di Dio.

Il mio contatto continuo vi santifichi, la mia lezione continua vi fortifichi, il mio amore di predilezione vi faccia fedeli contro ogni insidia.

Non siate come gli antichi rabbini che insegnavano la Rivelazione e poi non le credevano al punto da non riconoscere i segni dei tempi e i messi di Dio. Riconoscete i precursori del Cristo nel suo secondo avvento, poiché le forze dell’Anticristo sono in marcia, e, facendo eccezione alla misura che mi sono imposta, perché conosco che bevete a certe verità non per spirito soprannaturale ma per sete di curiosità umana, vi dico in verità che quello che molti crederanno vittoria sull’Anticristo, la pace ormai prossima, non sarà che sosta per dare tempo al nemico del Cristo di ritemprarsi, medicarsi le ferite, riunire il suo esercito per una più crudele lotta.

Riconoscete, voi che siete le “voci” di questo vostro Gesù, del Re dei Re, del Fedele e Verace che giudica e combatte con giustizia e sarà il Vincitore della Bestia e dei suoi servi e profeti, riconoscete il vostro Bene e seguitelo sempre.

Nessun bugiardo aspetto vi seduca e nessuna persecuzione vi atterri. La vostra “voce” dica le mie parole. La vostra vita sia per quest’opera. E se avrete sorte, sulla terra, comune al Cristo, al suo Precursore e ad Elia, sorte cruenta o sorte tormentata da sevizie morali, sorridete alla vostra sorte futura e sicura che avrete comune con Cristo, con il suo Precursore, col suo Profeta.

Pari nel lavoro, nel dolore e nella gloria. Qui Io Maestro ed Esempio. Là Io Premio e Re.

Avermi sarà la vostra beatitudine. Sarà dimenticare il dolore. Sarà quanto ogni rivelazione è ancora insufficiente a farvi capire, perché troppo superiore è la gioia della vita futura alla possibilità di immaginare della creatura ancora unita alla carne».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

SALVE

I DOMENICA DI QUARESIMA ANNO A (Mt 4,1-11) 1 MARZO 2020

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 4,1-11)
In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».
Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».
Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Gesù viene presentato come il nuovo Adamo che, contrariamente al primo, resiste alla tentazione. Ma egli è anche il rappresentante del nuovo Israele che, contrariamente al popolo di Dio durante la traversata del deserto che durò quarant’anni, rimette radicalmente la sua vita nelle mani di Dio – mentre il popolo regolarmente rifiutava di essere condotto da Dio.
In ognuno dei tre tentativi di seduzione, si tratta della fiducia in Dio. Si dice, nel Deuteronomio (Dt 6,4): “Ascolta, Israele: Il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”. Significa esigere che Dio sia il solo ad essere amato da Israele, il solo di cui fidarsi. Ciò significa anche rinunciare alla propria potenza, a “diventare come Dio” (Gen 3,5).
A tre riprese, Satana tenta Gesù a servirsi del suo potere: della sua facoltà di fare miracoli (v. 3), della potenza della sua fede che pretenderebbe obbligare Dio (v. 6), della dominazione del mondo sottomettendosi a Satana e al suo governo di violenza (v. 9). Gesù resiste perché Dio è nel cuore della sua esistenza, perché egli vive grazie alla sua parola (v. 4), perché egli ha talmente fiducia in lui che non vuole attentare alla sua sovranità né alla sua libertà (v. 7), perché egli sa di essere impegnato esclusivamente a servirlo (v. 10).

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato”
di Maria Valtorta.
Capitolo 46

Vedo la solitudine petrosa già vista alla mia sinistra nella visione del Battesimo di Gesù al Giorda­no. Però devo essere molto addentrata in essa, perché non vedo affatto il bel fiume lento e azzurro, né la vena di verde che lo costeggia alle sue due rive, come alimentata da quell’arteria d’acqua. Qui solo solitudine, pietroni, terra talmente arsa da esser ridotta a polvere giallastra, che ogni tan­to il vento solleva con piccoli vortici, che paion fiato di bocca febbrile tanto sono asciutti e caldi. E tormentosi per la polvere che penetra con essi nelle narici e nelle fauci.

Molto rari, qualche piccolo cespuglio spinoso, non si sa come resistente in quella desolazione. Sembrano ciuffetti di superstiti capelli sulla testa di un calvo. Sopra, un cielo spietatamente azzurro; sotto, il suolo arido; intorno, massi e silenzio. Ecco quanto vedo come natura.

Addossato ad un enorme pietrone, che per la sua forma, fatta su per giù così come mi sforzo a di­segnarla, fa un embrione di grotta, e seduto su un sasso trascinato nell’incavo, sta Gesù. Si ripara così dal sole cocente. E l’interno ammonitore mi avverte che quel sasso, su cui ora siede, è anche il suo inginocchiatoio e il suo guanciale quando prende le brevi ore di riposo avvolto nel suo mantello, al lume delle stelle e all’aria fredda della notte.

Infatti là presso è la sacca che gli ho visto prendere prima di partire da Nazareth. Tutto il suo avere. E, dal come si piega floscia, comprendo che è vuota del poco cibo che vi aveva messo Maria.

Gesù è molto magro e pallido. Sta seduto con i gomiti appoggiati ai ginocchi e gli avambracci sporti in avanti, con le mani unite ed intrecciate nelle dita. Medita. Ogni tanto solleva lo sguardo e lo gira attorno e guarda il sole alto, quasi a perpendicolo, nel cielo azzurro. Ogni tanto, e specie dopo aver girato lo sguardo attorno e averlo alzato verso la luce solare, chiude gli occhi e si appoggia al masso, che gli fa da riparo, come preso da vertigine.

Vedo apparire il brutto ceffo di Satana. Non che si presenti nella forma che noi ce lo raffiguriamo, con corna, coda, ecc. ecc. Pare un beduino avvolto nel suo vestito e nel suo mantellone, che pare un domino da maschera.

Sul capo il turbante, le cui falde bianche scendono a far riparo sulle spalle e lungo i lati del viso. Di modo che di questo appare un breve triangolo molto bruno, dalle labbra sot­tili e sinuose, dagli occhi nerissimi e incavati, pieni di bagliori magnetici.

Due pupille che ti leggono in fondo al cuore, ma nelle quali non leggi nulla, o una sola parola: mistero.

L’opposto dell’occhio di Gesù, tanto magnetico e fascinatore anche esso, che ti legge in cuore, ma nel quale leggi anche che nel suo Cuore è amore e bontà per te. L’occhio di Gesù è una carezza sull’anima. Questo è come un doppio pugnale che ti perfora e brucia. Si avvicina a Gesù:

«Sei solo?».

Gesù lo guarda e non risponde.

«Come sei capitato qui? Ti sei sperduto?».

Gesù lo guarda da capo e tace.

«Se avessi dell’acqua nella borraccia, te la darei. Ma ne sono senza anche io. M’è morto il cavallo e mi dirigo a piedi al guado. Là berrò e troverò chi mi dà un pane. So la via. Vieni con me. Ti guide­rò».

Gesù non alza più neppure gli occhi.

«Non rispondi? Sai che, se resti qui, muori? Già si leva il vento. Sarà bufera. Vieni».

Gesù stringe le mani in muta preghiera.

«Ah! sei proprio Tu, dunque? È tanto che ti cerco! Ed ora è tanto che ti osservo. Dal momento che sei stato battezzato. Chiami l’Eterno? È lontano. Ora sei sulla Terra ed in mezzo agli uomini. E negli uomini regno io.

Pure mi fai pietà e ti voglio soccorrere, perché sei buono e sei venuto a sacrificarti per nulla. Gli uomini ti odieranno per la tua bontà. Non capiscono che oro e cibo e senso. Sacrificio, dolore, ubbidienza, sono parole morte per loro più di questa terra che ci è d’intorno. Essi sono aridi più ancora di questa polvere. Solo il serpe può nascondersi qui, attendendo di mordere, e lo sciacallo di sbranare. Vieni via. Non merita soffrire per loro. Li conosco più di Te».

Satana si è seduto di fronte a Gesù e Lo fruga col suo sguardo tremendo e sorride con la sua boc­ca di serpe. Gesù tace sempre e prega mentalmente.

«Tu diffidi di me. Fai male. Io sono la sapienza della Terra. Ti posso esser maestro per insegnarti a trionfare.

Vedi: l’importante è trionfare.

Poi, quando ci si è imposti e si è affascinato il mondo,

allora lo si conduce anche dove si vuole noi.

Ma prima bisogna essere come piace a loro.

Come loro.

Sedurli facendo loro credere che li ammiriamo e li seguiamo nel loro pensiero.

Sei giovane e bello. Comincia dalla donna. È sempre da essa che si deve incominciare. Io ho sba­gliato inducendo la donna alla disubbidienza. Dovevo consigliarla per altro modo. Ne avrei fatto uno strumento migliore e avrei vinto Dio. Ho avuto fretta. Ma Tu! Io t’insegno, perché c’è stato un giorno che ho guardato a Te con giubilo angelico, e un resto di quell’amore è rimasto, ma Tu ascoltami ed usa della mia esperienza. Fatti una compagna. Dove non riuscirai Tu, essa riuscirà. Sei il nuovo Ada­mo: devi avere la tua Eva.

E poi, come puoi comprendere e guarire le malattie del senso se non sai che cosa sono? Non sai che è lì il nocciolo da cui nasce la pianta della cupidità e della prepotenza? Perché l’uomo vuo­le regnare? Perché vuole essere ricco, potente? Per possedere la donna. Questa è come l’allodola. Ha bisogno del luccichio per essere attirata.

L’oro e la potenza sono le due facce dello specchio che attirano le donne e le cause del male nel mondo.

Guarda: dietro a mille delitti dai volti diversi ce ne sono novecento almeno che hanno radice nella fame del possesso della donna o nella volontà di una donna, arsa da un desiderio che l’uomo non soddisfa ancora o non soddisfa più. Vai dalla donna se vuoi sapere cosa è la vita. E solo dopo saprai curare e guarire i morbi della umanità.

È bella, sai, la donna! Non c’è nulla di più bello nel mondo. L’uomo ha il pensiero e la forza. Ma la donna!

Il suo pensiero è un profumo, il suo contatto è carezza di fiori, la sua grazia è come vino che scende, la sua debolezza è come matassa di seta o ricciolo di bambino nelle mani dell’uomo, la sua carezza è forza che si rovescia sulla nostra e la accende.

Si annulla il dolore, la fatica, il cruccio quando si posa presso una donna, ed essa è fra le nostre braccia come un fascio di fiori.

Ma che stolto che sono! Tu hai fame e ti parlo della donna. La tua vigoria è esausta. Per questo, questa fragranza della terra, questo fiore del creato, questo frutto che dà e suscita amore, ti pare senza valore.

Ma guarda queste pietre. Come sono tonde e levigate, dorate sotto al sole che scende. Non sembrano pani? Tu, Figlio di Dio, non hai che dire: “Voglio”, perché esse divengano pane fra­grante come quello che ora le massaie levano dal forno per la cena dei loro familiari. E queste acacie così aride, se Tu vuoi, non possono empirsi di dolci pomi, di datteri di miele? Saziati, o Figlio di Dio! Tu sei il Padrone della Terra. Essa si inchina per mettere ai tuoi piedi se stessa e sfamare la tua fame.

Lo vedi che impallidisci e vacilli solo a sentir nominare il pane? Povero Gesù! Sei tanto debole da non potere più neppure comandare al miracolo? Vuoi che lo faccia io per Te? Non ti sono a pari. Ma qualcosa posso. Starò privo per un anno della mia forza, la radunerò tutta, ma ti voglio servire, per­ché Tu sei buono ed io sempre mi ricordo che sei il mio Dio, anche se ora ho demeritato di chiamarti tale. Aiutami con la tua preghiera perché io possa…».

«Taci. “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che viene da Dio”».

Il demonio ha un sussulto di rabbia. Digrigna i denti e stringe i pugni. Ma si contiene e volge il di­grigno in sorriso.

«Comprendo. Tu sei sopra le necessità della Terra e hai ri­brezzo a servirti di me. L’ho meritato. Ma vieni, allora, e vedi cosa è nella Casa di Dio. Vedi come anche i sacerdoti non ricusano di venire a transazioni fra lo spirito e la carne. Perché infine sono uo­mini e non Angeli.

Compi un miracolo spirituale. Io ti porto sul pinnacolo del Tempio e Tu trasfigurati in bellezza lassù, e poi chiama le coorti di Angeli e dì che facciano delle loro ali intrecciate pedana al tuo piede e ti calino così nel cortile principale. Che ti vedano e si ricordino che Dio è.

Ogni tanto è ne­cessario manifestarsi, perché l’uomo ha una memoria tanto labile, specie in ciò che è spirituale. Sai come gli Angeli saranno beati di far riparo al tuo piede e scala a Te che scendi!».

«“Non tentare il Signore Iddio tuo”, è detto».

«Comprendi che anche la tua apparizione non muterebbe le cose, e il Tempio continuerebbe ad esser mercato e corruzione. La tua divina sapienza lo sa che i cuori dei ministri del Tempio sono un nido di vipere, che si sbranano e sbranano pur di predominare. Non sono domati che dalla potenza umana.

E allora, vieni. Adorami. Io ti darò la Terra.

Alessandro, Ciro, Cesare, tutti i più grandi dominatori passati o viventi saranno simili a capi di meschine carovane rispetto a Te, che avrai tutti i regni della Terra sotto il tuo scettro. E, coi regni, tutte le ricchezze, tutte le bellezze della Terra, e donne, e cavalli, e armati e templi.

Potrai alzare dovunque il tuo Segno, quando sarai Re dei re e Signore del mondo. Allora sarai ubbidito e venerato dal popolo e dal sacerdozio. Tutte le caste ti onoreranno e ti serviran­no, perché sarai il Potente, l’Unico, il Signore.

Adorami un attimo solo! Levami questa sete che ho d’esser adorato! È quella che mi ha perduto. Ma è rimasta in me e mi brucia.

Le vampe dell’inferno sono fresca aria del mattino rispetto a questo ardore che mi brucia l’interno. È il mio inferno, questa sete. Un attimo, un attimo solo, o Cristo, Tu che sei buono! Un attimo di gioia all’eterno Tormentato! Fammi sentire cosa voglia dire essere dio e mi avrai devoto, ubbidiente come servo per tutta la vita, per tutte le tue imprese. Un attimo! Un solo attimo, e non ti tormenterò più!».

E Satana si butta in ginocchio, supplicando.

Gesù si è alzato, invece. Divenuto più magro in questi giorni di digiuno, sembra ancora più alto. Il suo volto è terribile di severità e potenza. I suoi occhi sono due zaffiri che bruciano. La sua voce è un tuono, che si ripercuote contro l’incavo del masso e si sparge sulla sassaia e la piana desolata, quando dice:

«Và via, Satana. È scritto: “Adorerai il Signore Iddio tuo e servirai Lui solo”!».

Satana, con un urlo di strazio dannato e di odio indescrivibile, scatta in piedi, tremendo a vedersi nella sua furente, fumante persona. E poi scompare con un nuovo urlo di maledizione.

Gesù si siede stanco, appoggiando indietro il capo contro il masso. Pare esausto. Suda.

Ma esseri Angelici vengono ad alitare con le loro ali nell’afa dello speco, purificandola e rinfrescandola. Gesù apre gli occhi e sorride. Io non Lo vedo mangiare. Direi che Egli si nutre dell’aroma del Paradiso e ne esce rinvigorito.

Il sole scompare a ponente. Egli prende la vuota bisaccia e, accompagnato dagli Angeli, che fanno una mite luce sospesi sul suo capo mentre la notte cala rapidissima, si avvia verso est, meglio verso nord-est. Ha ripreso la sua espressione abituale, il passo sicuro. Solo resta, a ricordo del lungo di­giuno, un aspetto più ascetico nel volto magro e pallido e negli occhi, rapiti in una gioia non di que­sta Terra.

Dice Gesù:

«Ieri eri senza la tua forza, che è la mia volontà, ed eri perciò un essere semivivo. Ho fatto ri­posare le tue membra e ti ho fatto fare l’unico digiuno che ti pesi: quello della mia Parola. Povera Maria! Hai fatto il mercoledì delle Ceneri. In tutto sentivi il sapor della cenere, poiché eri senza il tuo Maestro. Non mi facevo sentire. Ma c’ero.

Questa mattina, poiché l’ansia è reciproca, ti ho mormorato nel tuo dormiveglia: “Agnus Dei qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem”, e te l’ho fatto ripetere molte volte, e tante te le ho ripetu­te. Hai creduto che parlassi su questo. No. Prima c’era il punto che ti ho mostrato e che ti commen­terò. Poi questa sera ti illustrerò quest’altro.

Satana, lo hai visto, si presenta sempre con veste benevola. Con aspetto comune. Se le anime sono attente, e soprattutto in spirituali contatti con Dio, avvertono quell’avviso che le rende guardin­ghe e pronte a combattere le insidie demoniache.

Ma se le anime sono disattente al divino, separate da una carnalità che soverchia e assorda, non aiutate dalla preghiera che congiunge a Dio e riversa la sua forza come da un canale nel cuore dell’uomo, allora difficilmente esse si avvedono del tranello nascosto sotto l’apparenza innocua e vi cadono. Liberarsene è, poi, molto difficile.

Le due vie più comuni prese da Satana per giungere alle anime sono il senso e la gola.

Comincia sempre dalla materia. Smantellata e asservita questa, dà l’attacco alla parte superiore.

Prima il mo­rale: il pensiero con le sue superbie e cupidigie; poi lo spirito, levandogli non solo l’amore -quello non esiste già più quando l’uomo ha sostituito l’amore divino con altri amori umani- ma anche il timore di Dio.

È allora che l’uomo si abbandona in anima e corpo a Satana, pur di arrivare a godere ciò che vuole, godere sempre più.

Come Io mi sia comportato, lo hai visto. Silenzio e orazione. Silenzio. Perché, se Satana fa la sua opera di seduttore e ci viene intorno, lo si deve subire senza stolte impazienze e vili paure. Ma reagi­re con la sostenutezza alla sua presenza, e con la preghiera alla sua seduzione.

È inutile discutere con Satana. Vincerebbe lui, perché è forte nella sua dialettica. Non c’è che Dio che lo vinca. E allora ricorrere a Dio, che parli per noi, attraverso a noi. Mostrare a Satana quel No­me e quel Segno, non tanto scritti su una carta o incisi su un legno, quanto scritti e incisi nel cuore. Il mio Nome, il mio Segno.

Ribattere a Satana, unicamente quando insinua che egli è come Dio, usando la Parola di Dio. Egli non la sopporta.

Poi, dopo la lotta, viene la vittoria, e gli Angeli servono e difendono il vincitore dall’odio di Satana. Lo ristorano con le rugiade celesti, con la Grazia che riversano a piene mani nel cuore del figlio fede­le, con la benedizione che accarezza lo spirito.

Occorre avere volontà di vincere Satana e Fede in Dio e nel suo aiuto. Fede nella potenza della preghiera e nella bontà del Signore. Allora Satana non può fare del male.

Và in pace. Questa sera ti parlerò del resto».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A (Mt 5,38-48) 23 FEBBRAIO 2020

Mt 5,38-48

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,38-48)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Gesù Cristo, Dio-con-noi e umanità nuova, insegna ai suoi discepoli il comandamento dell’amore, la nuova legge del Vangelo che sostituisce per sempre la legge pagana del vecchio uomo: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”.
Il nostro spirito trema sentendo le esigenze di questo nuovo comandamento. Non è forse più facile aggredire chi ci aggredisce e amare chi ci ama? Forse è a questo che ci spingerebbero i nostri sensi, è questa la voce dell’anima umiliata non ancora raggiunta dalla luce del Dio di Gesù Cristo, del solo vero Dio. Ecco perché l’amore di carità è un precetto insolito, che apre ad un nuovo orizzonte antropologico la civiltà antica e ogni civiltà umana possibile.
Visto da questo orizzonte, l’uomo, ogni uomo, appare creato a immagine e somiglianza di Dio e non più formato secondo una natura disuguale e arbitraria, come invece credevano i pagani. Liberato dai suoi peccati grazie all’azione redentrice di Cristo e rinnovato dall’azione dello Spirito, l’uomo, ogni uomo, è il tempio in cui risplende lo Spirito di Dio. Dio ama l’uomo per se stesso, a tal punto che consegna alla morte suo Figlio.
Dal momento che Dio ci ama in questo modo e ci ha fatti partecipi del suo amore, noi non possiamo che perdonare il nostro prossimo e aiutarlo perché viva e si sviluppi.

VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO A 16 Febbraio 2020 (Mt 5,17-37)

Mt 5,17-37

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,17-37)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!
Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna.
Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno». Parola del Signore.Forma breve:TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo (5, 20-22a.27-28.33-34a.37)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio.
Avete inteso che fu detto: “Non commetterai adulterio”. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.
Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto. Sia invece il vostro parlare: “sì, sì”, “no, no”; il di più viene dal Maligno». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

L’ideale religioso degli Ebrei devoti consisteva nell’osservare la legge, attraverso la quale si realizzava la volontà di Dio. Meditare, adempiere la legge, era per l’Israelita la sua “eredità”, “una lampada per i suoi passi”, suo “rifugio”, la sua “pace” (cf. Sal 119).
Gesù è la pienezza della legge perché egli è la parola definitiva del Padre (Eb 1,1). Paolo ci dice che “chi ama il suo simile ha adempiuto la legge… Pieno compimento della legge è l’amore” (Rm 13,8-10).
Ed è anche in questo senso che Gesù è la pienezza di ogni parola che esce dalla bocca di Dio: “Perché Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito… perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,16-17).
Il cristiano è prima di tutto il discepolo di Gesù, non colui che adempie la legge. I farisei erano ossessionati dalla realizzazione letterale e minuziosa della legge; ma ne avevano completamente perso lo spirito. Di qui la parola di Gesù: “Se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei…”.
L’amore non è prima di tutto un sentimento diffuso per fare sempre quello di cui abbiamo voglia, ma al contrario il motore del servizio del prossimo, secondo i disegni divini. Ed è per questo che Gesù enumera sei casi della vita quotidiana la riconciliazione con il prossimo, non adirarsi, non insultare nessuno, non commettere adulterio neanche nel desiderio, evitare il peccato anche se vi si è affezionati come al proprio occhio o alla propria mano destra, non divorziare da un matrimonio valido…
Il contrasto con i criteri che reggono il mondo attuale non potrebbe essere maggiore. Per quali valori i cristiani scommetterebbero? Ancora una volta siamo confortati dalla affermazione di Cristo: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24,35).

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato”
di Maria Valtorta
Capitolo 171

 

Il luogo e l’ora sono sempre gli stessi. La gente è ancora più aumentata. In un angolo, presso un sentiero, come volesse udire ma non eccitare ripugnanze tra la folla, è un romano. Lo distinguo per la veste corta e il mantello diverso. Ancora vi sono Stefano e Erma.

E Gesù va lentamente al suo posto e riprende a parlare.

«Con quanto vi ho detto ieri non dovete giungere al pensiero che Io sia venuto per abolire la Legge. No. Solo, poiché sono l’Uomo e comprendo le debolezze dell’uomo, Io ho voluto rincuorarvi a seguirla col dirigere il vostro occhio spirituale non all’abisso nero, ma all’Abisso luminoso. Perché, se la paura di un castigo può trattenere tre volte su dieci, la certezza di un premio slancia sette volte su dieci. Perciò più che la paura fa la fiducia. Ed io voglio che voi l’abbiate piena, sicura, per potere fare non sette parti di bene su dieci, ma dieci parti su dieci e conquistare questo premio santissimo del Cielo.

Io non muto un iota della Legge. E chi l’ha data fra i fulmini del Sinai? L’Altissimo. Chi è l’Altissimo? Il Dio uno e trino. Da dove l’ha tratta? Dal suo Pensiero. Come l’ha data? Con la sua Parola. Perché l’ha data? Per il suo Amore. Vedete dunque che la Trinità era presente. Ed il Verbo, ubbidiente come sempre al Pensiero e all’Amore, parlò per il Pensiero e per l’Amore.

Potrei smentire Me stesso? Non potrei. Ma posso, poiché tutto Io posso, completare la Legge, farla divinamente completa, non quale la fecero gli uomini che durante i secoli non la fecero completa ma soltanto indecifrabile, inadempibile, sovrapponendo leggi e precetti, e precetti e leggi, tratti dal loro pensiero, secondo il loro utile, e gettando tutta questa macia a lapidare e soffocare, a sottrarre e isterilire la Legge santissima data da Dio.

Può una pianta sopravvivere se la sommergono per sempre valanghe, macerie e inondazioni? No. La pianta muore. La Legge è morta in molti cuori, soffocata sotto le valanghe di troppe soprastrutture. Io sono venuto a levarle tutte e, disseppellita la Legge, risuscitata la Legge, ecco che Io la faccio non più legge ma regina.

Le regine promulgano le leggi.

Le leggi sono opera delle regine, ma non sono da più delle regine. Io invece faccio della Legge la regina: la completo, l’incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei consigli evangelici. Prima era l’ordine. Ora è più dell’ordine. Prima era il necessario. Ora è più del necessario.

Ora è la perfezione. Chi la disposa, così come Io ve la dono, all’istante è re perché ha raggiunto il “perfetto”, perché non è stato soltanto ubbidiente ma eroico, ossia santo, essendo la santità la somma delle virtù portate al vertice più alto che possa esser raggiunto da creatura, eroicamente amate e servite col distacco completo da tutto quanto è appetito e riflessione umana verso qual che sia cosa.

Potrei dire che il santo è colui al quale l’amore e il desiderio fanno da ostacolo ad ogni altra vista che Dio non sia. Non distratto da viste inferiori, egli ha le pupille del cuore ferme nello Splendore Santissimo. che è Dio e nel quale vede, poiché tutto è in Dio, agitarsi i fratelli e tendere le mani supplici.

E senza staccare gli occhi da Dio, il santo si effonde ai fratelli supplicanti. Contro la carne, contro le ricchezze, contro le comodità, egli drizza il suo ideale: servire. Povero il santo? Menomato? No. È giunto a possedere la sapienza e la ricchezza vere. Possiede perciò tutto.

Né sente fatica perché, se è vero che è un produttore continuo, è pur anche vero che è un nutrito di continuo. Perché, se è vero che comprende il dolore del mondo, è anche vero che si pasce della letizia del Cielo. Di Dio si nutre, in Dio si allieta. È la creatura che ha compreso il senso della vita.

Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, ma non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane. Ma la completo. Essa è quello che è, e tale sarà fino all’estremo giorno, senza che se ne muti una parola o se ne levi un precetto. Ma è incoronata del perfetto.

Per avere salute basta accettarla così come fu data. Per avere immediata unità con Dio occorre viverla come Io la consiglio.

Ma poiché gli eroi sono l’eccezione, Io parlerò per le anime comuni, per la massa delle anime, acciò non si dica che per volere il perfetto rendo ignoto il necessario. Perciò di quanto dico ritenete bene questo: colui che si permette di violare uno fra i minimi di questi Comandamenti sarà tenuto minimo nel Regno dei Cieli. E colui che indurrà altri a violarli sarà ritenuto minimo per lui e per colui che egli indusse alla violazione.

Mentre colui che con la vita e le opere, più ancora che con la parola, avrà persuaso altri all’ubbidienza, costui grande sarà nel Regno dei Cieli, e la sua grandezza si aumenterà per ognuno di quelli che egli avrà portato ad ubbidire e a santificarsi così.

Io so che ciò che sto per dire sarà agro alla lingua di molti. Ma Io non posso mentire anche se la verità che sto per dire mi farà dei nemici.

In verità vi dico che se la vostra giustizia non si ricreerà, distaccandosi completamente dalla povera e ingiustamente definita giustizia che vi hanno insegnata scribi e farisei; che se non sarete molto più, e veramente, giusti dei farisei e scribi, che credono esserlo con l’aumentare delle formule ma senza mutazione sostanziale degli spiriti, voi non entrerete nel Regno dei Cieli.

Guardatevi dai falsi profeti e dai dottori d’errore. Essi vengono a voi in veste e d’agnelli e lupi rapaci sono, vengono in veste di santità e sono derisori di Dio, dicono di amare la verità e si pascono di menzogne. Studiateli prima di seguirli.

L’uomo ha la lingua e con questa parla, ha gli occhi e con questi guarda, ha le mani e con queste accenna. Ma ha un’altra cosa che testimonia con più verità del suo vero essere: ha i suoi atti. E che volete che sia un paio di mani congiunte in preghiera se poi l’uomo è ladro e fornicatore? E che due occhi che volendo fare gli ispirati si stravolgono in ogni senso, se poi, cessata l’ora della commedia, si sanno fissare ben avidi sulla femmina, o sul nemico, per lussuria o per omicidio?

E che volete sia la lingua che sa zufolare la bugiarda canzone delle lodi e sedurvi con i suoi detti melati, mentre poi alle vostre spalle vi calunnia ed è capace di spergiurare pur di farvi passare per gente spregevole?

Che è la lingua che fa lunghe orazioni ipocrite e poi veloce uccide la stima del prossimo o seduce la sua buona fede? Schifo è! Schifo sono gli occhi e le mani menzognere. Ma gli atti dell’uomo, i veri atti, ossia il suo modo di comportarsi in famiglia, nel commercio, verso il prossimo ed i servi, ecco quello che testimoniano: “Costui è un servo del Signore”. Perché le azioni sante sono frutto di una vera religione.

Un albero buono non dà frutti malvagi e un albero malvagio non dà frutti buoni. Questi pungenti roveti potranno mai darvi uva saporita? E quegli ancora più tribolanti cardi potranno mai maturarvi morbidi fichi? No, che in verità poche e aspre more coglierete dai primi e immangiabili frutti verranno da quei fiori, spinosi già pur essendo ancora fiori.

L’uomo che non è giusto potrà incutere rispetto con l’aspetto, ma con quello solo. Anche quel piumoso cardo sembra un fiocco di sottili fili argentei che la rugiada ha decorato di diamanti. Ma se inavvertitamente lo toccate, vedete che fiocco non è, ma mazzo di aculei, penosi all’uomo, nocivi alle pecore, per cui i pastori lo sterpano dai loro pascoli e lo gettano a perire nel fuoco acceso nella notte perché neppure il seme si salvi. Giusta e previdente misura.

Io non vi dico: “Uccidete i falsi profeti e gli ipocriti fedeli”. Anzi vi dico: “Lasciatene a Dio il compito”. Ma vi dico: “Fate attenzione scostatevene per non intossicarvi dei loro succhi”.

Come debba essere amato Dio, ieri l’ho detto. Insisto a come debba essere amato il prossimo.

Un tempo era detto: “Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico”. No. Non così. Questo è buono per i tempi in cui l’uomo non aveva il conforto del sorriso di Dio. Ma ora vengono i tempi nuovi, quelli in cui Dio tanto ama l’uomo da mandargli il suo Verbo per redimerlo. Ora il Verbo parla.

Ed è già Grazia che si effonde. Poi il Verbo consumerà il sacrificio di pace e di redenzione e la Grazia non solo sarà effusa, ma sarà data ad ogni spirito credente nel Cristo. Perciò occorre innalzare l’amore di prossimo a perfezione che unifica l’amico al nemico.

Siete calunniati? Amate e perdonate.

Siete percossi? Amate e porgete l’altra guancia a chi vi schiaffeggia pensando che è meglio che l’ira si sfoghi su voi, che la sapete sopportare, anziché su un altro che si vendicherebbe dell’affronto.

Siete derubati? Non pensate: “Questo mio prossimo è un avido”, ma pensate caritativamente: “Questo mio povero fratello è bisognoso” e dategli anche la tunica se già vi ha levato il mantello. Lo metterete nella impossibilità di fare un doppio furto perché non avrà più bisogno di derubare un altro della tunica.

Voi dite: “Ma potrebbe essere vizio e non bisogno”. Ebbene, date ugualmente. Dio ve ne compenserà e l’iniquo ne sconterà. Ma molte volte, e ciò richiama quanto ho detto ieri sulla mansuetudine, vedendosi così trattato, cade dal cuore del peccatore il suo vizio, ed egli si redime giungendo a riparare il furto col rendere la preda.

Siate generosi con coloro che, più onesti, vi chiedono, anziché derubarvi, ciò di cui abbisognano. Se i ricchi fossero realmente poveri di spirito come ho insegnato ieri, non vi sarebbero le penose disuguaglianze sociali, cause di tante sventure umane e sovrumane. Pensate sempre: “Ma se io fossi nel bisogno, che effetto mi farebbe la ripulsa di un aiuto?”, e in base alla risposta del vostro io agite.

Fate agli altri ciò che vorreste vi fosse fatto e non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi.

L’antica parola: “Occhio per occhio, dente per dente”, che non è nei dieci comandi ma che è stata messa perché l’uomo privo della Grazia è tal belva che non può che comprendere la vendetta, è annullata, questa sì che è annullata, dalla nuova parola: “Ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita, giustifica chi ti calunnia, benedici chi ti maledice, benefica chi ti fa danno, sii pacifico col rissoso, condiscendente con chi ti è molesto, soccorri di buon grado chi a te ricorre e non fare usura, non criticare, non giudicare”.

Voi non sapete gli estremi delle azioni degli uomini. In tutti i generi di soccorso siate generosi, misericordiosi siate.

Più darete più vi sarà dato, e una misura colma e premuta sarà versata da Dio in grembo a chi fu generoso. Dio non solo vi darà per quanto avete dato, ma più e più ancora. Cercate di amare e di farvi amare. Le liti costano più di un accomodamento amichevole e la buona grazia è come un miele che a lungo resta col suo sapore sulla lingua.

Amate, amate! Amate amici e nemici per essere simili al Padre vostro che fa piovere sui buoni e sui cattivi e fa scendere il sole sui giusti e sugli ingiusti riservandosi di dare sole e rugiade eterne, e fuoco e grandine infernali, quando i buoni saranno scelti, come elette spighe, fra i covoni del raccolto.

Non basta amare coloro che vi amano e dai quali sperate un contraccambio. Questo non è un merito, è una gioia, e anche gli uomini naturalmente onesti lo sanno fare. Anche i pubblicani lo fanno e anche i gentili.

Ma voi amate a somiglianza di Dio e amate per rispetto a Dio, che è Creatore anche di quelli che vi sono nemici o poco amabili. Io voglio in voi la perfezione dell’amore e perciò vi dico: “Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli”.

Tanto è grande il precetto d’amore verso il prossimo, il perfezionamento del precetto d’amore verso il prossimo, che Io più non vi dico come era detto: “Non uccidete”, perché colui che uccide sarà condannato dagli uomini. Ma vi dico: “Non vi adirate” perché un più alto giudizio è su voi e calcola anche le azioni immateriali. Chi avrà insultato il fratello sarà condannato dal Sinedrio. Ma chi lo avrà trattato da pazzo, e perciò danneggiato, sarà condannato da Dio.

Inutile fare offerte all’altare se prima non si è sacrificato nell’interno del cuore i propri rancori per amore di Dio e non si è compito il rito santissimo del saper perdonare. Perciò se quando stai per offrire a Dio tu ti sovvieni di avere mancato verso il tuo fratello o di avere in te rancore per una sua colpa, lascia la tua offerta davanti all’altare, fa prima l’immolazione del tuo amor proprio, riconciliandoti col tuo fratello, e poi vieni all’altare, e santo sarà allora, solo allora, il tuo sacrificio.

Il buon accordo è sempre il migliore degli affari. Precario è il giudizio dell’uomo, e chi ostinato lo sfida potrebbe perdere la causa e dovere pagare all’avversario fino all’ultima moneta o languire in prigione.

Alzate in tutte le cose lo sguardo a Dio. Interrogatevi dicendo: “Ho io il diritto di fare ciò che Dio non fa con me?”. Perché Dio non è così inesorabile e ostinato come voi siete. Guai a voi se lo fosse! Non uno si salverebbe. Questa riflessione vi induca a sentimenti miti, umili, pietosi. E allora non vi mancherà da parte di Dio, qui e oltre, la ricompensa.[…]

Qui, a Me davanti, è anche uno che mi odia e che non osa dirmi: “Guariscimi”, perché sa che Io so i suoi pensieri. Ma Io dico: “Sia fatto ciò che tu vuoi. E come ti cadono le scaglie dagli occhi così ti cadano dal cuore il rancore e le tenebre”.

Andate tutti con la mia pace. Domani ancora vi parlerò».

La gente sfolla lentamente, forse in attesa di un grido di miracolo che non viene.
Anche gli apostoli e i discepoli più antichi, che restano sul monte, chiedono: “Ma chi era? Non è guarito forse?”, e insistono presso il Maestro che è rimasto in piedi, a braccia conserte, a veder scendere la gente.

Ma Gesù sulle prime non risponde; poi dice: “Gli occhi sono guariti. L’anima no. Non può perché è carica di odio”.

“Ma chi è? Quel romano forse?”.

“No. Un disgraziato”.

“Ma perché lo hai guarito, allora?”, chiede Pietro.

“Dovrei fulminare tutti i suoi simili?”.

“Signore… io so che Tu non vuoi che dica: “sì”, e perciò non lo dico… ma lo penso… ed è lo stesso…”.

“È lo stesso, Simone di Giona. Ma sappi che allora… Oh! quanti cuori pieni di scaglie d’odio intorno a Me! Vieni. Andiamo proprio là in cima, a guardare dall’alto il nostro bel mare di Galilea. Io e te soli”.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta