Lunedì X settimana del Tempo Ordinario Anno A

Lunedì della X settimana del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,1-12)
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 5,1-12)
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Il tema è la consolazione dopo la desolazione. “Beati gli afflitti perché saranno consolati” è una delle beatitudini; san Paolo nella lettera ai Corinzi porta l’esempio di se stesso: è appena passato attraverso una grande tribolazione, tanto che più avanti dirà che disperava perfino della vita, ma in questa tribolazione ha ricevuto la consolazione di Dio e ora lo benedice: “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione”. E un messaggio di gioia e di consolazione molto prezioso.
Però dobbiamo renderci conto che la condizione per essere consolati è proprio di accettare prima la tribolazione, la desolazione: Dio non può consolare se non quelli che sono desolati.
Questo è il senso di tutte le beatitudini. È necessaria una situazione negativa, perché Dio in essa possa compiere la sua opera positiva. “Beati gli afflitti non coloro che sono nella felicità, nella gioia beati gli afflitti perché saranno consolati”. E san Paolo: “Come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione”. Bisogna lottare con Dio nella desolazione per ricevere la vittoria, la consolazione divina, perché non c’è vittoria senza combattimento. Impariamo dunque a vedere la desolazione come condizione per ricevere la gioia divina.
Certo, la desolazione pesa ed è insieme una tentazione di non credere più a Dio, di non aver fiducia, quando invece Dio in quella circostanza vuol consolarci, e ci consola se lottiamo con lui, rimanendo fermi nella fede e nella speranza.
Lottare come? Lottare nella preghiera, una preghiera difficile, perché nella vera desolazione non c’è più voglia di pregare, ma una preghiera intensa, vera, fatta rimanendo vicino alla croce di Gesù. Allora le nostre sofferenze diventano veramente “le sofferenze di Cristo in noi”, preludio della vittoria e della consolazione, che ci fa cantare: “Gustate e vedete quanto è buono il Signore!”. Soltanto dopo la vittoria si può avere la certezza gioiosa e beatificante della bontà di Dio.
In san Paolo l’esperienza della tribolazione e della consolazione è una esperienza apostolica: “Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione” perché combattimento e vittoria egli li vive per diffondere e consolidare la fede. E la consolazione “si dimostra nel sopportare con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo”. E dunque un cammino che egli traccia per tutti i fedeli, da vero Apostolo.
Domandiamo al Signore la luce per capire il valore delle tribolazioni e l’aiuto a rimanere, nelle prove, fermi nella fede, fermi accanto alla croce di Cristo, finché giunga la vittoria, nella consolazione divina.

DOMENICA DELLA SANTISSIMA TRINITA’ ANNO A

DOMENICA DELLA SANTISSIMA TRINITA’ ANNO A
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 3,16-18)
Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 3,16-18)

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo:
«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Spesso ci si immagina un “Dio” lontano, astratto, ridotto quasi a un sistema di idee.
Soprattutto quando ci si accosta alla dottrina della Trinità.
E invece. E invece, l’essere concretissimo di Dio è comunione che liberamente si effonde. Anzi, ci chiama a varcare la soglia della sua vita intima e beatificante.
Non riusciamo a capire perché Dio si sia interessato di noi: più di quanto, forse, noi ci interessiamo a noi stessi.
Proprio mentre eravamo peccatori, il Padre ha mandato il suo Figlio per offrirci la vita nuova nello Spirito. Liberamente. Per amore. “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito”.
Cristo non si impone. Non costringe ad accettarlo. Si consegna alla nostra decisione.
È questa la vertigine della vita umana. Possiamo passare accanto al Signore Gesù che muore e risorge, senza degnarlo di uno sguardo nemmeno distratto.
E, tuttavia, non possiamo fare in modo che egli non esista come il Dio fatto uomo che perdona e salva. “Chi non crede è già stato condannato”.
Ma se ci apriamo alla sua dilezione…
Allora Cristo si rivela come colui che ha suscitato in noi tutte le attese più radicali. E colma a dismisura queste attese.
È la redenzione. È la grazia. È lo Spirito che abita in noi e ci conforma al Signore Gesù.
La vita nuova, che ci viene donata, apparirà in tutta la sua gloria oltre il tempo. Inizia qui, ed è la “vita eterna”.

Sabato IX settimana del Tempo Ordinario Anno A

Sabato della IX settimana del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,38-44)
Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,38-44)

In quel tempo, Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Il Vangelo di oggi ci fa vedere come dobbiamo unire nella nostra vita di cristiani l’umiltà, la povertà, la carità. All’inizio il Signore ci mette in guardia contro la tentazione di cercare la stima degli uomini, come gli scribi, che perfino nel culto ne vanno in cerca: “Amano avere i primi seggi nelle sinagoghe, ostentano di fare lunghe preghiere” e non pensano che il vero culto a Dio è l’umiltà. Certo, non è un male desiderare la stima degli altri, è normale, però se il nostro agire è mosso solo dalla ricerca della stima non ne siamo più degni. Se amiamo “ricevere saluti nelle piazze, avere i primi posti nei banchetti”, siamo egoisti e superbi e nel rischio di “ricevere una condanna grave”: sono parole di Gesù.
La carità che piace a Dio è piena di umiltà, priva di ogni autocompiacimento. Dobbiamo stimare molto tutte le azioni nelle quali carità e umiltà sono unite, perché in esse la carità è custodita dall’umiltà e l’umiltà non è vuota, ma serve alla carità. In questa pagina della Scrittura vediamo con quale delicatezza il Signore fa l’elogio di questa donna povera e vedova, due attributi che nella società del tempo attiravano disprezzo. Io ricordo di aver ascoltato le lamentele di una vedova che, avendo fatto un’offerta modestissima perché era molto povera, era stata disprezzata ed era veramente desolata. Le raccontai questa scena del Vangelo, mostrandole che il Signore non misura le offerte secondo la quantità di denaro, ma secondo la generosità del cuore e guarda con maggior amore quelli che danno con umiltà, senza ricevere la ricompensa della stima altrui. Li stima di più di quelli che possono dare molto e ricevono una ricompensa immediata nella gratitudine, negli onori che si tributano ai ricchi generosi. E ricordo che questa donna fu veramente consolata, al pensiero di essere così ben capita dal Signore stesso. Due spiccioli di una povera vedova valgono di più davanti al Signore di una somma grandissima data da un ricco che nell’offrire non si priva di nulla: “Tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”.
Questa è proprio l’elemosina che è “assai meglio che accumulare tesori, libera dalla morte, purifica dai peccati” perché e un atto di carità vera.
Chiediamo al Signore che nelle nostre azioni ci sia sempre l’unione della carità e dell’umiltà, perché esse siano sempre gradite ai suoi occhi.

Venerdì IX settimana del Tempo Ordinario Anno A

Venerdì della IX settimana del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,35-37)
La folla numerosa lo ascoltava volentieri.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,35-37)

In quel tempo, insegnando nel tempio, Gesù diceva: «Come mai gli scribi dicono che il Cristo è figlio di Davide? Disse infatti Davide stesso, mosso dallo Spirito Santo:
“Disse il Signore al mio Signore:
Siedi alla mia destra,
finché io ponga i tuoi nemici
sotto i tuoi piedi”.
Davide stesso lo chiama Signore: da dove risulta che è suo figlio?».
E la folla numerosa lo ascoltava volentieri. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

La nostra fede non si fonda su una parola della Scrittura, su un solo Libro di essa, su una sola profezia. Si fonda invece su tutta la Scrittura, tutti i suoi libri, tutte le sue profezie, ogni sua parola. Essa è formata da una miriade di verità, alcune delle quali solo in apparenza sono in contrapposizione con le altre, mentre in realtà sono i molteplici punti che formano la linea del Mistero di Dio, di Cristo Gesù, dello Spirito Santo, dell’uomo, dell’eternità, del tempo, della vita, della morte, della vittoria sulla morte, della vita eterna. Diecimila verità fanno un solo mistero di Dio e dell’uomo.
La Scrittura ci offre verità dopo verità, profezia dopo profezia, parola dopo parola. A noi l’obbligo, sorretti e guidati dallo Spirito Santo di unificare ogni più piccola rivelazione al fine di comporre tutta la verità del mistero.
Come si evince dai testi il Messia viene da Dio per generazione eterna e dalla discendenza di Davide per generazione terrena. Il mistero diviene ancora più fitto se leggiamo cosa ci narrano gli Evangelisti Matteo e Luca. Secondo la loro parola ispirata il Messia è nato solo da Donna, dalla Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo. Da Giuseppe Gesù è stato adottato. Certo la sua è adozione speciale, particolare, è in tutto simile all’adozione di Dio verso ogni battezzato, ma Gesù non nasce dalla sua carne. Il mistero va ben oltre ogni profezia. È la verità di Gesù che dona compiutezza di verità ad ogni parola della Scrittura.
Quanto Gesù dice agli scribi nel tempio di Gerusalemme vuole rivelare non solo agli scribi di ieri, ma a tutti coloro che nel nuovo regno di Dio sono teologi, maestri, professori, dottori, evangelisti, profeti, catechisti, ministri della parola, che il suo mistero è così alto, così spesso, così profondo che la stessa Scrittura è obbligata a rivelarlo per verità separate. Anche se noi prendiamo tutte le sue verità e le uniamo le une alle altre, il mistero di Gesù è ancora infinitamente oltre, perché il suo è il mistero nel quale sono resi perfetti sia il mistero di Dio che il mistero dell’uomo e di tutta la creazione. La nostra mente è troppo piccola per poter penetrare e decifrare tutto ciò che è Gesù Signore. Ogni giorno lo Spirito Santo ci deve offrire qualche altra luce.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci conoscere Gesù Signore.

Giovedì IX settimana del Tempo Ordinario Anno A

Giovedì della IX settimana del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12,28-34)
Amerai il Signore tuo Dio e il tuo prossimo come te stesso.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12,28-34)

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».
Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio».
E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Ci dà sempre gioia ascoltare il Signore dirci che il primo comandamento è amare e che anche il secondo è amare: amare Dio e il prossimo, e che non c’è comandamento maggiore. Ci dà gioia perché corrisponde in pieno al desiderio del nostro cuore che è fatto per amare, che vuole amare. Dio, comandandoci di amare, viene incontro a questo profondo desiderio dell’uomo.
Potrebbe sorgere in noi una domanda: se questo desiderio è così profondo in noi, che necessità c’era di farne un comando? Non è neppure possibile comandare l’amore, l’amore non si comanda, è spontaneo, o c’è o non c’è.
In un certo senso è vero che non si può comandare di amare. Se Dio non avesse messo nel cuore dell’uomo l’anelito profondo verso l’amore, il suo comandamento sarebbe veramente stato inutile. Noi dobbiamo prima ricevere da Dio il dono di amare, per potere poi osservare questo comandamento. Però esso non è inutile, perché l’amore non è un dinamismo spontaneo: esige la nostra collaborazione, esige che mettiamo al suo servizio tutte le nostre capacità di pensiero, di affetto, di azione. Amare con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutta la forza non ci è dato subito, dobbiamo lentamente crescere nell’amore. Il nostro amore è debole, è limitato, è mescolato a cose che lo inquinano e l’esperienza ce lo conferma continuamente. E per questa ragione che il comandamento è necessario e che in noi l’amore ha bisogno di tutte le attenzioni e di tutti gli sforzi, come una pianticella fragile ha bisogno di cure per svilupparsi.
Nel libro di Tobìa (Tb 6,10-11;7,1.9-17;8,4-9) abbiamo un bellissimo esempio, molto importante per l’educazione dell’amore. L’amore dell’uomo per la donna, della donna per l’uomo è un dono di Dio, che ha posto in noi questa profonda tendenza. Ma questo amore, nello stato di decadenza in cui il peccato ci ha posto, è terribilmente viziato dall’egoismo; il desiderio sessuale è un aiuto all’amore, ma in un altro senso può diventare un grave ostacolo, se si cerca nell’altro soltanto la propria soddisfazione. Tobia e Sara ne sono coscienti e si dimostrano fedeli all’amore. Dice infatti Tobia a Sara: “Sara, levati, preghiamo Dio… Noi siamo figli di santi e non possiamo unirci alla maniera di quelli che non conoscono Dio”. E nella preghiera a Dio: “Signore, tu sai che io prendo in moglie questa mia parente non per passione, ma solo per il desiderio di una discendenza”. Vediamo dunque, in questa drammatica storia, come il dinamismo che ci spinge verso l’amore può essere in noi profondamente bisognoso di purificazione.
Questo è vero per l’amore dell’uomo per la donna nel matrimonio, e lo è anche nelle altre relazioni interpersonali. Sempre noi abbiamo tendenza a strumentalizzare gli altri per i nostri fini, ad “usarli” invece di amarli, a cercare in loro ciò che ci piace, ciò che soddisfa un nostro bisogno. Per essere fedeli al comandamento dell’amore dobbiamo resistere a questa tendenza, non dobbiamo lasciare che l’amore sia profanato dall’egoismo, ma lavorare con pazienza a purificarlo.

Mercoledì IX settimana del Tempo Ordinario Anno A

Mercoledì della IX settimana del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,18-27)
Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe.

 

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,18-27)

In quel tempo, vennero da Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e lo interrogavano dicendo: «Maestro, Mosè ci ha lasciato scritto che, se muore il fratello di qualcuno e lascia la moglie senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. C’erano sette fratelli: il primo prese moglie, morì e non lasciò discendenza. Allora la prese il secondo e morì senza lasciare discendenza; e il terzo egualmente, e nessuno dei sette lasciò discendenza. Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna. Alla risurrezione, quando risorgeranno, di quale di loro sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Rispose loro Gesù: «Non è forse per questo che siete in errore, perché non conoscete le Scritture né la potenza di Dio? Quando risorgeranno dai morti, infatti, non prenderanno né moglie né marito, ma saranno come angeli nei cieli. Riguardo al fatto che i morti risorgono, non avete letto nel libro di Mosè, nel racconto del roveto, come Dio gli parlò dicendo: “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe”? Non è Dio dei morti, ma dei viventi! Voi siete in grave errore». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Il passo evangelico di oggi parla della risurrezione, la sorgente della risurrezione è il cuore di Gesù.
Non dobbiamo concepire la risurrezione come un fenomeno materiale, un evento fisico soltanto, un corpo morto che ridiventa vivo. Il Nuovo Testamento ci manifesta la risurrezione come un evento di ordine spirituale profondo: per ottenere la risurrezione la via per Gesù era trasformare la sua morte mediante la preghiera. Non sono capace di spiegarmi bene, ma lo Spirito Santo vi farà capire. Gesù non ha ricevuto la risurrezione in modo automatico, ma essa è stata il frutto della sua passione. Gesù era immerso nell’angoscia al pensiero di tante sofferenze e specialmente della morte. Il suo cuore sentì fortemente questa angoscia, tanto da essere sopraffatto dalla tristezza, come dicono i vangeli, dell’agonia: “La mia anima è triste fino alla morte” (Mc 14,34; Mt 26, 38); “In preda all’angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra” (Lc 22,44). Dovette trasformare questa angoscia, anzi la morte stessa per mezzo della preghiera, dell’unione al Padre suo; dovette lottare nella preghiera perché la via della morte si trasformasse in via dell’amore e perciò della risurrezione. Gesù lottò contro la morte, non ribellandosi ad essa, ma per trasformarla in sacrificio, in offerta, in apertura all’azione dello Spirito Santo, in atto di obbedienza filiale al Padre, con la convinzione che egli poteva trasformare la morte in varco verso la risurrezione.
Questo è il mistero più profondo, questa unione profonda dell’evento della morte con quello della risurrezione, che si compie nel cuore del Signore. Il cuore di Gesù è un cuore umano che ha ricevuto la potenza di Dio, dello Spirito di Dio per trasformare la morte in cammino di risurrezione, per trasformare, dobbiamo dire, tutto l’uomo, ottenendogli una nuova vita, una vita di figlio di Dio, pur ancora nella vita della carne.
Chiediamo a Gesù che ci faccia penetrare un po’ di più nelle profondità del suo cuore, perché anche noi, come cristiani, siamo invitati a trasformare ogni sofferenza, ogni nostra “via crucis” in via di risurrezione.

Martedì IX settimana del Tempo Ordinario Anno A

Martedì della IX settimana del Tempo Ordinario Anno A
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,13-17)
Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, quello che è di Dio, a Dio.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,13-17)

In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso.
Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?».
Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono.
Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio».
E rimasero ammirati di lui. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Gesù nell’Ultima Cena, prima della passione, ringrazia il Padre prendendo il pane che doveva diventare il suo corpo, dato per noi. Gesù ha riconosciuto nella Passione un dono del Padre. Dopo di lui e in lui ogni prova è una possibilità, un’occasione di amore in unione a tutti quelli che soffrono e quindi è giusto che ci sia rendimento di grazie per l’amore che Dio vuol comunicarci.
Nel Vangelo Gesù, alla domanda insidiosa dei farisei, dà una risposta semplice e complessa insieme, che si può spiegare in molti modi. Oggi mi sembra utile sottolineare il senso di coerenza che egli insegna ai suoi avversari. “E lecito o no dare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare o no?”. Gesù sa che cercano un pretesto per accusarlo, ma non si sottrae: “Portatemi un denaro”. Glielo portano e così dimostrano che loro stessi usano questo denaro, che approfittano dell’organizzazione romana, che esercitano il loro commercio, che guadagnano, che sono quindi inseriti per il loro interesse nella struttura creata dal potere pagano. Perché dunque non pagare le imposte? Il loro vuol essere un rifiuto per motivi religiosi, o con pretesti religiosi, o semplicemente per desiderio di indipendenza. Ma Gesù mette in evidenza la loro incoerenza, dicendo loro: “Se accettate l’immagine di Cesare per la vostra vita, per coerenza dovete rendere a Cesare quel che è di Cesare”. E aggiunge subito: “E a Dio quel che è di Dio”, che è la cosa fondamentale, ma non esclude l’altra.
In realtà nella vita ci sono situazioni non del tutto logiche, ma anche in esse i cristiani devono contribuire al bene dello stato in modo disinteressato, anche quando sono perseguitati, per partecipare alla bontà di Dio. San Pietro scrive nella sua prima lettera: “State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore”, e aggiunge: “Comportatevi come uomini liberi,… come servitori di Dio”. La coerenza della Chiesa non consiste nell’accettare tutto, ma solo a ciò che contribuisce al bene. Certo, questa è una vita travagliata, che si accetta con spirito evangelico per contribuire positivamente alla vita del paese, con il coraggio di aderire o di rifiutare le situazioni a seconda che rispondano o no al vero bene dell’uomo.

Lunedì IX settimana del Tempo Ordinario Anno A

Lunedì della IX settimana del Tempo Ordinario Anno A
San Bonifacio
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,1-12)
La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Marco. (Mc 12,1-12)

In quel tempo, Gesù si mise a parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti, agli scribi e agli anziani]:
«Un uomo piantò una vigna, la circondò con una siepe, scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Al momento opportuno mandò un servo dai contadini a ritirare da loro la sua parte del raccolto della vigna. Ma essi lo presero, lo bastonarono e lo mandarono via a mani vuote. Mandò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla testa e lo insultarono. Ne mandò un altro, e questo lo uccisero; poi molti altri: alcuni li bastonarono, altri li uccisero.
Ne aveva ancora uno, un figlio amato; lo inviò loro per ultimo, dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma quei contadini dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra”. Lo presero, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna.
Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e farà morire i contadini e darà la vigna ad altri. Non avete letto questa Scrittura: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”?».
E cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti che aveva detto quella parabola contro di loro. Lo lasciarono e se ne andarono. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Su, uccidiamolo e l’eredità sarà nostra!I frutti dalla sua vigna sempre vanno dati al Signore. La vigna è sua, non nostra. Gli appartiene per diritto eterno. La prima vigna di Dio è ogni uomo. Ogni uomo è proprietà di Dio, proprietà per creazione, per alito di vita, per sussistenza, per costante mantenimento in vita. Qual è il primo frutto della vigna? Quello di riconoscere il Signore come il Signore e dare a Lui il frutto di una obbedienza eterna. L’obbedienza si dona a Dio, donandola alla sua Parola, ai suoi Comandamenti, alle sue Leggi.
Vigna del Signore è Israele, sono i figli di Abramo. Essi devono i frutti di una fedeltà promessa, giurata ad un’alleanza da loro stipulata con il Signore. All’obbedienza dovuta per creazione si aggiunge quella obbligatoria che nasce dall’alleanza, dal patto bilaterale sancito tra essi e Dio. Il frutto è la piena osservanza dei Comandamenti. Israele invece è immerso nella trasgressione, nella violazione del patto. Così agendo impedisce che Dio possa essere il suo Salvatore, il suo Custode, il suo redentore. Il Signore ama il suo popolo. Non vuole che esso perisca e per questo ripetutamente manda loro i suoi profeti per richiamarlo agli obblighi giurati. Ma senza successo. Anzi, i suoi profeti vengono maltrattati, derisi, bastonati, uccisi.
Viene Gesù, il Figlio Eterno del Padre, il suo Unico Figlio. Cosa decidono i contadini? Di ucciderlo, in modo che la vigna sia loro per sempre. È questa una decisione che rivela il sommo della malvagità umana. Si uccide Dio per non essere di Dio. Si vuole essere autonomi da Lui. L’uomo può anche decidere di essere senza Dio, senza di Lui vi è solo la morte nel tempo e nell’eternità. Una verità che l’uomo sempre deve conoscere vuole che Dio non obbliga a scegliere Lui, a dare a Lui i frutti dell’obbedienza. Lui si annunzia come vita. Vuoi la vita? Mi devi scegliere. Vuoi la morte? Scegli te stesso e uccidi me. Uccidi solo la fonte eterna ed unica della tua vita. Ti incammini su un sentiero di morte per sempre. È verità infallibile.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci di vera obbedienza a Dio.

DOMENICA DI PENTECOSTE ANNO A

DOMENICA DI PENTECOSTE ANNO A
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 20,19-23)
Venne Gesù, stette in mezzo a loro
e i discepoli gioirono al vedere il Signore.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 20,19-23)

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Parola del Signore.

Sequenza
Vieni, Santo Spirito,
manda a noi dal cielo
un raggio della tua luce
Vieni, padre dei poveri,
vieni, datore dei doni,
vieni, luce dei cuori.
Consolatore perfetto,
ospite dolce dell’anima,
dolcissimo sollievo.
Nella fatica, riposo,
nella calura, riparo,
nel pianto, conforto
O luce beatissima,
invadi nell’intimo
il cuore dei tuoi fedeli.
Senza la tua forza,
nulla è nell’uomo,
nulla senza colpa.
Lava ciò che è sórdido,
bagna ciò che è árido,
sana ciò che sánguina
Piega ciò che è rigido,
scalda ciò che è gelido,
drizza ciò che è sviato.
Dona ai tuoi fedeli,
che solo in te confidano
i tuoi santi doni.
Dona virtù e premio,
dona morte santa,
dona gioia eterna.

RIFLESSIONI

Lo Spirito Santo è lo Spirito di Cristo ed è la Persona divina che diffonde nel mondo la possibilità di imitare Cristo, dando Cristo al mondo e facendolo vivere in noi.
Nell’insegnamento e nell’opera di Cristo, nulla è più essenziale del perdono. Egli ha proclamato il regno futuro del Padre come regno dell’amore misericordioso. Sulla croce, col suo sacrificio perfetto, ha espiato i nostri peccati, facendo così trionfare la misericordia e l’amore mediante – e non contro – la giustizia e l’ordine. Nella sua vittoria pasquale, egli ha portato a compimento ogni cosa. Per questo il Padre si compiace di effondere, per mezzo del Figlio, lo Spirito di perdono. Nella Chiesa degli apostoli il perdono viene offerto attraverso i sacramenti del battesimo e della riconciliazione e nei gesti della vita cristiana.
Dio ha conferito al suo popolo una grande autorità stabilendo che la salvezza fosse concessa agli uomini per mezzo della Chiesa!
Ma questa autorità, per essere conforme al senso della Pentecoste, deve sempre essere esercitata con misericordiae con gioia, che sono le caratteristiche di Cristo, che ha sofferto ed è risorto, e che esulta eternamente nello Spirito Santo.