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7 OTTOBRE 2018 XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B (Mc 10,2-16)

NON DIVIDA L'UOMO CIO CHE DIO HA UNITO

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco. (Mc 10,2-16)
In quel tempo, avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: «È lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?». Ma Egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto». Rientrati a casa, i discepoli Lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed Egli disse: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio». Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a Me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il Regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il Regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso». E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 5 – Capitolo 357 (11 dicembre 1945)

È mattina. Una mattina di marzo. Perciò schiarite e nuvole si alternano nel cielo. Ma le nuvole soverchiano le schiarite, tendendo ad impossessarsi del cielo. Un’aria calda soffia a re¬spiri sincopati e fa pesante l’aria, velandola di una polvere ve¬nuta forse dalle zone dell’altipiano.
«Se non muta vento, questa è acqua!» sentenzia Pietro uscendo dalla casa con gli altri.
Ultimo esce Gesù, che si accomiata dalle padrone di casa, mentre il padrone si unisce a Lui. Si dirigono verso una piazza. Dopo pochi passi li ferma un graduato romano che è insieme a dei militi.
«Sei Tu Gesù di Nazaret?».
«Lo sono».
«Che fai?».
«Parlo alle turbe».
«Dove?».
«In piazza».
«Parole sediziose?».
«No. Precetti di virtù».
«Bada! Non mentire. Roma ne ha basta di falsi dèi».
«Vieni tu pure. Vedrai che non mento».
L’uomo che ha ospitato Gesù sente il dovere di interloquire: «Ma da quando tante domande a un rabbi?».
«Denunzia di uomo sedizioso».
«Sedizioso? Lui? Ma tu prendi abbaglio, Mario Severo! Que¬sto è l’uomo più mite della terra. Te lo dico io».
Il graduato si stringe nelle spalle e risponde: «Meglio per Lui. Ma così ebbe denunzia il centurione. Vada pure. È avvisato».
E si volta tutto di un pezzo, andandosene coi subalterni.
«Ma chi può essere stato? Io non capisco!» dicono in diversi.
Gesù risponde: «Lasciate di capire. Non serve. Andiamo mentre molti sono sulla piazza. Poi partiremo anche di qui».
La piazza deve essere una piazza piuttosto commerciale. Non è un mercato ma poco meno, perché cinta di fondachi in cui sono depositi di merce di ogni genere. E la gente si affolla in essi. Perciò vi è molta gente sulla piazza e qualcuno ammicca a Gesù e presto un cerchio di gente è intorno al «Nazareno». Un cerchio composto di ogni genere e classe e nazione. Chi c’è per venerazione, chi per curiosità.
Gesù fa cenno di parlare.
«Udiamolo!» dice un romano che esce da un magazzino.
«Non ci sarà da sentire una lamentazione?» gli risponde un suo simile.
«Non lo credere, Costanzo. È meno indigesto di uno dei soli¬ti retori nostri».
«A chi mi ascolta, pace! È detto nell’Esdra, nella preghiera di Esdra: “E che diremo ora, o Dio nostro, dopo le cose avvenu¬te? Che, se abbiamo abbandonato i tuoi comandamenti da Te intimati a mezzo dei tuoi servi…”».
«Fermati, Tu che parli. Il soggetto te lo diamo noi» urla un pugno di farisei che si fanno largo fra la gente. Quasi subito riappare la scorta armata e si ferma all’angolo più vicino. I fa¬risei sono ora di fronte a Gesù.
«Sei Tu il Galileo? Gesù di Nazaret sei?».
«Lo sono!».
«Lode a Dio che ti abbiamo trovato!». Veramente hanno cer¬ti ceffi così astiosi che non mostrano di essere in gioia per l’in¬contro…
Il più vecchio parla: «Ti seguiamo da molti giorni, arrivando sempre dopo che Tu sei partito».
«Perché mi seguite?».
«Perché sei il Maestro e vogliamo essere ammaestrati in un punto oscuro della Legge».
«Non vi sono punti oscuri nella Legge di Dio».
«In essa no. Ma, eh! eh!… Ma sulla Legge sono venute le “so¬vrapposizioni”, come Tu dici, eh! eh!… e hanno fatto oscurità».
«Penombra, al massimo. E basta volgere l’intelletto a Dio per distruggere esse pure».
«Non tutti lo sanno fare. Noi, per esempio, rimaniamo in penombra. Tu sei il Rabbi, eh! eh! Aiutaci dunque».
«Che volete sapere?».
Volevamo sapere se è lecito all’uomo ripudiare per un motivo qualsiasi la propria moglie. È una cosa che spesso avviene, ed ogni volta crea molto rumore là dove avviene. Si rivolgono a noi per sapere se è lecito. E noi, a seconda del caso, rispondiamo».
«Approvando l’avvenuto nel novanta per cento dei casi. E il dieci per cento che resta disapprovato è nella categoria dei po¬veri o dei nemici vostri».
«Come lo sai?».
«Perché così avviene in tutte le cose umane. E unisco nella categoria la terza classe, quella che, se fosse lecito il divorzio, più ne avrebbe diritto, perché quella dei veri casi penosi, quali una lebbra incurabile, oppure una condanna a vita, o malattie innominabili… ».
«Allora per Te non è mai lecito?».
«Né per Me, né per l’Altissimo, né per nessuno che sia di animo retto. Non avete letto che il Creatore, nel principio dei giorni, creò l’uomo e la donna? E li creò maschio e femmina; e non aveva bisogno di farlo, ché, se avesse voluto, avrebbe potu¬to, per il re della creazione, fatto a sua immagine e somiglian¬za, creare altro modo di procreazione, e ugualmente buono sa¬rebbe stato, pur essendo dissimile da ogni altro naturale. E dis-se: “Così per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà con la moglie e i due saranno una sola carne”.
Dunque Dio li congiunse in una sola unità. Non sono dunque più “due” ma “una” sola carne. Ciò che Dio ha congiunto, perché vide che “è buona cosa”, l’uomo non lo divida, perché se così avvenisse cosa non più buona sarebbe».
«Ma perché allora Mosè disse: “Se un uomo ha preso una donna con sé, ma essa non ha trovato grazia ai suoi occhi per qualcosa di turpe, egli scriverà un libello di ripudio, glielo con¬segnerà in mano e la manderà via di casa sua”?».
«Lo disse per la durezza del vostro cuore. Per evitare, con un ordine, dei disordini troppo gravi. Per questo vi permise di ripudiare le mogli. Ma dal principio non fu così. Perché la don¬na è da più della bestia, la quale è, a seconda del capriccio del padrone o delle libere circostanze di natura, sottoposta a que¬sto o a quel maschio, carne senz’anima che si accoppia per ri¬produrre.
Le vostre mogli hanno un’anima come voi l’avete, e non è giusto che voi la calpestiate senza sentirne compassione. Ché se è detto nella condanna: “Tu sarai sottoposta alla potestà del marito ed egli ti dominerà”, ciò deve avvenire secondo giu¬stizia e non con prepotenza che lede i diritti dell’anima libera e degna di rispetto.
Voi, ripudiando, come lecito non vi è, portate offesa all’anima della vostra compagna, alla carne gemella che alla vostra si è unita, al tutto che è la donna che avete sposata esigendo la sua onestà, mentre, o spergiuri, andate ad essa di¬sonesti, menomati, talora corrotti, e continuate ad esserlo, co¬gliendo ogni occasione per poterla colpire e dare maggior cam¬po alla libidine insaziabile che è in voi. Prostitutori delle mogli vostre!
Per nessun motivo potete separarvi dalla donna che vi è congiunta secondo la Legge e la Benedizione. Solo nel caso che la grazia vi tocchi, e comprendiate che la donna non è un pos¬sesso ma un’anima, e perciò ha diritti uguali ai vostri di essere riconosciuta parte dell’uomo e non suo oggetto di piacere, e solo nel caso che sia tanto duro il vostro cuore da non sapere elevar¬la a moglie, dopo averla goduta come una prostituta, solo nel caso di levare questo scandalo di due che convivono senza bene¬dizione di Dio sulla loro unione, voi potete rimandarla.
Perché allora la vostra non è unione ma fornicazione, e sovente senza onore di figli, perché disciolti contro natura o allontanati come vergogna. In nessun altro caso. In nessun altro. Perché se figli illegittimi avete dalla vostra concubina, avete il dovere di porre fine allo scandalo sposandola, se liberi siete. Non contemplo il caso dell’adulterio consumato ai danni della moglie ignara. Per quello sono sante le pietre della lapidazione e le fiamme dello Sceol. Ma per chi rimanda la propria moglie legittima perché di essa è sazio e ne prende un’altra, non c’è che una sentenza: co¬stui è adultero.
E adultero è chi prende la ripudiata, perché se l’uomo si è arrogato il diritto di separare ciò che Dio ha con-giunto, l’unione matrimoniale continua, agli occhi di Dio, e ma¬ledetto è chi passa a seconda moglie senza essere vedovo. E ma¬ledetto è chi riprende la donna prima sua e poi, rimandatala per ripudio e abbandonatala alle paure della vita, onde essa ce¬de a nuove nozze per il suo pane, la riprende se resta vedova del secondo marito. Perché, anche che vedova sia, ella fu adul¬tera per colpa vostra, e voi raddoppiereste il suo adulterio. Ave¬te compreso, o farisei che mi tentate?».
Questi se ne vanno scornati, senza rispondere.
«Severo è l’uomo. Se fosse a Roma vedrebbe però che il fango ribolle ancor più fetente» dice un romano.
Anche alcuni di Gadara brontolano: «Dura cosa essere uo¬mini, se bisogna essere casti così!…».
E alcuni più forte: «Se tale è la condizione dell’uomo rispet¬to alla donna, meglio stare senza nozze».
E questa ragione ripetono anche gli apostoli mentre ripiglia¬no la via verso la campagna, dopo aver lasciato quelli di Gada¬ra. Lo dice Giuda con scherno. Lo dice Giacomo di Zebedeo con rispetto e riflessione; e Gesù risponde all’uno e all’altro:
«Non tutti capiscono questo, né lo capiscono bene. Alcuni in¬fatti preferiscono il celibato per essere liberi di secondare i vizi. Altri per evitare di poter peccare essendo mariti non buoni. Ma solo alcuni, ai quali è concesso, comprendono la bellezza di es¬sere scevri di sensualità e di anche onesta fame di donna. E so¬no i più santi, i più liberi, i più angelici sulla terra. Parlo di co¬loro che si fanno eunuchi per il Regno di Dio. Ci sono negli uo¬mini quelli che nascono tali.
Altri che tali vengono fatti. I primi sono mostruosità che devono suscitare compassione, i secondi abusi che vanno repressi. Ma c’è infine la terza categoria: di eunuchi volontari che, senza usarsi violenza, e perciò con dop¬pio merito, sanno aderire alla richiesta di Dio e vivono da Ange¬li perché l’abbandonato altare della terra abbia ancora fiori e incensi per il Signore.
Costoro negano alla parte inferiore sod¬disfacimento per crescere la parte superiore, onde fiorisca in Cielo nelle aiuole più prossime al trono del Re. E in verità vi di¬co che non sono dei mutilati, ma sono degli esseri dotati di ciò che manca ai più fra gli uomini.
Non oggetto perciò di stolto scherno, ma anzi di grande venerazione. Comprenda ciò chi de¬ve, e rispetti, se può».
Gli ammogliati fra gli apostoli bisbigliano fra loro.
«Che avete?» chiede Gesù.
«E noi? Noi non sapevamo questo e abbiamo preso donna. Ma ci piacerebbe essere come Tu dici…» dice per tutti Bartolomeo.
«Né vi è interdetto farlo d’ora in poi. Vivete in continenza, vedendo nella compagna la sorella, e grande merito ne avrete agli occhi di Dio. Ma affrettate il passo. Per essere a Pella pri¬ma della pioggia».
Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

30 SETTEMBRE 2018 XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

9,38-43.45.47-48 Mc
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 9,38-43.45.47-48
Giovanni gli disse: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo Nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri». Ma Gesù disse: «Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio Nome e subito dopo possa parlare male di Me. Chi non è contro di noi è per noi. Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio Nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare. Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel Regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 5 – Capitolo 40 (6 dicembre 1945)

E guardatevi dallo scandalizzare uno di questi piccoli il cui occhio vede Iddio. Non si deve mai dare scandalo a nessuno. Ma guai, tre volte guai, chi sfiora il candore ignaro dei fanciul¬li! Lasciateli angeli più che potete. Troppo ripugnante è il mon¬do e la carne per l’anima che viene dai Cieli! E il fanciullo, per la sua innocenza, è ancora tutt’anima. Abbiate rispetto all’ani¬ma del fanciullo e al suo stesso corpo, come avete rispetto al luogo sacro.
Sacro è anche il fanciullo perché ha Dio in sé. In ogni corpo è il tempio dello Spirito. Ma il tempio del fanciullo è il più sacro e profondo, è oltre il doppio Velo. Non scuotete nep¬pure le tende della sublime ignoranza della concupiscenza col vento delle vostre passioni.
Io vorrei un fanciullo in ogni famiglia, in mezzo ad ogni ac¬colta di persone, perché fosse di freno alle passioni degli uomi¬ni. Il fanciullo santifica, dà ristoro e freschezza solo col raggio dei suoi occhi senza malizia.
Ma guai a coloro che levano san¬tità al fanciullo col loro modo di agire scandaloso!
Guai a coloro che con le loro licenze danno malizie ai fanciulli!
Guai a coloro che con le loro parole e ironie ledono la Fede in Me dei fanciulli! Sarebbe meglio che a tutti questi si legasse al collo una pietra da macina e si gettassero in mare perché affogassero col loro scandalo.
Guai al mondo per gli scandali che dà agli innocenti! Perché se è inevitabile che avvengano scandali, guai all’uomo che per sua causa li provoca.
Nessuno ha il diritto di fare violenza al suo corpo e alla sua vita. Perché vita e corpo ci vengono da Dio, e solo Lui ha diritto di prenderne delle parti o il tutto. Ma però Io vi dico che se la vostra mano vi scandalizza è meglio che la mozziate, che se il vostro piede vi porta a dare scandalo è bene che voi lo mozzia¬te. Meglio per voi entrare monchi o zoppi nella Vita che essere gettati nel fuoco eterno con le due mani e i due piedi.
E se non basta avere mozzo un piede o una mano, fate che vi siano moz¬zati anche l’altra mano o l’altro piede, per non fare più scanda¬lo e per avere tempo da pentirvi prima di essere lanciati dove il fuoco non si estingue, e rode come un verme in eterno.
E se è il vostro occhio che vi è cagione di scandalo, cavatevelo. È meglio essere orbi di un occhio che essere nell’inferno con tutti e due. Con un occhio solo, o anche senz’occhi, giunti al Cielo vedreste la Luce, mentre coi due occhi scandalosi, tenebre e orrore ve¬dreste nell’inferno. E questo solo.
Ricordatevi tutto questo. Non disprezzate i piccoli, non scandalizzateli, non derideteli.
Sono da più di voi, perché i loro Angeli vedono sempre Iddio che dice loro le verità da rivelare ai fanciulli e a quelli dal cuor di fanciullo. E voi come fanciulli amatevi fra di voi. Senza dispute, senza orgogli. State in pace fra voi. Abbiate spirito di pace con tutti.
Fratelli siete, nel Nome del Signore, e non nemici. Non ci sono, non ci devono essere dei nemici per i discepoli di Gesù. L’unico Nemico è satana. Di quello siate nemici acerrimi, scendendo in battaglia contro di lui e contro i peccati che portano satana nei cuori.
Siate instancabili nel combattere il Male quale che sia la forma che assume. E pazienti. Non c’è limitazione all’operare dell’apostolo, perché non c’è limitazione all’operare del Male. Il demonio non dice mai: “Basta. Ora sono stanco e mi riposo”. Egli è l’instancabile. Passa agile come il pensiero, e più ancora, da questo a quell’uomo, e tenta e prende, e seduce, e tormenta, e non dà pace.
Assale a tradimento e abbatte se non si è più che vigilanti. Delle volte si insedia da conquistatore per debo-lezza dell’assalito, altre vi entra da amico, perché il modo di vi¬vere della preda cercata è già tale da essere alleanza col Nemi¬co.
Tal’altra, scacciato da uno, gira e piomba sul migliore, per farsi vendetta dello smacco avuto da Dio o da un servo di Dio.
Ma voi dovete dire ciò che dice lui: “Io non riposo”. Lui non ri¬posa per popolare l’inferno. Voi non dovete riposare per popolare il Paradiso. Non dategli quartiere. Io vi predico che più lo combatterete più vi farà soffrire. Ma non dovete tenere conto di ciò. Egli può scorrere la terra. Ma nel Cielo non penetra. Perciò là non vi darà più noia. E là saranno tutti quelli che lo hanno combattuto…».
Gesù si interrompe bruscamente e chiede: «Ma insomma, perché date sempre noia a Giovanni? Che vogliono da te?».
Giovanni si fa rosso come una fiamma e Bartolomeo, Tommaso, l’Iscariota chinano la testa vedendosi scoperti.
«Ebbene?» chiede con imperio Gesù.
«Maestro, i miei compagni vogliono che io ti dica una cosa».
«Dilla, dunque».
«Oggi, mentre Tu eri da quel malato, e noi giravamo per il paese come Tu avevi detto, abbiamo visto un uomo, che non è tuo discepolo e che neppure mai abbiamo notato fra quelli che ascoltano la tua dottrina, il quale cacciava dei demoni in tuo Nome da un gruppo di pellegrini che andavano a Gerusalemme. E ci riusciva. Ha guarito uno che aveva un tremito che gli im¬pediva ogni lavoro, e ha reso la favella ad una fanciulla che era stata assalita nel bosco da un demonio in forma di cane che le aveva legato la lingua.
Egli diceva: “Vattene, demonio maledet¬to, in Nome del Signore Gesù il Cristo, Re della stirpe di Davi¬de, Re d’Israele. Egli è il Salvatore e Vincitore. Fuggi davanti al suo Nome!», e il demonio fuggiva realmente. Noi ci siamo ri¬sentiti. E glielo abbiamo proibito. Ci ha detto: “Che faccio di male? Onoro il Cristo liberandogli la via dai demoni che non so¬no degni di vederlo”.
Gli abbiamo risposto: “Non sei esorcista secondo Israele e non sei discepolo secondo Cristo. Non ti è leci¬to farlo”.
Ha detto: “Fare il bene è sempre lecito”, e si è ribellato alla nostra ingiunzione dicendo: “E continuerò a fare ciò che faccio”.
Ecco, volevano ti dicessi questo, specie ora che Tu hai detto che in Cielo saranno tutti quelli che hanno combattuto satana».
«Va bene. Quell’uomo sarà di questi. Lo è. Egli aveva ragione e voi torto. Infinite sono le vie del Signore e non è detto che solo quelli che prendono la via diretta giungano al Cielo. In ogni luogo e in ogni tempo, e con mille modi diversi, ci saranno creature che verranno a Me, magari da una strada inizialmen¬te cattiva. Ma Dio vedrà la loro retta intenzione e li attirerà al¬la via buona. Ugualmente vi saranno alcuni che per ebbrezza concupiscente e triplice usciranno dalla via buona e prenderan¬no una via che li allontana o addirittura li dirotta.
Non dovete perciò mai giudicare i vostri simili. Solo Dio vede. Fate di non uscire voi dalla via buona, dove, più che la vostra volontà, quel¬la di Dio vi ci ha messi. E quando vedete uno che crede nel mio Nome e per esso opera, non lo chiamate straniero, nemico, sa¬crilego. È sempre un mio suddito, amico e fedele, perché crede nel Nome mio, spontaneamente e meglio di molti fra voi. Per questo il mio Nome sulla sua bocca opera prodigi pari ai vostri e forse più. Dio lo ama perché mi ama, e finirà di portarlo al Cielo.
Nessuno che faccia prodigi in mio Nome mi può essere nemico e dire male di Me. Ma col suo operare dà al Cristo onore e testimonianza di Fede. In verità vi dico che credere al mio No¬me è già sufficiente a salvare la propria anima. Perché il mio Nome è Salvezza.
Perciò vi dico: se lo incontrerete ancora, non glielo proibite più. Ma anzi chiamatelo “fratello” perché tale è, anche se è ancora fuori del recinto del mio Ovile. Chi non è con¬tro di Me è con Me. Chi non è contro di voi è con voi».
«Abbiamo peccato, Signore?» chiede attrito Giovanni.
«No. Avete agito per ignoranza, ma senza malizia. Perciò non c’è colpa. Però in avvenire sarebbe colpa, perché ora sape¬te. Ed ora andiamo alle nostre case. La pace sia con voi».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B Mc 9,30 37

Mt 11,25-30   TI RENDO LODE, PADRE, SIGNORE DEL CIELO E DELLA TERRA.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 9,30-37

In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, attraversavano la Galilea, ma Egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’Uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e Lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà». Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni. Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio Nome, accoglie Me; chi accoglie Me, non accoglie Me, ma Colui che mi ha mandato».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 5 – Capitolo 45(9 dicembre 1945)

Gesù è tutto solo sulla terrazza della casa di Tommaso di Cafarnao. Il paese ozia nel sabato, già molto ridotto nei suoi abitanti, perché i più zelanti nelle pratiche di fede sono già partiti per Gerusalemme, e così pure quelli che vi si recano con le famiglie ed hanno bambini che non possono fare marce lun­ghe ed obbligano gli adulti a soste e a brevi tragitti. Così man­ca, nella giornata già di suo un po’ nuvolosa, la nota d’oro dell’infanzia giuliva.

Gesù è molto pensieroso. Seduto su una panchetta bassa, in un angolo, presso il parapetto, le spalle alla scala, quasi nasco­sto da questo parapetto, tiene un gomito sul ginocchio e appog­gia la fronte sulla mano con mossa stanca, quasi di sofferenza.

È interrotto nel suo meditare dalla venuta di un fanciullino che vuole salutarlo prima di partire per Gerusalemme.

«Gesù! Gesù!» chiama ad ogni scalino, non vedendo Gesù perché il muretto lo nasconde alla vista di chi è in basso.

E Gesù è così con­centrato che non sente la vocetta leggera e il passo da colombi­no… di modo che, quando il piccolo arriva sulla terrazza, Egli è ancora in quella posizione di sofferenza. E il bambino ne resta intimorito. Si ferma sul limitare della terrazza, si mette un di­tino fra le labbra e pensa… poi decide e lentamente viene avan­ti… ormai è quasi alle spalle di Gesù… si china per vedere ciò che fa… e dice:

«No, bello! Non piangere! Perché? Per quei brut­ti omacci di ieri? Lo diceva il padre mio con Giairo che sono in­degni di Te. Ma Tu non devi piangere. Io ti voglio bene. E te ne vuole la mia sorellina e Giacomo e Tobiolo, e Giovanna e Maria e Michea e tutti, tutti i bambini di Cafarnao. Non piangere più…», e gli si stringe al collo, carezzoso, finendo: «Altrimenti piangerò anche io, e piangerò sempre… per tutto il viaggio…».

«No, David, non piango più. Tu mi hai consolato. Sei solo? Quando partite?».

«Dopo il tramonto. Colla barca fino a Tiberiade. Vieni con noi. Il padre mio ti vuole bene, sai?».

«Lo so, caro. Ma devo andare da altri bambini… Io ti ringra­zio di essere venuto a salutarmi e ti benedico, piccolo Davide. Diamoci il bacio di addio e poi torna dalla mamma. Lo sa che sei qui?…».

«No. Sono scappato via perché non ti ho visto coi tuoi disce­poli e ho pensato che piangevi».

«Non piango più. Lo vedi. Va’, va’ dalla mamma che forse ti cerca con spavento. Addio. Sta attento agli asini delle carova­ne. Vedi? Ce ne sono fermi da ogni parte».

«Ma non piangi proprio più?».

«No. Non ho più dolore. Tu me lo hai levato. Grazie, bambi­no».

Il bambino scende saltellando la scaletta e Gesù lo osserva. Poi crolla il capo e torna al suo posto nella penosa meditazione di prima.

Passa del tempo. Il sole, nelle schiarite di nuvole, si mostra nella sua discesa. Un passo più pesante sulla scala. Gesù alza il viso. Vede Giairo che sta dirigendosi da Lui. Lo saluta. Ne è salutato con rispetto.

«Come mai qui, Giairo?».

«Signore! Io forse ho sbagliato. Ma Tu che vedi il cuore degli uomini vedrai che nel mio errore non era malanimo. Io non ti ho invitato alla sinagoga per parlare, oggi. Ma ho tanto sofferto per Te, ieri, e tanto ti ho visto soffrire che… non ho osato. Ho interrogato i tuoi. Mi hanno detto: “Vuole stare solo”… Ma poco fa è venuto Filippo, padre di Davide, dicendomi che il suo bam­bino ti ha visto piangere.

Ha detto che Tu lo hai ringraziato di essere venuto da Te. Sono venuto io pure. Maestro, chi ancora è a Cafarnao sta per adunarsi alla sinagoga. E la sinagoga mia è tua, Signore».

«Grazie, Giairo. Oggi parleranno altri in essa. Io verrò come semplice fedele…».

«Né vi saresti tenuto. Tua sinagoga è il mondo. Non vieni proprio, Maestro?».

«No, Giairo. Sto qui col mio Spirito davanti al Padre che mi capisce e che non trova colpe in Me».

Gesù ha un brillio di la­crime nell’occhio mesto.

«Io pure non trovo colpe in Te… Addio, Signore».

«Addio, Giairo».

E Gesù si siede di nuovo, sempre medita­bondo.

Leggera come una colomba sale, nella sua veste bianca, la figlia di Giairo. Guarda… Chiama piano: «Salvatore mio!».

Gesù volge il capo, la vede, le sorride, le dice: «Vieni a Me».

«Sì, mio Signore. Ma io vorrei portarti agli altri. Perché deve essere muta la sinagoga, oggi?».

«Vi è tuo padre e tanti altri per empirla di parole».

«Ma sono parole… La tua è la Parola. Oh! mio Signore! Con la tua parola mi hai restituito alla mamma e al padre mio, ed ero morta. Ma guarda quelli che ora vanno verso la sinagoga! Molti sono più morti di me allora. Vieni a dare loro la Vita».

«Figlia, tu la meritavi; essi… Nessuna parola può dare vita ad uno che per sé elegge la morte»

Sì, mio Signore. Ma vieni lo stesso. C’è anche chi vive sem­pre più, sentendoti… Vieni. Metti la tua mano nella mia e an­diamo. Io sono la testimonianza del tuo potere, e sono pronta a testimoniarlo anche davanti ai tuoi nemici, anche a prezzo che mi venga levata questa seconda vita, che d’altronde non è più mia. Tu me l’hai data, Maestro buono, per pietà di una madre e di un padre. Ma io…».

La fanciulla, una bella fanciulla già don­nina, dai dolci occhioni splendenti nel viso puro e intelligente, si arresta per un’onda di pianto che la strozza, gocciando dalle lunghe ciglia sulle guance.

«Perché piangi, ora?» chiede Gesù ponendole la mano sui capelli.

«Perché… mi è stato detto che Tu dici che morrai…».

«Tutti si muore, fanciulla».

«Ma non così come Tu dici! Io… oh! ora io non avrei voluto essere tornata viva, per non vedere ciò, per non esserci quan­do… questo orrore sarà…».

«Allora non ci saresti neppure stata per darmi la consola­zione che mi dai ora. Non sai che la parola, anche una sola, di un puro e di uno che mi ama, leva ogni pena da Me?».

«Sì? Oh! allora Tu non ne devi più avere perché io ti amo più del padre, della madre e della mia vita!».

«Così è».

«Allora vieni. Non stare solo. Parla per me, per Giairo, per la mamma, per il piccolo Davide, per quelli che ti amano, in­somma. Siamo tanti e saremo più ancora. Ma non stare solo. Viene malinconia» e, materna d’istinto come ogni donna one­sta, termina dicendo: «Con me vicino nessuno ti farà male. Ed io, del resto, ti difenderò».

Gesù si alza e l’accontenta. La mano nella mano, traversano le vie ed entrano nella sinagoga da una porta laterale.

Giairo, che sta leggendo ad alta voce un rotolo, sospende la lettura e dice, inchinandosi profondamente:

«Maestro, te ne prego, per i retti di cuore parla. Preparaci alla Pasqua con la tua santa parola».

«Stai leggendo dei Re, non è vero?».

«Sì, Maestro. Cercavo di fare riflettere che chi si separa dal Dio vero cade in idolatria di vitelli d’oro».

«Bene hai detto. Nessuno ha da dire nulla?».

Si alza un brusio fra la folla. Chi vuole che parli Gesù e chi urla:

«Abbiamo fretta. Si dicano le preghiere e si cessi l’adu­nanza. Andiamo a Gerusalemme, d’altronde, e là udremo i rabbi», e chi urla così sono i molti disertori di ieri, che il sabato ha trattenuto a Cafarnao.

Gesù li guarda con somma mestizia e dice:

«Avete fretta. È vero. Anche Dio ha fretta di giudicarvi. Andate pure».

Poi, vol­gendosi a quelli che li rimproverano, dice:

«Non li sgridate. Ogni pianta dà il suo frutto».

«Signore! Ripeti il gesto di Nehemia! Parla contro di loro, Tu, Sacerdote supremo!» grida sdegnato Giairo, e gli fanno co­ro gli apostoli, i discepoli fedeli e quelli di Cafarnao. Gesù apre le braccia a croce e, pallidissimo, un vero viso straziato eppure dolcissimo, grida:

«Ricordati di Me, o mio Dio! E in bene! E ricordati pure in bene di loro! Io li perdono!».

La sinagoga si svuota, rimanendo i fedeli a Gesù… E vi è uno straniero in un angolo. Un uomo robusto che nes­suno osserva, al quale nessuno parla. Del resto egli pure non parla con nessuno. Guarda solo fissamente Gesù, tanto che il Maestro volge il suo sguardo in quella direzione, lo vede e chie­de a Giairo chi sia.

«Non so. Uno di passaggio certo».

Gesù lo interpella: «Chi sei?».

«Nicolai, proselite di Antiochia, diretto a Gerusalemme per la Pasqua».

«Chi cerchi?».

«Te, Signore Gesù di Nazaret. Ho desiderio di parlarti».

«Vieni».

E avutolo vicino esce con lui nell’orto dietro la sina­goga per ascoltarlo. «Ho parlato ad Antiochia con un tuo discepolo di nome Feli­ce. Ho ardentemente desiderato di conoscerti. Mi ha detto che luogo di sosta tua è Cafarnao, e hai la Madre a Nazaret. E an­che che vai al Getsemani o a Betania. L’Eterno fa che io ti trovi al primo luogo. C’ero ieri… E ti ero presso stamane mentre Tu piangevi pregando, presso la fonte…

Ti amo, Signore. Perché sei santo e mite. Credo in Te. Le tue azioni, le tue parole mi avevano già fatto tuo. Ma la tua misericordia di poco fa, per i colpevoli, mi ha deciso. Signore, accoglimi al posto di chi ti ab­bandona! Vengo a Te con tutto quanto ho: la vita e i beni, tutto».

Si è inginocchiato dicendo le ultime parole. Gesù lo guarda fissamente… poi dice:

«Vieni. Da oggi sarai del Maestro. Andiamo dai tuoi compagni».

Tornano nella sinagoga, dove è un grande parlare dei disce­poli e degli apostoli con Giairo.

«Ecco un nuovo discepolo. Il Padre mi consola. Amatelo co­me un fratello. Andiamo con lui a dividere il pane e il sale. Poi nella notte voi partirete con lui per Gerusalemme e noi con le barche andremo a Ippo… E non dite la mia strada a nessuno, onde Io non sia trattenuto».

Ma intanto il sabato è finito, e quelli che vogliono fuggire Gesù sono sulla spiaggia, per contrattare i traghetti per Tiberiade. E litigano con Zebedeo che non vuole cedere la sua barca, già pronta, vicina a quella di Pietro, per la partenza nel­la notte di Gesù con i dodici.

«Io vado ad aiutarlo!» dice Pietro che è irritato. Gesù, ad evitare urti troppo forti, lo trattiene dicendo:

«An­diamo tutti, non tu solo».

E vanno… E gustano l’amarezza di vedere che i fuggenti se ne vanno senza un saluto, tagliando netto ogni discussione pur di allontanarsi da Gesù… e sentono anche qualche insulto spre­gevole e consigli acri ai fedeli discepoli… Gesù si volge per tornare a casa dopo che la turba ostile se ne è andata, e dice al nuovo discepolo:

«Li senti? Questo è ciò che ti attende venendo a Me».

«Lo so. Per questo resto. Ti avevo visto in un giorno glorioso fra folla che ti acclamava salutandoti “re”. Ho scosso le spalle dicendo: “Un altro povero illuso! Un’altra piaga per Israele!”, e non ti ho seguito perché parevi un re, e neppure a Te pensavo più. Ora ti seguo perché nelle tue parole e nella tua bontà vedo il promesso Messia».

«In verità tu sei più giusto di molti altri. Però ancora una volta lo dico.

Chi spera in Me un re terreno si ritiri.

Chi sente che si vergognerà di Me nel cospetto del mondo accusatore si ri­tiri.

Chi si scandalizzerà di vedermi trattato da malfattore si ri­tiri.

Ve lo dico mentre ancora potete farlo senza essere compro­messi agli occhi del mondo. Imitate coloro che fuggono su quelle barche, se non vi sentite di condividere la mia sorte nell’obbro­brio per poterla condividere poi nella gloria. Perché questo sta per avvenire: il Figlio dell’Uomo sta per essere accusato e messo poi nelle mani degli uomini, i quali Lo uccideranno come un malfattore e crederanno di averlo vinto. Ma inutilmente avranno fatto il loro delitto. Perché Io risorgerò dopo tre giorni e trion­ferò. Beati quelli che sapranno essere con me fino alla fine!».

Sono giunti alla casa e Gesù affida ai discepoli il nuovo venuto, salendo da solo dove era prima. Anzi entra nella stanza superiore e si siede, pensando. Salgono dopo un poco l’Iscariota con Pietro.

«Maestro, Giuda mi ha fatto riflettere a delle cose giuste».

«Dille».

«Tu prendi questo Nicolai, un proselite, e del quale ignoria­mo il passato. Già tante noie abbiamo avuto… e abbiamo. E ora? Che sappiamo di lui? Possiamo fidarci? Giuda giustamen­te dice che potrebbe essere una spia mandata dai nemici».

«Ma sì! Un traditore! Perché non vuole dire da dove viene e chi lo manda? Io l’ho interrogato, ma dice solo: “Sono Nicolai di Antiochia, proselite”. Io ho fieri sospetti».

«Ti ricordo che egli viene perché mi vede tradito».

«Può essere menzogna! Può essere un tradimento!».

«Chi dovunque vede menzogna o vede tradimento è anima capace di tali cose, perché si misura sul proprio modello» dice serio Gesù.

«Signore, Tu mi offendi!» grida Giuda sdegnato.

«Lasciami, dunque, e vai con chi mi abbandona».

Giuda esce sbatacchiando la porta con mal modo.

«Però, Signore, Giuda non ha tutti i torti… E poi non vorrei che… quell’uomo dicesse di Giovanni. Non può essere che l’uo­mo di Endor il Felice che ti manda questo…».

«Così è certamente. Ma Giovanni di Endor è prudente ed ha ripreso il suo antico nome. Sta tranquillo, Simone. Un uomo che si fa discepolo, perché sente che la mia causa umana è già persa, non può essere che uno retto di spirito. Ben diverso è quello di colui che ora è uscito (Giuda), e che è venuto a Me perché spe­rava di essere il principe di un re potente… e non si persuade che Io sono Re solo per lo spirito…».

«Sospetti di lui, Signore?».

«Di nessuno. Ma in verità ti dico che dove giungerà Nicolai, discepolo e proselite, Giuda di Simone apostolo, israelita e giudeo, non giungerà».

«Signore, io avrei voglia di interrogare Nicolai su… Giovan­ni».

«Non lo fare. Giovanni non gli ha dato incarichi perché è prudente. Non essere tu l’imprudente».

«No, Signore. Te lo chiedevo soltanto…».

«Scendiamo ad affrettare le cene. A notte alta partiremo… Simone… mi ami tu?».

«Oh! Maestro! Ma che dici?».

«Simone, il mio Cuore è più scuro del lago in una notte di tempesta e tanto agitato come quello…».

«Oh! Maestro mio!… Che ti devo dire, se io sono ancor più… scuro e agitato di Te? Ti dirò: “Ecco il tuo Simone. E se ti può dare conforto il mio cuore, prenditelo”. Non ho che questo, ma è sincero».

Gesù gli pone per un momento la testa sul petto ampio e ro­busto e poi si alza e scende, con Pietro.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

16 SETTEMBRE 2018 XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

 Ma voi chi dite che io sia

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 8,27-35
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente che Io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti». Ma Egli replicò: «E voi chi dite che Io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E impose loro severamente di non parlare di Lui a nessuno. E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’Uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro Lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma Egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da Me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro di Me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 5 – Capitolo 31.

La pianura fiancheggia il Giordano prima che questo si getti nel lago di Merom. Una bella pianura su cui di giorno in giorno crescono più rigogliosi i cereali e s’infiorano gli alberi da frutto. I colli oltre i quali è Cedes sono ora alle spalle dei pellegrini, che infreddoliti camminano lesti nelle prime luci del giorno, guardando con desiderio il sole che ascende e cer¬candolo non appena il suo raggio tocca i prati e carezza le fronde. Devono avere dormito all’aperto, al massimo in un pa¬gliaio, perché le vesti sono sgualcite e conservano festuche di paglia e foglie secche che essi si vanno levando man mano che le scoprono nella luce più forte.
Il fiume si annuncia per il suo fruscio, che pare forte nel si¬lenzio mattutino della campagna e per una folta riga di alberi dalle foglie novelle, che tremolano alla lieve brezza del mattino. Ma ancora non si vede, sprofondato come è nella pianura piatta. Quando le sue acque azzurre, ingrossate da numerosi torrentelli che scendono dai colli occidentali, si vedono lucci¬care fra il verde novello delle sponde, si è quasi sulla riva.
«Facciamo la riva fino al ponte, oppure passiamo il fiume qui?», chiedono a Gesù che era solo, meditabondo, e che si è fermato ad attenderli.
«Vedete se c’è barca per passare. È meglio andare di qui…».
«Sì. Al ponte che è proprio sulla via per Cesarea Paneade potremmo incontrare da capo qualcuno messo sulle tracce», osserva Bartolomeo accigliato, guardando Giuda.
«No. Non mi guardare male. Io non sapevo di venire qui e non ho detto nulla. Era facile capire che da Sefet Gesù sarebbe andato alle tombe dei rabbi e a Cedes. Ma mai avrei pensato volesse spingersi fino alla capitale di Filippo. Perciò essi lo ignorano. E non li troveremo per mia colpa né per loro volontà. A meno che non abbiano Belzebù che li conduce», dice calmo e umile l’Iscariota.
«Questo è bene. Perché con certa gente… Bisogna avere oc¬chio e misurare le parole, non lasciare indizi dei nostri proget¬ti. Stare attenti a tutto si deve. Altrimenti la nostra evangeliz¬zazione si tramuterà in perpetua fuga», ribatte Bartolomeo.
Tornano Giovanni e Andrea. Dicono: «Abbiamo trovato due barche. Ci passano per una dramma a barca. Scendiamo sul¬l’argine».
E nelle due barchette, in due riprese, passano sull’altra sponda. La pianura piatta e fertile li accoglie anche qui. Una pianura fertile, ma poco popolata. Solo i contadini che la colti¬vano hanno casa in essa.
«Umh! Come faremo per il pane? Io ho fame. E qui… non ci sono neppure le spighe filistee… Erba e foglie, foglie e fiori. Non sono una pecorella né un’ape», mormora Pietro ai compa¬gni, che sorridono dell’osservazione.
Giuda Taddeo si volta -era un poco più avanti- e dice: «Compreremo pane al primo paese».
«Sempre che non ci facciano fuggire», termina Giacomo di Zebedeo.
«Guardatevi, voi che dite di stare attenti a tutto, dal pren¬dere il lievito dei farisei e dei sadducei. Mi sembra che lo stiate facendo, senza riflettere a ciò che fate di male. State attenti! Guardatevi!», dice Gesù.
Gli apostoli si guardano l’un l’altro e bisbigliano: «Ma che dice? Il pane ce lo ha dato quella donna del sordomuto e l’oste di Cedes. E questo è ancora qui. L’unico che abbiamo. Né sap¬piamo se potremo trovarne da prendere per la nostra fame. Co¬me dunque dice che comperiamo da sadducei e farisei pane col loro lievito? Forse non vuole che si comperi in questi paesi…».
Gesù, che era di nuovo avanti tutto solo, torna a voltarsi.
«Perché avete paura di rimanere senza pane per la vostra fame? Anche se tutti qui fossero sadducei e farisei, non rimar¬reste senza cibo per il mio consiglio. Non è di quel lievito che è nel pane che Io parlo. Perciò potrete comperare dove vi pare il pane per i vostri ventri. E se nessuno ve lo volesse vendere, non rimarreste senza pane lo stesso.
Non vi ricordate dei cinque pani con cui si sfamarono cinquemila persone? Non vi ricorda¬te che ne raccoglieste dodici panieri colmi di avanzi? Potrei fa¬re per voi, che siete dodici e avete un pane, ciò che feci per cin¬quemila con cinque pani.
Non capite a quale lievito alludo? A quello che gonfia nel cuore dei farisei, sadducei e dottori, con¬tro di Me. È odio, quello. Ed è eresia.
Ora voi state andando verso l’odio come fosse entrato in voi parte del lievito farisai¬co. Non si deve odiare neppure chi ci è nemico. Non aprite neppure uno spiraglio a ciò che non è Dio. Dietro al primo en¬trerebbero altri elementi contrari a Dio. Talora, per troppo vo¬lere combattere con armi uguali i nemici, si finisce a perire o a essere vinti. E, vinti che siate, potreste per contatto assorbire le loro dottrine. No. Abbiate carità e riservatezza. Voi non ave¬te in voi ancora tanto da poterle combattere, queste dottrine, senza esserne infettati. Perché alcuni elementi di esse li avete pure voi. E l’astio per loro ne è uno. Ancora vi dico che essi po¬trebbero cambiare metodo per sedurvi e levarvi a Me, usandovi mille gentilezze, mostrandosi pentiti, desiderosi di fare pace. Non dovete sfuggirli. Ma quando essi cercheranno darvi le loro dottrine, sappiate non accoglierle. Ecco quale è il lievito di cui parlo. Il malanimo, che è contro l’amore, e le false dottrine. Vi dico: siate prudenti».
«Quel segno che i farisei chiedevano ieri era “lievito”, Mae¬stro?», chiede Tommaso.
«Era lievito e veleno».
«Hai fatto bene a non darglielo».
«Ma glielo darò un giorno».
«Quando? Quando?», chiedono curiosi.
«Un giorno…».
«E che segno è? Non lo dici neppure a noi, i tuoi apostoli? Perché lo si possa riconoscere subito», chiede voglioso Pietro.
«Voi non dovreste avere bisogno di un segno».
«Oh! non per poter credere in Te! Non siamo la gente che ha molti pensieri, noi. Noi ne abbiamo uno solo: amare Te», di¬ce veementemente Giacomo di Zebedeo.
«Ma la gente, voi che l’avvicinate, così alla buona, più di Me, e senza la soggezione che Io posso incutere, che dice che Io sia? E come definisce il Figlio dell’Uomo?».
«Chi dice che Tu sei Gesù, ossia il Cristo, e sono i migliori. Gli altri ti dicono Profeta, altri solo Rabbi, e altri, Tu lo sai, ti dicono pazzo e indemoniato».
«Qualcuno però usa per Te il nome stesso che Tu ti dai, e ti dice: “Figlio dell’Uomo”».
«E alcuni anche dicono che ciò non può essere, perché il Fi¬glio dell’Uomo è ben altra cosa. Né è sempre negazione questa. Perché in fondo essi ammettono che Tu sei da più del Figlio dell’Uomo: sei il Figlio di Dio. Altri invece dicono che Tu non sei neppure il Figlio dell’Uomo, ma un povero uomo che satana agita o che sconvolge la demenza. Tu vedi che i pareri sono molti e tutti diversi», dice Bartolomeo.
«Ma per la gente chi è dunque il Figlio dell’Uomo?».
«È un uomo nel quale siano tutte le virtù più belle dell’uo¬mo, un uomo che raduni in sé tutti i requisiti di intelligenza, sapienza, Grazia che pensiamo fossero in Adamo, e taluni a questi requisiti aggiungono quello del non morire. Tu sai che già circola la voce che Giovanni Battista non sia morto. Ma so¬lo trasportato altrove dagli Angeli, e che Erode, per non dirsi vinto da Dio, e più ancora Erodiade, abbiano ucciso un servo e, sottratto il capo di lui, abbiano mostrato come cadavere del Battista il corpo mutilato del servo. Tante ne dice la gente!
Perciò pensano in molti che il Figlio dell’Uomo sia o Geremia, o Elia, o qualcuno dei Profeti e anche lo stesso Battista, nel quale era Grazia e sapienza, e si diceva il Precursore del Cristo. Cristo: l’Unto di Dio. Il Figlio dell’Uomo: un grande uomo nato dall’uomo. Non possono ammettere in molti, o non lo vogliono ammettere, che Dio abbia potuto mandare suo Figlio sulla Ter¬ra. Tu lo hai detto ieri: “Crederanno solo coloro che sono con¬vinti dell’infinita bontà di Dio”. Israele crede nel rigore di Dio più che nella sua bontà…», dice ancora Bartolomeo.
«Già. Si sentono infatti tanto indegni che giudicano impos¬sibile che Dio sia tanto buono da mandare il suo Verbo per sal¬varli. Fa ostacolo al loro credere in ciò lo stato degradato della loro anima», conferma lo Zelote.
E aggiunge: «Tu lo dici che sei il Figlio di Dio e dell’Uomo. Infatti in Te è ogni Grazia e sa¬pienza come Uomo. Ed io credo che realmente chi fosse nato da un Adamo in Grazia ti avrebbe somigliato per bellezza e intelli-genza ed ogni altra dote. E in Te brilla Dio per la potenza. Ma chi lo può credere fra coloro che si credono dèi e misurano Dio su se stessi, nella loro superbia infinita?
Essi, i crudeli, gli odia¬tori, i rapaci, gli impuri, non possono certo pensare che Dio ab¬bia spinto la sua dolcezza a dare Se stesso per redimerli, il suo amore a salvarli, la sua generosità a darsi in balìa dell’uomo, la sua purezza a sacrificarsi fra noi. Non lo possono, no, essi che sono così inesorabili e cavillosi nel cercare e punire le colpe».
«E voi chi dite che Io sia? Ditelo proprio per vostro giudizio, senza tenere conto delle mie parole o di quelle altrui. Se foste obbligati a giudicarmi, che direste che Io sia?».
«Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», grida Pietro in¬ginocchiandosi a braccia tese verso l’alto, verso Gesù, che lo guarda con un volto tutto luce e che si curva a rialzarlo per ab¬bracciarlo dicendo:
«Te beato, o Simone, figlio di Giona! Perché non la carne né il sangue te lo ha rivelato, ma il Padre mio che è nei Cieli. Dal primo giorno che venisti da Me ti sei fatto questa domanda, e poiché eri semplice e onesto hai saputo comprendere ed accettare la risposta che ti veniva dai Cieli.
Tu non vedesti manifestazioni soprannaturali come tuo fratello e Giovanni e Giaco¬mo. Tu non conoscevi la mia santità di Figlio, di operaio, di cit¬tadino come Giuda e Giacomo, miei fratelli. Tu non ricevesti miracolo né vedesti farne, né ti diedi segno di potenza come fe¬ci e come videro Filippo, Natanaele, Simon Cananeo, Tomma¬so, Giuda. Tu non fosti soggiogato dal mio volere come Levi il pubblicano. Eppure tu hai esclamato: “Egli è il Cristo!”.
Dalla prima ora che mi hai visto, hai creduto, né mai la tua Fede fu scossa. Per questo Io ti ho chiamato Cefa. E per questo su te, Pietra, Io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei. A te darò le chiavi del Regno dei Cieli. E qualunque cosa avrai legata sulla Terra sarà legata anche nei Cieli. E qualunque cosa avrai sciolta sulla Terra sarà sciolta anche nei Cieli, o uomo fedele e prudente di cui ho potuto provare il cuore. E qui, da questo momento, tu sei il capo, al quale va data ubbidienza e rispetto come ad un altro Me stesso. E tale lo proclamo davanti a tutti voi».
Se Gesù avesse schiacciato Pietro sotto una grandine di rimproveri, il pianto di Pietro non sarebbe stato così alto. Piange tutto scosso dai singhiozzi, col volto sul petto di Gesù. Un pianto che avrà solo riscontro in quello infrenabile del suo dolore di rinnegatore di Gesù. Ora è pianto fatto di mille senti¬menti umili e buoni… Un altro poco dell’antico Simone -il pescatore di Betsaida che al primo annuncio del fratello Andrea aveva riso dicendo: «Il Messia appare a te!… Proprio!», incredulo e ridanciano- un poco tanto dell’antico Simone si sgretola sot¬to quel pianto per far apparire, sotto la crosta assottigliata della sua umanità, sempre più nettamente il Pietro, pontefice della Chiesa di Cristo.
Quando alza il viso, timido, confuso, non sa che fare un atto per dire tutto, per promettere tutto, per rinforzarsi tutto al nuovo ministero: quello di gettare le sue braccia corte e mu¬scolose al collo di Gesù e obbligarlo a chinarsi per baciarlo, mescolando i suoi capelli, la sua barba, un poco ispidi e briz¬zolati, ai capelli e alla barba morbidi e dorati di Gesù, guardandolo poi con uno sguardo adorante, amoroso, supplichevo¬le, degli occhi un poco bovini, lucidi e rossi delle lacrime spar¬se, tenendo nelle sue mani callose, larghe, tozze, il viso ascetico del Maestro curvo sul suo, come fosse un vaso da cui fluisse li¬quore vitale… e beve, beve, beve dolcezza e Grazia, sicurezza e forza, da quel viso, da quegli occhi, da quel sorriso…
Si sciolgono infine, tornando ad andare verso Cesarea di Filippo, e Gesù dice a tutti: «Pietro ha detto la verità. Molti l’intuiscono, voi la sapete. Ma voi, per ora, non dite ad alcuno ciò che è il Cristo nella verità completa di ciò che sapete. La¬sciate che Dio parli nei cuori come parla nel vostro. In verità vi dico che quelli che alle mie asserzioni o alle vostre aggiungono la Fede perfetta e il perfetto amore, giungono a sapere il vero significato delle parole “Gesù, il Cristo, il Verbo, il Figlio dell’Uomo e di Dio”».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta.

XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B

7,31-37 Mc Effatá
Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 7,31-37
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e Lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più Egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’ “Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 4 – Capitolo 29

Non so dove abbiano pernottato i pellegrini. So che è di nuovo mattina, che sono per via, sempre per luoghi montuosi, e che Gesù ha la mano fasciata e Giacomo di Alfeo ha fasciata la fronte, mentre Andrea zoppica forte e Giacomo di Zebedeo è senza la sacca, che ha preso suo fratello Giovanni.
Per due volte Gesù ha chiesto: «Ce la fai a camminare, Andrea?».
«Sì, Maestro. Cammino male per la fasciatura. Ma il dolore non è forte». E la seconda volta aggiunge: «E la tua mano, Maestro?».
«Una mano non è una gamba. Sta a riposo e duole poco».
«Uhm! Poco non credo, così gonfia e aperta fino all’osso come è… L’olio fa bene. Ma forse era meglio se di quell’unguento di tua Madre ce ne facevamo dare un poco da…».
«Da mia Madre. Hai ragione». dice svelto Gesù, sentendo ciò che sta per uscire dalle labbra di Pietro, che arrossisce confuso, guardando con uno sguardo così desolato il suo Gesù che Egli ne sorride e appoggia proprio la mano ferita sulla spalla di Pietro per attirarlo a sé.
«Ti farà male a stare così».
«No, Simone. Tu mi vuoi bene e il tuo amore è un grande olio salutare».
«Oh! allora, se è per questo, dovresti già essere guarito! Abbiamo sofferto tutti di vederti trattato così, e c’è chi ha pianto».
E Pietro guarda Giovanni e Andrea…
«Olio e acqua sono buona medicina, ma il pianto d’amore e di pietà è più potente di tutto. E, vedete? Io sono molto più lieto oggi di ieri. Perché oggi so quanto siete ubbidienti e amorosi di Me. Tutti», e Gesù li guarda col suo sguardo soave, nella cui ormai abituale mestizia è una luce tenue di gioia, questa mattina.
«Ma che iene! Mai visto un odio tale!» dice Giuda d’Alfeo. «Dovevano essere tutti giudei».
«No, fratello. Non c’entra la regione. L’odio è uguale dappertutto. Ricordati che a Nazareth, da mesi, fui cacciato e mi si voleva prendere a colpi di pietra. Non te lo ricordi?» dice calmo Gesù, e ciò serve a consolare quelli che sono giudei delle parole del Taddeo.
Tanto consolare che l’Iscariota dice: «Ma questo lo dirò. Oh! se lo dirò! Non facevamo nulla di male. Non abbiamo reagito e Lui ha parlato tutto amore all’inizio. E a sassate, come serpi, ci hanno preso. Lo dirò».
«E a chi mai, se sono tutti contro di noi?».
«Lo so io a chi. Intanto, non appena vedo Stefano o Erma, glielo dico. Lo saprà subito Gamaliele. Ma a Pasqua lo dirò a chi so io. Dirò: “Non è giusto fare così. Siete illegali nel vostro furore. Voi siete colpevoli, non Lui”».
«Faresti meglio a non andarci molto vicino a quei signori!… Mi sembra che anche tu sia in colpa agli occhi loro» consiglia saggiamente Filippo.
«È vero. Meglio è che non li avvicini mai più. Sì. È meglio. Ma a Stefano lo dirò. Lui è buono e non avvelena…».
«Lascia andare, Giuda. Non muteresti nulla in meglio. Io ho perdonato. Non ci pensiamo più» dice calmo e persuasivo Gesù.
Due volte, incontrando ruscelli, tanto Andrea come i due Giacomi si bagnano le fasce che hanno sulle contusioni. Gesù no. Prosegue tranquillo come non sentisse dolore.
Pure il dolore deve essere sensibile se quando si fermano per mangiare, deve chiedere ad Andrea di spezzargli il pane; se, quando gli si slaccia un sandalo, deve pregare Matteo di legarglielo di nuovo…; se, soprattutto, nello scendere per una scorciatoia precipitosa e urtando in un tronco perché gli scivola il piede, non può reprimere un lamento, e se gli si arrossa di nuovo la benda di sangue, tanto che alla prima casa di un paese, dove giungono verso il tramonto, si fermano chiedendo acqua e olio per medicargli la mano che appare, levate le bende, molto gonfia, bluastra nel dorso con la ferita rosseggiante al centro.
Mentre aspettano che la donna della casa accorra con quanto desiderano, si curvano tutti ad osservare la mano ferita e fanno i loro commenti. Ma Giovanni si ritira un poco più in là a nascondere il suo pianto.
Gesù lo chiama: «Vieni qui. Non è un gran male. Non piangere».
«Lo so. Lo avessi io non piangerei. Ma l’hai Tu. E non lo dici tutto il male che ti fa questa cara mano, che non ha mai nuociuto a nessuno» risponde Giovanni, al quale Gesù ha abbandonato la sua mano ferita, che Giovanni carezza dolcemente sulla punta delle dita, sul polso, tutto intorno alla lividura, e che volta dolcemente per baciarla sul palmo e appoggiare la sua guancia nel cavo della mano dicendo:
«Scotta… Oh! quanto ti deve dolere!», e lacrime di pietà cadono su essa.
La donna porta l’acqua e l’olio, e con un lino Giovanni vuole detergere il sangue che imbratta la mano, e con delicatezza fa scorrere l’acqua tiepida sul posto ferito e poi la unge, la fascia con strisce pulite e sulla legatura pone un bacio. Gesù gli mette l’altra mano sulla testa china.
La donna chiede: «È tuo fratello?».
«No. È il mio Maestro. Il nostro Maestro».
«Da dove venite?» chiede ancora agli altri.
«Dal mare di Galilea».
«Lontano! Perché?».
«Per predicare la Salute».
«È quasi sera. Fermatevi in casa mia. Casa da poveri. Ma di onesti. Posso darvi del latte non appena tornano i miei figli con le pecore. Il mio uomo vi accoglierà volentieri».
«Grazie, donna. Se il Maestro vorrà, resteremo qui».
La donna va alle sue faccende mentre gli apostoli chiedono a Gesù cosa devono fare.
«Sì. È bene. Domani andremo a Cedes e poi verso Paneade. Ho pensato, Bartolomeo. Conviene fare come tu dici. Mi hai dato un buon consiglio. Spero trovare così altri discepoli e mandarli avanti a Me a Cafarnao. So che a Cedes devono ormai esservene stati alcuni, fra i quali i tre pastori libanesi».
Torna la donna e chiede: «Ebbene?».
«Sì donna buona. Restiamo qui per la notte».
«E per la cena. Oh! graditela. Non mi pesa. E poi ci è stata insegnata la misericordia da alcuni che sono i discepoli di quel Gesù di Galilea, detto Messia, che fa tanti miracoli e predica il Regno di Dio. Ma qui non c’è mai venuto. Forse perché siamo ai confini siro-fenici. Ma sono venuti i suoi discepoli. Ed è già molto. Per la Pasqua noi del paese vogliamo andare tutti in Giudea per vedere se lo vediamo questo Gesù. Perché abbiamo dei malati e i discepoli ne hanno guariti alcuni, ma altri no. E fra questi c’è un giovane figlio di un fratello della moglie di mio cognato».
«Che ha?» chiede Gesù sorridendo.
«È… Non parla e non sente. Nato così. Forse un demonio è entrato nel seno della madre per farla disperare e soffrire. Ma è buono, come indemoniato non fosse. I discepoli hanno detto che per lui ci vuole Gesù di Nazareth, perché deve essere con qualche cosa di mancante, e solo questo Gesù… Oh! ecco i miei figli e il mio sposo! Melchia, ho accolto questi pellegrini in nome del Signore e stavo raccontando di Levi… Sara, va’ presto a mungere il latte e tu, Samuele, scendi a prendere olio e vino nella grotta, e porta mele dal solaio. Spicciati, Sara, prepareremo i letti nelle stanze alte».
«Non ti affaticare, donna. Staremo bene da per tutto. Potrei vedere l’uomo di cui parlavi?».
«Sì… Ma… Oh! Signore! Ma sei forse Tu il Nazareno?».
«Sono Io».
La donna crolla in ginocchio strillando: «Melchia, Sara, Samuele! Venite ad adorare il Messia! Che giorno! Che giorno! E io l’ho in casa mia! E gli parlavo così! E gli ho portato l’acqua per lavare la ferita… Oh!…»; è strozzata di emozione. Ma poi corre al catino e lo vede vuoto: «Perché avete gettato quell’acqua? Era santa! Oh! Melchia! Il Messia da noi».
«Sì. Ma sta buona, donna, e non lo dire a nessuno. Va’ piuttosto a prendere il sordomuto e portamelo qui…» dice Gesù sorridendo…
…E presto Melchia torna col giovane sordomuto e con i parenti di lui e mezzo paese almeno… La madre dell’infelice adora Gesù e Lo supplica.
«Sì, sarà come tu vuoi», e preso per mano il sordomuto lo attira un po’ fuori dalla folla che si accalca, e che gli apostoli, per pietà della mano ferita, si danno da fare a respingere. Gesù si accosta bene il sordomuto, gli pone gli indici nelle orecchie e la lingua sulle labbra socchiuse, poi, alzando gli occhi al cielo che imbruna, alita sul volto del sordomuto e grida forte: «Apritevi!», e lo lascia andare.
Il giovane lo guarda un momento mentre la folla bisbiglia. È sorprendente la mutazione del volto prima apatico e mesto del sordomuto e poi sorpreso e sorridente. Si porta le mani alle orecchie, le preme e le stacca… Si persuade che sente per davvero e apre la bocca dicendo:
«Mamma! Io sento! Oh! Signore, io Ti adoro!».
La folla è presa dal solito entusiasmo e tanto più lo è perché si chiede:
«E come può già parlare se mai udì parola da quando è nato? Un miracolo nel miracolo! Gli ha slegato la favella e aperto le orecchie e insieme lo ha istruito a parlare. Viva Gesù di Nazareth! Osanna al Santo, al Messia!».
E si premono contro di Lui che alza la sua mano ferita a benedire, mentre alcuni, istruiti dalla donna della casa, si bagnano il viso o le membra con le superstiti gocce rimaste nel catino.
Gesù li vede e grida: «Per la vostra Fede siate tutti guariti. Andate alle vostre case. Siate buoni, onesti. Credete nella parola del Vangelo. E tenete ciò che sapete per voi finché sia l’ora di bandirlo sulle piazze e per le vie della terra. La mia pace sia con voi».
Ed entra nella vasta cucina, dove splende il fuoco e tremolano le luci di due lucerne.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

2 SETTEMBRE 2018 XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B Mc 7,1-8,14-15,21-23

Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 7,1-8.14-15.21-23

Allora si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate -i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli antichi, e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame- quei farisei e scribi Lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?». Ed Egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il Comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo». Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 4 – Capitolo 166  (12 ottobre 1945)

La città di Naim è in gran festa. Essa ospita Gesù. Per la prima volta dopo il miracolo del giovane Daniele risuscitato da morte.

Preceduto e seguito da un buon numero di persone, Gesù traversa, benedicendo, la città. A quelli di Naim si sono unite persone di altri luoghi, provenienti da Cafarnao, dove erano andati a cercarlo e da dove erano stati mandati a Cana e da qui a Naim. Ho l’impressione che, ora che ha molti discepoli, Gesù abbia costituito come una rete di informazioni, di modo che i pellegrini che Lo cercano Lo possano trovare nonostante il suo continuo spostarsi, sebbene di poche miglia al giorno, quanto lo consente la stagione e la brevità delle giornate. E fra questi, che sono venuti a cercarlo da altrove, non mancano farisei e scribi, in apparenza ossequienti…

Gesù è ospite in casa del giovane risuscitato. Nella stessa sono convenuti i notabili del paese. E la madre di Daniele, vedendo gli scribi e i farisei -sette come i peccati capitali- tutta umile li invita, scusandosi di non poter offrire loro più degna dimora.

«C’è il Maestro, c’è il Maestro, donna. Ciò dà valore anche a una spelonca. Ma la tua casa è ben più di una spelonca, e noi vi entriamo dicendo: “Pace a te e alla tua casa”».

Infatti la donna, pur non essendo certo una ricca, si è fatta in quattro per onorare Gesù. Certo sono entrate in lizza tutte le ricchezze di Naim, messe cooperativamente in moto per addobbare casa e mensa. E le rispettive proprietarie occhieggiano, da tutti i punti possibili, la comitiva che passa per il corridoio di ingresso diretta a due stanze prospicienti, nelle quali la padrona di casa ha approntato le tavole. Forse hanno chiesto questo solo, per il prestito delle stoviglie e tovaglie e sedili, e per la loro prestazione d’opera ai fornelli: questo di vedere da vicino il Maestro e respirare dove Egli respira.

Ed ora si affacciano qua e là, rosse, infarinate, incenerate, o con le mani sgocciolanti, a seconda delle loro incombenze culinarie; sbirciano, si prendono il loro scampolino di sguardo divino, la loro briciolina di voce divina, bevono la dolce benedizione e la dolce figura con lo sguardo e l’udito, e tornano ancor più rosse ai loro fornelli, madie e acquai: felici.

Felicissima, poi, quella che con la padrona di casa offre i bacili delle abluzioni agli ospiti di riguardo. È una giovanetta bruna nei capelli e negli occhi, ma dal colorito soffuso di rosa. E ancor più rosa diventa quando la padrona di casa avverte Gesù che essa è la sposa di suo figlio e presto verranno compiute le nozze.

«Abbiamo atteso la tua venuta a compirle, perché tutta la casa fosse santificata da Te. Ma ora benedici lei pure, acciò sia buona moglie in questa casa».

Gesù la guarda e, poiché la sposina si curva, le impone le mani dicendo: «Rifioriscano in te le virtù di Sara, Rebecca e Rachele, e da te si generino dei veri figli di Dio, per la sua gloria e per la letizia di questa dimora».

Ormai Gesù e i notabili sono tutti purificati ed entrano nella stanza del convito con il giovane padrone di casa, mentre gli apostoli con altri uomini di Naim meno influenti entrano nella stanza di fronte. E il convito ha luogo.

Capisco dai discorsi che, prima che avesse inizio la visione, Gesù aveva predicato e guarito in Naim. Ma i farisei e scribi poco si soffermano su questo, mentre tempestano di domande quelli di Naim per sapere particolari sulla malattia di cui era morto Daniele, e quante ore erano intercorse dalla morte alla risurrezione, e se era stato completamente imbalsamato, ecc. ecc.

Gesù si astrae da tutte queste indagini parlando col risuscitato, che sta benone e che mangia con un formidabile appetito. Ma un fariseo chiama Gesù per chiedergli se Egli era al corrente della malattia di Daniele.

«Venivo da Endor per puro caso, avendo voluto accontentare Giuda di Keriot come avevo accontentato Giovanni di Zebedeo. Non sapevo neppure di avere a passare per Naim quando avevo iniziato il cammino per il pellegrinaggio pasquale» risponde Gesù.

«Ah! non eri andato apposta a Endor?» chiede stupito uno scriba.

«No. Non ne avevo la minima volontà di andarvi, allora».

«E come mai allora vi andasti?».

«L’ho detto, perché Giuda di Simone voleva andarvi».

«E perché questo capriccio?».

«Per vedere la grotta della maga».

«Forse Tu ne avevi parlato…».

«Mai! Non ne avevo motivo».

«Voglio dire… forse hai spiegato con quell’episodio altri sortilegi, per iniziar i tuoi discepoli a…».

«A che? Per iniziare alla santità non c’è bisogno di pellegrinaggi. Una cella o una landa deserta, un picco montuoso o una casa solitaria, servono ugualmente. Basta che in chi insegna sia autorità e santità, e in chi ascolta volontà di santificarsi. Io insegno questo e non altro».

«Ma i miracoli che ora essi, i discepoli, fanno, che sono se non prodigi e…».

«E volere di Dio. Questo solo. E più Santi diverranno e più ne faranno. Con l’orazione, il sacrificio e la loro ubbidienza a Dio. Non con altro».

«Ne sei sicuro?» chiede uno scriba tenendosi il mento nella mano e sbirciando di sotto in su Gesù. E il suo tono è discretamente ironico e anche compassionevole.

«Io queste armi ho dato loro e queste dottrine. Se poi fra essi, e sono tanti, ve ne sarà alcuno che si corrompe con indegne pratiche, per superbia o altro, non da Me sarà venuto il consiglio. Io posso pregare per vedere di redimere il colpevole. Posso impormi dure penitenze espiatorie per ottenere che Dio lo aiuti particolarmente con lumi della sua sapienza a vedere l’errore. Posso gettarmi ai suoi piedi per supplicarlo, con tutto il mio amore di Fratello, Maestro e Amico, di lasciare la colpa. Né penserei di avvilirmi a far ciò, perché il prezzo di un’anima è tale che merita subire ogni umiliazione per ottenere quest’anima. Ma di più non posso fare. E, se ciononostante la colpa durerà, pianto e sangue gemeranno occhi e cuore del tradito e incompreso Maestro e Amico».

Che dolcezza e che tristezza nella voce e nell’aspetto di Gesù!

Scribi e farisei si guardano fra di loro. Tutto un gioco di sguardi. Ma non dicono altro in merito.

Interrogano invece il giovane Daniele. Si ricorda cosa è la morte? Che provò tornando alla vita? E che vide nello spazio fra morte e vita?

«Io so che ero malato mortalmente e patii l’agonia. Oh! tremenda cosa! Non mi ci fate pensare!… Eppure verrà il giorno in cui la dovrò risoffrire! Oh! Maestro!…». Lo sguardo terrorizzato, sbianchendo al pensiero di dovere morire di nuovo.

Gesù lo conforta dolcemente dicendo: «La morte è di per sé espiazione. Tu, morendo due volte, sarai completamente mondo da macchie e gioirai subito del Cielo. Però questo pensiero ti faccia vivere da santo, onde solo involontarie e veniali colpe siano in te».

Ma i farisei tornano all’attacco: «Ma cosa provasti tornando alla vita?».

«Nulla. Mi sono trovato vivo e sano come mi fossi svegliato da un lungo sonno pesante».

«Ma ti ricordavi di esser morto?».

«Mi ricordavo che ero stato molto malato, fino all’agonia, e basta».

«E che ricordi dell’altro mondo?».

«Niente. Non c’è niente. Un buco nero, uno spazio vuoto nella mia vita… Nulla».

«Allora per te non c’è il Limbo, il Purgatorio, l’Inferno?».

«Chi dice che non ci sono? Certo che ci sono! Ma io non li ricordo».

«Ma sei sicuro di esser stato morto?».

Scattano tutti quelli di Naim: «Se era morto? E che volete di più? Quando lo ponemmo sulla bara era già in procinto di puzzare. E poi! Con tutti quei balsami e quelle bende sarebbe morto anche un gigante».

«Ma tu non ti ricordi di esser morto?».

«Vi ho detto di no». Il giovane si impazienta e aggiunge: «Ma cosa volete stabilire con questi lugubri discorsi? Che tutto un paese facesse mostra di avere me morto, mia madre compresa, la mia sposa compresa, che era a letto morente di dolore, io compreso, legato, imbalsamato, mentre non era vero? Che dite? Che a Naim si fosse tutti bambini o ebeti in voglia di scherzare? Mia madre è divenuta bianca in poche ore. La sposa mia dovette essere curata perché dolore e gioia l’avevano resa come folle. E voi dubitate? E perché avremmo fatto questo?».

«Perché? È vero! Perché lo avremmo fatto?» dicono quelli di Naim.

Gesù non parla. Giocherella colla tovaglia come fosse assente. I farisei non sanno che dire… Ma Gesù apre la bocca all’improvviso, quando la conversazione e l’argomento parevano finiti, e dice:

«Il perché è questo. Essi (e accenna farisei e scribi) vogliono stabilire che il tuo risorgere non fu che un ben congegnato giuoco per accrescere la mia stima presso le folle. Io ideatore, voi complici per tradire Dio e prossimo. No. Io lascio le ciurmerie agli indegni. Non ho bisogno di stregonecci, né di stratagemmi, di giochetti o di complicità per essere ciò che sono. Perché volete negare a Dio il potere di restituire l’anima ad una carne? Se Egli la dà, quando la carne si forma, e crea le anime di volta in volta, non potrà renderla quando l’anima, tornando alla carne per preghiera del suo Messia, può essere fomite di venuta alla Verità di molte turbe? Potete negare a Dio il potere del miracolo? Perché lo volete negare?».

«Sei Tu Dio?».

«Io son chi sono. I miei miracoli e la mia dottrina dicono chi Io sia».

«Ma allora perché costui non ricorda, mentre gli spiriti evocati sanno dire cosa è l’aldilà?».

«Perché quest’anima parla la verità, già santificata come è dalla penitenza di una prima morte, mentre ciò che parla sulle labbra dei negromanti non è verità».

«Ma Samuele…».

«Ma Samuele venne per ordine di Dio, non della maga, a portare al fedifrago della Legge il verdetto del Signore che non si irride nei suoi comandi».

«E allora perché i tuoi discepoli lo fanno?».

La voce arrogante di un fariseo, che punto sul vivo alza il tono della stessa, richiama l’attenzione degli Apostoli che sono nella stanza di fronte, separati da un corridoio largo poco più di un metro, non isolati da porte o tende pesanti. Sentendosi chiamati in causa, si alzano e vengono senza far rumore nel corridoio, in ascolto.

«In che lo fanno? Spiegati, e se la tua accusa è vera Io li avviserò di non fare più cosa contraria alla Legge».

«In cosa lo so io, e con me molti altri. Ma Tu che risusciti i morti e ti dici più che profeta, scoprila da Te. Noi non te la diremo certo. Hai occhi, del resto, per vedere anche molte altre cose, fatte quando non si devono fare, o non fatte quando si devono fare, commesse dai tuoi discepoli. E Tu non te curi».

«Vogliate indicarmene alcune».

«Perché i tuoi discepoli trasgrediscono le tradizioni degli antichi? Oggi li abbiamo osservati. Anche oggi! Non più tardi di un’ora fa! Essi sono entrati nella loro sala per mangiare e non si sono purificate, avanti, le mani!». Se i farisei avessero detto: «E prima hanno sgozzato dei cittadini», non avrebbero avuto un tono simile di profondo orrore.

«Li avete osservati, sì. Ci sono tante cose da vedere. E belle, e buone. Cose che fanno benedire il Signore di averci dato la vita perché avessimo modo di vederle e perché ha creato o permesso quelle cose. Eppure voi non le osservate. E con voi molti altri. Ma perdete tempo e pace coll’inseguire le cose non buone.

Sembrate sciacalli, meglio, iene correnti sulla scia di un fetore, trascurando le ondate di profumi che vengono nel vento da giardini pieni di aromi. Le iene non amano gigli e rose, gelsomini e canfore, cinnamomi e garofani. Per loro sono sgradevoli odori. Ma il lezzo di un corpo putrefacente in fondo ad un burrone, o su una carraia, sepolto sotto i rovi dove l’ha gettato l’assassino, o gettato dalla tempesta sulla spiaggia deserta, gonfio, violaceo, crepato, orrendo, oh! quello è profumo gradevole alle iene!

E fiutano il vento della sera, che condensa e trasporta con sé tutti gli odori che il sole ha distillato dalle cose che ha scaldato, per sentire questo vago, invitante odore, e scopertolo, e afferratane la direzione, eccole partire di corsa, col muso all’aria, i denti già scoperti nel fremito delle mascelle simile ad un isterico riso, per andare là dove è putrefazione. E, sia cadavere d’uomo o di quadrupede, o di biscia spezzata dal contadino, o di faina uccisa dalla massaia, fosse anche un semplice topo, oh! ecco che piace, piace, piace! E in quel fetore ribollente si affondano le zanne, e si pasteggia, e ci si lecca le labbra…

Degli uomini si santificano giorno per giorno? Non è cosa che interessi! Ma se uno solo fa del male, o in più d’uno lasciano, non un comando divino, ma una pratica umana -chiamatela pure tradizione, precetto, come volete, è sempre cosa umana- ecco che allora si va, si nota. Si va anche dietro a un sospetto… tanto per godere, vedendo che il sospetto è realtà.

Ma allora, rispondete, rispondete voi che siete venuti non per amore, non per fede, non per onestà, ma per malvagio scopo, rispondete: perché voi trasgredite il comando di Dio per una vostra tradizione? Non vorrete già dirmi che una tradizione è da più di un Comandamento? Eppure Dio ha detto: “Onora il padre e la madre, e chi maledirà il padre e la madre è reo di morte”! E voi invece dite: “Chiunque abbia detto al padre e alla madre: ‘Quello che dovresti avere da me è corban’, non è più obbligato ad usarlo per padre e madre”. Dunque voi con la vostra tradizione avete annullato il comando di Dio.

Ipocriti! Ben disse di voi Isaia profetando: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da Me, perciò mi onorano invano insegnando dottrine e comandamenti d’uomo”.

Voi, mentre trascurate i precetti di Dio, state alle tradizioni degli uomini, alle lavature di anfore e calici, di piatti e di mani e simili altre cose. Mentre giustificate l’ingratitudine e l’avarizia di un figlio coll’offrirgli la scappatoia dell’offerta di sacrificio per non dare un pane a chi lo ha generato ed ha bisogno di aiuto, ed egli ha l’obbligo di onorarlo perché gli è genitore, avete scandalo perché uno non si lava le mani. Voi alterate e violate la parola di Dio per ubbidire a parole da voi fatte e da voi elevate a precetto. Voi vi proclamate perciò più giusti di Dio. Voi vi arrogate diritto di legislatori mentre Dio solo è Legislatore nel suo popolo. Voi…».

E continuerebbe, ma il gruppo nemico esce, sotto la grandine delle accuse, urtando gli Apostoli e quanti erano nella casa, ospiti o aiutanti della padrona, e che si erano raccolti nel corridoio, attirati dallo squillo della voce di Gesù.

Gesù, che si era alzato in piedi, si torna a sedere, facendo cenno ai presenti di entrare tutti dove Egli è, e dice loro:

«Ascoltatemi tutti e intendete questa verità. Non vi è nulla fuori dell’uomo che entrando in esso possa contaminarlo. Ma quello che esce dall’uomo, questo è quello che contamina. Chi ha orecchie da intendere intenda e usi ragione per comprendere e volontà per attuare. E ora andiamo. Voi di Naim perseverate nel bene e sia sempre con voi la mia pace».

Si alza, saluta in particolare i padroni di casa e si avvia per il corridoio.

Ma vede le donne amiche, che raccolte in un angolo Lo guardano incantate, e va diretto da loro dicendo:

«Pace a voi pure. Vi compensi il Cielo per avermi sovvenuto con un amore che non mi ha fatto rimpiangere la tavola materna. Ho sentito il vostro amore di madri in ogni mica di pane, in ogni intingolo o arrosto, nel dolce del miele, nel vino fresco e profumato. Vogliatemi sempre bene così, buone donne di Naim. E un’altra volta non fate tanta fatica per Me. Basta un pane e un pugno di ulive condito col vostro sorriso materno e il vostro sguardo onesto e buono. Siate felici nelle vostre case, perché la riconoscenza del Perseguitato è su voi ed Egli parte consolato dal vostro amore».

Le donne, beate eppure piangenti, sono tutte in ginocchio, ed Egli, nel passare, le sfiora una per una sui capelli bianchi o neri, come a benedirle. E poi esce e riprende il cammino…

Le prime ombre della sera calano nascondendo il pallore di Gesù amareggiato da troppe cose.

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

26 AGOSTO 2018 XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B Gv 6,60-69

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Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6,60-69

In quel tempo, molti tra i discepoli di Gesù, dissero: «Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?». Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’Uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra voi che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che Lo avrebbe tradito. E continuò: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a Me, se non gli è concesso dal Padre mio». Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con Lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Forse anche voi volete andarvene?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Santo di Dio».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’”Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 5 – Capitolo 44  (7 dicembre 1945)

La spiaggia di Cafarnao formicola di gente che sbarca da una vera flottiglia di barche di tutte le dimensioni. E i primi che sbarcano vanno cercando fra la gente se vedono il Maestro, un apostolo, o almeno un discepolo. E vanno chiedendo…

Un uomo, finalmente, risponde: «Maestro? Apostoli? No. Sono andati via subito dopo il sabato e non sono tornati. Ma torneranno perché ci sono i discepoli. Ho parlato adesso con uno di loro. Deve essere un grande discepolo. Parla come Giairo! È andato verso quella casa fra i campi, seguendo il mare».

L’uomo che ha interrogato fa correre la voce e tutti si precipitano verso il luogo indicato. Ma, fatto un duecento metri sulla riva, incontrano tutto un gruppo di discepoli che vengono verso Cafarnao gestendo animatamente. Li salutano e chiedono: «Il Maestro dove è?».

I discepoli rispondono: «Nella notte, dopo il miracolo, se ne è andato coi suoi, colle barche, al di là del mare. Vedemmo le vele, al candore della luna, andare verso Dalmanuta».

«Ah! ecco! Noi Lo cercammo a Magdala presso la casa di Maria e non c’era! Però… potevano dircelo i pescatori di Magdala!».

«Non lo avranno saputo. Sarà forse andato sui monti d’Arbela in preghiera. Ci fu già un’altra volta, lo scorso anno avanti Pasqua. Io l’ho incontrato allora, per somma grazia del Signore al suo povero servo», dice Stefano.

«Ma non torna qui?».

«Certamente tornerà. Ci deve dare il commiato e gli ordini. Ma che volete?».

«Sentirlo ancora. Seguirlo. Farci suoi».

«Adesso va a Gerusalemme. Lo ritroverete là. E là, nella Casa di Dio, il Signore vi parlerà se per voi è utile seguirlo. Perché è bene che sappiate che, se Egli non respinge alcuno, noi abbiamo in noi elementi che sono respingenti la Luce. Ora, chi ne ha tanti da essere non solo saturo di essi -che poco male sarebbe, perché Egli è Luce e nel divenire lealmente suoi con volontà decisa la sua Luce ci penetra e vince le tenebre- ma da esserne composto e affezionato ad essi come alla carne della nostra persona, allora è bene che costui si astenga dal venire, a meno che non si distrugga per ricrearsi nuovamente.

Meditate, dunque, se avete in voi la forza di assumere un nuovo spirito, un nuovo modo di pensare, un nuovo modo di volere. Pregate per poter vedere la verità sulla vostra vocazione. E poi venite, se credete. E voglia l’Altissimo, che ha guidato Israele nel “passaggio”, guidare voi, in questo “pèsac”, a venire sulla scia dell’Agnello, fuori dai deserti, alla Terra eterna, al Regno di Dio», dice Stefano parlando per tutti i compagni.

«No, no! Subito! Subito! Nessuno fa ciò che Egli fa. Lo vogliamo seguire», dice la folla in tumulto.

Stefano ha un sorriso di molte espressioni. Apre le braccia e dice: «Perché vi ha dato il buono e abbondante pane volete venire? Credete che vi dia in futuro solo questo? Egli promette ai suoi seguaci ciò che è sua dote: il dolore, la persecuzione, il martirio. Non rose ma spine, non carezze ma schiaffi, non pane ma pietre sono pronte per i “cristi”. E così dico senza essere bestemmiatore, perché i suoi veri fedeli saranno unti coll’olio santo fatto della sua Grazia e del suo patire; e “unti” noi saremo per essere le vittime sull’altare e i re nel Cielo».

«Ebbene? Ne sei geloso forse? Ci sei tu? Ci vogliamo essere noi pure. Il Maestro è di tutti».

«Sta bene. Ve lo dicevo perché vi amo e voglio che sappiate ciò che è essere “discepoli”, onde non essere poi dei disertori. Andiamo allora tutti insieme ad attenderlo alla sua casa. Il tramonto ha inizio ed ha principio il sabato. Egli verrà per passarlo qui avanti la partenza».

E vanno verso la città, parlando. E molti interrogano Stefano ed Erma, che li ha raggiunti, i quali, agli occhi degli israeliti, hanno una luce speciale perché allievi prediletti di Gamaliele.

Molti chiedono: «Ma che dice Gamaliele di Lui?», altri: «Vi ci ha mandati lui?», e altri ancora: «Non si è doluto di perdervi?», oppure: «E il Maestro che dice del grande rabbi?».

I due rispondono pazienti: «Gamaliele parla di Gesù di Nazaret come del più grande uomo d’Israele».

«Oh! più grande di Mosè?», dicono quasi scandalizzati.

«Egli dice che Mosè è uno dei tanti precursori del Cristo. Ma non è che il servo del Cristo».

«Allora per Gamaliele questo è il Cristo? Dice così? Se così dice rabbi Gamaliele, la cosa è decisa. Egli è il Cristo!».

«Non dice ciò. Non riesce ancora a credere questo, per sua sventura. Ma dice che il Cristo è sulla Terra perché egli gli ha parlato molti anni fa. Egli e il saggio Illele. E attende il segno che quel Cristo gli ha promesso per riconoscerlo», dice Erma.

«Ma come ha fatto a credere che quello era il Cristo? Che faceva quello? Io sono vecchio quanto Gamaliele, ma non ho mai sentito che da noi fossero fatte le cose che il Maestro fa. Se non si persuade di questi miracoli, che vide mai di miracoloso in quel Cristo per potergli credere?».

«Lo vide unto della Sapienza di Dio. Egli dice così», risponde ancora Erma.

«E allora cosa è per Gamaliele questo?».

«Il più grande uomo, maestro e precursore di Israele. Quando potesse dire: “È il Cristo”, sarebbe salva l’anima sapiente e giusta del mio primo maestro», dice Stefano e termina: «Ed io prego perché ciò sia, a qualunque costo».

«E se non lo crede il Cristo, perché vi ha mandati?».

«Noi volevamo venirci. Egli ci ha lasciati venire dicendo che era bene».

«Forse per poter sapere e riferire al Sinedrio…», dice insinuando uno.

«Uomo come parli? Gamaliele è un onesto. Non fa la spia a nessuno, e specie ai nemici di un innocente!», scatta Stefano e pare un arcangelo tanto è sdegnato e quasi raggiante nel suo sdegno santo.

«Gli sarà spiaciuto perdervi, però», dice un altro.

«Sì e no. Come uomo che ci voleva bene, sì. Come spirito molto retto, no. Perché ha detto: “Egli è da più di me e di me più giovane. Perciò io potrò chiudere gli occhi in pace sul vostro futuro sapendovi del ‘Maestro dei maestri’ “».

«E Gesù di Nazaret che dice del grande rabbi?».

«Oh! non ha che parole elette per lui!».

«Non ne è invidioso?».

«Dio non invidia», dice severo Erma. «Non fare supposizioni sacrileghe».

«Ma per voi allora è Dio? Ne siete certi?».

E i due ad una voce: «Come di essere vivi in questo momento». E Stefano termina: «E vogliate crederlo pure voi per possedere la vera Vita».

Sono da capo sulla spiaggia che si muta in piazza e la traversano per andare a casa. Sulla soglia è Gesù che carezza dei bambini.

Discepoli e curiosi si affollano chiedendo: «Maestro, quando sei venuto?».

«Da pochi momenti». Il viso di Gesù ha ancora la maestà solenne, un poco estatica, di quando ha molto pregato.

«Sei stato in orazione, Maestro?» chiede Stefano a voce bassa per riverenza, così come ha curva la persona per lo stesso motivo.

«Sì. Da che lo comprendi, figlio mio?» dice Gesù posandogli la mano sui capelli scuri con una dolce carezza.

«Dal tuo volto d’angelo. Sono un povero uomo, ma è tanto limpido il tuo aspetto che su esso si leggono i palpiti e le azioni del tuo spirito».

«Anche il tuo è limpido. Tu sei uno di quelli che fanciulli restano…».

«E che c’è sul mio viso, Signore?».

«Vieni in disparte e te lo dirò», e lo prende per il polso portandolo in un corridoio oscuro.

«Carità, fede, purezza, generosità, sapienza; e queste Dio te le ha date, e tu le hai coltivate e più lo farai. Infine, secondo il tuo nome, hai la corona: d’oro puro, e con una grande gemma che splende sulla fronte. Sull’oro e sulla gemma sono incise due parole: “Predestinazione” e “Primizia”. Sii degno della tua sorte, Stefano. Va’ in pace con la mia benedizione». E gli posa nuovamente la mano sui capelli, mentre Stefano si inginocchia per poi curvarsi a baciargli i piedi.

Tornano dagli altri.

«Questa gente è venuta per sentirti…» dice Filippo.

«Qui non si può parlare. Andiamo alla sinagoga. Giairo ne sarà contento».

Gesù davanti, dietro il corteo degli altri, vanno alla bella sinagoga di Cafarnao; e Gesù, salutato da Giairo, vi entra, ordinando che tutte le porte restino aperte perché chi non riesce ad entrare possa sentirlo dalla via e dalla piazza che sono a fianco della sinagoga.

Gesù va al suo posto, in questa sinagoga amica, dalla quale oggi, per buona sorte, sono assenti i farisei, forse già partiti pomposamente per Gerusalemme. E inizia a parlare.

«In verità vi dico: voi cercate di Me non per sentirmi e per i miracoli che avete veduto, ma per quel pane che vi ho dato da mangiare a sazietà e senza spesa. I tre quarti di voi per questo mi cercava e per curiosità, venendo da ogni parte della Patria nostra. Manca perciò nella ricerca lo spirito soprannaturale, e resta dominante lo spirito umano con le sue curiosità malsane, o per lo meno di una imperfezione infantile, non perché semplice come quella dei pargoli, ma perché menomata come l’intelligenza di un ottuso di mente.

E con la curiosità resta la sensualità e il sentimento viziato. La sensualità che si nasconde, sottile come il demonio di cui è figlia, dietro apparenze e in atti apparentemente buoni, e il sentimento viziato che è semplicemente una deviazione morbosa del sentimento e che, come tutto ciò che è “malattia”, abbisogna e appetisce a droghe che non sono il cibo semplice, il buon pane, la buona acqua, lo schietto olio, il puro latte, sufficienti a vivere e a vivere bene.

Il sentimento viziato vuole le cose straordinarie per essere scosso e per provare il brivido che piace, il brivido malato dei paralizzati, che hanno bisogno di droghe per provare sensazioni che li illudano di essere ancora integri e virili. La sensualità che vuole soddisfare senza fatica la gola, in questo caso, col pane non sudato, avuto per bontà di Dio.

I doni di Dio non sono consuetudine, sono lo straordinario. Non si possono pretenderli, né impigrirsi dicendo: “Dio me li darà”. È detto: “Mangerai il pane bagnato col sudore della tua fronte”, ossia il pane guadagnato col lavoro. Ché se Colui che è Misericordia ha detto: “Ho compassione di queste turbe, che mi seguono da tre giorni e non hanno più da mangiare e potrebbero venire meno per via prima di avere raggiunto Ippo sul lago, o Gamala, o altre città”, e ha provveduto, non è però detto che Egli debba essere seguito per questo.

Per molto di più di un po’ di pane, destinato a divenire sterco dopo la digestione, Io vado seguito. Non per il cibo che empie il ventre ma per quello che nutre l’anima. Perché non siete soltanto animali che devono brucare e ruminare, o grufolare e ingrassare. Ma anime siete! Questo siete! La carne è la veste, l’essere è l’anima. È lei che è duratura. La carne, come ogni veste, si logora e finisce, e non merita curarla come fosse una perfezione alla quale va data ogni cura.

Cercate dunque ciò che è giusto procurarsi, non ciò che è ingiusto. Cercate di procurarvi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna. Questo, il Figlio dell’Uomo ve lo darà sempre, quando voi lo vogliate. Perché il Figlio dell’Uomo ha a sua disposizione tutto quanto viene da Dio, e può darlo, Egli padrone, e magnanimo padrone, dei tesori del Padre Dio, che ha impresso su di Lui il suo sigillo perché gli occhi onesti non siano confusi. E se voi avrete in voi il cibo che non perisce, potrete fare opere di Dio essendo nutriti del cibo di Dio».

«Che cosa dobbiamo fare per fare le opere di Dio? Noi osserviamo la Legge e i Profeti. Perciò già siamo nutriti di Dio e facciamo opere di Dio».

«È vero. Voi osservate la Legge. Meglio ancora: voi “conoscete” la Legge. Ma conoscere non è praticare. Noi conosciamo, ad esempio, le leggi di Roma, eppure un fedele israelita non le pratica altro che in quelle formule che sono imposte dalla sua condizione di suddito. Per il resto noi, parlo dei fedeli israeliti, non pratichiamo le usanze pagane dei romani pur conoscendole.

La Legge che voi tutti conoscete ed i Profeti dovrebbero, infatti, nutrirvi di Dio e darvi perciò capacità di fare opere di Dio. Ma per fare questo dovrebbero essere divenute un tutt’uno con voi, così come è l’aria che respirate e il cibo che assimilate, che si mutano entrambi in vita e sangue. Mentre essi rimangono estranei, pure essendo di casa vostra, così come può esserlo un oggetto della casa, che vi è noto e utile, ma che, se venisse a mancare, non vi leva l’esistenza.

Mentre… oh! provate un poco a non respirare per qualche minuto, provate a stare senza cibo per giorni e giorni… e vedrete che non potete vivere.

Così dovrebbe sentirsi il vostro io nella denutrizione e nell’asfissia della Legge e dei Profeti, conosciuti ma non assimilati e fatti tutt’uno con voi. Questo Io sono venuto ad insegnare e a dare: il succo, l’aria della Legge e dei Profeti, per ridare sangue e respiro alle vostre anime morenti di inedia e di asfissia. Voi siete simili a bambini che una malattia rende incapaci di conoscere ciò che è atto a nutrirli. Avete davanti dovizie di cibi, ma non sapete che vanno mangiati per mutarsi in cosa vitale, ossia che vanno veramente fatti nostri, con una fedeltà pura e generosa alla Legge del Signore che ha parlato a Mosè e ai Profeti per voi tutti.

Venire dunque a Me per avere aria e succo di Vita eterna, è dovere. Ma questo dovere presuppone una fede in voi. Perché se uno non ha fede, non può credere alle parole mie, e se non crede non viene a dirmi: “Dammi il vero pane”. E se non ha il vero pane non può fare opere di Dio, non avendo capacità di farle. Perciò per essere nutriti di Dio e per fare opere di Dio è necessario che voi facciate l’opera-base, che è questa: credere in Colui che Dio ha mandato».

«Ma che miracoli fai Tu dunque perché noi si possa credere in Te come il Mandato da Dio e perché si possa vedere su Te il sigillo di Dio? Che fai Tu che già, sebbene in forma minore, non abbiano fatto i Profeti? Mosè ti ha superato, anzi, perché, non per una volta tanto, ma per quarant’anni, nutrì di meraviglioso cibo i nostri padri. Così è scritto: che i nostri padri per quarant’anni mangiarono la manna del deserto, ed è detto che perciò Mosè diede loro da mangiare pane venuto dal cielo, egli che poteva».

«Siete in errore. Non Mosè ma il Signore poté fare questo. E nell’Esodo si legge: “Ecco: Io farò piovere del pane dal cielo. Esca il popolo e ne raccolga quanto basta giorno per giorno, e così Io provi se il popolo cammina secondo la mia legge. E il sesto giorno ne raccolga il doppio per rispetto al settimo giorno che è il sabato”.

E gli ebrei videro il deserto ricoprirsi, mattina per mattina, di quella “cosa minuta come ciò che è pestato nel mortaio e simile alla brina della terra, simile al seme di coriandolo, e dal buon sapore di fior di farina incorporata col miele”. Dunque non Mosè, ma Dio provvide alla manna. Dio che tutto può. Tutto. Punire e benedire. Privare e concedere. Ed Io ve lo dico, delle due cose preferisce sempre benedire e concedere a punire e privare.

Dio, come dice la Sapienza, per amore di Mosè -detto dall’Ecclesiastico “caro a Dio e agli uomini, di benedetta memoria, fatto da Dio simile ai santi nella gloria, grande e terribile per i nemici, capace di suscitare e por fine ai prodigi, glorificato nel cospetto dei re, suo ministro al cospetto del popolo, conoscitore della gloria di Dio e della voce dell’Altissimo, custode dei precetti e della Legge di vita e di scienza”- Dio, dicevo, per amore di questo Mosè, nutrì il suo popolo col pane degli Angeli, e dal cielo gli donò un pane bell’e fatto, senza fatica, contenente in sé ogni delizia ed ogni soavità di sapore.

E -ricordate bene ciò che dice la Sapienza- e poiché veniva dal Cielo, da Dio, e mostrava la sua dolcezza ai figli, aveva per ognuno il sapore che ognuno voleva, e dava ad ognuno gli effetti desiderati, essendo utile tanto al pargolo, dallo stomaco ancora imperfetto, come all’adulto, dall’appetito e digestione gagliardi, alla fanciulla delicata come al vecchio cadente.

E anche, per testimoniare che non era opera d’uomo, capovolse le leggi degli elementi, onde resisté al fuoco, esso, il misterioso pane che al sorgere del sole si squagliava come brina. O meglio: il fuoco -è sempre la Sapienza che parla- dimenticò la propria natura per rispetto all’opera di Dio suo Creatore e dei bisogni dei giusti di Dio, di modo che, mentre è solito ad infiammarsi per tormentare, qui si fece dolce per fare del bene a quelli che confidavano nel Signore.

Per questo allora, trasformandosi in ogni maniera, servì alla grazia del Signore, nutrice di tutti, secondo la volontà di chi pregava l’eterno Padre, affinché i figli diletti imparassero che non è il riprodursi dei frutti che nutrisce gli uomini, ma è la parola del Signore quella che conserva chi crede in Dio. Infatti non consumò, come poteva, la dolce manna, neppure se la fiamma era alta e potente, mentre bastava a scioglierla il dolce sole del mattino, affinché gli uomini ricordassero e imparassero che i doni di Dio vanno ricercati dall’inizio del giorno e della vita, e che per averli occorre anticipare la luce e sorgere, per lodare l’Eterno, dalla prima ora del mattino.

Questo insegnò la manna agli ebrei. Ed Io ve lo ricordo perché è dovere che dura e durerà sino alla fine dei secoli. Cercate il Signore ed i suoi doni celesti senza poltrire fino alle tarde ore del giorno e della vita. Sorgete a lodarlo prima ancora che lo lodi il sorgente sole, e pascetevi della sua parola che conserva e preserva e conduce alla Vita vera.

Non Mosè vi diede il pane del Cielo, ma in verità lo diede il Padre Iddio, e ora, in verità delle verità, è il Padre mio quello che vi dà il vero Pane, il Pane novello, il Pane eterno che dal Cielo discende, il Pane di misericordia, il Pane di Vita, il Pane che dà al mondo la Vita, il Pane che sazia ogni fame e leva ogni languore, il Pane che dà, a chi lo prende, la Vita eterna e l’eterna gioia».

«Dacci, o Signore, di codesto pane, e noi non morremo più».

«Voi morrete come ogni uomo muore, ma risorgerete a Vita eterna se vi nutrirete santamente di questo Pane, perché esso fa incorruttibile chi lo mangia. Riguardo a darvelo sarà dato a coloro che lo chiedono al Padre mio con puro cuore, retta intenzione e santa carità. Per questo ho insegnato a dire: “Dacci il pane quotidiano”.

Ma coloro che si nutriranno indegnamente diverranno brulichio di vermi infernali, come i gomor di manna conservati contro l’ordine avuto. E questo Pane di salute e vita diverrà per loro morte e condanna. Perché il sacrilegio più grande sarà commesso da coloro che metteranno quel Pane su una mensa spirituale corrotta e fetida, o lo profaneranno mescolandolo alla sentina delle loro inguaribili passioni. Meglio per loro sarebbe non averlo mai preso!».

«Ma dove è questo Pane? Come lo si trova? Che nome ha?».

«Io sono il Pane di Vita. In Me lo si trova. Il suo nome è Gesù. Chi viene a Me non avrà più fame, e chi crede in Me non avrà mai più sete, perché i fiumi celesti si riverseranno in lui estinguendo ogni materiale ardore. Io ve l’ho detto, ormai. Voi mi avete conosciuto, ormai. Eppure non credete. Non potete credere che tutto quanto è in Me. Eppure così è. In Me sono tutti i tesori di Dio.

E a Me tutto della terra è dato, onde in Me sono riuniti i gloriosi cieli e la militante terra, e fino la penante e attendente massa dei trapassati in grazia di Dio sono in Me, perché in Me e a Me è ogni potere. Ed Io ve lo dico: tutto quanto il Padre mi dà verrà a Me. Né Io scaccerò chi a Me viene, perché sono disceso dal Cielo non per fare la mia volontà ma quella di Colui che mi ha mandato.

E la volontà del Padre mio, del Padre che mi ha mandato, è questa: che Io non perda nemmeno uno di quelli che mi ha dato, ma che Io li risusciti all’ultimo giorno. Ora la volontà del Padre che mi ha mandato è che chiunque conosce il Figlio e crede in Lui abbia la vita Eterna e Io lo possa risuscitare nell’Ultimo Giorno, vedendolo nutrito della fede in Me e segnato del mio sigillo».

Vi è non poco brusìo nella sinagoga e fuori della stessa per le nuove e ardite parole del Maestro. E questo, dopo avere per un momento preso fiato, volge gli occhi sfavillanti di rapimento là dove più si mormora, e sono precisamente i gruppi in cui sono dei giudei. Riprende a parlare.

«Perché mormorate fra voi? Sì, Io sono il figlio di Maria di Nazareth figlia di Gioacchino della stirpe di Davide, Vergine consacrata nel Tempio e poi sposata a Giuseppe di Giacobbe, della stirpe di Davide. Voi avete conosciuto, in molti, i giusti che dettero vita a Giuseppe, legnaiolo regale, e a Maria, Vergine erede della stirpe regale. Ciò vi fa dire: “Come può Costui dirsi disceso dal Cielo?», e il dubbio sorge in voi.

Vi ricordo i Profeti nelle loro profezie sull’Incarnazione del Verbo. E vi ricordo come, più per noi israeliti che per qualsiasi altro popolo, è dogmatico che Colui che non osiamo chiamare non potesse darsi una Carne secondo le leggi della umanità, e umanità decaduta per giunta. Il Purissimo, l’Increato, se si è mortificato a farsi Uomo per amore dell’uomo, non poteva che eleggere un seno di Vergine più pura dei gigli per rivestire di Carne la sua Divinità.

Il pane disceso dal Cielo al tempo di Mosè è stato riposto nell’arca d’oro, coperta dal propiziatorio, vegliata dai cherubini, dietro i veli del Tabernacolo. E col pane era la Parola di Dio. E giusto era che ciò fosse, perché sommo rispetto va dato ai doni di Dio e alle tavole della sua Santissima Parola.

Ma che allora sarà stato preparato da Dio per la sua stessa Parola e per il Pane vero che è venuto dal Cielo? Un’arca più inviolata e preziosa dell’arca d’oro, coperta dal prezioso propiziatorio della sua pura volontà di immolazione, vegliata dai cherubini di Dio, velata dal velo di un candore verginale, di una umiltà perfetta, di una carità sublime e di tutte le virtù più sante.

E allora? Non capite ancora che la mia paternità è in Cielo e che perciò Io di là vengo? Sì, Io sono disceso dal Cielo per compiere il decreto del Padre mio, il decreto di salvazione degli uomini secondo quanto promise al momento stesso della condanna e ripeté ai Patriarchi e ai Profeti.

Ma questo è fede. E la fede viene data da Dio a chi ha l’animo di buona volontà. Perciò nessuno può venire a Me se non lo conduce a Me il Padre mio, vedendolo nelle tenebre ma rettamente desideroso di luce. È scritto nei Profeti: “Saranno tutti ammaestrati da Dio”. Ecco. È detto: È Dio che li istruisce dove andare per essere istruiti di Dio. Chiunque, dunque, ha udito in fondo al suo spirito retto parlare Iddio, ha imparato dal Padre a venire a Me».

«E chi vuoi che abbia sentito Iddio o visto il suo Volto?» chiedono in diversi che cominciano a mostrare segni di irritazione e di scandalo. E terminano: «Tu deliri, oppure sei un illuso».

«Nessuno ha veduto Iddio eccetto Colui che è da Dio; questo ha veduto il Padre. E questo Io sono.

Ed ora udite il “credo” della vita futura, senza il quale non ci si può salvare.

In verità, in verità vi dico che chi crede in Me ha la Vita eterna. In verità, in verità vi dico che Io sono il Pane della Vita eterna.

I vostri padri mangiarono nel deserto la manna e morirono. Perché la manna era un cibo santo ma temporaneo, e dava vita per quanto necessitava a giungere alla terra promessa da Dio al suo popolo. Ma la Manna che Io sono non avrà limitazione di tempo e di potere.

È non solo celeste, ma è divina, e produce ciò che è divino: l’incorruttibilità, l’immortalità di quanto Dio ha creato a sua immagine e somiglianza. Essa non durerà quaranta giorni, quaranta mesi, quaranta anni, quaranta secoli. Ma durerà finché durerà il tempo, e sarà data a tutti coloro che di essa hanno fame santa e gradita al Signore, che giubilerà di darsi senza misura agli uomini per cui si è incarnato, onde abbiamo la Vita che non muore.

Io posso darmi, Io posso transustanziarmi per amore degli uomini, onde il pane divenga Carne e la Carne divenga Pane per la fame spirituale degli uomini, che senza questo Cibo morirebbero di fame e di malattie spirituali. Ma se uno mangia di questo Pane con giustizia, egli vivrà in eterno. Il pane che Io darò sarà la mia Carne immolata per la vita del mondo, sarà il mio amore sparso nelle case di Dio, perché alla mensa del Signore vengano tutti coloro che sono amorosi o infelici e trovino ristoro al loro bisogno di fondersi a Dio e di trovare sollievo al loro penare».

«Ma come può darci da mangiare la tua carne? Per chi ci hai presi? Per belve sanguinarie? Per selvaggi? Per omicidi? A noi ripugna il sangue e il delitto».

«In verità, in verità vi dico che molte volte l’uomo è più di una belva, e che il peccato fa più che selvaggi, che l’orgoglio dà sete omicida, e che non a tutti dei presenti ripugnerà il sangue e il delitto. E anche in futuro l’uomo tale sarà, perché satana, il senso e l’orgoglio lo fanno belluino. E perciò con maggior bisogno che mai dovete e dovrà l’uomo sanare se stesso dai germi terribili con l’infusione del Santo.

In verità, in verità vi dico che se non mangerete la Carne del Figlio dell’Uomo e non berrete il suo Sangue, non avrete in voi la  Vita. Chi mangia degnamente la mia Carne e beve il mio Sangue ha la Vita eterna ed Io lo risusciterò all’Ultimo Giorno. Perché la mia Carne è veramente Cibo e il mio Sangue è veramente Bevanda.

Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in Me ed Io in lui. Come il Padre vivente mi inviò, ed Io vivo per il Padre, così chi mi mangia vivrà anch’egli per Me e andrà dove lo mando, e farà ciò che Io voglio, e vivrà austero come uomo e ardente come serafino, e sarà santo, perché per potersi cibare della mia Carne e del mio Sangue si interdirà le colpe e vivrà ascendendo per finire la sua ascesa ai piedi dell’Eterno.»

«Ma costui è folle! Chi può vivere in tal modo? Nella nostra religione è solo il sacerdote che deve essere purificato per offrire la vittima. Qui Egli ci vuole fare, di noi, tante vittime della sua follia. Questa dottrina è troppo penosa e questo linguaggio è troppo duro! Chi li può ascoltare e praticare?» sussurrano i presenti, e molti sono discepoli già riputati tali.

La gente sfolla commentando. E molto assottigliate appaiono le file dei discepoli quando restano solo nella sinagoga il Maestro e i più fedeli. Io non li conto, ma dico che, ad occhio e croce, sì e no si arriva a cento. Perciò ci deve essere stato un bell’abbandono anche nelle schiere dei vecchi discepoli ormai al servizio di Dio.

Fra i rimasti sono gli apostoli, il sacerdote Giovanni e lo scriba Giovanni, Stefano, Erma, Timoteo, Ermasteo, Agapo, Giuseppe, Salomon, Abele di Betlemme di Galilea e Abele il già lebbroso di Corozim col suo amico Samuele, Elia (quello che lasciò di seppellire il padre per seguire Gesù), Filippo di Arsela, Aser e Ismaele di Nazareth, più altri che non conosco di nome. Questi tutti parlano piano fra loro commentando la defezione degli altri e le parole di Gesù, che pensieroso sta con le braccia conserte appoggiato ad un alto leggio.

«E vi scandalizzate di ciò che ho detto? E se vi dicessi che vedrete un giorno il Figlio dell’Uomo ascendere al Cielo dove era prima e sedersi al fianco del Padre? E che avete capito, assorbito, creduto fino ad ora? E con che avete udito e assimilato? Solo con l’umanità? È lo spirito quello che vivifica e ha valore. La carne non giova a niente. Le mie parole sono spirito e vita, e vanno udite e capite con lo spirito per averne vita.

Ma ci sono molti fra voi che hanno morto lo spirito perché è senza fede. Molti di voi non credono con verità. E inutilmente stanno presso Me. Non ne avranno Vita ma Morte. Perché vi stanno, come ho detto in principio, o per curiosità, o per umano diletto, o, peggio, per fini ancora più indegni. Non sono portati qui dal Padre per premio alla loro buona volontà, ma da Satana. Nessuno può venire a Me, in verità, se non gli è concesso dal Padre mio.

Andate pure, voi che vi trattenete a fatica perché vi vergognate, umanamente, di abbandonarmi, ma avete ancora maggior vergogna di rimanere al servizio di Uno che vi pare “pazzo e duro”. Andate. Meglio lontani che qui per nuocere».

E molti si ritraggono fra i discepoli, fra i quali lo scriba Giovanni e Marco, il geraseno indemoniato, guarito mandando i demoni nei porci. I discepoli buoni si consultano e corrono dietro a questi fedifraghi tentando di fermarli.

Nella sinagoga sono ora Gesù, il sinagogo e gli apostoli…

Gesù si volge ai dodici che, mortificati, stanno in un angolo e dice: «Volete andarvene anche voi?». Lo dice senza acredine e senza mestizia. Ma con molta serietà.

Pietro, con impeto doloroso, gli dice: «Signore, e dove vuoi che si vada? Da chi? Tu sei la nostra vita e il nostro amore. Tu solo hai parole di Vita eterna. Noi abbiamo conosciuto che Tu sei il Cristo, Figlio di Dio. Se vuoi, cacciaci. Ma noi, di nostro, non ti lasceremo neppure… neppure se Tu non ci amassi più…», e Pietro piange senza rumore, con grandi lacrimoni…

Anche Andrea, Giovanni, i due figli di Alfeo, piangono apertamente, e gli altri, pallidi o rossi per l’emozione, non piangono, ma soffrono palesemente.

«Perché vi dovrei cacciare? Non sono stato Io che ho eletto voi dodici?…».

Giairo, prudentemente, si è ritirato per lasciare Gesù libero di confortare o redarguire i suoi apostoli. Gesù, che ne nota la silenziosa ritirata, dice, sedendosi accasciato come se la rivelazione che fa gli costasse uno sforzo superiore a quello che Egli può fare, stanco come è, disgustato, addolorato: «Eppure uno di voi è un demonio».

La parola cade lenta, paurosa, nella sinagoga, nella quale è solo allegra la luce delle molte lampade… e nessuno osa dire nulla. Ma si guardano l’un con l’altro con pauroso ribrezzo e angosciosa indagine e, con una ancor più angosciosa e intima domanda, ognuno esamina se stesso…

Nessuno si muove per qualche tempo. E Gesù resta solo, sul suo sedile, le mani incrociate sui ginocchi, il viso basso. Lo alza infine e dice: «Venite. Non sono già un lebbroso! O mi credete tale?…».

Allora Giovanni corre avanti e gli si avviticchia al collo dicendo: «Con Te, allora, nella lebbra, mio solo amore. Con Te nella condanna, con Te nella morte, se credi che ciò ti attenda…»; e Pietro striscia ai suoi piedi e li prende e se li mette sugli omeri e singhiozza: «Qui, premi, calpesta! Ma non mi fare pensare che Tu diffidi del tuo Simone».

Gli altri, vedendo che Gesù carezza i due primi, si fanno avanti e baciano Gesù sulle vesti, sulle mani, sui capelli… Solo l’Iscariota osa baciarlo sul viso.

Gesù si alza di scatto, e quasi lo respinge bruscamente tanto lo scatto è improvviso, e dice: «Andiamo a casa. Domani sera, di notte, partiremo con le barche per Ippo»

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta.

XX Domenica del Tempo Ordinario anno B (Gv 6,51-58)

M

La mia Carne è vero cibo e il mio Sangue vera bevanda.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6,51-58)

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il Pane vivo, disceso dal Cielo. Se uno mangia di questo Pane vivrà in eterno e il Pane che Io darò è la mia Carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può Costui darci la sua Carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità Io vi dico: se non mangiate la Carne del Figlio dell’Uomo e non bevete il suo Sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue ha la vita eterna e Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia Carne è vero cibo e il mio Sangue vera bevanda. Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in Me e Io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato Me e Io vivo per il Padre, così anche colui che mangia Me vivrà per Me. Questo è il Pane disceso dal Cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo Pane vivrà in eterno». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Quando Gesù rivelò che il Pane disceso dal Cielo era la sua Carne e che avrebbe saziato tutti, toccò il massimo della sua imprevedibile predicazione. Se già molti insegnamenti risultavano ricolmi di mistero e sorprendenti, dare da mangiare la sua Carne risultò come un insulto per i «puri» che Lo ascoltavano.
Domenica scorsa abbiamo letto che quasi tutti quelli che Lo avevano ascoltato, lasciarono la sinagoga e rimasero gli Apostoli con il sinagogo.
Questa rivelazione di Gesù che anticipava l’istituzione dell’Eucaristia rimaneva fortemente incomprensibile agli ebrei e andarono via, si allontanarono da Gesù. Cosa dire invece dei cattolici di oggi di ogni grado che conoscono l’Eucaristia e non l’adorano?
Innanzitutto manca la predicazione sull’Eucaristia e per parlare di Gesù presente sacramentalmente in Anima, Corpo, Sangue e Divinità nell’Eucaristia, è indispensabile frequentarla, rimanendo davanti al Tabernacolo in adorante contemplazione.
I benefici che si ricevono dall’Eucaristia sono meravigliosi, è Gesù che trasmette i suoi sentimenti, che dona continua Grazie e migliora la vita di quanti rimangono con Fede in adorazione. Conoscendo chi è l’Eucaristia, tutte le Chiese dovrebbero rimanere aperte per molte ore del giorno, per dare ai credenti modo di rivolgersi al Signore e trovare la pace interiore.
Gesù rimane nel Tabernacolo per aiutarci, guarirci dalle malattie e far svanire le negatività dei diavoli. Dovremmo incontrarlo ogni giorno!
Nel Catechismo del 1992 che abbiamo come guida e nulla si può cambiare di quanto in esso è contenuto, l’Eucaristia è indicata come fonte e culmine della vita ecclesiale. L’Eucaristia è Gesù Cristo e la principale predicazione, il più forte richiamo dei prelati deve avere, appunto, come centro l’Eucaristia.
Negli ultimi tempi l’Eucaristia è stata dimenticata in molte omelie e catechesi, sostituita con temi sociali, parole poco spirituali.
Oggi l’Eucaristia viene ignorata nella predicazione e non si formano le nuove generazioni nell’adorazione di Dio incarnato, questo svuota le Chiese e arreca molta preoccupazione. Gesù parla di sé come del Pane che sazia e dona tutti gli aiuti necessari alle famiglie, ai giovani sbandati, agli ammalati, a tutti.
«Tutti i Sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente uniti alla Sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati. Infatti, nella Santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua» (Catechismo 144).
La Santa Comunione è fin da ora un anticipo del Cielo e la garanzia di raggiungerlo.
La Comunione, essendo alimento dell’anima, aumenta la vita soprannaturale dell’uomo; al tempo stesso e di conseguenza rende capaci di resistere a quanto in noi non è di Dio e impedisce una vera unione con Cristo.
La gloria eterna non è riservata solo all’anima ma anche al corpo, all’uomo nella sua interezza. Il Signore faceva riferimento a questa verità quando promise che chi mangia di Lui vivrà per Lui e non morirà mai, e che Egli lo risusciterà nell’ultimo giorno.
Gesù è la Vita, non solo quella dell’aldilà; è anche la vita soprannaturale che la Grazia opera nell’anima e nell’uomo tuttora in cammino.
Quando Gesù accorre a Betania per risuscitare Lazzaro, dice a Marta: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in Me anche se muore vivrà; chiunque vive e crede in Me non morrà in eterno». Ripete in Betania l’insegnamento di Cafarnao che oggi troviamo nel Vangelo della Messa: chi lo riceve non morrà.
Meditate sulla necessità di adorare l’Eucaristia e di entrare in intimo dialogo con Gesù, per dirgli tutto e ricevere ineffabilmente il suo Spirito che vi trasforma. Per superare le sofferenze, guarire da malattie dolorose e liberarvi da ogni forma di negatività. Gesù è la nostra salvezza.

Mercoledì 15 agosto 2018 XIX Settimana del Tempo Ordinario anno B Assunzione della Beata Vergine Maria

MAGNIFICAT A.

Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente: ha innalzato gli umili.

Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 1,39-56)

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la Madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Allora Maria disse:

«L’Anima mia magnifica il Signore

e il mio Spirito esulta in Dio, mio Salvatore,

perché ha guardato l’umiltà della sua Serva.

D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno Beata.

Grandi cose ha fatto in Me l’Onnipotente

e Santo è il suo Nome;

di generazione in generazione la sua misericordia

per quelli che Lo temono.

Ha spiegato la potenza del suo braccio,

ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;

ha rovesciato i potenti dai troni,

ha innalzato gli umili;

ha ricolmato di beni gli affamati,

ha rimandato i ricchi a mani vuote.

Ha soccorso Israele, suo servo,

ricordandosi della sua misericordia,

come aveva detto ai nostri padri,

per Abramo e la sua discendenza, per sempre».

Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua. Parola del Signore

RIFLESSIONI

Questa solennità ci ricorda che tutti siamo chiamati alla gloria eterna e che sono le nostre scelte a determinare il nostro futuro. La nostra vita vissuta in comunione con Gesù assimila il suo Spirito Divino e diventa sempre più bella, importante ai suoi occhi, sicuramente guarita dalle ferite morali e dai cattivi ricordi, guarita anche dalle malattie spirituali e fisiche.

L’Immacolata durante la vita terrena fu esente da ogni malattia fisica, ed è suo grande desiderio vederci guariti dalle malattie, ma dobbiamo meritare le Grazie ed anche i miracoli impossibili, come avvengono in tantissime parti del mondo.

L’Assunzione al Cielo è il premio che Maria di Nazaret meritò abbondantemente, è stata l’unica Creatura ad avere aderito perfettamente alla Volontà di Dio, ad essere Madre di Dio, dopo essersi trovata per speciale Grazie della Santissima Trinità, Immacolata fin dal suo concepimento.

Questa prerogativa è stata unica per una sola Creatura, chiamata a portare nel suo grembo il Figlio eterno del Padre, diventarne la Madre e accudirlo con un Amore che sfiorava l’infinito. Infatti infinito era il Figlio, occorreva un Amore proporzionato nel prendersi cura di Lui, piccino e bisognoso di ogni cura materna.

La stessa cura la Madonna vuole prenderla verso ognuno di noi, solo che noi siamo esseri umani con tante miserie e fuggiamo dal suo abbraccio materno, non ci lasciamo avvolgere dalla sua Luce, non riusciamo ad assorbire il suo Spirito che trasforma e rende migliori.

In moltissimi cristiani è assente la meditazione giornaliera di libri spirituali, a cominciare dal Vangelo, ma sono incalcolabili i buoni libri che infondono tanto fervore e spingono a vivere la Parola di Dio con maggiore determinazione.

Nel Vangelo di oggi, per esempio, possiamo cogliere tanti spunti importanti per imitare la Madonna e crescere nella Fede.

Non dimentichiamo che la Fede è come una bella e rara pianta, è indispensabile curarla con attenzione e premura. Bisogna togliere le erbacce che spuntano e sono le debolezze umane insieme alle tentazioni, ed innaffiarla ogni giorno con la preghiera e i Sacramenti.

Le buone opere sono determinanti, in queste mostriamo alla Madonna se vogliamo imitarla e se cerchiamo il suo aiuto. Non si può condurre una vita dissipata e poi cercare le Grazie speciali, o pretendere di risolvere problematiche difficili.

Nel Vangelo di oggi, dopo la meraviglia di Elisabetta nel trovarsi davanti «la Madre del mio Signore», emerge la carità soprannaturale della Vergine Maria. «Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda».

La premura della Madonna ci dice che non dobbiamo preoccuparci solamente delle nostre cose e che gli altri che soffrono per varie ragioni hanno necessità della nostra vicinanza. Tranne i casi in cui la vicinanza verso qualcuno è dannosa e che a causa delle sue stranezze ci rende la vita un inferno, dobbiamo donare sempre amore a tutti, fare del bene anche ai nostri nemici.

Alle parole ispirate di Elisabetta alla cugina Maria, la mite Fanciulla di Nazaret risponde con quel cantico di lode all’Altissimo e svela tutta la sua adorazione a quel Padre che ama ogni sua creatura, che non si dimentica di nessuno e vuole esaudire ogni richiesta espressa con amore.

Nel Magnificat troviamo il testamento spirituale dell’Immacolata.

Oggi Ella sale al Cielo in Anima e Corpo, accompagnata da miriadi di Arcangeli e di Angeli, accolta e abbracciata da suo Figlio Gesù, per coronarla Regina dell’Universo, donandole il posto e il ruolo di Mediatrice e Avvocata dell’umanità.

In Cielo abbiamo una Madre che ci difende innanzitutto da noi stessi… ovviamente se ricorriamo a Lei e Le chiediamo di cambiare la nostra vita, di farci perdere la vecchia e malata mentalità. Ella ci vuole guarire da tutti i mali spirituali e fisici, lo sanno bene tutti quelli che hanno pregato e pregano la Madre di Dio e rinascono a vita nuova.

Molti cristiani invece non vogliono rinascere nel Cuore della Madonna per diventare veri seguaci di Gesù e muoiono spiritualmente.

Questa solennità ci dice che il corpo è tempio dello Spirito Santo e disprezzarlo con abusi e trasgressioni comporta un continuo allontanamento da Gesù, si perde la sua Grazia e si scivola giorno dopo giorno in una vita confusa, orgogliosa, arrogante e menefreghista.

La Madonna si serve sempre di oggetti umili, come delle persone umili e buone. Agisce nei cuori docili e miti.

La Madonna è sempre pronta ad accogliere i peccatori pentiti, soprattutto ad aiutare i suoi devoti che cadono e si rialzano subito!

12 Agosto 2018 XIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO B Gv 6,41-51

ostensorio

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo.

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6,41-51

In quel tempo, i Giudei mormoravano di Gesù perché aveva detto: «Io sono il Pane disceso dal Cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il Figlio di Giuseppe? Di Lui conosciamo il Padre e la Madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal Cielo?». Gesù rispose: «Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a Me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei Profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da Lui, viene a Me. Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il Pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il Pane che discende dal Cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il Pane vivo, disceso dal Cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che Io darò è la mia Carne per la vita del mondo».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 5 – Capitolo 44

(In questa domenica Gesù continua a parlare del Pane della vita che è la sua Carne e la darà in cibo a tutti i credenti. Il discorso è ancora l’Eucaristia prefigurata dal Pane che ha moltiplicato e dato da mangiare, ma nessuno dei presenti ha la capacità di intendere il significato del suo Corpo che Gesù darà da mangiare.

Come domenica scorsa il capitolo 6 riguarda lo stesso argomento, e la meditazione che leggiamo ripropone una parte di quel testo che ci permette di conoscere meglio il Pane della vita, di riceverlo nella Santa Messa con grande amore, di ricorrere anche ogni giorno dinanzi all’Eucaristia per pregare, adorare e chiedere Grazie speciali.

Non c’è limite nella conoscenza di Gesù Eucaristia e durante l’adorazione, lo Spirito Santo agisce nel credente, gli infonde molta Grazia e lo trasfigura).

«Ma che miracoli fai Tu dunque perché noi si possa credere in Te come il Mandato da Dio e perché si possa vedere su Te il sigillo di Dio? Che fai Tu che già, sebbene in forma minore, non abbiano fatto i Profeti? Mosè ti ha superato, anzi, perché, non per una volta tanto, ma per quarant’anni, nutrì di meraviglioso cibo i nostri padri. Così è scritto: che i nostri padri per quarant’anni mangiarono la manna del deserto, ed è detto che perciò Mosè diede loro da mangiare pane venuto dal cielo, egli che poteva».

«Siete in errore. Non Mosè ma il Signore poté fare questo. E nell’Esodo si legge: “Ecco: Io farò piovere del pane dal cielo. Esca il popolo e ne raccolga quanto basta giorno per giorno, e così Io provi se il popolo cammina secondo la mia legge. E il sesto giorno ne raccolga il doppio per rispetto al settimo giorno che è il sabato”.

E gli ebrei videro il deserto ricoprirsi, mattina per mattina, di quella “cosa minuta come ciò che è pestato nel mortaio e simile alla brina della terra, simile al seme di coriandolo, e dal buon sapore di fior di farina incorporata col miele”. Dunque non Mosè, ma Dio provvide alla manna. Dio che tutto può. Tutto. Punire e benedire. Privare e concedere. Ed Io ve lo dico, delle due cose preferisce sempre benedire e concedere a punire e privare.

Dio, come dice la Sapienza, per amore di Mosè -detto dall’Ecclesiastico “caro a Dio e agli uomini, di benedetta memoria, fatto da Dio simile ai santi nella gloria, grande e terribile per i nemici, capace di suscitare e por fine ai prodigi, glorificato nel cospetto dei re, suo ministro al cospetto del popolo, conoscitore della gloria di Dio e della voce dell’Altissimo, custode dei precetti e della Legge di vita e di scienza”- Dio, dicevo, per amore di questo Mosè, nutrì il suo popolo col pane degli Angeli, e dal cielo gli donò un pane bell’e fatto, senza fatica, contenente in sé ogni delizia ed ogni soavità di sapore.

E -ricordate bene ciò che dice la Sapienza- e poiché veniva dal Cielo, da Dio, e mostrava la sua dolcezza ai figli, aveva per ognuno il sapore che ognuno voleva, e dava ad ognuno gli effetti desiderati, essendo utile tanto al pargolo, dallo stomaco ancora imperfetto, come all’adulto, dall’appetito e digestione gagliardi, alla fanciulla delicata come al vecchio cadente.

E anche, per testimoniare che non era opera d’uomo, capovolse le leggi degli elementi, onde resisté al fuoco, esso, il misterioso pane che al sorgere del sole si squagliava come brina. O meglio: il fuoco -è sempre la Sapienza che parla- dimenticò la propria natura per rispetto all’opera di Dio suo Creatore e dei bisogni dei giusti di Dio, di modo che, mentre è solito ad infiammarsi per tormentare, qui si fece dolce per fare del bene a quelli che confidavano nel Signore.

Per questo allora, trasformandosi in ogni maniera, servì alla grazia del Signore, nutrice di tutti, secondo la volontà di chi pregava l’eterno Padre, affinché i figli diletti imparassero che non è il riprodursi dei frutti che nutrisce gli uomini, ma è la parola del Signore quella che conserva chi crede in Dio. Infatti non consumò, come poteva, la dolce manna, neppure se la fiamma era alta e potente, mentre bastava a scioglierla il dolce sole del mattino, affinché gli uomini ricordassero e imparassero che i doni di Dio vanno ricercati dall’inizio del giorno e della vita, e che per averli occorre anticipare la luce e sorgere, per lodare l’Eterno, dalla prima ora del mattino.

Questo insegnò la manna agli ebrei. Ed Io ve lo ricordo perché è dovere che dura e durerà sino alla fine dei secoli. Cercate il Signore ed i suoi doni celesti senza poltrire fino alle tarde ore del giorno e della vita. Sorgete a lodarlo prima ancora che lo lodi il sorgente sole, e pascetevi della sua parola che conserva e preserva e conduce alla Vita vera.

Non Mosè vi diede il pane del Cielo, ma in verità lo diede il Padre Iddio, e ora, in verità delle verità, è il Padre mio quello che vi dà il vero Pane, il Pane novello, il Pane eterno che dal Cielo discende, il Pane di misericordia, il Pane di Vita, il Pane che dà al mondo la Vita, il Pane che sazia ogni fame e leva ogni languore, il Pane che dà, a chi lo prende, la Vita eterna e l’eterna gioia».

«Dacci, o Signore, di codesto pane, e noi non morremo più».

«Voi morrete come ogni uomo muore, ma risorgerete a Vita eterna se vi nutrirete santamente di questo Pane, perché esso fa incorruttibile chi lo mangia. Riguardo a darvelo sarà dato a coloro che lo chiedono al Padre mio con puro cuore, retta intenzione e santa carità. Per questo ho insegnato a dire: “Dacci il pane quotidiano”.

Ma coloro che si nutriranno indegnamente diverranno brulichio di vermi infernali, come i gomor di manna conservati contro l’ordine avuto. E questo Pane di salute e vita diverrà per loro morte e condanna. Perché il sacrilegio più grande sarà commesso da coloro che metteranno quel Pane su una mensa spirituale corrotta e fetida, o lo profaneranno mescolandolo alla sentina delle loro inguaribili passioni. Meglio per loro sarebbe non averlo mai preso!».

«Ma dove è questo Pane? Come lo si trova? Che nome ha?».

«Io sono il Pane di Vita. In Me lo si trova. Il suo nome è Gesù. Chi viene a Me non avrà più fame, e chi crede in Me non avrà mai più sete, perché i fiumi celesti si riverseranno in lui estinguendo ogni materiale ardore. Io ve l’ho detto, ormai. Voi mi avete conosciuto, ormai. Eppure non credete. Non potete credere che tutto quanto è in Me. Eppure così è. In Me sono tutti i tesori di Dio.

E a Me tutto della terra è dato, onde in Me sono riuniti i gloriosi cieli e la militante terra, e fino la penante e attendente massa dei trapassati in grazia di Dio sono in Me, perché in Me e a Me è ogni potere. Ed Io ve lo dico: tutto quanto il Padre mi dà verrà a Me. Né Io scaccerò chi a Me viene, perché sono disceso dal Cielo non per fare la mia volontà ma quella di Colui che mi ha mandato.

E la volontà del Padre mio, del Padre che mi ha mandato, è questa: che Io non perda nemmeno uno di quelli che mi ha dato, ma che Io li risusciti all’ultimo giorno. Ora la volontà del Padre che mi ha mandato è che chiunque conosce il Figlio e crede in Lui abbia la vita Eterna e Io lo possa risuscitare nell’Ultimo Giorno, vedendolo nutrito della fede in Me e segnato del mio sigillo».

Vi è non poco brusìo nella sinagoga e fuori della stessa per le nuove e ardite parole del Maestro. E questo, dopo avere per un momento preso fiato, volge gli occhi sfavillanti di rapimento là dove più si mormora, e sono precisamente i gruppi in cui sono dei giudei. Riprende a parlare.

«Perché mormorate fra voi? Sì, Io sono il figlio di Maria di Nazareth figlia di Gioacchino della stirpe di Davide, Vergine consacrata nel Tempio e poi sposata a Giuseppe di Giacobbe, della stirpe di Davide. Voi avete conosciuto, in molti, i giusti che dettero vita a Giuseppe, legnaiolo regale, e a Maria, Vergine erede della stirpe regale. Ciò vi fa dire: “Come può Costui dirsi disceso dal Cielo?», e il dubbio sorge in voi.

Vi ricordo i Profeti nelle loro profezie sull’Incarnazione del Verbo. E vi ricordo come, più per noi israeliti che per qualsiasi altro popolo, è dogmatico che Colui che non osiamo chiamare non potesse darsi una Carne secondo le leggi della umanità, e umanità decaduta per giunta. Il Purissimo, l’Increato, se si è mortificato a farsi Uomo per amore dell’uomo, non poteva che eleggere un seno di Vergine più pura dei gigli per rivestire di Carne la sua Divinità.

Il pane disceso dal Cielo al tempo di Mosè è stato riposto nell’arca d’oro, coperta dal propiziatorio, vegliata dai cherubini, dietro i veli del Tabernacolo. E col pane era la Parola di Dio. E giusto era che ciò fosse, perché sommo rispetto va dato ai doni di Dio e alle tavole della sua Santissima Parola.

Ma che allora sarà stato preparato da Dio per la sua stessa Parola e per il Pane vero che è venuto dal Cielo? Un’arca più inviolata e preziosa dell’arca d’oro, coperta dal prezioso propiziatorio della sua pura volontà di immolazione, vegliata dai cherubini di Dio, velata dal velo di un candore verginale, di una umiltà perfetta, di una carità sublime e di tutte le virtù più sante.

E allora? Non capite ancora che la mia paternità è in Cielo e che perciò Io di là vengo? Sì, Io sono disceso dal Cielo per compiere il decreto del Padre mio, il decreto di salvazione degli uomini secondo quanto promise al momento stesso della condanna e ripeté ai Patriarchi e ai Profeti.

Ma questo è fede. E la fede viene data da Dio a chi ha l’animo di buona volontà. Perciò nessuno può venire a Me se non lo conduce a Me il Padre mio, vedendolo nelle tenebre ma rettamente desideroso di luce. È scritto nei Profeti: “Saranno tutti ammaestrati da Dio”. Ecco. È detto: È Dio che li istruisce dove andare per essere istruiti di Dio. Chiunque, dunque, ha udito in fondo al suo spirito retto parlare Iddio, ha imparato dal Padre a venire a Me».

«E chi vuoi che abbia sentito Iddio o visto il suo Volto?» chiedono in diversi che cominciano a mostrare segni di irritazione e di scandalo. E terminano: «Tu deliri, oppure sei un illuso».

«Nessuno ha veduto Iddio eccetto Colui che è da Dio; questo ha veduto il Padre. E questo Io sono.

Ed ora udite il “credo” della vita futura, senza il quale non ci si può salvare.

In verità, in verità vi dico che chi crede in Me ha la Vita eterna. In verità, in verità vi dico che Io sono il Pane della Vita eterna.

I vostri padri mangiarono nel deserto la manna e morirono. Perché la manna era un cibo santo ma temporaneo, e dava vita per quanto necessitava a giungere alla terra promessa da Dio al suo popolo. Ma la Manna che Io sono non avrà limitazione di tempo e di potere.

È non solo celeste, ma è divina, e produce ciò che è divino: l’incorruttibilità, l’immortalità di quanto Dio ha creato a sua immagine e somiglianza. Essa non durerà quaranta giorni, quaranta mesi, quaranta anni, quaranta secoli. Ma durerà finché durerà il tempo, e sarà data a tutti coloro che di essa hanno fame santa e gradita al Signore, che giubilerà di darsi senza misura agli uomini per cui si è incarnato, onde abbiamo la Vita che non muore.

Io posso darmi, Io posso transustanziarmi per amore degli uomini, onde il pane divenga Carne e la Carne divenga Pane per la fame spirituale degli uomini, che senza questo Cibo morirebbero di fame e di malattie spirituali. Ma se uno mangia di questo Pane con giustizia, egli vivrà in eterno. Il pane che Io darò sarà la mia Carne immolata per la vita del mondo, sarà il mio amore sparso nelle case di Dio, perché alla mensa del Signore vengano tutti coloro che sono amorosi o infelici e trovino ristoro al loro bisogno di fondersi a Dio e di trovare sollievo al loro penare».

«Ma come può darci da mangiare la tua carne? Per chi ci hai presi? Per belve sanguinarie? Per selvaggi? Per omicidi? A noi ripugna il sangue e il delitto».

«In verità, in verità vi dico che molte volte l’uomo è più di una belva, e che il peccato fa più che selvaggi, che l’orgoglio dà sete omicida, e che non a tutti dei presenti ripugnerà il sangue e il delitto. E anche in futuro l’uomo tale sarà, perché satana, il senso e l’orgoglio lo fanno belluino. E perciò con maggior bisogno che mai dovete e dovrà l’uomo sanare se stesso dai germi terribili con l’infusione del Santo.

In verità, in verità vi dico che se non mangerete la Carne del Figlio dell’Uomo e non berrete il suo Sangue, non avrete in voi la  Vita. Chi mangia degnamente la mia Carne e beve il mio Sangue ha la Vita eterna ed Io lo risusciterò all’Ultimo Giorno. Perché la mia Carne è veramente Cibo e il mio Sangue è veramente Bevanda.

Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in Me ed Io in lui. Come il Padre vivente mi inviò, ed Io vivo per il Padre, così chi mi mangia vivrà anch’egli per Me e andrà dove lo mando, e farà ciò che Io voglio, e vivrà austero come uomo e ardente come serafino, e sarà santo, perché per potersi cibare della mia Carne e del mio Sangue si interdirà le colpe e vivrà ascendendo per finire la sua ascesa ai piedi dell’Eterno.»

«Ma costui è folle! Chi può vivere in tal modo? Nella nostra religione è solo il sacerdote che deve essere purificato per offrire la vittima. Qui Egli ci vuole fare, di noi, tante vittime della sua follia. Questa dottrina è troppo penosa e questo linguaggio è troppo duro! Chi li può ascoltare e praticare?» sussurrano i presenti, e molti sono discepoli già riputati tali.

La gente sfolla commentando. E molto assottigliate appaiono le file dei discepoli quando restano solo nella sinagoga il Maestro e i più fedeli. Io non li conto, ma dico che, ad occhio e croce, sì e no si arriva a cento. Perciò ci deve essere stato un bell’abbandono anche nelle schiere dei vecchi discepoli ormai al servizio di Dio.

Fra i rimasti sono gli apostoli, il sacerdote Giovanni e lo scriba Giovanni, Stefano, Erma, Timoteo, Ermasteo, Agapo, Giuseppe, Salomon, Abele di Betlemme di Galilea e Abele il già lebbroso di Corozim col suo amico Samuele, Elia (quello che lasciò di seppellire il padre per seguire Gesù), Filippo di Arsela, Aser e Ismaele di Nazareth, più altri che non conosco di nome. Questi tutti parlano piano fra loro commentando la defezione degli altri e le parole di Gesù, che pensieroso sta con le braccia conserte appoggiato ad un alto leggio.

«E vi scandalizzate di ciò che ho detto? E se vi dicessi che vedrete un giorno il Figlio dell’Uomo ascendere al Cielo dove era prima e sedersi al fianco del Padre? E che avete capito, assorbito, creduto fino ad ora? E con che avete udito e assimilato? Solo con l’umanità? È lo spirito quello che vivifica e ha valore. La carne non giova a niente. Le mie parole sono spirito e vita, e vanno udite e capite con lo spirito per averne vita.

Ma ci sono molti fra voi che hanno morto lo spirito perché è senza fede. Molti di voi non credono con verità. E inutilmente stanno presso Me. Non ne avranno Vita ma Morte. Perché vi stanno, come ho detto in principio, o per curiosità, o per umano diletto, o, peggio, per fini ancora più indegni. Non sono portati qui dal Padre per premio alla loro buona volontà, ma da Satana. Nessuno può venire a Me, in verità, se non gli è concesso dal Padre mio.

Andate pure, voi che vi trattenete a fatica perché vi vergognate, umanamente, di abbandonarmi, ma avete ancora maggior vergogna di rimanere al servizio di Uno che vi pare “pazzo e duro”. Andate. Meglio lontani che qui per nuocere».

E molti si ritraggono fra i discepoli, fra i quali lo scriba Giovanni e Marco, il geraseno indemoniato, guarito mandando i demoni nei porci. I discepoli buoni si consultano e corrono dietro a questi fedifraghi tentando di fermarli.

Nella sinagoga sono ora Gesù, il sinagogo e gli apostoli…

Gesù si volge ai dodici che, mortificati, stanno in un angolo e dice: «Volete andarvene anche voi?». Lo dice senza acredine e senza mestizia. Ma con molta serietà.

Pietro, con impeto doloroso, gli dice: «Signore, e dove vuoi che si vada? Da chi? Tu sei la nostra vita e il nostro amore. Tu solo hai parole di Vita eterna. Noi abbiamo conosciuto che Tu sei il Cristo, Figlio di Dio. Se vuoi, cacciaci. Ma noi, di nostro, non ti lasceremo neppure… neppure se Tu non ci amassi più…», e Pietro piange senza rumore, con grandi lacrimoni…

Anche Andrea, Giovanni, i due figli di Alfeo, piangono apertamente, e gli altri, pallidi o rossi per l’emozione, non piangono, ma soffrono palesemente.

«Perché vi dovrei cacciare? Non sono stato Io che ho eletto voi dodici?…».

Giairo, prudentemente, si è ritirato per lasciare Gesù libero di confortare o redarguire i suoi apostoli. Gesù, che ne nota la silenziosa ritirata, dice, sedendosi accasciato come se la rivelazione che fa gli costasse uno sforzo superiore a quello che Egli può fare, stanco come è, disgustato, addolorato: «Eppure uno di voi è un demonio».

La parola cade lenta, paurosa, nella sinagoga, nella quale è solo allegra la luce delle molte lampade… e nessuno osa dire nulla. Ma si guardano l’un con l’altro con pauroso ribrezzo e angosciosa indagine e, con una ancor più angosciosa e intima domanda, ognuno esamina se stesso…

Nessuno si muove per qualche tempo. E Gesù resta solo, sul suo sedile, le mani incrociate sui ginocchi, il viso basso. Lo alza infine e dice: «Venite. Non sono già un lebbroso! O mi credete tale?…».

Allora Giovanni corre avanti e gli si avviticchia al collo dicendo: «Con Te, allora, nella lebbra, mio solo amore. Con Te nella condanna, con Te nella morte, se credi che ciò ti attenda…»; e Pietro striscia ai suoi piedi e li prende e se li mette sugli omeri e singhiozza: «Qui, premi, calpesta! Ma non mi fare pensare che Tu diffidi del tuo Simone».

Gli altri, vedendo che Gesù carezza i due primi, si fanno avanti e baciano Gesù sulle vesti, sulle mani, sui capelli… Solo l’Iscariota osa baciarlo sul viso.

Gesù si alza di scatto, e quasi lo respinge bruscamente tanto lo scatto è improvviso, e dice: «Andiamo a casa. Domani sera, di notte, partiremo con le barche per Ippo».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta