III DOMENICA DI AVVENTO ANNO A – GAUDETE Mt 11,2-11

3° DOMENICA DI AVVENTO Mt 11,2-11

3° D

TESTO: –
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 11,2-11)
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Subito dopo il passo in cui Gesù invia i suoi discepoli (Mt 10,5-11,1) san Matteo pone questa domanda che ci tocca tanto – come ha chiaramente toccato anche la prima comunità e colui al quale viene qui fatta pronunciare: Non vi sono numerosi argomenti contro Gesù e il suo messaggio? La risposta alla domanda che pongono i discepoli di Giovanni non è senza equivoci. Vi si dice chiaramente: non esiste una “prova” da presentare. Eppure un colpo d’occhio sui capitoli precedenti del Vangelo di san Matteo mostra bene che la lunga lista di guarigioni e miracoli non è stata redatta a caso. Quando la si paragona attentamente a ciò che Gesù fa rispondere a Giovanni, è possibile trovare, nei precedenti testi del Vangelo, almeno un esempio per ogni dichiarazione (i ciechi vedono, gli storpi camminano…). Quando Gesù dice questo, le sue parole fanno pensare alle parole di un profeta. Bisogna che diventi manifesto che in Gesù si compiono le speranze passate anche se molte cose restano ancora incompiute. Non tutti i malati sono stati guariti, non tutto è diventato buono. Ecco perché si legge in conclusione questo ammonimento: “Felice colui che non abbandonerà la fede in me (che non si scandalizza di me)”.
Quanto a coloro ai quali questo non basta, Gesù domanda loro che cosa di fatto sono venuti a vedere. Poiché di persone vestite bene se ne trovano dappertutto. Ma se è un profeta che volevano vedere, l’hanno visto! Hanno avuto ragione di andare a trovare Giovanni Battista, poiché la legge e i profeti lo avevano designato. Eppure la gente lo ha seguito come farebbero dei bambini che ballano sulla piazza del mercato senza preoccuparsi di sapere chi suona il flauto. La parabola che segue, e che non fa parte del nostro testo di oggi, dà una risposta che ci illumina: di fatto gli uomini non sanno quello che vogliono. Essi corrono dietro a chiunque prometta loro del sensazionale.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Capitolo 266

Gesù è solo con Matteo che, ferito ad un piede, non è potuto andare con gli altri a predicare. Ma però malati e desiderosi della Buona Novella affollano la terrazza e lo spazio libero dell’orto per udirlo e averne aiuto.

Gesù termina di parlare dicendo: «Contemplato che abbiamo insieme la grande frase di Salomone: “Nell’abbondanza della giustizia sta la somma fortezza”, Io vi esorto a possedere questa abbondanza perché essa è moneta per entrare nel Regno dei Cieli. State con la mia pace e Dio sia con voi».

E poi si volge ai poveri e ai malati -e in molti casi sono l’uno e l’altro insieme- e ascolta con bontà i loro racconti, soccorre con denaro, consiglia con parole, sana con l’imposizione delle mani e con la parola. Matteo, al suo fianco, provvede a dare le monete.

Gesù sta ascoltando attentamente una povera vedova, che gli narra fra le lacrime della morte improvvisa del marito legnaiolo al suo banco di lavoro, avvenuta pochi giorni prima:

«Sono corsa a cercarti qui, e tutto il parentado del morto mi accusò di essere scomposta e dura di cuore e ora mi maledice. Ma io ero venuta perché so che risusciti e so che se potevo trovarti il mio uomo sarebbe risorto. Non c’eri… Ora egli è nel sepolcro da due settimane… ed io sono qui con cinque figli… I parenti mi odiano e non mi aiutano.

Ho degli ulivi e delle viti. Pochi, ma mi darebbero pane per l’inverno se potessi tenerli fino alla raccolta. Ma non ho denaro, perché l’uomo da tempo era poco sano e poco lavorava, e per sostenersi mangiava e beveva anche troppo. Diceva che il vino gli faceva bene… invece fece il doppio male di ucciderlo e di consumare i risparmi già ridotti per il suo poco lavoro.

Stava finendo un carro e un cofano, e aveva ordinati due letti, delle tavole e mensole. Ma ora… Non sono finiti e mio figlio maschio non ha ancora otto anni. Perderò il denaro… Dovrò vendere gli arnesi, il legname. Il carro e il cofano non posso neppure venderli per tali, per quanto quasi ultimati, e li dovrò dare come legna da ardere. E non basteranno i denari perché io, mia madre vecchia e malata, e cinque figli, siamo sette persone…

Venderò il vigneto e gli ulivi… Ma Tu sai come è il mondo… Strozza dove c’è il bisogno. Dimmi, che devo fare? Io volevo serbare il banco e i ferri per il figlio che già sa qualcosa del legno… volevo serbare la terra per vivere e per dote alle figlie…».

Sta ascoltando tutto questo quando un rimescolio fra la gente Lo avverte che c’è qualcosa di nuovo. Si volta per vedere e vede tre uomini che si fanno strada fra la folla. Si torna a voltare per parlare alla vedova: «Dove abiti?».

«A Corozim, presso la strada che va alla Fonte calda. Una casa bassa in mezzo a due fichi».

«Va bene. Verrò ad ultimare il carro e il cofano, e li venderai a chi li ha ordinati. Aspettami domani all’aurora».

«Tu! Tu lavorare per me!». La donna è soffocata dallo stupore.

«Riprenderò il lavoro mio e ti darò pace. Intanto, a quelli di Corozim senza cuore impartirò la lezione della carità».

«Oh! sì! Senza cuore! Ci fosse stato ancora il vecchio Isacco! Non mi avrebbe lasciata morire di fame. Ma egli è tornato ad Abramo…».

«Non piangere. Va tranquilla. Ecco quanto serve oggi. Domani verrò Io. Va in pace».

La donna si prostra a baciargli la veste e se ne va più sollevata.

«Maestro tre volte Santo, ti posso salutare?», chiede uno dei tre sopraggiunti che si sono fermati rispettosamente dietro a Gesù, attendendo che Egli congedasse la donna, e che perciò hanno sentito la promessa di Gesù. E quest’uomo che saluta è Mannaen.

Gesù si volta e con un sorriso dice: «Pace a te, Mannaen! Ti sei dunque ricordato di Me?».

«Sempre, Maestro. E avevo divisato di venire da Te in casa di Lazzaro o all’orto degli Ulivi per stare con Te. Ma prima di Pasqua fu preso il Battista. Fu ripreso con tradimento ed io temevo che, nell’assenza di Erode venuto a Gerusalemme per la Pasqua, Erodiade ordinasse l’uccisione del Santo. Non è voluta andare per le feste a Sionne dicendosi malata. Malata, sì. Di odio e lussuria…

Io sono stato a Macheronte per controllare e… trattenere la perfida donna, che sarebbe capace di uccidere di sua mano… E non lo fa perché teme di perdere il favore di Erode, che… per paura o per convinzione difende Giovanni limitandosi a tenerlo prigioniero. Ora Erodiade è fuggita dal caldo opprimente di Macheronte andando in un castello di sua proprietà. Ed io sono venuto con questi amici miei e discepoli di Giovanni. Egli li mandava perché ti interrogassero. E io mi sono unito a loro».

La gente, sentendo parlare di Erode e comprendendo chi è che ne parla, si affolla curiosa intorno al gruppetto di Gesù e dei tre.

«Che volevate chiedermi?», chiede Gesù dopo scambievoli saluti con i due austeri personaggi.

«Parla tu, Mannaen, che sai tutto e sei più amico», dice uno dei due.

«Ecco, Maestro. Tu devi compatire se per troppo amore i discepoli vanno in diffidenza verso Colui che credono antagonista o soppiantatore del loro maestro. Così fanno i tuoi, così quelli di Giovanni. È una comprensibile gelosia, che dimostra tutto l’amore dei discepoli per i maestri. Io… sono imparziale, e questi che con me sono lo possono dire, perché conosco Te e Giovanni e vi amo con giustizia, tanto che, per quanto ami Te per quello che sei, ho preferito fare il sacrificio di stare presso Giovanni, perché venero lui pure per quello che è, ed attualmente perché più in pericolo di Te.

Ora per questo amore, nel quale soffiano col loro astio i farisei, essi sono giunti a dubitare che Tu sia il Messia. E lo hanno confessato a Giovanni credendo di dargli una gioia col dire:

“Per noi sei tu il Messia. Non ci può essere uno più Santo di te”.

Ma Giovanni li ha rimproverati per prima cosa chiamandoli bestemmiatori, e poi, dopo il rimprovero, con più dolcezza, ha spiegato tutte le cose che ti indicano come vero Messia. Infine, vedendoli ancora non persuasi, ha preso due di essi, questi, e ha detto:

“Andate da Lui e ditegli in mio nome: Sei Tu quello che ha da venire o dobbiamo attenderne un altro?”.

Non ha mandato i discepoli già pastori, perché essi credono e non sarebbe giovato mandarli. Ma ha preso fra quelli che dubitano per farteli avvicinare e perché la loro parola dissipi i dubbi dei loro simili. Io li ho accompagnati per poterti vedere. Ho detto. Tu ora calma i loro dubbi».

«Ma non ci credere ostili, Maestro! La parole di Mannaen te lo potrebbero far pensare. Noi… noi… Noi conosciamo da anni il Battista e lo abbiamo sempre visto Santo, penitente, ispirato. Tu… non ti conosciamo che per la parola altrui. E Tu sai cosa è la parola degli uomini… Crea e distrugge fama e lodi nel contrasto fra chi esalta e chi abbatte, così come una nuvola viene formata e disciolta da due venti contrari».

«So, so. Leggo nel vostro animo, e i vostri occhi leggono la verità in quanto vi circonda, così come le vostre orecchie hanno sentito il colloquio con la vedova. Questo basterebbe a persuadere. Ma Io vi dico. Osservate chi mi circonda. Qui non sono ricchi né gaudenti, qui non persone scandalose. Ma poveri, malati, onesti israeliti che vogliono conoscere la Parola di Dio. E non altro. Questo, questo, questa donna, e poi quella fanciulla e quel vecchio, sono venuti qui malati ed ora sono sani. Interrogateli e vi diranno cosa avevano come li guarii e come stanno ora. Fate, fate. Io intanto parlo con Mannaen», e Gesù fa per ritirarsi.

«No, Maestro. Noi non dubitiamo delle tue parole. Solo dacci una risposta da portare a Giovanni, perché egli veda che siamo venuti e perché possa, in base a quella, persuadere i nostri compagni».

«Andate a riferire questo a Giovanni: “I sordi odono; questa fanciulla era sorda e muta. I muti parlano; e quell’uomo era muto dalla nascita. I ciechi vedono”. Uomo, vieni qui. Dì a costoro cosa avevi», dice Gesù prendendo per un braccio un miracolato.

Questo dice: «Sono muratore e mi cadde sul viso un secchio pieno di calce viva. Mi bruciò gli occhi. Da quattro anni ero nelle tenebre. Il Messia mi ha bagnato gli occhi seccati con la sua saliva e sono tornati più freschi di quando avevo venti anni. Che Egli ne sia benedetto».

Gesù riprende: «E coi ciechi, sordi, muti guariti, si raddrizzano gli zoppi e corrono gli storpiati. Ecco lì quel vecchio rattrappito poco anzi e ora dritto come una palma del deserto e agile come una gazzella. Si sanano le malattie più gravi. Tu, donna, che avevi?».

«Un male al seno per troppo latte dato a bocche voraci. E il male, col seno, mi rodeva la vita. Ora guardate», e socchiude la veste mostrando intatte le mammelle e aggiunge: «Era tutta una piaga, e lo dimostra la tunica ancor bagnata del marciume. Ora vado a casa per mettere veste monda e sono forte e felice. Mentre solo ieri ero morente, portata qui da pietosi, e tanto infelice… per i bambini prossimi ad esser senza madre. Eterna lode al Salvatore!».

«Udite? E potete interrogare il sinagoga di questa città sulla risurrezione della figlia sua e, tornando verso Gerico, passate da Naim, chiedete del giovane risuscitato alla presenza di tutta la città e mentre stava per essere messo nel sepolcro. Così potrete riferire che i morti risuscitano. Che molti lebbrosi siano guariti potete saperlo da molti luoghi di Israele, ma se volete andare a Sicaminon cercatene fra i discepoli, e molti ne troverete. Dite dunque a Giovanni che i lebbrosi sono mondati. E dite, poiché lo vedete, che ai poveri è annunziata la Buona Novella. Ed è beato chi non si sarà scandalizzato di Me. Dite questo a Giovanni. E ditegli che Io lo benedico con tutto il mio amore».

«Grazie, Maestro. Benedici noi pure prima della partenza».

«Voi non potete partire in queste ore calde. Rimanete perciò miei ospiti fino a sera. Vivrete per un giorno la vita di questo Maestro che non è Giovanni, ma che Giovanni ama perché sa Chi è. Venite nella casa. Vi è fresco e vi ristorerò. Addio, miei ascoltatori. La pace sia con voi», e congedate le turbe entra in casa coi tre ospiti…

Quanto si dicano in quelle ore affocate non so. Ciò che vedo ora è la preparazione della partenza per Gerico dei due discepoli. Mannaen pare che resti, perché il suo cavallo non è stato portato con i due robusti asini davanti all’apertura del muro del cortile. I due inviati di Giovanni, dopo molti inchini al Maestro e a Mannaen, montano in sella e ancora si voltano a guardare e a salutare, finché un angolo di via non li nasconde alla vista.

Molti di Cafarnao si sono affollati per vedere questa partenza, perché la notizia della venuta dei discepoli di Giovanni e la risposta di Gesù a loro, hanno fatto il giro del paese, e credo anche di altri paesi vicini. Vedo persone di Betsaida e Corozim, che si sono presentate ai messi di Giovanni chiedendo di lui e dicendo di salutarlo -forse sono ex discepoli di Betsaida-.

Gesù, con a fianco Mannaen, fa per rientrare in casa parlando. Ma la gente gli si stringe intorno, curiosa di osservare il fratello di latte di Erode e i suoi modi pieni di ossequio per Gesù, e desiderosa di parlare col Maestro.

C’è anche Giairo, il sinagogo. Ma, per grazia di Dio, non ci sono farisei. È proprio Giairo che dice: «Sarà contento Giovanni! Non solo hai mandato esauriente risposta, ma anche, trattenendoli, hai potuto ammaestrarli e mostrare loro un miracolo».

«E non da poco, anche!», dice un uomo.

«Io avevo portato apposta la mia bambina oggi perché la vedessero. Non è mai stata così bene e per lei è una gioia venire dal Maestro. Avete sentito, eh?, la sua risposta: “Io non mi ricordo cosa è la morte. Ma mi ricordo che un Angelo mi ha chiamata portandomi attraverso ad una luce sempre più viva, al termine della quale era Gesù. E come l’ho visto allora, col mio spirito che tornava in me, non lo vedo neppure ora. Voi ed io ora vediamo l’Uomo. Ma il mio spirito ha visto Dio che è chiuso nell’Uomo”. E come si è fatta buona da allora! Lo era buona. Ma ora è un Angelo. Ah! Per me, dicano quello che vogliono tutti, non ci sei che Tu di Santo!».

«Ma anche Giovanni è Santo però», dice uno di Betsaida.

«Sì. Ma è troppo severo».

«Non lo è più per gli altri che per sé».

«Ma non fa miracoli e si dice che digiuni perché sia come un mago».

«Eppure è Santo».

Il battibecco fra la folla si estende. Gesù alza la mano e la stende col gesto abituale che ha quando chiede silenzio e attenzione perché vuole parlare. Il silenzio si fa subito.

Gesù dice:

«Giovanni è Santo e grande. Non guardate il suo modo di fare né l’assenza di miracoli. In verità ve lo dico: “Egli è un grande del Regno di Dio”. Là apparirà in tutta la sua grandezza.

Molti si lamentano perché egli era ed è severo fino ad apparire rude. In verità vi dico che egli ha lavorato da gigante per preparare le vie del Signore. E chi lavora così non ha tempo da perdere in mollezze.

Non diceva egli, mentre era lungo il Giordano, le parole di Isaia in cui lui e il Messia sono profetizzati: “Ogni valle sarà colmata, ogni monte sarà abbassato, e le vie tortuose saranno raddrizzate e le scabre fatte piane”, e ciò per preparare le vie al Signore e Re? Ma in verità ha fatto più egli che non tutto Israele per prepararmi la via!

E chi deve abbattere monti e colmare valli e raddrizzare vie o rendere dolci le salite penose, non può che lavorare rudemente. Perché egli era il Precursore, e solo il giro di poche lune lo anticipava a Me, e tutto doveva esser fatto prima che il Sole fosse alto sul giorno della Redenzione.

Il tempo è questo, il Sole ascende per splendere su Sionne e da lì su tutto il mondo. Giovanni ha preparato la via. Come doveva. Che siete andati a vedere nel deserto? Una canna che ogni vento agita in diversa direzione? Ma che siete andati a vedere? Un uomo vestito mollemente?

Ma questi abitano nelle case dei re, avvolti in morbide vesti e ossequiati da mille servi e cortigiani, cortigiani essi pure di un povero uomo. Qui ve ne uno. Interrogatelo se in lui non è il disgusto della vita di Corte e ammirazione per la rupe solitaria e scabra, sulla quale invano si avventano fulmini e gragnole e i venti stolti giostrano per svellerla, mentre essa sta solida con lo slancio di tutte le sue parti verso il cielo, con la punta che predica la gioia dell’alto tanto è eretta, puntuta come una fiamma che sale.

Questo è Giovanni. Così lo vede Mannaen, perché ha compreso la verità della vita e della morte, e vede grandezza là dove è, anche se nascosta sotto apparenze selvagge.

E voi, che avete visto in Giovanni quando siete andati a vederlo? Un profeta? Un santo? Io ve lo dico: Egli è da più di un Profeta. Egli è da più di molti Santi, da più dei Santi, perché è colui del quale sta scritto: “Ecco, Io mando dinnanzi a voi il mio Angelo a preparare la tua via dinnanzi a Te”.

Angelo. Considerate. Voi sapete che gli Angeli sono spiriti puri, creati da Dio a sua somiglianza spirituale, messi a congiunzione fra l’uomo: perfezione del creato visibile e materiale, e Dio: Perfezione del Cielo e della Terra, Creatore del regno spirituale e del regno animale.

Nell’uomo anche più santo vi è sempre la carne e il sangue a porre un abisso fra lui e Dio. E l’abisso si sprofonda per il peccato che appesantisce anche ciò che è spirituale nell’uomo. Ecco allora Dio creare gli Angeli, creature che toccano il vertice della scala creativa così come i minerali ne segnano la base; i minerali, la polvere che compone la terra, le materie inorganiche in genere.

Specchi tersi del pensiero di Dio, fiamme volonterose operanti per amore, pronti a comprendere, solleciti ad operare, liberi nel volere come noi, ma di un volere tutto santo che ignora le ribellioni e i fomiti del peccato. Questo sono gli Angeli adoratori di Dio, suoi messaggeri presso gli uomini, protettori nostri, datori a noi della Luce che li investe e del Fuoco che essi raccolgono adorando.

Giovanni è detto “Angelo” dalla parola profetica. Ebbene Io vi dico: “Tra i nati di donna non ne è mai sorto uno più grande di Giovanni Battista”. Eppure, il più piccolo del Regno dei Cieli sarà più grande di lui-uomo. Perché uno del Regno dei Cieli è figlio di Dio e non figlio di donna. Tendete dunque tutti a divenire cittadini del Regno.

Che vi chiedete l’un l’altro?».

«Dicevamo: “Ma Giovanni sarà nel Regno? E come vi sarà?”».

«Egli nel suo spirito è già del Regno e vi sarà dopo la morte come uno dei soli più splendidi dell’eterna Gerusalemme. E ciò per la Grazia che è senza incrinatura in lui e per la sua volontà propria. Dal Battista in poi, il Regno dei Cieli è di coloro che sanno conquistarselo con la forza opposta al Male, e se lo acquistano i violenti. Perché ora sono note le cose da farsi e tutto è dato per questa conquista.

Non è più il tempo che parlavano solo la Legge e i Profeti. Questi hanno parlato sino a Giovanni. Ora parla la Parola di Dio e non nasconde un iota di quanto è da sapersi per questa conquista. Se credete in Me, dovete perciò vedere Giovanni come quell’Elia che deve venire. Chi ha orecchi da intendere intenda.

Ma a chi paragonerò questa generazione? È simile a quella che descrivono quei ragazzi, che seduti sulla piazza gridano ai loro compagni: “Abbiamo suonato e non avete ballato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto”.

Difatti è venuto Giovanni che non mangia e non beve, e questa generazione dice: “Può fare così perché ha il demonio che lo aiuta”.

È venuto il Figlio dell’Uomo che mangia e beve, e dicono: “Ecco un mangione e un beone, amico di pubblicani e peccatori”. Così alla Sapienza viene resa giustizia dai suoi figli! In verità vi dico che solo i pargoli sanno riconoscere la verità, perché in essi non è malizia».

«Bene hai detto, Maestro», dice il sinagogo. «Ecco perché mia figlia, ancor senza malizia, ti vede quale noi non giungiamo a vederti. Eppure questa città e quelle vicine traboccano della tua potenza, sapienza e bontà e, devo confessarlo, non procedono che in cattiveria verso di Te. Non si ravvedono. E il bene, che Tu dai loro, fermenta in odio verso di Te».

«Come parli, Giairo? Tu ci calunni! Noi siamo qui perché fedeli al Cristo», dice uno di Betsaida.

«Sì. Noi. Ma quanti siamo? Meno di cento su tre città che dovrebbero essere ai piedi di Gesù. Fra quelli che mancano, e parlo degli uomini, la metà è nemica, un quarto indifferente, l’altra voglio mettere non possa venire. Non è questo colpa agli occhi di Dio? E non sarà punito tutto questo livore e questa pertinacia nel male?

Parla Tu, Maestro che sai, e che se taci è per la tua bontà, non già perché Tu ignori. Longanime sei, e ciò è preso per ignoranza e debolezza. Parla dunque e possa il tuo parlare scuotere almeno gli indifferenti, posto che i malvagi non si convertono ma sempre più malvagi divengono».

«Sì. È colpa e sarà punita. Perché il dono di Dio non va mai sprezzato o usato per fare del male. Guai a te, Corozim, guai a te, Betsaida, che fate mal’uso dei doni di Dio. Se in Tiro e in Sidone fossero già avvenuti i miracoli avvenuti in mezzo a voi, già da gran tempo, vestiti di cilizio e aspersi di cenere, avrebbero fatto penitenza e sarebbero venuti a Me. E perciò vi dico che a Tiro e a Sidone sarà usata maggiore clemenza che a voi nel giorno del Giudizio.

E tu, Cafarnao, credi che per avermi ospitato soltanto sarai esaltata sino al Cielo? Tu scenderai fino all’inferno. Perché, se in Sodoma fossero stati fatti i miracoli che Io ti ho dati, essa ancora sarebbe fiorente perché in Me avrebbero creduto e si sarebbe convertita. Perciò sarà usata maggior clemenza a Sodoma nell’ultimo Giudizio, perché essa non ha conosciuto il Salvatore e la sua Parola, e perciò è meno grande la sua colpa, di quanto non ne verrà usata a te che hai conosciuto il Messia e udita la sua parola e non ti sei ravveduta.

Però, siccome Dio è giusto, a quelli di Cafarnao, Betsaida e Corozim che hanno creduto e che si santificano ubbidendo alla mia Parola, sarà usata misericordia grande. Perché non è giusto che i giusti siano coinvolti nella rovina dei peccatori.

Riguardo a tua figlia, Giairo, e alla tua, Simone, e al tuo bambino, Zaccaria, e ai tuoi nipoti, Beniamino, Io vi dico che essi, essendo senza malizia, già vedono Dio. E voi lo vedete come la loro Fede è pura e operosa in essi, unita a sapienza celeste, a aneliti di carità quali gli adulti non hanno».

E Gesù, alzando gli occhi al cielo che incupisce nella sera, esclama:

“Io ti ringrazio, o Padre, Signore del Cielo e della Terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Così, o Padre, perché così ti è piaciuto. Tutto è stato affidato a Me dal Padre mio, e nessuno Lo conosce tranne il Figlio e coloro ai quali il Figlio avrà voluto rivelarlo.

Ed Io l’ho rivelato ai piccoli, agli umili, ai puri, perché Dio si comunica ad essi, e la verità scende come seme nei terreni liberi, e su essa il Padre fa piovere le sue luci perché getti radice e faccia pianta. Anzi, che in verità il Padre prepara questi spiriti di pargoli per età o pargoli di volere, perché essi conoscano la Verità ed Io abbia gioia dalla loro Fede»…

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

II DOMENICA DI AVVENTO ANNO A Lc 1,26-38 L’IMMACOLATA 8 Dicembre 2019

Lc 1,26-38

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 1,26-38)
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria: del suo concepimento, avvenuto in modo del tutto naturale nel grembo di sua madre, come avviene per ogni nuova creatura umana; ma “immacolato” perché in quel momento stesso questa nuova creatura umana, a differenza di ogni altra, è stata preservata dalla macchia del peccato originale che misteriosamente si trasmette attraverso la generazione.
Questo avvenimento, a cui la Chiesa guarda con stupore e gioia grande, è l’inizio di una storia nuova di cui anche noi siamo parte: la storia della redenzione iniziata da Dio nella casa di Anna e Gioacchino, i genitori di Maria.
Dio non si arrende di fronte al male ed è capace sempre di operare nuovi inizi!
Maria, donna della nostra stirpe, è nel Suo piano dall’eternità. Dio stesso ne ha annunciato la straordinaria missione fin da quando, di fronte al peccato dei progenitori, promise solennemente la salvezza: «Io porrò inimicizia tra te [Satana] e la donna, tra tua stirpe e la sua, ed essa ti schiaccerà il capo, e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,9-15.20).
Nell’Eden sconvolto dal peccato, Dio immediatamente ricuce i fili della comunione spezzata dal peccato e, con un nuovo inizio, prosegue la sua storia d’amore per l’umanità promettendo la vittoria attraverso questa donna che già in quel momento appare sull’orizzonte come colei che diventerà la madre del Verbo eterno, il Figlio del Padre che si farà uomo per salvare gli uomini!
L’immacolato concepimento di Maria, avvenuto tanti secoli dopo quella promessa, è dunque l’aurora della storia nuova.
Maria è la prima dei redenti. A lei Dio Padre applica anticipatamente meriti della passione, morte e risurrezione di Cristo: mistero di grazia, di amore gratuito, Mistero di incomparabile bellezza che le insidie di Satana ed i suoi continui tentativi di seminare tragedie nella storia, non riescono a infrangere!
Ed ecco, nella pagina evangelica di Luca (Lc 1,26-38), il fatto in vista del quale Dio preservò Maria dal peccato originale, la rese «piena di grazia» fin dal primo istante della sua esistenza: l’incarnazione del Verbo eterno del Padre che si fa uomo diventando figlio di Maria…
Dio bussa alla porta della casa di Nazaret, bussa al cuore di quella giovane donna – quindicenne, promessa sposa a Giuseppe – e le chiede il suo sì, la sua adesione ad un progetto immenso, inaudito, incredibile: vuoi diventare la madre di mio figlio?
Maria è turbata di fronte a quella presenza; la sua ragione interroga, pone delle domande… E’ una creatura umana, non un automa…! Riceve una risposta misteriosa – diventerai madre per opera dello Spirito Santo – ma il suo cuore si apre all’accoglienza e risponde con le commoventi parole che abbiamo ascoltato: «Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum»: Eccomi, sono a totale disposizione; avvenga di me quello che hai detto… E’ l’offerta di tutta se stessa, di ogni palpito del suo cuore, di ogni pensiero della sua mente, di ogni atomo del suo essere!
Tre volte al giorno la Chiesa ripete, nella preghiera dell’Angelus, queste parole di Maria facendo memoria del più sublime dei misteri: Dio che si fa uomo nell’istante in cui questa ragazza di Galilea spalanca la sua vita ad accoglierlo!
Che momento di grazia è quello in cui la nostra voce pronuncia queste parole, e il nostro cuore aderisce alla verità che contengono! Dobbiamo riprendere, se l’abbiamo smarrito, l’uso di questa preghiera nei tre momenti forti della giornata – il mattino; a mezzogiorno; e al giungere della sera – quando le campane suonano per ricordare il più grande avvenimento della storia. Dobbiamo riprendere, se l’abbiamo smarrito, l’uso di questa preghiera, almeno in uno di questi momenti della giornata… se non lo possiamo fare in tutti e tre (…ma, sinceramente, è così difficile farlo?).
L’Angelus è una preghiera brevissima, tanto cara al popolo cristiano che conserva la sua identità… Torni ad essere quel soffio, quel respiro, grazie al quale la nostra anima s’innalza a Dio nello scorrere delle ore, mentre il nostro cuore, spesso in subbuglio, si reca in pellegrinaggio spirituale a Nazaret, dove ha avuto inizio la più grande avventura della storia!
Recitandolo lungo la giornata, noi facciamo memoria di questa storia di cui, per grazia di Dio, siamo divenuti partecipi nel Battesimo. Il nostro cuore sarà pur in subbuglio nello scorrere delle ore e delle vicende della vita, ma noi sappiamo di essere dentro a questa storia sublime, sappiamo che le vicende, le fatiche, il dolore, le gioie che proviamo sono abitati dalla Grazia del Signore, dal suo amore indefettibilmente fedele! Dentro alla nostra vita quotidiana, intrecciato con essa, c’è il mistero di Nazaret, c’è l’inizio della nuova storia, c’è l’incarnazione, la passione, morte e risurrezione del Figlio di Dio divenuto uomo per la nostra salvezza! Come vivere senza ricordare che questo è il fondamento, il centro della nostra vita?
Il Male – che non è qualcosa di astratto, ma un essere angelico divenuto perverso: Satana, il Demonio -, il Male che c’è – e che non è una fiaba o una simbolica rappresentazione della fragilità umana – come aveva insidiato e fatto cadere il primo uomo e la prima donna, così continua lungo la storia il suo intento diabolico, per una misteriosa permissione di Dio. Non potendo nulla contro il Creatore, tenta di spezzare la comunione delle creature con Dio, illudendole, come aveva fatto con Adamo ed Eva, di poter diventare grandi in opposizione a Dio anziché nell’obbedienza amorosa e nella comunione con Lui…
Ideologie utopistiche negli ultimi secoli hanno disastrosamente segnato la storia proclamando che il Male non c’è e che basta una buona organizzazione sociale tra gli uomini per far trionfare la pace e l’armonia, per creare il paradiso in terra… Menzogne colossali venute anch’esse da Satana, come dimostrano gli esiti insanguinati di regimi che, proclamando i più alti valori dell’uomo, distruggevano in ecatombe, anche fisicamente, milioni di esseri umani.
Sul nostro orizzonte però risplende Gesù Cristo il Vincitore, e con lui risplende la prima dei redenti, Maria Immacolata, come segno di sicura speranza e di consolazione.
A lei, splendente di luce incomparabile noi diciamo, nel giorno della sua festa:
Donna pensata da Dio ed amata di pura predilezione, annunciata nell’Eden sconvolto, concepita immacolata nel grembo di Anna, prima dei redenti e inizio della storia nuova, stringici al Tuo cuore di Madre.
Ave, piena di grazia, meraviglia del creato, Madre di Dio e dei salvati! Prega per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.

 MARIA E LA CUGINA ELISABETTA

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato”
di Maria Valtorta Capitolo 4 (24 agosto 1944)
Rivedo la casa di Gioacchino ed Anna. Nulla è mutato nell’interno, se si toglie i molti rami fioriti, messi in anfore qua e là, certo frutto delle potature fatte sugli alberi dell’orto che sono tutti in fiore: una nuvola che svaria dal bianco neve al rosso di certi coralli. Anche il lavoro di Anna è diverso. Su un telaio più piccolo dell’altro ella tesse delle belle tele di lino, e canta, ritmando il moto del piede sul canto. Canta e sorride…

A chi? A se stessa, a qualche cosa che ella vede nel suo interno. Il canto, lento e pur lieto -che ho scritto a parte per seguirlo, perché lo ripete più volte come beandosi di esso, e lo dice sempre più forte e sicuro, come chi ha ritrovato un ritmo nel suo cuore e prima lo mormora in sordina e poi, sicuro, va più spedito e alto di tono- dice (e lo trascrivo perché, nella sua semplicità, è tanto dolce):

«Gloria al Signore onnipotente che dei figli di Davide ebbe amore. Gloria al Signore!

La sua suprema grazia dal Ciel m’ha visitata.

La vecchia pianta ha messo nuovo ramo, ed io son beata.

Per la festa delle Luci gettò seme la speranza;

or di nisam la fragranza lo vede germogliar.

Come il mandorlo si infiora la mia carne a primavera.

Il suo frutto, sulla sera, essa sente di portar.

Su quel ramo sta una rosa, sta un pomo dei più dolci.

Sta una stella rilucente, sta un pargolo innocente.

Sta la gioia della casa, dello sposo e della sposa.

Lode a Dio, al mio Signore, che pietà ebbe di me.

Me lo disse la sua luce: “Una stella a te verrà”.

Gloria, gloria! Tuo sarà questo frutto della pianta,

primo e estremo, santo e puro come dono del Signor.

Tuo sarà, e per lui venga gioia e pace sulla terra.

Vola, o spola. Il filo serra per la tela dell’infante.

Egli nasce! A Dio osannante vada il canto del mio cuor».

Entra Gioacchino quando ella sta per ripetere per la quarta volta il suo canto. «Sei felice, Anna? Mi sembri un uccello che faccia primavera. Che canto è mai questo? Non l’ho mai udito da nessuno. Da dove ci viene?».

«Dal mio cuore, Gioacchino».

Anna si è alzata ed ora si dirige verso lo sposo, tutta ridente. Pare più giovane e più bella.

«Non ti sapevo poeta» dice il marito, guardandola con palese ammirazione. Non sembrano due sposi attempati. Nei loro sguardi è una tenerezza da giovani sposi.

«Sono venuto dal fondo dell’orto udendoti cantare. Erano anni che non sentivo la tua voce di tortora innamorata. Vuoi ripetermi quel canto?».

«Te lo ripeterei anche se tu non lo chiedessi. I figli di Israele hanno sempre affidato al canto i gridi più veri delle loro speranze, e gioie, e dolori. Io ho affidato al canto la cura di dirmi e di dirti una grande gioia. Sì, anche di dirmela, perché è cosa così grande che, per quanto ne sia certa, ormai, mi sembra ancora non vera…» e ricomincia il canto, ma arrivata al punto: «su quel ramo sta una rosa, sta un pomo dei più dolci, sta una stella…» la sua ben tonata voce di contralto si fa prima tremula e poi si spezza, e con un singhiozzo di gioia ella guarda Gioacchino e, alzando le braccia, grida: «Sono madre, mio diletto!» e gli si rifugia sul cuore, fra le braccia che egli ha tese e che ora ha rinserrate intorno alla sua sposa felice. Il più casto e felice abbraccio che io abbia visto da quando sono al mondo. Casto e ardente nella sua castità.

Il dolce rimprovero fra i capelli bianco-neri di Anna: «E non me lo dicevi?».

«Perché volevo esserne certa. Vecchia come sono… sapermi madre… Non lo potevo credere vero… e non volevo darti una delusione più amara di tutte. È dalla fine del dicembre che io sento farsi nuove le mie viscere profonde e mettere, come dico, un nuovo ramo. Ma ora su quel ramo è sicuro il frutto… Vedi? Quella tela è già per quello che verrà».

«Non è il lino che hai comperato a Gerusalemme in ottobre?».

«Sì. L’ho poi filato mentre attendevo… e speravo. Speravo perché l’ultimo giorno, mentre pregavo nel Tempio, il più possibile che sia per una donna presso la Casa di Dio, ed era già sera… ricordi che dicevo: “Ancora, ancora un poco”. Non sapevo staccarmi di là senza aver avuto Grazia! Ebbene, nell’ombra che già scendeva, dall’interno del luogo sacro, che io guardavo con attrazione d’anima per strappare un assenso dal Dio presente, ho visto partire una luce, una scintilla di luce bellissima.

Era candida come luna, eppure aveva in sé tutte le luci di tutte le perle e gemme che sono sulla terra. Pareva che una delle stelle preziose del Velo, le stelle poste sotto ai piedi dei cherubini, si staccasse e divenisse splendida di una luce soprannaturale… pareva che da oltre il Velo sacro, dalla Gloria stessa, partisse un fuoco e venisse a me veloce, e nel tagliare l’aria cantasse con voce celeste dicendo: “Ciò che hai chiesto ti venga”. È per quello che io canto: “Una stella a te verrà”.

Che figlio sarà mai il nostro, che si manifesta come luce di stella nel Tempio e che dice: “Io sono “nella festa delle Luci? Che tu abbia visto giusto pensandomi una nuova Anna d’Elcana? Come la chiameremo la creatura nostra, che dolce come canto d’acque sento parlarmi in seno col suo piccolo cuore che batte e batte come quello di una tortorina presa fra il cavo delle mani?».

«Se sarà maschio, la chiameremo Samuele. Se femmina, Stella. La parola che ha fermato il tuo canto per darmi questa gioia di sapermi padre. La forma che ha preso per manifestarsi fra la sacra ombra del Tempio».

«Stella. La nostra stella, perché, non so, penso, penso sia una bambina. Mi pare che carezze così dolci non possano venire che da una dolcissima figlia. Perché io non la porto, non ne ho sofferenza.  È lei che porta me su un sentiero azzurro e fiorito, come se io fossi sorretta da Angeli Santi e la terra fosse già lontana… Ho sempre sentito dalle donne dire che il concepire e il portare è dolore. Ma io non ho dolore. Mi sento forte, giovane, fresca più di quando ti donai la mia verginità nella giovinezza lontana. Figlia di Dio -poiché è di Dio più che nostra questa che nasce da un tronco inaridito- alla sua mamma non dà pena. Ma solo le porta pace e benedizione: i frutti di Dio, suo vero Padre».

«Maria allora la chiameremo. Stella del nostro mare, perla, felicità. Il nome della prima grande donna d’Israele. Ma questa non peccherà mai contro il Signore, e a Lui solo darà il suo canto perché a Lui è offerta, ostia prima di nascere».

«A Lui è offerta, sì. Maschio o femmina che sia, dopo aver giubilato per tre anni sulla nostra creatura noi la daremo al Signore. Ostie noi pure con essa, per la gloria di Dio».

Non vedo né odo altro.

Dice Gesù:

«La Sapienza, dopo avere illuminati Gioacchino e Anna coi sogni della notte, scese, Essa, “vapore delle virtù di Dio, certa emanazione della gloria dell’Onnipotente”, e divenne Parola per la sterile. Colui che ormai vedeva prossimo il suo tempo di redimere, Io, il Cristo, nipote di Anna, quasi cinquant’anni dopo, mediante la Parola, opererò miracoli sulle sterili e le malate, sulle ossesse, sulle desolate, su tutte le miserie della terra. Ma intanto, per la gioia di avere una Madre, ecco che mormoro arcana Parola nell’ombra del Tempio che conteneva le speranze d’Israele, del Tempio ormai al limitare della sua vita, perché il nuovo e vero Tempio, non più contenente speranze di un popolo, ma certezza di Paradiso per il popolo di tutta la terra, e per i secoli dei secoli sino alla fine del mondo, sta per essere sulla terra.

E questa Parola opera il miracolo di render fecondo ciò che infecondo era. E di darmi una Madre, la quale non ebbe soltanto ottimo naturale, come era sorte lo avesse nascendo da due santi; e, non avendo soltanto un’anima buona come molti ancor l’hanno, non avendo soltanto continuo accrescimento di questa bontà per il suo buon volere, non avendo soltanto un corpo immacolato, ebbe, unica fra le creature, immacolato lo spirito.

Tu hai visto la generazione continua delle anime da Dio. Ora pensa quale dovette esser la bellezza di quest’anima che il Padre aveva vagheggiata da prima che il tempo fosse, di quest’anima che costituiva le delizie della Trinità, la quale Trinità ardeva di ornarla dei suoi doni per farne dono a Se stessa.

O Tutta Santa, che Dio creò per Sé e poi per salute agli uomini! Portatrice del Salvatore, la prima salvezza tu fosti. Vivente Paradiso, hai col tuo sorriso cominciato a santificare la terra.

L’anima creata per esser anima della Madre di Dio! Quando, da un più vivo palpito del Trino Amore, scaturì questa scintilla vitale, ne giubilarono gli Angeli, ché luce più viva mai aveva visto il Paradiso. Come petalo di empirea rosa, un petalo immateriale e prezioso che era gemma e fiamma, che era alito di Dio che scendeva ad animare una carne ben diversamente che per le altre, che scendeva tanto potente nel suo fuoco che la Colpa non poté contaminarla, essa valicò gli spazi e si chiuse in un seno santo.

La terra aveva, e non lo sapeva ancora, il suo Fiore. Il vero, unico Fiore che fiorisce eterno: giglio e rosa, mammola e gelsomino, elianto e ciclamino insieme fusi, e con essi tutti i fiori della terra in un Fiore solo, Maria, nella quale ogni virtù e Grazia si aduna. Nell’aprile la terra di Palestina pareva un enorme giardino, e fragranze e colori davano delizia al cuore degli uomini.

Ma ancora ignota era la più bella Rosa. Ella era già fiorente a Dio nel secreto dell’alvo materno, poiché mia Madre amò da quando fu concepita, ma solo quando la vite dà il suo sangue per farne vino, e l’odor dei mosti, zuccherino e forte, empie le aie e le nari, Ella avrebbe sorriso prima a Dio e poi al mondo, dicendo col suo superinnocente sorriso: “Ecco, la Vite che vi darà il Grappolo da esser premuto nello strettoio per divenire Medicina eterna al vostro male, è fra voi”.

Ho detto: “Maria amò da quando fu concepita“. Cosa è che dà allo spirito luce e conoscenza? La Grazia. Cosa è che leva la Grazia? Il peccato d’origine e il peccato mortale. Maria, la Senza Macchia, non fu mai priva del ricordo di Dio, della sua vicinanza, del suo amore, della sua luce, della sua sapienza. Ella poté perciò comprendere e amare quando non era che una carne che si condensava intorno ad un’anima immacolata che continuava ad amare. Più avanti ti farò contemplare mentalmente la profondità delle verginità in Maria.

Ne avrai una vertigine celeste come quando ti ho fatto considerare la nostra eternità. Intanto considera come il portare in seno una creatura esente dalla Macchia, che priva di Dio, dia alla madre, che pure l’ha concepita naturalmente, umanamente, una intelligenza superiore e ne faccia un profeta. Il profeta della figlia sua, che ella chiama: “Figlia di Dio”.

E pensa cosa sarebbe stato se dai Primi genitori innocenti fossero nati innocenti figli, come Dio voleva. Questo, o uomini che dite di avviarvi al “superuomo”, e coi vostri vizi vi avviate unicamente al superdemone, sarebbe stato il mezzo per portare al superuomo”.

Saper rimanere senza contaminazione di Satana per lasciare a Dio l’amministrazione della vita, della conoscenza, del bene, non desiderando più di quanto -ed era poco meno che infinito- Dio non vi avesse dato, per poter generare, in una continua evoluzione verso il perfetto, dei figli che fossero uomini nel corpo e figli dell’Intelligenza nello spirito, ossia trionfatori, ossia forti, ossia giganti su Satana, che sarebbe stato atterrato tante migliaia di secoli avanti l’ora in cui lo sarà, e con lui tutto il suo male».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

I DOMENICA DI AVVENTO ANNO A (Mt 24,37-44)

161220124

A te, Signore, elevo l’anima mia,
Dio mio, in te confido

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 24,37-44)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Questo testo non fa parte di quelli che si scelgono deliberatamente per trovarvi un conforto e risollevarsi il morale. Eppure la Chiesa mette un tale ostacolo all’inizio dell’anno liturgico. Si tratta di abbandonare il trantran, le abitudini, le usanze, di convertirsi e ripartire da zero. Al di là della gioiosa novella del Vangelo che annuncia la venuta redentrice di Dio, si dimentica e si respinge facilmente l’eventualità del giudizio, anche se non la si contesta assolutamente “in teoria”. È il pericolo che corrono i discepoli di tutte le epoche. Se non si aspetta ogni giorno la sentenza di Dio, non si tarda a vivere come se non esistesse giudizio. Di fronte ad una tale minaccia, nessuno può prendere come scusa lo stile di vita “degli altri”: nessuno può trincerarsi dietro agli altri per sottrarsi al pericolo di essere dimenticato dal Signore. Salvezza e giudizio sono affini uno all’altro, ci scuotono nel bel mezzo della nostra vita: sia nel momento delle grandi catastrofi (la grande inondazione è qui evocata) sia nel corso del lavoro quotidiano nei campi o in casa. Uno è preso, trova scampo, è salvato; un altro è abbandonato. Ma non essere tratti d’impiccio non dipende chiaramente dal beneplacito degli altri. È l’uomo stesso che ha nelle sue mani la propria salvezza o la propria perdizione. Ecco perché, come spesso nel Vangelo, questo brano si conclude con un appello alla vigilanza.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Capitolo 596

«Badate che nessuno vi seduca in futuro. Io sono il Cristo e non vi saranno altri Cristi. Perciò quando molti verranno a dirvi: “Io sono il Cristo” e sedurranno molti, voi non credete a quelle parole, neppure se saranno accompagnate da prodigi. Satana, padre di menzogna e protettore dei menzogneri, aiuta i suoi servi e seguaci con falsi prodigi, che però possono essere riconosciuti non buoni perché sempre uniti a paura, turbamento e menzogna.

I prodigi di Dio voi li conoscete: danno pace santa, letizia, salute, fede, conducono a desideri e opere sante. Gli altri no. Perciò riflettete sulla forma e le conseguenze dei prodigi che potrete vedere in futuro ad opera dei falsi Cristi e di tutti coloro che si ammanteranno nelle vesti di salvatori di popoli e saranno invece belve che rovinano gli stessi.

Sentirete anche, e vedrete anche, parlare di guerre e di rumori di guerre e vi diranno: “Sono i segni della fine”. Non turbatevi. Non sarà la fine. Bisogna che tutto questo avvenga prima della fine, ma non sarà ancora la fine. Si solleverà popolo contro popolo, regno contro regno, nazione contro nazione, continente contro continente, e seguiranno pestilenze, carestie, terremoti in molti luoghi. Ma questo non sarà che il principio dei dolori. Allora vi getteranno nella tribolazione e vi uccideranno, accusandovi di essere colpevoli del loro soffrire e sperando di uscirne col perseguitare e distruggere i miei servi.

Gli uomini fanno sempre accusa agli innocenti di essere causa del male che essi, peccatori, si creano. Accusano Dio stesso, perfetta Innocenza e Bontà suprema, di essere causa del loro soffrire, e così faranno con voi, e voi sarete odiati per causa del mio Nome. È Satana che li aizza.

E molti si scandalizzeranno e si tradiranno e odieranno a vicenda. È ancor Satana che li aizza. E sorgeranno falsi profeti che indurranno molti in errore. Ancora sarà Satana il vero autore di tanto male. E per il moltiplicarsi dell’iniquità si raffredderà la carità in molti. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvo.

E prima bisogna che questo Vangelo del Regno di Dio sia predicato in tutto il mondo, testimonianza a tutte le nazioni. Allora verrà la fine. Ritorno al Cristo di Israele che lo accoglie e predicazione della mia dottrina in tutto il mondo.

E poi un altro segno. Un segno per la fine del Tempio e per la fine del mondo. Quando vedrete l’abominazione della desolazione predetta da Daniele -chi mi ascolta bene intenda, e chi legge il Profeta sappia leggere fra le parole- allora chi sarà in Giudea fugga sui monti, chi sarà sulla terrazza non scenda a prendere quanto ha in casa, e chi è nel suo campo non torni in casa a prendere il suo mantello, ma fugga senza volgersi indietro, ché non gli accada di non poterlo più fare, e neppure si volga nel fuggire a guardare, per non conservare nel cuore lo spettacolo orrendo e insanire per esso.

Guai alle gravide e a quelle che allatteranno in quei giorni! E guai se la fuga dovesse compiersi di sabato! Non sarebbe sufficiente la fuga a salvarsi senza peccare. Pregate dunque perché non avvenga in inverno e in giorno di sabato, perché allora la tribolazione sarà grande quale mai non fu dal principio del mondo fino ad ora, né sarà mai più simile perché sarà la fine.

Se non fossero abbreviati quei giorni in grazia degli eletti, nessuno si salverebbe, perché gli uomini-satana si alleeranno all’inferno per dare tormento agli uomini.

E anche allora, per corrompere e trarre fuori dalla via giusta coloro che resteranno fedeli al Signore, sorgeranno quelli che diranno: “Il Cristo è là, il Cristo è qua. E in quel luogo. Eccolo”. Non credete. Nessuno creda, perché sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti che faranno prodigi e portenti tali da indurre in errore, se fosse possibile, anche gli eletti, e diranno dottrine in apparenza così confortevoli e buone a sedurre anche i migliori, se con loro non fosse lo Spirito di Dio che li illuminerà sulla verità e l’origine satanica di tali prodigi e dottrine.

Io ve lo dico. Io ve lo predico perché voi possiate regolarvi. Ma di cadere non temete. Se starete nel Signore non sarete tratti in tentazione e in rovina. Ricordate ciò che vi ho detto: “Vi ho dato il potere di camminare su serpenti e scorpioni, e di tutta la potenza del Nemico nulla vi nuocerà, perché tutto vi sarà soggetto”. Vi ricordo anche però che per ottenere questo dovete avere Dio in voi, e rallegrarvi dovete, non perché dominate le potenze del Male e le venefiche cose, ma perché il vostro nome è scritto in Cielo.

State nel Signore e nella sua verità. Io sono la Verità e insegno la verità. Perciò ancora vi ripeto: qualunque cosa vi dicano di Me, non credete. Io solo ho detto la verità. Io solo vi dico che il Cristo verrà, ma quando sarà la fine.

Perciò se vi dicono: “È nel deserto”, non andate. Se vi dicono: “È in quella casa”, non date retta. Perché il Figlio dell’Uomo nella sua seconda venuta sarà simile al lampo che esce da levante e guizza fino a ponente, in un tempo più breve di quel che non sia il batter di una palpebra. E scorrerà sul grande Corpo, di subito fatto Cadavere, seguito dai suoi fulgenti Angeli, e giudicherà. Là dovunque sarà corpo là si raduneranno le aquile.

E subito dopo la tribolazione di quei giorni ultimi, che vi fu detta -parlo già della fine del tempo e del mondo e della risurrezione delle ossa, delle quali cose parlano i profeti- si oscurerà il sole, e la luna non darà più luce, e le stelle del cielo cadranno come acini da un grappolo troppo maturo che un vento di bufera scuote, e le potenze dei Cieli tremeranno.

E allora nel firmamento oscurato apparirà folgorante il segno del Figlio dell’Uomo, e piangeranno tutte le nazioni della Terra, e gli uomini vedranno il Figlio dell’Uomo venir sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria. Ed Egli comanderà ai suoi Angeli di mietere e vendemmiare, e di separare i logli dal grano, e di gettare le uve nel tino, perché sarà venuto il tempo del grande raccolto del seme di Adamo, e non ci sarà più bisogno di serbare racimolo o semente, perché non ci sarà mai più perpetuazione della specie umana sulla Terra morta. E comanderà ai suoi Angeli che a gran voce di trombe adunino gli eletti dai quattro venti, da un’estremità all’altra dei cieli, perché siano al fianco del Giudice divino per giudicare con Lui gli ultimi viventi ed i risorti.

Dal fico imparate la similitudine: quando vedete che il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che vicina è l’estate. Così anche, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che il Cristo sta per venire. In verità vi dico: non passerà questa generazione che non mi volle, prima che tutto ciò avvenga.

La mia parola non cade. Ciò che dico sarà. Il cuore e il pensiero degli uomini possono mutare, ma non muta la mia parola. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto poi al giorno e all’ora precisa, nessuno li conosce, neppure gli Angeli del Signore, ma soltanto il Padre li conosce.

Come ai tempi di Noè, così avverrà alla venuta del Figlio dell’Uomo. Nei giorni precedenti al diluvio, gli uomini mangiavano, bevevano, si sposavano, si accasavano, senza darsi pensiero del segno sino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e si aprirono le cataratte dei cieli e il diluvio sommerse ogni vivente e ogni cosa. Anche così sarà per la venuta del Figlio dell’Uomo. Allora due uomini saranno accosto nel campo, e uno sarà preso e uno sarà lasciato, e due donne saranno intente a far andare la mola, e una sarà presa e una lasciata, dai nemici nella Patria e più ancora dagli Angeli separanti il buon seme dal loglio, e non avranno tempo di prepararsi al giudizio del Cristo.

Vegliate dunque perché non sapete a che ora verrà il vostro Signore. Ripensate a questo: se il capo di famiglia sapesse a che ora viene il ladro, veglierebbe e non lascerebbe spogliare la sua casa. Quindi vegliate e pregate, stando sempre preparati alla venuta, senza che i vostri cuori cadano in torpore, per abuso e intemperanza di ogni specie, e i vostri spiriti siano fatti distratti e ottusi alle cose del Cielo dalle eccessive cure per le cose della Terra, e il laccio della morte non vi colga improvviso quando siete impreparati. Perché, ricordate, tutti avete a morire. Tutti gli uomini, nati che siano, devono morire, ed è una singola venuta del Cristo questa morte e questo susseguente giudizio, che avrà il suo ripetersi universale alla venuta solenne del Figlio dell’Uomo.

Che sarà mai di quel servo fedele e prudente, preposto dal padrone ad amministrare il cibo ai domestici in sua assenza? Beata sorte egli avrà se il suo padrone, tornando all’improvviso, lo trova a fare ciò che deve con solerzia, giustizia e amore. In verità vi dico che gli dirà: “Vieni, servo buono e fedele. Tu hai meritato il mio premio. Tieni, amministra tutti i miei beni”.

Ma se egli pareva, e non era, buono e fedele, e nell’interno suo era cattivo come all’esterno era ipocrita, e partito il padrone dirà in cuor suo: “Il padrone tarderà a tornare! Diamoci al bel tempo”, e comincerà a battere e malmenare i conservi, facendo usura su loro nel cibo e in ogni altra cosa per avere maggior denaro da consumare coi gozzovigliatori e ubriaconi, che avverrà? Che il padrone tornerà all’improvviso, quando il servo non se lo pensa vicino, e verrà scoperto il suo malfare, gli verrà levato posto e denaro, e sarà cacciato dove giustizia vuole. E ivi starà.

E così del peccatore impenitente, che non pensa come la morte può essere vicina e vicino il suo giudizio, e gode e abusa dicendo: “Poi mi pentirò”.

In verità vi dico che egli non avrà tempo di farlo e sarà condannato a stare in eterno nel luogo del tremendo orrore, dove è solo bestemmia e pianto e tortura, e ne uscirà soltanto per il Giudizio finale, quando rivestirà la carne risorta per presentarsi completo al Giudizio ultimo come completo peccò nel tempo della vita terrena, e con corpo ed anima si presenterà al Giudice Gesù che egli non volle per Salvatore.

Tutti là accolti davanti al Figlio dell’Uomo. Una moltitudine infinita di corpi, restituiti dalla terra e dal mare e ricomposti dopo essere stati cenere per tanto tempo. E gli spiriti nei corpi. Ad ogni carne tornata sugli scheletri corrisponderà il proprio spirito, quello che l’animava un tempo. E staranno ritti davanti al Figlio dell’Uomo, splendido nella sua Maestà divina, seduto sul trono della sua gloria sorretto dai suoi Angeli.

Ed Egli separerà uomini da uomini, mettendo da un lato i buoni e dall’altro i cattivi, come un pastore separa le pecorelle dai capretti, e metterà le sue pecore a destra e i capri a sinistra. E dirà con voce dolce e benigno aspetto a quelli che, pacifici e belli di una bellezza gloriosa nello splendore del corpo santo, lo guarderanno con tutto l’amore del loro cuore: “Venite, o benedetti dal Padre mio, prendete possesso del Regno preparato per voi sino dall’origine del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, fui pellegrino e mi ospitaste, fui nudo e mi rivestiste, malato e mi visitaste, prigioniero e veniste a portarmi conforto”.

E i giusti gli chiederanno: “Quando mai, Signore, ti vedemmo affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti vedemmo pellegrino e ti abbiamo accolto, nudo e ti abbiamo rivestito? Quando ti vedemmo infermo e carcerato e siamo venuti a visitarti?”.

E il Re dei Re dirà loro: “In verità vi dico: quando avete fatto una di queste cose ad uno di questi minimi fra i miei fratelli, allora lo avete fatto a Me”.

E poi si volgerà a quelli che saranno alla sua sinistra e dirà loro, severo nel volto, e i suoi sguardi saranno come saette fulminanti i reprobi, e nella sua voce tuonerà l’ira di Dio: “Via di qua! Via da Me, o maledetti! nel fuoco eterno preparato dal furore di Dio per il demonio e gli angeli tenebrosi e per coloro che li hanno ascoltati nelle loro voci di libidine triplice e oscena. Io ebbi fame e non mi sfamaste, sete e non mi dissetaste, fui nudo e non mi rivestiste, pellegrino e mi respingeste, infermo e carcerato e non mi visitaste. Perché non avevate che una legge: il piacere del vostro io “.

Ed essi gli diranno: “Quando ti abbiamo visto affamato, assetato, nudo, pellegrino, infermo, carcerato? In verità noi non ti abbiamo conosciuto. Non eravamo, quando Tu eri sulla Terra”.

Ed Egli risponderà loro: “È vero. Non mi avete conosciuto. Perché non eravate quando Io ero sulla Terra. Ma avete però conosciuto la mia Parola e avete avuto i poveri fra voi, gli affamati, i sitibondi, i nudi, i malati, i carcerati. Perché non è già detto che coloro che mi ebbero fra loro fossero misericordiosi col Figlio dell’Uomo. Non sapete che nei miei fratelli Io sono, e dove è uno di essi che soffra là sono Io, e che ciò che non avete fatto ad uno di questi miei minori fratelli lo avete negato a Me, Primogenito degli uomini? Andate e ardete nel vostro egoismo. Andate, e vi fascino le tenebre e il gelo perché tenebra e gelo foste, pur conoscendo dove era la Luce e il Fuoco d’Amore”.

E costoro andranno all’eterno supplizio, mentre i giusti entreranno nella vita eterna.

Queste le cose future…

Ora andate. E non dividetevi fra voi. Io vado con Giovanni e sarò a voi a metà della prima vigilia, per la cena e per andare poi alle nostre istruzioni».

 

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

CRISTO RE. XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C. (Lc 23,35-43)

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 23,35-43)
In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

I membri del Sinedrio, che avevano consegnato Gesù a Pilato e ai soldati che dovevano crocifiggerlo, pensavano di essersi liberati di un uomo pio, certo, ma pericoloso politicamente. Ora, essi sono ai piedi della croce e lo scherniscono chiamandolo Messia, eletto di Dio, re. Gesù poteva scendere dalla croce e salvarsi; ma non l’ha fatto, perché altrimenti non ci avrebbe salvato. Ed ecco che raccoglie i frutti della sua passione: uno dei due ladroni crocifissi ai suoi fianchi confessa i propri peccati ed esorta l’altro a fare lo stesso, ma, soprattutto, professa la sua fede: Gesù è Re! Il Re crocifisso gli assicura in modo solenne: “Oggi sarai con me in paradiso”. Adamo aveva chiuso a tutti le porte del paradiso, Gesù, vincitore del peccato e della morte, apre le porte del paradiso anche ai più grandi peccatori, purché si convertano, sia pure nel momento della loro morte. Del resto, noi ben conosciamo molte conversioni simili.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Capitolo 609

Quattro nerboruti uomini, che per l’aspetto mi paiono giudei, e giudei degni della croce più dei condannati, certo della stessa categoria dei flagellatori, saltano da un sentiero sul luogo del supplizio. Sono vestiti di tuniche corte e sbracciate ed hanno in mano chiodi, martelli e funi che mostrano con lazzi ai tre condannati. La folla si agita in un delirio crudele.

Il centurione offre a Gesù l’anfora perché beva la mistura anestetica di vino mirrato. Ma Gesù la rifiuta. I due ladroni invece ne bevono molta. Poi 1’anfora, dall’ampia bocca svasata, viene posta presso un grosso sasso, quasi sullo scrimolo della cima. Viene dato l’ordine ai condannati di spogliarsi. I due ladroni lo fanno senza nessun pudore.

Gesù si spoglia lentamente per lo spasimo delle ferite. Forse pensa conservare le corte brache che ha tenute anche nella flagellazione. Ma, quando gli viene detto di levarsi anche le stesse, Egli tende la mano per mendicare lo straccio dei boia a difesa della sua nudità. È proprio l’Annichilito fino a dover chiedere uno straccio ai delinquenti.

Ma Maria ha visto e si è sfilata il lungo e sottile telo bianco, che le vela il capo sotto al manto oscuro e nel quale Ella ha già versato tanto pianto. Se lo leva senza far cadere il manto, lo dà a Giovanni perché lo porga a Longino per il Figlio. Il centurione prende il velo senza fare ostacolo e, quando vede che Gesù sta per denudarsi del tutto, stando voltato non verso la folla ma verso la parte vuota di popolo, mostrando così la sua schiena rigata di lividi e di vesciche, sanguinante di ferite aperte o dalle croste oscure, gli porge il lino materno. E Gesù lo riconosce.

Se ne avvolge a più riprese il bacino, assicurandoselo per bene perché non caschi… E sul lino, fino allora solo bagnato di pianto, cadono le prime gocce di Sangue, perché molte delle ferite, appena coperte di coagulo, nel chinarsi per levarsi i sandali e deporre le vesti si sono riaperte e il Sangue riprende a sgorgare.

Ora Gesù si volge verso la folla. E si vede così che anche il petto, le braccia, le gambe sono tutte state colpite dai flagelli.

La folla schernisce Gesù come in coro: «Oh! Bello! Il più bello dei figli degli uomini! Le figlie di Gerusalemme ti adorano…».

Ridono e urlano anche: «Il lebbroso! Il lebbroso! Hai dunque fornicato con un idolo se Dio ti ha così colpito? Hai mormorato contro i santi di Israele come Maria di Mosè, se sei stato così punito? Oh! Oh! il Perfetto! Sei il Figlio di Dio? Ma no! L’aborto di satana sei! Almeno egli, Mammona, è potente e forte. Tu… sei uno straccio impotente e schifoso».

I ladroni sono legati sulle croci e vengono portati al loro posto, uno a destra, uno a sinistra, ma così: ¡ + ¡ rispetto al posto destinato a Gesù. Urlano, imprecano, maledicono e, specie quando le croci vengono portate presso il buco e li sconquassano facendo segare i polsi dalle funi, le loro bestemmie a Dio, alla Legge, ai romani, ai giudei, sono infernali.

È la volta di Gesù. Egli si stende mite sul legno.

I due ladroni erano tanto ribelli che, non bastando a farlo i quattro boia, erano dovuti intervenire dei soldati a tenerli, perché a calci non respingessero gli aguzzini che li legavano per i polsi. Ma per Gesù non c’è bisogno di aiuto. Si corica e mette il capo dove gli dicono di metterlo.

Apre le braccia come gli dicono di farlo, stende le gambe come gli ordinano. Si è solo preoccupato di accomodarsi per bene il suo velo. Ora il suo lungo corpo, snello e bianco, spicca sul legno oscuro e sul suolo giallo.

La gente, cominciando dai sacerdoti, scribi, farisei, sadducei, erodiani e simili, si procura lo spasso di fare come un carosello, salendo dalla strada erta, passando lungo il rialzo finale e scendendo per l’altra via, o viceversa. E mentre passano ai piedi della vetta, sulla seconda piazzuola, non mancano di of­frire le loro parole blasfeme come omaggio al Morente.

Tutta la turpitudine, la crudeltà, l’odio e l’insania di cui sono capaci gli uomini con la lingua, vengono ampiamente testificate da queste bocche d’inferno. I più accaniti sono i membri del Tempio, coi farisei per aiuto.

«Ebbene? Tu, Salvatore dell’uman genere, perché non ti salvi? Ti ha abbandonato il tuo re belzebù? Ti ha rinnegato?», urlano tre sacerdoti.

E un branco di giudei: «Tu, che non più tardi di or sono cinque giorni, con l’aiuto del demonio, facevi dire al Padre… ah! ah! ah! che ti avrebbe glorificato, come mai non gli ricordi di mantenere la sua promessa?».

E tre farisei: «Bestemmiatore! Ha salvato gli altri, diceva, con l’aiuto di Dio! E non riesce a salvare Se stesso! Vuoi che ti si creda? E allora fai il miracolo. Non puoi più, eh? Ora hai le mani inchiodate, e sei nudo».

E dei sadducei ed erodiani ai soldati: «Attenti alla malìa, voi che vi siete prese le sue vesti! Ha dentro il segno infernale!».

Una folla in coro: «Scendi dalla croce e ti crederemo. Tu che distruggi il Tempio… Folle!… Guardalo là, il glorioso e santo Tempio d’Israele. È intoccabile, o profanatore! E Tu muori».

Altri sacerdoti: «Blasfemo! Figlio di Dio, Tu? E scendi di lì, allora. Fulminaci, se sei Dio. Non ti temiamo e sputiamo verso Te».

Altri che passano e scrollano il capo: «Non sa che piangere. Salvati, se è vero che sei l’Eletto!».

I soldati: «E salvati, dunque! Incenerisci questa suburra della suburra! Sì! Suburra dell’Impero siete, giudei canaglie. Fallo! Roma ti metterà in Campidoglio e ti adorerà come un nume!».

I sacerdoti coi loro compari: «Erano più dolci le braccia delle femmine di quelle della croce, non è vero? Ma, guarda, sono già lì pronte a riceverti le tue… (e dicono un termine infame). Ci hai tutta Gerusalemme a farti da pronuba». E fischiano come carrettieri.

Altri lanciando dei sassi: «Muta questi in pane, Tu, moltiplicatore dei pani».

Altri, scimmiottando gli osanna della domenica delle palme, lanciano dei rami e gridano: «Maledetto colui che viene in nome del demonio! Maledetto il suo regno! Gloria a Sionne che lo recide di fra i vivi!».

Un fariseo si piazza di fronte alla croce, e mostra il pugno facendo le corna e dice: «“Ti affido al Dio del Sinai”, Tu dicesti? Ora il Dio del Sinai ti prepara al fuoco eterno. Perché non chiami Giona a renderti il buon servizio?».

Un altro: «Non rovinare la croce con i colpi della tua testa. Deve servire per i tuoi seguaci. Una intera legione ne morirà sul tuo legno, te lo giuro su Jeové. E per primo ci metterò Lazzaro. Vedremo se Tu lo levi di morte, ora».

«Sì! Sì! Andiamo da Lazzaro. Inchiodiamolo dall’altro lato della croce», e pappagallescamente fanno la parlata lenta di Gesù dicendo: «Lazzaro, amico mio, vieni fuori! Slegatelo e lasciatelo andare!».

«No! Diceva a Marta e Maria, le sue femmine: “Io sono la Risurrezione e la Vita”. Ah! Ah! Ah! La Risurrezione non sa mandare indietro la morte, e la Vita muore!».

Il ladrone di sinistra continua gli insulti dalla sua croce. Pare si sia fatto il condensatore di tutte le bestemmie altrui e le snocciola tutte, terminando:

«Salvati e salvaci, se vuoi che ti si creda. Il Cristo Tu? Un folle sei! Il mondo è dei furbi e Dio non c’è. Io ci sono. Questo è vero, e per me tutto è lecito. Dio?… Fola! Messa per tenerci quieti. Viva il nostro io! Lui solo è re e dio!».

L’altro ladrone, che è a destra ed ha quasi ai piedi Maria, e La guarda quasi più che non guardi Cristo, e da qualche momento piange mormorando: «la Madre», dice: «Taci. Non temi Dio neppure ora che soffri questa pena? Perché insulti chi è buono? È in un supplizio ancor più grande del nostro. E non ha fatto nulla di male».

Ma il ladrone continua le sue imprecazioni.

Gesù tace.

Anelante per lo sforzo della posizione, per la febbre, per lo stato cardiaco e respiratorio, conseguenza della flagellazione subita in forma tanto violenta, e anche dell’angoscia profonda che gli aveva fatto sudar sangue, cerca trovare un sollievo, alleggerendo il peso che grava sui piedi, sospen­dendosi alle mani e facendo forza con le braccia. Forse lo fa anche per vincere un poco il crampo che già tormenta i piedi e che si tradisce con il tremito muscolare.

Ma lo stesso tremore è nelle fibre delle braccia, che sono sforzate in quella posizione e devono essere gelate nelle loro estremità, perché poste più in alto e abbandonate dal sangue, che a fatica giunge ai polsi e poi ne geme dai buchi dei chiodi lasciando senza circolazione le dita.

Specie quelle della sinistra sono già cadaveriche e stanno senza moto, ripiegate verso il palmo. Anche le dita dei piedi esprimono il loro tormento. Specie gli alluci, forse perché meno è leso il loro nervo, si alzano, si abbassano, si divaricano.

Il tronco, poi, svela tutta la sua pena col suo movimento, che è veloce ma non profondo, ed affatica senza dare sollievo. Le coste, molto ampie e alte di loro, perché la struttura di questo Corpo è perfetta, sono ora dilatate oltre misura per la posizione assunta dal Corpo e per l’edema polmonare che certo si è formato nell’interno. Eppure non servono ad alleggerire lo sforzo respiratorio, tanto che tutto l’addome aiuta col suo muoversi il diaframma, che sempre più si va paralizzando.

E la congestione e l’asfissia aumentano di minuto in minuto, come lo indicano il colorito cianotico che sottolinea le labbra, di un rosso acceso dalla febbre, e le stilature di un rosso violaceo, che spennellano il collo lungo le giugulari turgide e si allargano fino sulle guance, verso le orecchie e le tempie, mentre il naso è affilato e esangue, e gli occhi affondano in un cerchio che è livido dove è privo del sangue colato dalla corona.

Sotto l’arco costale sinistro si vede l’urto propagato dalla punta cardiaca, irregolare, ma violento, e ogni tanto, per una convulsione interna, il diaframma ha un fremito profondo che si rivela da una distensione totale della pelle, per quanto può stendersi su quel povero Corpo ferito e morente.

Il Volto ha già l’aspetto che vediamo nelle fotografie della Sindone, col naso deviato e gonfio da una parte; e anche il tenere l’occhio destro quasi chiuso, per il gonfiore che è da questo lato, aumenta la somiglianza. La bocca, invece, è aperta, con la sua ferita sul labbro superiore ormai ridotta ad una crosta.

La sete, data dalla perdita di Sangue, dalla febbre e dal sole, deve essere intensa, tanto che Egli, con mossa macchinale, beve le stille del suo sudore e del suo pianto, e anche quelle del Sangue che scende dalla fronte fin sui baffi, e si bagna con queste la lingua…

La corona di spine gli vieta di appoggiarsi al tronco della croce per aiutare la sospensione sulle braccia e alleggerire i piedi. Le reni e tutta la spina si arcua verso l’esterno, stando staccato dal tronco della croce dal bacino in su per forza di inerzia che fa pendere in avanti un corpo sospeso come era il suo.

I giudei, respinti oltre la piazzuola, non cessano di insultare, e il ladrone impenitente fa eco.

L’altro, che ora guarda con sempre maggiore pietà la Madre e piange, lo rimbecca aspramente quando sente che nell’insulto è compresa anche Lei.

«Taci. Ricordati che sei nato da una donna. E pensa che le nostre han pianto per causa dei figli. E furono lacrime di vergogna… perché noi siamo delinquenti. Le nostre madri sono morte… Io vorrei poterle chiedere perdono… Ma lo potrò? Era una santa… L’ho uccisa col dolore che le davo… Io sono un peccatore… Chi mi perdona? Madre, in nome del tuo Figlio morente, prega per me».

La Madre alza per un momento il suo viso straziato e lo guarda, questo sciagurato che attraverso al ricordo di sua madre e alla contemplazione della Madre va verso il pentimento, e pare lo carezzi col suo sguardo di colomba.

Disma piange più forte. Cosa che scatena ancora di più gli scherni della folla e del compagno. La prima urla: «Bravo! Pigliati questa per madre. Così ha due figli delinquenti!». E l’altro rincara: «Ti ama perché sei una copia minore del suo beneamato».

Gesù parla per la prima volta:

«Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!».

Questa preghiera vince ogni timore in Disma. Osa guardare il Cristo e dice:

«Signore, ricordati di me quando sarai nel tuo Regno. Io è giusto che qui soffra. Ma dammi misericordia e pace oltre la vita.

Una volta ti ho sentito parlare e, folle, ho respinto la tua parola. ORA ME NE PENTO. E DEI MIEI PECCATI ME NE PENTO DAVANTI A TE, Figlio dell’Altissimo. Io credo che Tu venga da Dio. Io credo nel tuo potere. Io credo nella tua misericordia.

CRISTO, PERDONAMI IN NOME DI TUA MADRE E DEL TUO PADRE SANTISSIMO».

Gesù si volge e lo guarda con profonda pietà, ed ha un sorriso ancora bellissimo sulla povera bocca torturata. Dice: «Io te lo dico: oggi tu sarai con Me in Paradiso».

Il ladrone pentito si mette calmo e, non sapendo più le preghiere imparate da bambino, ripete come una giaculatoria: «Gesù Nazareno, Re dei giudei, pietà di me; Gesù Nazareno, Re dei giudei, io spero in Te; Gesù Nazareno, Re dei giudei, io credo nella tua Divinità».

L’altro continua nelle sue bestemmie….

Il cielo si fa sempre più fosco.

Gesù sembra illividire sinistramente come per inizio di decomposizione, quasi fosse già morto. La testa gli comincia a pendere sul petto. Le forze mancano rapidamente. Trema, nonostante la febbre che Lo arde.

E nella sua debolezza mormora il nome che prima ha solo detto nel fondo del Cuore: «Mamma!», «Mamma!».

Lo mormora piano, come in un sospiro, quasi fosse già in un lieve delirio che gli impedisca di trattenere quanto la volontà vorrebbe trattenere. E Maria, ogni volta, ha un atto infrenabile di tendere le braccia come per soccorrerlo. E la gente crudele ride di questi spasimi di chi muore e di chi spasima.

Molti cominciano a impressionarsi della luce che sta fasciando il mondo, e qualcuno ha paura. Anche i soldati accennano al cielo e ad una specie di cono, che pare di lavagna tanto è cupo e che si leva come un pino da dietro una vetta. Sembra una tromba marina. Si alza, si alza e pare che generi nubi sempre più nere, quasi fosse un vulcano eruttante fumo e lava.

È in questa luce crepuscolare e paurosa che Gesù dà a Maria Giovanni e a Giovanni Maria. Curva il capo, poiché la Madre si è fatta più sotto alla croce per vederlo meglio, e dice:

«Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua Madre».

Maria ha il volto ancor più sconvolto dopo questa parola che è il testamento del suo Gesù, che non ha nulla da dare alla Madre se non un uomo, Egli che per amore dell’Uomo la priva dell’Uomo‑Dio, nato da Lei.

Ma cerca, la povera Madre, di non piangere che mutamente, perché non può, non può non piangere… Le stille del pianto gemono nonostante ogni sforzo per trattenerle, anche se la bocca ha il suo straziato sorriso, fissato sulle labbra per Lui, per confortare Lui… Le sofferenze crescono sempre più. E la luce sempre più decresce.

Le sofferenze sono sempre più forti. Il Corpo ha i primi inarcamenti propri della tetanìa e ogni clamore di folla li esaspera. La morte delle fibre e dei nervi si estende dalle estremità torturate al tronco, rendendo sempre più difficoltoso il moto respiratorio, debole la contrazione diaframmatica e disordinato il movimento cardiaco.

Il Volto di Cristo passa alternativamente da vampe di rossore intensissimo a pallori verdastri di morente per dissanguamento. La bocca si muove con maggiore fatica, perché i nervi sovraffaticati del collo e del capo stesso, che hanno per decine di volte fatto da leva al corpo tutto puntandosi sulla sbarra trasversa della croce, propagano il crampo anche alle mascelle.

La gola, enfiata dalle carotidi ingorgate, deve dolere ed estendere il suo edema alla lingua, che appare ingrossata e lenta nei movimenti. La schiena, anche nei momenti che le contrazioni tetanizzanti non la curvano ad arco completo dalla nuca alle anche, appoggiate come punti estremi al tronco della croce, si arcua sempre più in avanti, perché le membra divengono sempre più pesanti del peso delle carni morte.

La gente vede poco e male queste cose, perché la luce è ormai di un cenere cupo, e solo chi è ai piedi della croce può vedere bene.

Gesù si affloscia, un certo momento, tutto in avanti e in basso, come già morto; non ansa più, la testa gli pende inerte in avanti, il corpo dalle anche in su è tutto staccato facendo angolo con le braccia alla croce.

Maria ha un grido: «È morto!». Un grido tragico che si propaga nell’aria nera. E Gesù appare realmente morto.

L’oscurità si fa ancora più fitta. Gerusalemme scompare del tutto.

Lo stesso Calvario pare annullarsi nelle sue falde. Solo la cima è visibile, quasi che le tenebre la tengano alta a raccogliere l’unica e l’ultima superstite luce, posandola come per una offerta, col suo trofeo divino, su uno stagno di onice liquida, perché sia vista dall’amore e dall’odio.

E dalla luce non più luce viene la voce lamentosa di Gesù:

«Ho sete!».

Gesù, che ha succhiato avidamente l’aspra e amara bevanda, torce il capo, avvelenato dal disgusto di essa. Deve, oltretutto, essere come del corrosivo sulle labbra ferite e spaccate.

Si ritrae, si accascia, si abbandona. Tutto il peso del Corpo piomba sui piedi e in avanti. Sono le estremità ferite quelle che soffrono la pena atroce dello slabbrarsi sotto il peso di un Corpo che si abbandona. Non più un movimento per sollevare questo dolore. Dal bacino in su, tutto è staccato dal legno, e tale resta.

La testa pende in avanti tanto pesantemente che il collo pare scavato in tre posti: al giugolo, completamente infossato, e di qua e di là dello sternocleidomastoideo. Il respiro è sempre più anelante, ma interciso. È già più un rantolo sincopato che un respiro. Ogni tanto un colpo di tosse penosa porta una schiuma lievemente rosata alle labbra. E le distanze fra una espirazione e l’altra diventano sempre più lunghe.

L’addome è già fermo. Solo il torace ha ancora dei sollevamenti, ma faticosi, stentati… La paralisi polmonare si accentua sempre più. E sempre più fievole, tornando al lamento infantile del bambino, viene l’invocazione: «Mamma!».

E la misera mormora: «Sì, tesoro, sono qui».

E quando la vista che si vela gli fa dire: «Mamma, dove sei? Non ti vedo più. Anche Tu mi abbandoni?», e non è neanche una parola, ma un mormorio che appena è udibile da chi più col cuore che con l’udito raccoglie ogni sospiro del Morente, Ella dice:

«No, no, Figlio! Non ti abbandono Io! Sentimi, caro… La Mamma è qui, qui è… e solo si tormenta di non poter venire dove Tu sei…». 

È uno strazio…

Un silenzio. Poi, netta nell’oscurità totale, la parola: «Tutto è compiuto!», e poi l’ansito sempre più rantoloso, con pause di silenzio fra un rantolo e l’altro, sempre più vaste.
Il tempo scorre su questo ritmo angoscioso.

La vita torna quando l’aria è rotta dall’anelito aspro del Morente… La vita cessa quando questo suono penoso non si ode più. Si soffre a sentirlo… si soffre a non sentirlo… Si dice:

«Basta di questa sofferenza!», e si dice:

«Oh! Dio! che non sia l’ultimo respiro».

Le Marie piangono tutte, col capo contro il rialzo terroso. E si sente bene il loro pianto, perché tutta la folla ora tace di nuovo per raccogliere i rantoli del Morente. Ancora un silenzio. Poi, pronunciata con infinita dolcezza, con ardente preghiera, la supplica:

«Padre, nelle tue mani raccomando lo Spirito mio!».

Ancora un silenzio. Si fa lieve anche il rantolo. È appena un soffio limitato alle labbra e alla gola.

Poi, ecco, l’ultimo spasimo di Gesù.

Una convulsione atroce, che pare voglia svellere il Corpo infisso, coi tre chiodi, dal legno, sale per tre volte dai piedi al capo, scorre per tutti i poveri nervi torturati; solleva tre volte l’addome in una maniera anormale, poi lo lascia dopo averlo dilatato come per sconvolgimento dei visceri, ed esso ricade e si infossa come svuotato; alza, gonfia e contrae tanto fortemente il torace, che la pelle si infossa fra coste e coste che si tendono, apparendo sotto l’epidermide e riaprendo le ferite dei flagelli.

Fa rovesciare violentemente indietro, una, due, tre volte il capo, che percuote contro il legno, duramente; contrae in uno spasimo tutti i muscoli del volto, accentuando la deviazione della bocca a destra, fa spalancare e dilatare le palpebre sotto cui si vede roteare il globo oculare e apparire la sclerotica.

Il Corpo si tende tutto; nell’ultima delle tre contrazioni è un arco teso, vibrante, tremendo a vedersi, e poi un grido potente, impensabile in quel Corpo sfinito, si sprigiona, lacera l’aria, il «grande grido» di cui parlano i Vangeli e che è la prima parte della parola «Mamma»… E più nulla…

La testa ricade sul petto, il corpo in avanti, il fremito cessa, cessa il respiro. È spirato.

La Terra risponde al grido dell’Ucciso con un boato pauroso.

Sembra che da mille buccine dei giganti traggano un unico suono e su questo tremendo accordo ecco le note isolate, laceranti dei fulmini che rigano il cielo in tutti i sensi, cadendo sulla città, sul Tempio, sulla folla…

Credo che ci saranno stati dei fulminati, perché la folla è colpita direttamente. I fulmini sono l’unica luce saltuaria che permetta di vedere. E poi subito, e mentre durano ancora le scariche delle saette, la Terra si scuote in un turbine di vento ciclonico.

Il terremoto e l’aeromoto si fondono per dare un apocalittico castigo ai bestemmiatori. La vetta del Golgota ondeggia e balla come un piatto in mano di un pazzo, nelle scosse sussultorie e ondulatorie che scuotono talmente le tre croci che sembra le debbano ribaltare.

Maria alza il capo dal petto di Giovanni e guarda il suo Gesù.

Lo chiama, perché mal Lo vede nella poca luce e coi suoi poveri occhi pieni di pianto. Tre volte lo chiama: «Gesù! Gesù! Gesù!».

È la prima volta che Lo chiama per nome da quando è sul Calvario. Infine, ad un lampo che fa come una corona sopra la vetta del Golgota, Lo vede, immobile, tutto pendente in avanti, col capo talmente piegato in avanti, e a destra, da toccare con la guancia la spalla e col mento le coste, e comprende.

Tende le mani che tremano nell’aria scura e grida: «Figlio mio! Figlio mio! Figlio mio!».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C (Lc 21,5-19)

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 21,5-19)
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

La perseveranza per salvare l’anima, i falsi profeti, le guerre, i cataclismi e la persecuzione da parte dei cattivi, sono gli intensi argomenti che troviamo nel Vangelo di oggi. Spesso i cristiani non li considerano attentamente. Si sorvola sulla perseveranza per salvare l’anima e non si conosce il vero cammino spirituale da compiere, come anche non sempre si agisce secondo il Vangelo dinanzi ai cattivi.
Gesù parla della perseveranza spirituale per la salvezza delle nostre anime al termine di questo fortissimo discorso, dopo avere elencato varie profezie che sono sotto i nostri occhi in questi giorni e che si realizzeranno.
Il Signore precisa che si tratta di un tempo di sofferenze e queste prove scaturiranno non per volontà di Dio, sono i progetti malvagi degli uomini-diavoli, a costringere il Creatore a fermare la follia umana. Dio non vuole la nostra sofferenza, interviene per amore nostro, deve utilizzare poi le maniere forti per svegliarci.
Quando un figlio non vuole ascoltare e continua a sbagliare, a distruggere se stesso e i beni della famiglia, i genitori sono costretti a reagire per evitare guai ancora più gravi. Non si deve mai indicare Dio come colpevole delle calamità, semmai Egli qualche volta permette il male per salvare le anime delle sue creature.
“Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo”. Si può imputare a Dio tutto questo? Non c’è una sola spiegazione valida per colpevolizzare Dio, ma anche i cristiani nella loro confusa dispersione, talvolta si lamentano di Dio.
Gesù ci ha dato questo avviso perché ognuno si prepari, questo è il tempo più difficile della storia umana. Sta a noi comprenderlo.
Le guerre, i cataclismi e la persecuzione dei cattivi sono i più grandi pericoli che questa generazione sta vivendo, sono disastri intenzionalmente determinati da gruppi di potere che hanno già pronti i loro spaziosi bunker dove rifugiarsi, e sono felici nel pensare alla desiderata distruzione di ampie parti della Terra.
Sono follie degli uomini consacrati a satana, sono burattini manovrati dai diavoli che sperano di sferrare l’attacco definitivo al Cristianesimo e al mondo. Se “la gloria di Dio è l’uomo vivente”, i diavoli fremono per realizzare quanto finora è stato impedito, purtroppo riusciranno a causare tanto male sulla Terra.
Gesù ci parla anche dei falsi profeti che in questi tempi ingannano già centinaia di milioni di persone e con le loro opere riescono ad allontanare tutti i loro seguaci dalla Verità, anche se esprimono parole cristiane o invitano addirittura a pregare. Nelle loro parole si nascondono inganni e la stessa vicinanza o la fiducia che si ripone in essi è già una maledizione.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Capitolo 596

Mattia, l’ex pastore, si avvicina a Gesù e chiede:

«Signore e Maestro mio, io ho molto pensato coi compagni alle tue parole finché la stanchezza ci prese, e dormimmo prima di avere potuto risolvere il quesito che ci eravamo posti. E ora siamo più stolti di prima. Se abbiamo bene capito i discorsi di questi giorni, Tu hai predetto che molte cose si cambieranno benché la Legge resti immutata e che si dovrà edificare un nuovo Tempio, con nuovi profeti, sapienti e scribi, contro il quale saranno date battaglie, e che non morrà, mentre questo, sempre se si è capito bene, pare destinato a perire».

«È destinato a perire. Ricorda la profezia di Daniele…».

«Ma noi, poveri e pochi, come potremo edificarlo di nuovo se fecero fatica a edificare questo i re? Dove lo edificheremo? Non qui, perché Tu dici che questo luogo resterà deserto sino a che essi non ti benediranno come mandato da Dio».

«Così è».

«Nel tuo Regno, no. Siamo convinti che il tuo Regno è spirituale. E allora come, dove lo stabiliremo? Tu ieri hai detto che il vero Tempio -e non è quello il vero Tempio?- che il vero Tempio, quando crederanno di averlo distrutto, allora sarà che salirà trionfante alla Gerusalemme vera. Molta confusione è in noi».

«Così è. I nemici distruggano pure il vero Tempio. In tre giorni Io lo farò risorgere, e non conoscerà più insidia salendo dove l’uomo non può nuocere. Riguardo al Regno di Dio, esso è in voi e ovunque sono uomini che credono in Me. Sparso per ora, succedentesi sulla Terra nei secoli. Poi eterno, unito, perfetto nel Cielo. Là, nel Regno di Dio, sarà edificato il nuovo Tempio, ossia là dove sono spiriti che accettano la mia dottrina, la dottrina del Regno di Dio, e ne praticano i precetti.

Come sarà edificato se siete poveri e pochi? Oh! in verità non necessitano denari e poteri per edificare l’edificio della nuova dimora di Dio, individuale o collettiva. Il Regno di Dio è in voi.

E l’unione di tutti coloro che avranno in loro il Regno di Dio, di tutti coloro che avranno Dio in loro -Dio: la Grazia; Dio: la Vita; Dio: la Luce; Dio: la Carità- costituirà il grande Regno di Dio sulla Terra, la nuova Gerusalemme che giungerà ad espandersi per tutti i confini del mondo e che, completa e perfetta, senza mende, senza ombre, vivrà eterna nel Cielo.

Come farete a edificare Tempio e città? Oh! non voi, ma Dio edificherà questi luoghi nuovi. Voi dovrete soltanto dargli la vostra buona volontà. Buona volontà è permanere in Me. Vivere la mia dottrina è buona volontà. Stare uniti è la buona volontà. Uniti a Me sino a fare un sol corpo che è nutrito, nelle sue singole parti e particelle, da un unico umore. Un unico edificio che è poggiato su un’unica base e tenuto unito da una mistica coesione.

Ma siccome senza l’aiuto del Padre, che vi ho insegnato a pregare e che pregherò per voi prima di morire, voi non potreste essere nella Carità, nella Verità, nella Vita, ossia ancora in Me e con Me in Dio Padre e in Dio Amore, perché Noi siamo un’unica Divinità, per questo vi dico di avere Dio in voi per poter essere il Tempio che non conoscerà fine. Da voi non potreste fare.

Se Dio non edifica, e non può edificare dove non può prendere dimora, inutilmente gli uomini si agitano a edificare o a riedificare.

Il Tempio nuovo, la mia Chiesa, sorgerà soltanto quando il vostro cuore ospiterà Dio, ed Egli con voi, vive pietre, edificherà la sua Chiesa».

«Ma non hai detto che Simone di Giona ne è il Capo, la Pietra sulla quale si edificherà la tua Chiesa? E non hai fatto capire anche che Tu ne sei la pietra angolare? Chi dunque ne è il capo? C’è o non c’è questa Chiesa?», interrompe l’Iscariota.

«Io sono il Capo mistico. Pietro ne è il capo visibile. Perché Io ritorno al Padre lasciandovi la Vita, la Luce, la Grazia, per la mia Parola, per i miei patimenti, per il Paraclito che sarà amico di coloro che mi furono fedeli. Io sono un’unica cosa con la mia Chiesa, mio Corpo spirituale di cui Io sono il Capo.

Il capo contiene il cervello o mente. La mente è sede del sapere, il cervello è quello che dirige i moti delle membra coi suoi immateriali comandi, i quali sono più validi per far muovere le membra di ogni altro stimolo.

Osservate un morto, nel quale morto è il cervello. Ha forse più moto nelle sue membra?

Osservate uno completamente stolto. Non è forse inerte al punto da non saper avere quei rudimentali moti istintivi che l’animale più inferiore, il verme che schiacciamo passando, ha?

Osservate uno nel quale la paralisi ha spezzato il contatto delle membra, uno o più membra, col cervello. Ha forse più moto nella parte che non ha più legame vitale col capo?

Ma se la mente dirige con i suoi immateriali comandi, sono gli altri organi -occhi, orecchie, lingua, naso, pelle- che comunicano le sensazioni alla mente, e sono le altre parti del corpo che eseguiscono e fanno eseguire ciò che la mente, avvertita dagli organi, materiali e visibili quanto l’intelletto è invisibile, comanda.

Potrei Io, senza dirvi: “sedete”, ottenere che voi sediate su questa costa di monte? Anche se Io lo penso che voglio vi mettiate seduti, voi non lo sapete finché Io non traduco il mio pensiero in parole e dico queste, usando lingua e labbra. Potrei Io stesso sedermi, se lo pensassi soltanto, perché sento la stanchezza delle gambe, ma se queste rifiutassero di piegarsi e mettermi così seduto? La mente ha bisogno di organi e membra per fare e per far fare le operazioni che il pensiero pensa.

Così nel corpo spirituale che è la mia Chiesa Io sarò l’Intelletto, ossia la testa, sede dell’intelletto; Pietro e i suoi collaboratori coloro che osservano le reazioni e percepiscono le sensazioni e le trasmettono alla mente, perché essa illumini e ordini ciò che è da fare per il bene di tutto il corpo, e poi, illuminati e diretti dall’ordine mio, parlino e guidino le altre parti del corpo.

La mano che respinge l’oggetto che può ferire il corpo, o allontana ciò che, corrotto, può corrompere; il piede che scavalca l’ostacolo senza urtarvi e cadere e ferirsi, hanno avuto comando di farlo dalla parte che dirige.

Il fanciullo, e anche l’uomo, che è salvato da un pericolo, o che fa un guadagno di qualsiasi specie -istruzione, affari buoni, matrimonio, buona alleanza per un consiglio ricevuto, per una parola detta- è per quel consiglio e quella parola che non si nuoce o che si benefica. Così sarà nella Chiesa. Il capo, e i capi, guidati dal divino Pensiero e illuminati dalla divina Luce e istruiti dall’eterna Parola, daranno gli ordini e i consigli, e le membra faranno, avendo spirituale salute e spirituale guadagno.

La mia Chiesa già è, poiché già possiede il suo Capo soprannaturale e il suo Capo divino e ha le sue membra: i discepoli. Piccola ancora -un germe che si forma- perfetta unicamente nel Capo che la dirige, imperfetta nel resto, che ha bisogno del tocco di Dio per essere perfetta e del tempo per crescere. Ma in verità vi dico che essa già è, e che è santa per Colui che ne è il Capo e per la buona volontà dei giusti che la compongono.

Santa e invincibile. Contro di essa si avventerà una e mille volte, e con mille forme di battaglia, l’inferno fatto di demoni e di uomini-demoni, ma non prevarranno. L’edificio sarà incrollabile. 

Ma l’edificio non è fatto di una sola pietra. Osservate il Tempio, là, vasto, bello, nel sole che tramonta. È forse fatto di una sola pietra? È un complesso di pietre che fanno un unico armonico tutto. Si dice: il Tempio. Cioè una unità. Ma questa unità è fatta delle molte pietre che l’hanno composta e formata. Inutile sarebbe stato fare le fondamenta, se esse non avessero poi dovuto sorreggere le mura e il tetto, se su esse non avessero poi avuto ad innalzarsi le mura.

E impossibile sarebbe stato alzare le mura e sostenere il tetto, se non fossero state fatte per prime le fondamenta solide, proporzionate a sì gran mole. Così, con questa dipendenza delle parti, una dall’altra, sorgerà anche il Tempio novello. Nei secoli voi lo edificherete appoggiandolo sulle fondamenta che Io gli ho dato, perfette, per la sua mole. Lo edificherete con la direzione di Dio, con la bontà delle cose usate a innalzarlo: spiriti che Dio inabita.

Dio nel vostro cuore, a fare di esso pietra polita e senza incrinature per il Tempio nuovo. Il suo Regno stabilito con le sue leggi nel vostro spirito. Altrimenti sareste mattoni malcotti, legno tarlato, pietre scheggiate e farinose che non reggono e che il costruttore, se avveduto, respinge, o che fallano, cedono, facendo crollare una parte se il costruttore, i costruttori preposti dal Padre alla costruzione del Tempio, sono costruttori idoli che si pavoneggiano nel loro onore senza vegliare e faticare sulla costruzione che si innalza e sui materiali usati per farla.

Costruttori idoli, tutori idoli, custodi idoli, ladri! Ladri della fiducia di Dio, della stima degli uomini, ladri e orgogliosi che si compiacciono di aver modo di aver guadagno, e modo di avere numeroso mucchio di materiali, e non osservano se sono buoni o scadenti, causa di rovina.

Voi, novelli sacerdoti e scribi del novello Tempio, ascoltate. Guai a voi e a chi dopo voi si farà idolo e non veglierà e sorveglierà se stesso e gli altri, i fedeli, per osservare, saggiare la bontà delle pietre e del legname, senza fidarsi delle apparenze, e causerà rovine lasciando che materiali scadenti, o addirittura nocivi, siano lasciati usare per il Tempio, dando scandalo e provocando rovina.

Guai a voi se lascerete crearsi crepacci e muraglie insicure, storte, facili al crollo non essendo equilibrate sulle basi che sono solide e perfette. Non da Dio, Fondatore della Chiesa, ma da voi verrebbe il disastro, e ne sareste responsabili davanti al Signore e agli uomini.

Diligenza, osservazione, discernimento, prudenza!

La pietra, il mattone, la trave debole, che in un muro maestro sarebbero rovina, possono servire per parti di minore importanza, e servire bene. Così dovete saper scegliere. Con carità per non disgustare le deboli parti, con fermezza per non disgustare Dio e rovinare il suo Edificio.

E se vi accorgete che una pietra, già posta a sorreggere un angolo maestro, non è buona o non è equilibrata, siate coraggiosi, audaci, e sappiatela levare da quel posto, mortificatela squadrandola con lo scalpello di un santo zelo. Se urla di dolore non importa. Vi benedirà poi nei secoli, perché voi l’avrete salvata. Spostatela, mettetela ad altro ufficio. Non abbiate paura anche di allontanarla del tutto se la vedete oggetto di scandalo e rovina, ribelle al vostro lavoro. Meglio poche pietre che molta zavorra.

Non abbiate fretta. Dio non ha mai fretta, ma ciò che crea è eterno, perché ben ponderato prima di eseguirlo. Se non eterno, è duraturo quanto i secoli. Guardate l’Universo. Da secoli, da migliaia di secoli, è come Dio lo fece con operazioni successive. Imitate il Signore. Siate perfetti come il Padre vostro. Abbiate la sua Legge in voi, il suo Regno in voi. E non fallirete.

Ma, se non foste così, crollerebbe l’edificio, invano vi sareste affaticati a innalzarlo. Crollerebbe rimanendo di esso unicamente la pietra angolare, le fondamenta… Così come avverrà di quello!… In verità vi dico che di quello così sarà. E così del vostro se metterete in esso ciò che è in questo: le parti malate di orgoglio, di avidità, di peccato, di lussuria.

Come si è disfatto per soffio di vento quel padiglione di nuvole che pareva posare, così vagamente bello, sulla cima di quel monte, ugualmente, al soffiare di un vento di castigo soprannaturale e umano, crolleranno gli edifici che di santo non hanno che il nome…».

Gesù tace pensoso. Quando riparla è per ordinare: «Sediamoci qui a riposare un poco».

Si siedono su un pendio del monte Uliveto, di faccia al Tempio baciato dal sole calante. Gesù guarda fisso quel luogo, con mestizia. Gli altri con orgoglio per la sua bellezza, ma sull’orgoglio è steso un velo di cruccio, lasciato dalle parole del Maestro. E se quella bellezza dovesse proprio perire?…

Pietro e Giovanni parlano fra di loro e poi sussurrano qualcosa a Giacomo d’Alfeo e ad Andrea, loro vicini, i quali annuiscono col capo. Allora Pietro si rivolge al Maestro e gli dice:

«Vieni in disparte e spiegaci quando avverrà la tua profezia sulla distruzione del Tempio. Daniele ne parla, ma se fosse come lui dice e come Tu dici, poche ore avrebbe ancora il Tempio. Ma noi non vediamo eserciti né preparativi di guerra. Quando dunque avverrà? Quale sarà il segno di esso? Tu sei venuto. Tu, dici, stai per andare via. Eppure si sa che essa non sarà che quando Tu sarai fra gli uomini. Tornerai, allora? Quando, questo tuo ritorno? Spiegaci, perché noi si possa sapere…».

«Non occorre mettersi in disparte. Vedi? Sono rimasti i discepoli più fedeli, quelli che saranno a voi dodici di grande aiuto. Essi possono sentire le parole che dico a voi. Venitemi tutti vicino!», grida in ultimo per radunare tutti.

I discepoli, sparsi sul pendio, si avvicinano, fanno un mucchio compatto, stretto intorno a quello principale di Gesù coi suoi apostoli, e ascoltano.

«Badate che nessuno vi seduca in futuro. Io sono il Cristo e non vi saranno altri Cristi. Perciò, quando molti verranno a dirvi: “Io sono il Cristo” e sedurranno molti, voi non credete a quelle parole, neppure se saranno accompagnate da prodigi.

Satana, padre di menzogna e protettore dei menzogneri, aiuta i suoi servi e seguaci con falsi prodigi, che però possono essere riconosciuti non buoni perché sempre uniti a paura, turbamento e menzogna.

I prodigi di Dio voi li conoscete: danno pace santa, letizia, salute, fede, conducono a desideri e opere sante. Gli altri no.

Perciò riflettete sulla forma e le conseguenze dei prodigi che potrete vedere in futuro ad opera dei falsi Cristi e di tutti coloro che si ammanteranno nelle vesti di salvatori di popoli e saranno invece le belve che rovinano gli stessi.

Sentirete anche, e vedrete anche, parlare di guerre e di rumori di guerre e vi diranno: “Sono i segni della fine”. Non turbatevi. Non sarà la fine. Bisogna che tutto questo avvenga prima della fine, ma non sarà ancora la fine.

Si solleverà popolo contro popolo, regno contro regno, nazione contro nazione, continente contro continente, e seguiranno pestilenze, carestie, terremoti in molti luoghi. Ma questo non sarà che il principio dei dolori.

Allora vi getteranno nella tribolazione e vi uccideranno, accusandovi di essere i colpevoli del loro soffrire e sperando di uscirne col perseguitare e distruggere i miei servi. Gli uomini fanno sempre accusa agli innocenti di esser causa del male che essi, peccatori, si creano. Accusano Dio stesso, perfetta Innocenza e Bontà suprema, di esser causa del loro soffrire, e così faranno con voi, e voi sarete odiati per causa del mio Nome.

È Satana che li aizza.

E molti si scandalizzeranno e si tradiranno e odieranno a vicenda. È ancor satana che li aizza. E sorgeranno falsi profeti che indurranno molti in errore. Ancora sarà satana il vero autore di tanto male. E per il moltiplicarsi dell’iniquità si raffredderà la carità in molti. Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvo.

E prima bisogna che questo Vangelo del Regno di Dio sia predicato in tutto il mondo, testimonianza a tutte le nazioni. Allora verrà la fine. Ritorno al Cristo di Israele che lo accoglie e predicazione della mia Dottrina in tutto il mondo.

E poi un altro segno. Un segno per la fine del Tempio e per la fine del mondo.

Quando vedrete l’abominazione della desolazione predetta da Daniele -chi mi ascolta bene intenda, e chi legge il Profeta sappia leggere fra le parole- allora chi sarà in Giudea fugga sui monti, chi sarà sulla terrazza non scenda a prendere quanto ha in casa, e chi è nel suo campo non torni in casa a prendere il suo mantello, ma fugga senza volgersi indietro, ché non gli accada di non poterlo più fare, e neppure si volga nel fuggire a guardare, per non conservare nel cuore lo spettacolo orrendo e insanire per esso.

Guai alle gravide e a quelle che allatteranno in quei giorni! E guai se la fuga dovesse compiersi in sabato! Non sarebbe sufficiente la fuga a salvarsi senza peccare. Pregate dunque perché non avvenga in inverno e in giorno di sabato, perché allora la tribolazione sarà grande quale mai non fu dal principio del mondo fino ad ora, né sarà mai più simile perché sarà la fine.

Se non fossero abbreviati quei giorni in grazia degli eletti, nessuno si salverebbe, perché gli uomini-satana si alleeranno all’inferno per dare tormento agli uomini.

E anche allora, per corrompere e trarre fuori della via giusta coloro che resteranno fedeli al Signore, sorgeranno quelli che diranno: “Il Cristo è là, il Cristo è qua. È in quel luogo. Eccolo”. Non credete. Nessuno creda, perché sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti che faranno prodigi e portenti tali da indurre in errore, se fosse possibile, anche gli eletti, e diranno dottrine in apparenza così confortevoli e buone a sedurre anche i migliori, se con loro non fosse lo Spirito di Dio che li illuminerà sulla verità e l’origine satanica di tali prodigi e dottrine.

Io ve lo dico. Io ve lo predico perché voi possiate regolarvi. Ma di cadere non temete. Se starete nel Signore non sarete tratti in tentazione e in rovina. Ricordate ciò che vi ho detto: “Vi ho dato il potere di camminare su serpenti e scorpioni, e di tutta la potenza del Nemico nulla vi nuocerà, perché tutto vi sarà soggetto”.

Vi ricordo anche però che per ottenere questo dovete avere Dio in voi, e rallegrarvi dovete, non perché dominate le potenze del Male e le venefiche cose, ma perché il vostro nome è scritto in Cielo.

State nel Signore e nella sua verità. Io sono la Verità e insegno la verità. Perciò ancora vi ripeto: qualunque cosa vi dicano di Me, non credete. Io solo ho detto la verità. Io solo vi dico che il Cristo verrà, ma quando sarà la fine. Perciò, se vi dicono: “È nel deserto”, non andate. Se vi dicono: “È in quella casa”, non date retta.

Perché il Figlio dell’Uomo nella sua seconda venuta sarà simile al lampo che esce da levante e guizza fino a ponente, in un tempo più breve di quel che non sia il batter di una palpebra. E scorrerà sul grande Corpo, di subito fatto Cadavere, seguito dai suoi fulgenti Angeli, e giudicherà.

Là dovunque sarà corpo là si raduneranno le aquile. E subito dopo la tribolazione di quei giorni ultimi, che vi fu detta -parlo già della fine del tempo e del mondo e della risurrezione delle ossa, delle quali cose parlano i profeti- si oscurerà il sole, e la luna non darà più luce, e le stelle del cielo cadranno come acini da un grappolo troppo maturo che un vento di bufera scuote, e le potenze dei Cieli tremeranno.

E allora nel firmamento oscurato apparirà folgorante il segno del Figlio dell’Uomo, e piangeranno tutte le nazioni della Terra, e gli uomini vedranno il Figlio dell’Uomo venir sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria. Ed Egli comanderà ai suoi Angeli di mietere e vendemmiare, e di separare i logli dal grano, e di gettare le uve nel tino, perché sarà venuto il tempo del grande raccolto del seme di Adamo, e non ci sarà più bisogno di serbare racimolo o semente, perché non ci sarà mai più perpetuazione della specie umana sulla Terra morta.

E comanderà ai suoi Angeli che a gran voce di trombe adunino gli eletti dai quattro venti, da un’estremità all’altra dei cieli, perché siano al fianco del Giudice divino per giudicare con Lui gli ultimi viventi ed i risorti.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C (Lc 20,27-38)

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 20,27-38)
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». Parola del Signore.

Forma breve:

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 20, 27.34-38)
In quel tempo, disse Gesù ad alcuni sadducèi, i quali dicono che non c’è risurrezione:
«I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio.
Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Figli della resurrezione
Gli si avvicinarono alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione. Il pensiero di chi non ha prospettive non può essere che cupo e negativo, e a questa categoria appartiene il caso da loro sottoposto a Gesù. Persone allo sbando, guidate dal vuoto, dal non senso, dalla disperazione di una vita fisica che finisce, e non possono neppure gloriarsi di una discendenza.
Gli posero una domanda. Se muore; senza figli; prenda la moglie; morì senza figli; la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna alla risurrezione, di chi sarà moglie? Quante esperienze negative contiene questa domanda! Tuttavia, il vero problema non è una questione di matrimoni (Beautiful sarebbe in grado di rispondere meglio); il grande problema di questi sadducei è la negazione dell’aldilà. Questa negazione inquina e deturpa anche l’aldiquà: perché vivere un momento bello, perché gioire se poi tutto finisce? E ancora di più, davanti a un lutto di una persona cara, o una malattia, una situazione spiacevole, il cielo ti è precluso, non hai scampo, e il tuo unico orizzonte è quello della disperazione.
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio.
Gesù sa bene chi siano coloro che lo interrogano, e senza paura giunge al nocciolo del discorso: voi mi chiedete questo perché avete terribilmente fame e sete di eternità, di vita che continua, ebbene, io sono qui per aprirvi questa possibilità. Nel testo greco originale ci sono due modi per dire figlio: τ?κνον (termine usato dai sadducei in questo brano) e υ??ς, termine utilizzato da Gesù. Mentre il primo si riferisce a bambini piccoli, quindi minori, e a un piano prettamente fisico, (anche le parole dicono quale sia il problema dei sadducei), il secondo si riferisce a figli grandi, e più in generale a una relazione affettiva con essi. Mentre chi pone la domanda ha in mente morte, Gesù fin da subito, con la sua risposta, trasmette vita, a 360 gradi.
Spesso viene citata questa pagina di vangelo per fare riferimento alla vita di coppia, ma in realtà la parola chiave è FIGLIO: i figli di questo mondo i figli della risurrezione, i figli di Dio.
Figli di questo mondo: siamo tutti noi, tutti gli esseri umani, nessuno escluso, cristiani o atei, tutti viviamo in questa buffa sfera terracquea. Per essere figli di questo mondo è sufficiente essere concepiti e generati (a volte purtroppo non desiderati, non accolti). E sì, la maggior parte di questi si sposano…
Figli della risurrezione: essere figli della resurrezione non è dato dall’ adesione a una religione, o da una pratica più o meno spirituale. È concepito e generato dalla resurrezione (quindi voluto), chi trova in Dio il senso del suo esistere, e trova in questa strana relazione tutta la forza e l’ energia per vivere saldamente ancorato sulla terra, ma il suo cuore, i suoi occhi e la sua anima si disseta di tutto l’ amore di Dio, un amore che non ha sufficiente spazio quaggiù, e invade tutto il cielo, tutto l’ universo, tutto il paradiso. Questi figli non possono più morire, perché Lui, il Risorto, ha donato loro il trionfo sul male e sulla morte.
Figli di Dio: potrebbe sembrare un sinonimo del precedente. In questo caso tutto si gioca nel campo della relazione padre-figlio, ed è proprio per questa paternità che tali figli possono vivere la vita che non ha fine, già qui e ora, nelle scelte di ogni giorno, nelle situazioni ordinarie e straordinarie, belle o brutte che siano. Ci sarà sempre uno spiraglio di luce, piccolo magari, ma c’è, e quel filo di infinito traccia i passi di oggi.
Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui.
La conclusione di Gesù in realtà non conclude, ma anzi, spalanca un varco di luce su quella domanda di morte e disperazione. La resurrezione che ci genera non è affare di Dio, ma esige da ciascuno il proprio contributo. Il sepolcro vuoto non è il lieto fine che aggiusta tutto, ma testimonianza che il dolore e la morte, vissuti in un’ ottica di eternità, sono superabili, risolvibili. Il mattino di Pasqua ci troverà sfiniti ed esausti, dopo tutte le lotte e le sofferenze vissute; ora possiamo guardare la morte in faccia, e insieme al Signore risorto sussurrargli: non hai vinto tu.
La prima chiave di questa pagina è FIGLIO, in una relazione profonda e intima con Dio Padre. La seconda chiave è RESURREZIONE, vita che ritorna, che non finisce. I sadducei si preoccupano di morti e di figli non avuti. Figlio della resurrezione è la risposta di Gesù a te oggi, che ti arrabatti tra mille difficoltà. Sii figlio della resurrezione e l’alleluia della Pasqua sarà il canto anche nelle ore più buie.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Capitolo 594

Stanno per rientrare in città, sempre per la stessa stradicciuola remota presa la mattina avanti, quasi che Gesù non volesse essere circondato dalla gente in attesa prima di essere nel Tempio, al quale presto si accede entrando in città dalla porta del Gregge che è vicina alla Probatica. Ma oggi molti dei settantadue Lo attendono già al di là del Cedron, prima del ponte, e non appena Lo vedono apparire fra gli ulivi verde-grigi, nella sua veste porpurea, gli vanno incontro.

Si riuniscono e procedono verso la città. Pietro, che guarda avanti, giù per la china, sempre in sospetto di veder apparire qualche malintenzionato, vede fra il verde fresco delle ultime pendici un ammasso di foglie vizze e pendenti che si spenzola sull’acqua del Cedron. Le foglie accartocciate e morenti, qua e là già macchiate come per ruggine, sono simili a quelle di una pianta che le fiamme hanno essiccata. Ogni tanto la brezza ne stacca una e la seppellisce nelle acque del torrente.

«Ma quello è il fico di ieri! Il fico che Tu hai maledetto!», grida Pietro, una mano puntata ad indicare la pianta seccata, la testa volta indietro a parlare al Maestro.

Accorrono tutti, meno Gesù che viene avanti col suo solito passo. Gli apostoli narrano ai discepoli il precedente del fatto che vedono e tutti insieme commentano guardando strabiliati Gesù. Hanno visto migliaia di miracoli su uomini ed elementi. Ma questo li colpisce come molti altri non lo hanno fatto.

Gesù, che è sopraggiunto, sorride nell’osservare quei visi stupiti e timorosi, e dice:

«E che? Tanto vi fa meraviglia che per la mia parola sia seccato un fico? Non mi avete visto forse risuscitare i morti, guarire i lebbrosi, dar vista ai ciechi, moltiplicare i pani, calmare le tempeste, spegnere il fuoco? E vi stupisce che un fico dissecchi?».

«Non è per il fico. È che ieri era vegeto quando l’hai maledetto, e ora è seccato. Guarda! Friabile come argilla disseccata. I suoi rami non hanno più midollo. Guarda. Vanno in polvere», e Bartolomeo sfarina fra le dita dei rami che ha con facilità spezzato.

«Non hanno più midollo. Lo hai detto. Ed è la morte quando non c’è più midollo, sia in una pianta, che in una nazione, che in una religione, ma c’è soltanto dura corteccia e inutile fogliame: ferocia ed ipocrita esteriorità.

Il midollo, bianco, interno, pieno di linfa, corrisponde alla santità, alla spiritualità. La corteccia dura e il fogliame inutile, all’umanità priva di vita spirituale e giusta. Guai a quelle religioni che divengono umane perché i loro sacerdoti e fedeli non hanno più vitale lo spirito. Guai a quelle nazioni i cui capi sono solo ferocia e risuonante clamore privo di idee fruttifere! Guai agli uomini in cui manca la vita dello spirito!».

«Però, se Tu avessi a dire questo ai grandi d’Israele, ancorché il tuo parlare sia giusto, non saresti sapiente. Non ti lusingare perché essi ti hanno finora lasciato parlare. Tu stesso lo dici che non è per conversione di cuore, ma per calcolo. Sappi allora Tu pure calcolare il valore e le conseguenze delle tue parole. Perché c’è anche la sapienza del mondo, oltre che la sapienza dello spirito. E occorre saperla usare a nostro vantaggio. Perché, infine, per ora si è nel mondo, non già nel Regno di Dio», dice l’Iscariota senza acredine ma in tono dottorale.

«Il vero sapiente è colui che sa vedere le cose senza che le ombre della propria sensualità e le riflessioni del calcolo le alterino. Io dirò sempre la verità di ciò che vedo».

«Ma insomma questo fico è morto perché sei stato Tu a maledirlo, o è un… caso… un segno… non so?», chiede Filippo.

«È tutto ciò che tu dici. Ma ciò che Io ho fatto voi pure potrete fare, se giungerete ad avere la Fede perfetta. Abbiatela nel Signore altissimo. E quando l’avrete, in verità vi dico che potrete questo e ancor più. In verità vi dico che, se uno giungerà ad avere la fiducia perfetta nella forza della preghiera e nella bontà del Signore, potrà dire a questo monte: “Spostati di qua e gettati in mare”, e se dicendolo non esiterà nel suo cuore, ma crederà che quanto egli ordina si possa avverare, quanto ha detto si avvererà».

«E sembreremo dei maghi e saremo lapidati, come è detto per chi esercita magia. Sarebbe un miracolo ben stolto, e a nostro danno!», dice l’Iscariota crollando il capo.

«Stolto tu sei, che non capisci la parabola!», gli rimbecca l’altro Giuda.

Gesù non parla a Giuda. Parla a tutti:

«Io vi dico, ed è vecchia lezione che ripeto in quest’ora: qualunque cosa chiederete con la preghiera, abbiate Fede di ottenerla e l’avrete. Ma se prima di pregare avete qualcosa contro qualcuno, prima perdonate e fate pace per aver amico il Padre vostro che è nei Cieli, che tanto, tanto vi perdona e benefica, dalla mattina alla sera e dal tramonto all’aurora».

Entrano nel Tempio. I soldati dell’Antonia li osservano passare. Vanno ad adorare il Signore, poi tornano nel cortile dove i rabbi insegnano.

Subito verso Gesù, prima ancora che la gente accorra e si affolli intorno a Lui, si avvicinano dei saforim, dei dottori d’Israele e degli erodiani, e con bugiardo ossequio, dopo averlo salutato, gli dicono:

«Maestro, noi sappiamo che Tu sei sapiente e veritiero, e insegni la via di Dio senza tener conto di cosa o persona alcuna, fuorché della verità e giustizia, e poco ti curi del giudizio degli altri su Te, ma soltanto di condurre gli uomini al Bene. Dicci allora: è lecito pagare il tributo a Cesare, oppure non è lecito farlo? Che te ne pare?».

Gesù li guarda con uno di quei suoi sguardi di una penetrante e solenne perspicacia, e risponde:

«Perché mi tentate ipocritamente? Eppure alcuno fra voi sa che Io non vengo ingannato con ipocriti onori! Ma mostratemi una moneta, di quelle usate per il tributo».

Gli mostrano una moneta. La osserva nel retto e nel verso e, tenendola appoggiata sul palmo della sinistra, vi batte sopra l’indice della destra dicendo:

«Di chi è quest’immagine e che dice questa scrittura?».

«Di Cesare è l’immagine, e l’iscrizione porta il suo nome. Il nome di Caio Tiberio Cesare, che è ora imperatore di Roma».

«E allora rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio date quel che è di Dio», e volge loro le spalle dopo aver reso il denaro a chi glielo aveva dato.

Ascolta questo e quello dei molti pellegrini che Lo interrogano, conforta, assolve, guarisce. Passano le ore.

Esce dal Tempio per andare forse fuori porta, a prendere il cibo che gli portano i servi di Lazzaro incaricati a questo. Rientra nel Tempio che è pomeriggio. Instancabile. Grazia e sapienza fluiscono dalle sue mani posate sugli infermi, dalle sue labbra in singoli consigli dati ai molti che Lo avvicinano. Sembra che voglia tutti consolare, tutti guarire, prima di non poterlo più fare.

È già quasi il tramonto e gli apostoli, stanchi, stanno seduti per terra sotto il portico, sbalorditi da quel continuo rimuoversi di folla che sono i cortili del Tempio nell’imminenza pasquale, quando all’Instancabile si avvicinano dei ricchi, certo ricchi a giudicare dalle vesti pompose.

Matteo, che sonnecchia con un occhio solo, si alza scuotendo gli altri. Dice:

«Vanno dal Maestro dei sadducei. Non lasciamolo solo, che non Lo offendano o cerchino di nuocergli e di schernirlo ancora».

Si alzano tutti raggiungendo il Maestro, che circondano subito. Credo intuire che ci sono state rappresaglie nell’andare o tornare al Tempio a sesta.

I sadducei, che ossequiano Gesù con inchini persino esagerati, gli dicono:

«Maestro, hai risposto così sapientemente agli erodiani che ci è venuto desiderio di
avere noi pure un raggio della tua luce. Senti. Mosè ha detto: “Se uno muore senza figli, il suo fratello sposi la vedova, dando discendenza al fratello”. Ora c’erano fra noi sette fratelli. Il primo, presa in moglie una vergine, morì senza lasciar prole e perciò lasciò la moglie al fratello. Anche il secondo morì senza lasciar prole, e così il terzo che sposò la vedova dei due che lo precederono, e così sempre, sino al settimo. In ultimo, dopo aver sposato tutti i sette fratelli, morì la donna. Dì a noi: alla risurrezione dei corpi, se è pur vero che gli uomini risorgono e che a noi sopravviva l’anima e si ricongiunga al corpo all’ultimo giorno riformando i viventi, quale dei sette fratelli avrà la donna, posto che l’ebbero sulla Terra tutti e sette?».

«Voi sbagliate. Non sapete comprendere né le Scritture né la potenza di Dio. Molto diversa sarà l’altra vita da questa, e nel Regno eterno non saranno le necessità della carne come in questo. Perché, in verità, dopo il Giudizio finale la carne risorgerà e si riunirà all’anima immortale riformando un tutto, vivo come e meglio che non sia viva la mia e la vostra persona ora, ma non più soggetto alle leggi e soprattutto agli stimoli e abusi che vigono ora.

Nella risurrezione, gli uomini e le donne non si ammoglieranno né si mariteranno, ma saranno simili agli Angeli di Dio in Cielo, i quali non si ammogliano né si maritano, pur vivendo nell’amore perfetto che è quello divino e spirituale. In quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto come Dio dal roveto parlò a Mosè? Che disse l’Altissimo allora? “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. Non disse: “Io fui”, facendo capire che Abramo, Isacco e Giacobbe erano stati ma non erano più.

Disse: “Io sono”. Perché Abramo, Isacco e Giacobbe sono. Immortali. Come tutti gli uomini nella parte immortale, sino a che i secoli durano, e poi, anche con la carne risorta per l’eternità. Sono, come lo è Mosè, i profeti, i giusti, come sventuratamente è Caino e sono quelli del diluvio, e i sodomiti, e tutti coloro morti in colpa mortale. Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi».

«Anche Tu morrai e poi sarai vivente?», Lo tentano. Sono già stanchi di essere miti. L’astio è tale che non sanno contenersi.

«Io sono il Vivente e la mia Carne non conoscerà sfacimento. L’arca ci fu levata e l’attuale sarà levata anche come simbolo. Il Tabernacolo ci fu tolto e sarà distrutto. Ma il vero Tempio di Dio non potrà essere levato e distrutto. Quando i suoi avversari crederanno di averlo fatto, allora sarà l’ora che si stabilirà nella vera Gerusalemme, in tutta la sua gloria. Addio».

E si affretta verso il cortile degli Israeliti, perché le tube d’argento chiamano al sacrificio della sera.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C Lc 19,1-10

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 19,1-10)
In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto». Parola del Signore.

RIFLESSIONI 

L’inspiegabile pazienza di Dio
Dio prova gioia per tutte le cose che ha creato. Sono buone. Nascono dal suo cuore. Rispecchiano la sua bellezza. Sono una strada semplice per risalire dalle meraviglie uscite dalle sue mani fino a Lui, l’artista ineguagliabile e unico, il Dio della bellezza.
L’uomo ha ricevuto in dono una creazione così stupenda, ricca, solidale. Lui stesso capolavoro della creazione fatto a immagine e somiglianza di Dio, destinato all’amore verso il suo Padre e Creatore. Nonostante la bontà che Dio ha manifestato nell’uomo, la sua creatura è propensa a sbagliare, a peccare, ad allontanarsi da Dio, a sentirsi autosufficiente.
Dio ha fallito la sua opera?
Il peccato dell’uomo non scoraggia la compassione di Dio, la sua misericordia, la sua paternità. La tenerezza inguaribile del suo cuore porta Dio a chiudere gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento.
Dio ama la vita, la vita dell’uomo gli è particolarmente cara. Dalla dolcezza del Suo Cuore scaturisce la sua pazienza, che aspetta instancabile il pentimento dell’uomo. Dio non si perde d’animo. Non si ritira nella sua irritazione. Corregge piuttosto, a poco a poco, quelli che sbagliano. E’ uno stile di misericordia che ognuno di noi deve imparare. Noi pretendiamo da chi sbaglia, una conversione istantanea. Lo flagelliamo con il nostro giudizio. Lo escludiamo dalle nostre congreghe. Dio lo corregge, a poco a poco, perché, andando oltre la malizia del peccato, creda in lui e nel suo amore. Anche con ciascuno di noi Dio si comporta in questo modo. Ha con noi più pazienza di quanta ne abbiamo noi con noi stessi.
Accoglie i nostri cambiamenti graduali. Sa attendere. Noi pretendiamo di essere subito perfetti e inevitabilmente ci rintaniamo dentro i nostri fallimenti e le nostre amare disperazioni.
Dio ci vuole manifestare un amore fatto di attesa e di comprensione. Anche se noi non ci lasciamo amare.
Dio vuole camminare al nostro passo, anche se lento e stanco. Noi pretendiamo di arrivare prima di lui all’amore verso di lui.
Siamo creature strane che non sentono il bisogno umile di lasciarsi accogliere da Dio, alla maniera di Dio.
Zaccheo ha capito questo segreto di un Dio lento all’ira e ricco di misericordia. Ha sentito dire che Gesù accoglie i peccatori e i pubblicani. Questa notizia prende talmente il suo cuore che non vede l’ora di incontrare il Signore.
Chi è questo Gesù di Nazareth che perdona i peccati e restituisce ad una vita nuova?
Non ha paura di manifestare il desiderio intenso e controcorrente di vedere Gesù, diventando bambino che si arrampica sull’albero pur di incontrarne lo sguardo.
L’arrampicarsi sull’albero è un gesto semplice e infantile. Esprime il bisogno di conversione che inizia a farsi strada. Gli appare come l’occasione della vita per fissare il suo sguardo in quello di Gesù. E’ sconvolto dall’amore. Gesù, col cuore e con gli occhi, vede, nello sguardo di questo piccolo truffaldino che ha fatto soffrire tanta gente, una novità. Lo chiama: Scendi Zaccheo. Oggi vengo a casa tua. Zaccheo, col cuore in subbuglio, scende subito dall’albero e prepara la strada della sua casa e la casa del suo cuore alla venuta di Gesù che ormai lo ha scelto. Zaccheo, oggi nella tua casa, nella tua vita è entrata la dolce inondazione dell’amore di Dio. A che cosa servono le parole cattive dei così detti giusti e buoni che, con malanimo, giudicano il Signore? Servono soltanto a dilatare il cuore del Signore che opera un cambiamento di vita nel peccatore pentito. L’amore di Gesù non si ferma. Conquista definitivamente il cuore di Zaccheo. La misericordia di Gesù gli restituisce un cuore di carne. Il suo abbraccio d’amore gli ridona la capacità d’amare.
Se ho rubato a qualcuno, restituirò quattro volte tanto. Di tutto ciò che rimane nei miei forzieri metà appartiene ai poveri.
Oggi la casa di Zaccheo brilla di salvezza e il cuore di Gesù brilla di infinita compassione. Gesù, in realtà, è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto. A cercare. Perché Dio non può stare senza andare alla ricerca della pecora smarrita.
Sa aspettare il figlio perduto, sulla soglia di casa come una sentinella che veglia giorno e notte. Dio cerca e cercando trova e trovando salva. L’Amore restituisce l’amore a chi ne aveva perso le tracce.
Gesù, infinite volte ho sperimentato la tua pazienza, nel correggermi a poco a poco. La mia reazione è stata spesso di insofferenza. Come se tu mi sottovalutassi. Come se tu pensassi che io non avrei potuto camminare con le mie gambe; eppure sapevo bene, Gesù, quante volte la mia illusione era stata una trappola per la mia vita. Gesù, oggi capisco che devo lasciarmi guardare da te. Che devo lasciarmi guarire da te. Che devo rispondere, con la gioia di chi è amato, alla gradualità delle tue richieste.
Gesù tu non mi domandi mai più di quello che posso. Sai attendere, ma non eserciti su di me alcuna violenza. Nemmeno per volermi portare al bene. Gesù, tu aspetti la decisione del mio cuore, e quando mi avvicino a te per riconoscere i miei peccati, tu ti commuovi per la gioia: finalmente il tuo amore ha fatto breccia dentro di me.
Gesù, mi sento come Pietro. Tu gli domandi se sa darti tutto l’amore. Lui non sa rispondere altro se non: Ti voglio bene.
Non so quanto tempo ancora, o Gesù, resterò in questa condizione del mio cuore lento.
Di una cosa sono certo: tu, Gesù, non ti allontanerai mai, non ti pentirai mai di me, amante povero e mediocre.
Sono sicuro che ad ogni piccolo passo, ti troverò accanto a me. Felice. Perché quel piccolo passo è una resa al tuo amore.
Gesù, aiutami ad accettare le mie lentezze.
Gesù, aiutami a desiderare un passo più celere.
Gesù, aiutami, sempre, ad amare te che accogli sia il passo spedito come quello insicuro e vacillante.
Tu, Gesù, sai essere solo così. (Don Mario Simula)

XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C (Lc 18,9-14)

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 18,9-14)
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Se siamo onesti, dobbiamo riconoscere che noi tutti abbiamo la tendenza a compiacerci di noi stessi.
Forse perché pratichiamo molto fedelmente la nostra religione, come quel fariseo zelante, pensiamo di dover essere considerati “per bene”.
Non abbiamo ancora capito queste parole di Dio in Osea: “Voglio l’amore e non il sacrificio” (Os 6,6). Invece di glorificare il Padre per quello che è, il nostro ringraziamento troppo spesso riguarda ciò che noi siamo o, peggio, consiste nel confrontarci, in modo a noi favorevole, con gli altri. È proprio questo giudizio sprezzante nei confronti dei fratelli che Gesù rimprovera al fariseo, così come gli rimprovera il suo atteggiamento nei confronti di Dio.
Durante questa Quaresima, supplichiamo Gesù di cambiare radicalmente il nostro spirito e il nostro cuore, e di darci l’umiltà del pubblicano che invece ha scoperto l’atteggiamento e la preghiera “giusti” di fronte a Dio. Non comprenderemo mai abbastanza che il nostro amore è in stretta relazione con la nostra umiltà. La cosa migliore che possiamo fare di fronte a Dio, in qualsiasi misura ci pretendiamo santi, è di umiliarci di fronte a Dio.
Ci sono dei momenti in cui non riusciamo a rendere grazie in modo sincero; allora possiamo fare la preghiera del pubblicano, possiamo cioè approfittare della nostra miseria per avvicinarci a Gesù: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Gesù esaudisce sempre questa preghiera.
L’umiltà non ha niente a che vedere con un qualsiasi complesso di colpa o con un qualsiasi senso di inferiorità. È una disposizione d’amore; essa suppone che sappiamo già per esperienza che il nostro stato di peccatori attira l’amore misericordioso del Padre, poiché “chi si umilia sarà esaltato”. Essa suppone cioè che siamo entrati nello spirito del Magnificat.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Capitolo 523

Gesù esce dalla casa di Zaccheo. È mattina inoltrata. È con Zaccheo, Pietro e Giacomo di Alfeo. Gli altri apostoli sono forse già sparsi per la campagna per annunciare che il Maestro è in città. Dietro al gruppo di Gesù con Zaccheo e gli apostoli ve ne è un altro, molto… variato per fisionomie, età, vesti. Non è difficile dichiarare con sicurezza che questi uomini appartengono a razze diverse, forse anche antagoniste fra di loro. Ma gli eventi della vita hanno portato questi in questa città palestinese e li hanno riuniti perché dal loro profondo risalissero verso la luce.

Gesù sale sull’alto gradino di una casa, fa il gesto abituale, di aprire le braccia, che precede il suo parlare e serve ad imporre silenzio. Ottenutolo, raccoglie le pieghe del manto, apertosi sul petto nel gesto, e lo tiene fermo con la sinistra mentre abbassa la destra nell’atto di chi giura, dicendo:

«Ascoltate, o cittadini di Gerico, le parabole del Signore, e ognuno poi le mediti nel suo cuore e ne tragga la lezione per nutrire il suo spirito. Lo potete fare perché non da ieri, né dalla passata luna, e neppure dall’altro inverno, conoscete la Parola di Dio.

Prima che Io fossi il Maestro, Giovanni, mio Precursore, vi aveva preparato al mio venire e, dopo che lo fui, i miei discepoli hanno arato questo suolo sette e sette volte per seminarvi ogni seme che Io avevo loro dato. Dunque potete capire la parola e la parabola.

A che paragonerò Io coloro che, dopo essere stati peccatori, poi si convertono? Li paragonerò a malati che guariscono. A che paragonerò gli altri che non hanno pubblicamente peccato, o che, rari più di perle nere, non hanno fatto mai, neppur nel segreto, colpe gravi? Li paragonerò a delle persone sane.

Il mondo è composto di queste due categorie. Sia nello spirito che nella carne e sangue. Ma, se uguali sono i paragoni, diverso è il modo del mondo di usare coi malati guariti, che erano malati nella carne, da quello che esso usa coi peccatori convertiti, ossia coi malati dello spirito che tornano in salute.

Noi vediamo che quando anche un lebbroso, che è il malato più pericoloso e più isolato perché pericoloso, ottiene la Grazia di guarigione, dopo essere stato osservato dal sacerdote e purificato, viene riammesso nel consorzio delle genti, e anzi quelli della sua città lo festeggiano perché guarito, perché risuscitato alla vita, alla famiglia, agli affari. Gran festa in famiglia e in città, quando uno che era lebbroso riesce ad ottenere Grazia e a guarire!

Ma perché allora per gli altri malati non si fa così? Un uomo comincia a peccare, e famigliari e soprattutto concittadini lo vedono? Perché allora non cercano con amore di strapparlo al peccare?

Una madre, un padre, una sposa, una sorella ancora lo fanno. Ma è già difficile che lo facciano i fratelli, e non dico poi che lo facciano i figli del fratello del padre o della madre.

I concittadini, infine, non sanno che criticare, schernire, insolentire, scandalizzarsi, esagerare i peccati del peccatore, segnarselo a dito, tenerlo discosto come un lebbroso quelli che sono più giusti, farsi suoi complici, per godere alle sue spalle, quelli che giusti non sono.

Ma non c’è che ben raramente una bocca, e soprattutto un cuore, che vada dall’infelice con pietà e fermezza, con pazienza e amore soprannaturale, e si affanni a frenarne la discesa nel peccato. E come? Non è forse più grave, veramente grave e mortale la malattia dello spirito? Non priva essa, e per sempre, del Regno di Dio? La prima delle carità verso Dio e verso il prossimo non deve essere questo lavoro di sanare un peccatore per il bene della sua anima e la gloria di Dio?

E quando un peccatore si converte, perché quell’ostinatezza di giudizio su di lui, quel quasi rammaricarsi che egli sia tornato alla salute spirituale?

Vedete smentiti i vostri pronostici di certa dannazione di un vostro concittadino?

Ma dovreste esserne felici, perché Colui che vi smentisce è il misericordioso Iddio, che vi dà una misura della sua bontà a rincuorarvi nelle vostre colpe più o meno gravi. E perché quel persistere a voler vedere sporco, spregevole, degno di stare nell’isolamento, ciò che Dio e la buona volontà di un cuore hanno fatto netto, ammirevole, degno della stima dei fratelli, anzi della loro ammirazione?

Ma ben giubilate anche se un vostro bue, un vostro asino o cammello, o la pecora del gregge, o il colombo preferito guariscono da una malattia!

Ben giubilate se un estraneo, che appena ricordate a nome per averne sentito parlare al tempo in cui fu isolato perché lebbroso, torna guarito!

E perché allora non giubilate per queste guarigioni di spirito, per queste vittorie di Dio? Il Cielo giubila quando un peccatore si converte. Il Cielo: Dio, gli Angeli purissimi, quelli che non sanno cosa è peccare. E voi, voi uomini, volete essere più intransigenti di Dio?

Fate, fate giusto il vostro cuore e riconoscete il Signore non soltanto come presente fra le nuvole d’incenso e i canti del Tempio, nel luogo dove solamente la santità del Signore, nel Sommo Sacerdote, deve entrare, e dovrebbe essere santa come il nome lo indica. Ma anche nel prodigio di questi spiriti risorti, di questi altari riconsacrati, sui quali l’Amore di Dio scende coi suoi fuochi ad accendere il sacrificio».

Gesù viene interrotto dalla madre di prima, che con gridi di benedizione Lo vuole adorare. Gesù la ascolta e benedice e la rimanda a casa, riprendendo il discorso interrotto.

«E se da un peccatore, che un tempo vi ha dato spettacolo di scandalo, ricevete ora spettacoli di edificazione, non vogliate schernire ma imitare. Perché nessuno è mai tanto perfetto da essere impossibile che un altro lo ammaestri. E il Bene è sempre lezione che va accolta, anche se colui che lo pratica un tempo era oggetto di riprovazione.

Imitate e aiutate. Perché, così facendo, glorificherete il Signore e dimostrerete che avete capito il suo Verbo. Non vogliate essere come quelli che in cuor vostro criticate perché le loro azioni non corrispondono alle loro parole. Ma fate che ogni vostra buona azione sia il coronamento di ogni vostra buona parola. E allora veramente sarete guardati e ascoltati benevolmente dall’Eterno.

Udite quest’altra parabola, per comprendere quali sono le cose che hanno valore agli occhi di Dio. Essa vi insegnerà a correggervi da un pensiero non buono che è in molti cuori. I più degli uomini si giudicano da se stessi e, posto che solo un uomo su mille è veramente umile, così avviene che l’uomo si giudica perfetto, lui solo perfetto, mentre nel prossimo nota cento e cento peccati.

Un giorno due uomini, andati a Gerusalemme per affari, salirono al Tempio, come si conviene ad ogni buon israelita ogni qualvolta pone piede nella Città Santa. Uno era un fariseo. L’altro un pubblicano. Il primo era venuto per riscuotere il fitto di alcuni empori e per fare i conti con i suoi fattori, che abitavano nelle vicinanze della città. L’altro per versare le imposte riscosse e per invocare pietà in nome di una vedova che non poteva pagare la tassazione della barca e delle reti, perché la pesca, fatta dal figlio maggiore, le era appena sufficiente per dare da mangiare ai molti altri figli.

Il fariseo, prima di salire al Tempio, era passato dai tenutari degli empori e, gettato uno sguardo in essi empori, vistili pieni di merci e di compratori, si era compiaciuto in se stesso e poi aveva chiamato il tenutario del luogo e gli aveva detto: “Vedo che i tuoi commerci vanno bene”.

“Sì, per Grazia di Dio. Sono contento del mio lavoro. Ho potuto aumentare le merci e spero di farlo ancora di più. Ho migliorato il luogo, e l’anno veniente non avrò le spese dei banchi e scaffali, e perciò avrò più guadagno”.

“Bene! Bene! Ne sono felice! Quanto paghi tu per questo luogo?”.

“Cento didramme al mese. È caro, ma la posizione è buona…”.

“Lo hai detto. La posizione è buona. Perciò io ti raddoppio il fitto”.

“Ma signore”, esclamò il negoziante. “In tal maniera tu mi levi ogni utile!”.

“È giusto. Devo forse io arricchire te? E sul mio? Presto. O tu mi dai duemilaquattrocento didramme, e subito, o ti caccio fuori e mi tengo la merce. Il luogo è mio e ne faccio ciò che voglio”.

Così al primo, così al secondo e al terzo dei suoi affittuari, ad ognuno raddoppiando il prezzo, sordo ad ogni preghiera. E perché il terzo, carico di figli, volle fare resistenza, chiamò le guardie e fece porre i sigilli di sequestro, cacciando fuori l’infelice.

Poi, nel suo palazzo, esaminò i registri dei fattori, trovando di che punirli come fannulloni e sequestrando loro la parte che si erano tenuta di diritto.

Uno aveva il figlio morente, e per le molte spese aveva venduto una parte del suo olio per pagare le medicine. Non aveva dunque che dare all’esoso padrone.

“Abbi pietà di me, padrone. Il mio povero figlio sta per morire, e dopo farò dei lavori straordinari per rifonderti ciò che ti sembra giusto. Ma ora, tu lo comprendi, non posso”.

“Non puoi? Io ti farò vedere se puoi o non puoi”.

E, andato col povero fattore nel frantoio, lo privò anche di quel resto d’olio che l’uomo si era tenuto per il misero cibo e per alimentare la lampada che permetteva di vegliare il figlio nella notte.

Il pubblicano invece, andato dal suo superiore e versate le imposte riscosse, si sentì dire: “Ma qui mancano trecentosettanta assi. Come mai ciò?”.

“Ecco, ora ti dico. Nella città è una vedova con sette figli. Il primo solo è in età di lavorare. Ma non può andare lontano da riva con la barca, perché le sue braccia sono deboli ancora per il remo e la vela, e non può pagare un garzone di barca. Stando vicino a riva, poco pesca, e il pescato basta appena a sfamare quelle otto infelici persone. Non ho avuto cuore di esigere la tassa”.

“Comprendo. Ma la legge è legge. Guai se si sapesse che essa è pietosa! Tutti troverebbero ragioni per non pagare. Il giovinetto cambi mestiere e venda la barca se non possono pagare”.

“È il loro pane futuro… ed è il ricordo del padre”.

“Comprendo. Ma non si può transigere”.

“Va bene. Ma io non posso pensare otto infelici privati dell’unico bene. Pago io i trecentosettanta assi”.

Fatte queste cose, i due salirono al Tempio e, passando presso il gazofilacio, il fariseo trasse con ostentazione una voluminosa borsa dal seno e la scosse sino all’ultimo picciolo nel Tesoro. In quella borsa erano le monete prese in più ai negozianti e il ricavato dell’olio levato al fattore e subito venduto ad un mercante.

Il pubblicano invece gettò un pugnello di piccioli, dopo aver levato quanto gli era necessario al ritorno al suo luogo. L’uno a l’altro dettero perciò quanto avevano. Anzi, in apparenza, il più generoso fu il fariseo, perché dette fino all’ultimo dei piccioli che aveva seco. Però occorre riflettere che nel suo palazzo egli aveva altre monete e aveva crediti aperti presso dei ricchi cambiavalute.

Indi andarono davanti al Signore. Il fariseo proprio avanti, presso il limite dell’atrio degli Ebrei, verso il Santo; il pubblicano in fondo, quasi sotto la volta che portava nel cortile delle Donne, e stava curvo, schiacciato dal pensiero della sua miseria rispetto alla Perfezione divina. E pregavano l’uno e l’altro.

Il fariseo, ben ritto, quasi insolente, come fosse il padrone del luogo e fosse lui che si degnasse di ossequiare un visitatore, diceva:

“Ecco che sono venuto a venerarti nella Casa che è la nostra gloria. Sono venuto benché senta che Tu sei in me, perché io sono giusto. So esserlo. Però, per quanto sappia che soltanto per mio merito sono tale, ti ringrazio, come è legge, di ciò che sono.

Io non sono rapace, ingiusto, adultero, peccatore come quel pubblicano che ha gettato contemporaneamente a me un pugnello di piccioli nel Tesoro. Io, lo hai visto, ti ho dato tutto quanto avevo meco. Quell’esoso, invece, ha fatto due parti e a Te ha dato la minore. L’altra, certamente, la terrà per le gozzoviglie e le femmine.

Ma io sono puro. Non mi contamino io. Io sono puro e giusto, digiuno due volte alla settimana, pago le decime di quanto possiedo. Sì. Sono puro, giusto e benedetto, perché santo. Ricordatelo, o Signore”.

Il pubblicano, dal suo angolo remoto, senza osare di alzare lo sguardo verso le porte preziose dell’hecal e battendosi il petto, pregava così:

“Signore, io non son degno di stare in questo luogo. Ma Tu sei giusto e santo, e me lo concedi ancora perché sai che l’uomo è peccatore e, se non viene da Te, diviene un demonio. Oh! mio Signore! Vorrei onorarti notte e giorno, e devo per tante ore essere schiavo del mio lavoro. Lavoro rude che mi avvilisce, perché è dolore al mio prossimo più infelice. Ma devo ubbidire ai miei superiori, perché è il mio pane.

Fa, o mio Dio, che io sappia temperare il dovere verso i superiori con la carità verso i miei poveri fratelli, perché nel mio lavoro non trovi la mia condanna. Ogni lavoro è santo se operato con carità. Tieni la tua carità sempre presente al mio cuore perché io, miserabile qual sono, sappia compatire i miei soggetti, come Tu compatisci me, gran peccatore.

Avrei voluto onorarti di più, o Signore. Tu lo sai. Ma ho pensato che levare il denaro destinato al Tempio per sollevare otto cuori infelici fosse cosa migliore che versarlo nel gazofilacio e poi far versare lacrime di desolazione a otto innocenti infelici. Però se ho sbagliato fammelo comprendere, o Signore, e io ti darò fino all’ultimo picciolo, e tornerò al paese a piedi mendicando un pane.

Fammi capire la tua giustizia. Abbi pietà di me, o Signore, perché io sono un gran peccatore”.

Questa la parabola. In verità, in verità vi dico che, mentre il fariseo uscì dal Tempio con un nuovo peccato aggiunto a quelli già fatti avanti di salire al Moria, il pubblicano uscì di là giustificato, e la benedizione di Dio lo accompagnò a casa sua e restò in essa. Perché egli era stato umile e misericordioso, e le sue azioni erano state ancor più sante delle sue parole.

Mentre il fariseo solo a parole e all’esterno era buono, mentre nel suo interno era e faceva opere da satana per superbia e durezza di cuore, e Dio lo odiava perciò.

Chi si esalta sarà sempre, prima o poi, umiliato. Se non qui nell’altra vita. E chi si umilia sarà esaltato, specie lassù nel Cielo, ove si vedono le azioni degli uomini nella loro vera verità.

Vieni, Zaccheo. Venite voi che siete con lui. E voi, miei apostoli e discepoli. Vi parlerò ancora in privato». E, avvolgendosi nel mantello, torna alla casa di Zaccheo.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C 20 Ottobre 2019 (Lc 18,1-8)

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 18,1-8)
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Gesù parla di giustizia per consolare e dare speranza ai suoi seguaci della sua materna assistenza. Ci dice che Lui c’è sempre, cammina accanto a noi e non ci lascia soli soprattutto in questo difficilissimo momento storico.
La giustizia operata da Dio è l’intervento per ripristinare la verità, per dare ad ognuno quanto merita. Non agisce ingiustamente.
Oggi Gesù ci parla della “necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai”. Pregare sempre è impossibile, ma vuol dire che si prega anche con la propria vita, agendo onestamente e praticando le virtù.
La nostra fiducia nel chiedere si fonda sulla certezza dell’infinita bontà di Gesù.
Gesù non vuole usare la sua giustizia verso nessuno, vuole invece esercitare misericordia ma quanti rifiutano di osservare i suoi Comandamenti si pongono in una situazione di opposizione al Bene, e compiono scelte di vita che gridano vendetta davanti a Dio.
I buoni, i poveri, i giusti che patiscono ingiustizie e si rivolgono con Fede e umiltà a Dio, vengono esauditi, bisogna però avere pazienza e tanta fede ma soprattutto rispetto.

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta Capitolo 505

Gesù è di nuovo a Gerusalemme. Una ventosa e bigia Gerusalemme invernale. Marziam è ancora con Gesù e così Isacco. Parlando si dirigono al Tempio. Con i dodici, parlando con lo Zelote più che cogli altri, e con Tommaso, sono Giuseppe e Nicodemo. Ma poi si separano e passano avanti salutando Gesù senza fermarsi.

«Non vogliono far risaltare la loro amicizia col Maestro. È pericoloso!», sibila l’Iscariota ad Andrea.

«Io credo che lo facciano per un giusto pensiero, non per viltà», li difende Andrea.

«Del resto non sono discepoli. E lo possono fare. Non lo sono mai stati», dice lo Zelote.

«No?! Mi pareva…».

«Neppure Lazzaro è discepolo, e neppure…».

«Ma se escludi ed escludi, chi resta?».

«Chi? Quelli che hanno la missione di discepoli».

«E quegli altri, allora, che cosa sono?».

«Amici. Non più di amici. Lasciano forse le loro case, i loro interessi, per seguire Gesù?».

«No. Ma Lo ascoltano con piacere e gli danno aiuti e…».

«Se è per questo! Anche i gentili lo fanno, allora. Tu vedi che presso Niche trovammo chi aveva pensato a Lui. E non sono certo dei discepoli quelle donne».

«Non ti accalorare! Dicevo così, tanto per dire. Ti preme tanto che non risultino discepoli i tuoi amici? Dovresti volere il contrario, mi pare».

«Non mi accaloro e non voglio nulla. Neppure che tu faccia loro del male dicendoli discepoli suoi».

«Ma a chi vuoi che lo dica? Sto sempre con voi… ».

Simone Zelote lo guarda così severamente che il risolino si raggela sulle labbra di Giuda, il quale pensa opportuno di cambiare argomento chiedendo: «Che volevano, oggi, per parlare con voi due così?».

«Hanno trovato la casa per Niche. Verso gli orti. Vicino alla Porta. Giuseppe conosceva il proprietario e sapeva che con un buon utile avrebbe venduto. Lo faremo sapere a Niche».

«Che volontà di gettare denaro!».

«È suo. Ne può fare ciò che vuole. Ella vuole stare vicino al Maestro. Ubbidisce con ciò alla volontà dello sposo e al suo cuore».

«Solo mia madre è lontana…», sospira Giacomo di Alfeo.

«E la mia», dice l’altro Giacomo.

«Ma per poco. Hai sentito cosa ha detto Gesù a Isacco e Giovanni e Mattia? “Quando tornerete nella neomenia della luna di scebat, venite con le discepole oltre che con la Madre mia”».

«Non so perché non vuole che Marziam torni con esse. Gli ha detto: “Verrai quando ti chiamo”».

«Forse perché Porfirea non resti senza aiuto… Se nessuno pesca, lassù non si mangia. Noi non si va, deve andare Marziam. Non certo è sufficiente il fico, l’alveare, i pochi ulivi e le due pecore a mantenere una donna, vestirla, sfamarla…», osserva Andrea.

Gesù si stacca e va incontro ad alcune persone.

«Di che soffrite?», li interroga con pietà.

L’uomo Lo guarda, stupito di quell’interessamento. Forse gli sembra anche indelicato. Ma l’occhio di Gesù è tanto dolce che lo disarma. Però, prima di dire il suo dolore, domanda:

«Come mai un rabbi si interessa dei dolori di un semplice fedele?».

«Perché il rabbi è tuo fratello, o uomo. Tuo fratello nel Signore, e ti ama come il Comandamento dice».

«Tuo fratello! Sono un povero coltivatore della pianura di Saron, verso Dora. Tu sei un rabbi».

«Il dolore è per i rabbi come per tutti. So cosa è il dolore e ti vorrei consolare».

La donna scosta un momento il suo velo per guardare Gesù e sussurra al marito: «Diglielo. Forse ci potrà aiutare…».

«Rabbi, noi avevamo una figlia, l’abbiamo. Per ora 1’abbiamo ancora… E 1’abbiamo sposata decorosamente ad un giovane che ci fu… garantito buon marito da un comune amico. Sono sposi da sei anni ed hanno avuto due figli dalle loro nozze. Due… perché dopo cessò l’amore… tanto che ora… lo sposo vuole il divorzio.

La figlia nostra piange e si consuma, per questo abbiamo detto che l’abbiamo ancora, perché fra poco morirà di dolore.

Abbiamo tutto tentato per persuadere l’uomo. E abbiamo tanto pregato l’Altissimo… Ma nessuno dei due ci ha ascoltato… Siamo venuti qui in pellegrinaggio per questo, e ci siamo trattenuti per tutto il corso di una luna. Tutti i giorni al Tempio, io al mio luogo, la donna al suo… Questa mattina un servo di mia figlia ci ha portato la notizia che lo sposo è andato a Cesarea per mandarle di là il libello di divorzio. E questa è la risposta che hanno avuto le nostre preghiere…».

«Non dire così, Giacomo», supplica la moglie sottovoce. E termina: «Il rabbi ci maledirà come bestemmiatori… E Dio ci punirà. È il nostro dolore. Viene da Dio… E, se ci ha colpiti, segno è che l’abbiamo meritato», termina con un singhiozzo.

«No, donna. Io non vi maledico. E Dio non vi punirà. Io ve lo dico. Così come vi dico che non è Dio che vi dà questo dolore, ma l’uomo. Dio lo permette per vostra prova e per prova del marito di vostra figlia. Non perdete la Fede e il Signore vi esaudirà».

«È tardi. Nostra figlia è ormai ripudiata e disonorata, e morirà…», dice l’uomo.

«Non è mai tardi per l’Altissimo. In un attimo e per il persistere di una preghiera può mutare il corso degli avvenimenti. Dalla coppa alle labbra c’è ancor tempo per la morte di inserire il suo pugnale e impedire che chi si appressava alle labbra il calice non ne beva. E ciò per intervento di Dio.

Io ve lo dico. Tornate ai vostri posti di preghiera e persistete oggi, domani e dopodomani ancora, e se saprete aver Fede vedrete il miracolo».

«Rabbi, Tu ci vuoi confortare… ma in questo momento… Non si può, e Tu lo sai, annullare il libello una volta consegnato alla ripudiata», insiste l’uomo.

«Abbi Fede, ti dico. È vero che non si può annullarlo. Ma sai tu se tua figlia lo ha ricevuto?».

«Da Dora a Cesarea non è lungo il cammino. Mentre il servo veniva fin qui, certo Giacobbe è tornato a casa ed ha scacciato Maria».

«Non è lungo il percorso. Ma sei certo che egli lo abbia compito? Un volere superiore all’umano non può avere arrestato un uomo, se Giosuè, con l’aiuto di Dio, arrestò il sole? La vostra preghiera insistente e fiduciosa, fatta a buon fine, non è forse un volere santo, opposto al mal volere dell’uomo?

E Dio, poiché chiedete cosa buona, a Lui, vostro Padre, non vi aiuterà nell’arrestare il cammino del folle? Non vi avrà forse già aiutato? E se anche l’uomo si ostinasse ancora ad andare, potrebbe se voi vi ostinate a chiedere al Padre una cosa giusta? Vi dico: andate e pregate oggi, domani e dopodomani, e vedrete il miracolo».

Gesù guarda la gente che si è radunata, un centinaio circa di persone, a dice:

«Ascoltate questa parabola, che vi dirà il valore della preghiera costante. Voi lo sapete ciò che dice il Deuteronomio parlando dei giudici e dei magistrati. Essi dovrebbero essere giusti e misericordiosi, ascoltando con equanimità chi ricorre a loro, pensando sempre di giudicare come se il caso che devono giudicare fosse un loro caso personale, senza tener conto di donativi o minacce, senza riguardi verso gli amici colpevoli e senza durezze verso coloro che sono in urto con gli amici del giudice.

Ma, se sono giuste le parole della Legge, non sono altrettanto giusti gli uomini e non sanno ubbidire alla Legge. Così si vede che la giustizia umana è sovente imperfetta, perché rari sono i giudici che sanno conservarsi puri da corruzione, misericordiosi, pazienti verso i ricchi come verso i poveri, verso le vedove e gli orfani come lo sono verso quelli che non sono tali.

In una città c’era un giudice molto indegno del suo ufficio, ottenuto per mezzo di potenti parentele. Egli era oltremodo disuguale nel giudicare, essendo sempre propenso a dar ragione al ricco e al potente, o a chi da ricchi e potenti era raccomandato, oppure verso chi lo comperava con grandi donativi.

Egli non temeva Dio e derideva i lagni del povero e di chi era debole perché solo e senza potenti difese. Quando non voleva ascoltare chi aveva così palesi ragioni di vittoria
contro un ricco da non poter dare ad esso torto in nessuna maniera, egli lo faceva cacciare dal suo cospetto minacciandolo di gettarlo in carcere.

E i più subivano le sue violenze ritirandosi sconfitti e rassegnati alla sconfitta prima ancora che la causa fosse discussa.

Ma in quella città c’era pure una vedova carica di figli, la quale doveva avere una forte somma da un potente per dei lavori eseguiti dal suo defunto sposo al ricco potente. Essa, spinta dal bisogno e dall’amore materno, aveva cercato di farsi dare dal ricco la somma che le avrebbe concesso di saziare i suoi figli e vestirli nel prossimo inverno. Ma, tornate vane tutte le pressioni e suppliche fatte al ricco, si rivolse al giudice.

Il giudice era amico del ricco, il quale gli aveva detto: “Se mi dai ragione, un terzo della somma è tuo”.

Perciò fu sordo alle parole della vedova che lo pregava: “Rendimi giustizia del mio avversario. Tu vedi se io ne ho bisogno. Tutti possono dire se ho diritto a quella somma”. Fu sordo e la fece cacciare dai suoi aiutanti.

Ma la donna tornò una, due, dieci volte, alla mattina, a sesta, a nona, a sera, instancabile. E lo seguiva per strada gridando:

“Fammi giustizia. I miei figli hanno fame e freddo. Né io ho denaro per acquistare farina e vesti”.

Si faceva trovare sulla soglia della casa del giudice quando questi vi tornava per sedersi a tavola coi suoi figli. E il grido della vedova:

“Fammi giustizia del mio avversario, ché ho fame e freddo insieme alle mie creature” penetrava sino nell’interno della casa, nella stanza dei pasti, nella camera da letto durante la notte, insistente come il grido di un’upupa:

“Fammi giustizia, se non vuoi che Dio ti colpisca!

Fammi giustizia. Ricorda che la vedova e gli orfani sono sacri a Dio e guai a chi li calpesta! Fammi giustizia se non vuoi soffrire un giorno ciò che noi soffriamo. La nostra fame! Il nostro freddo lo troverai nell’altra vita, se non fai giustizia. Misero te!”.

Il giudice non temeva Dio e non temeva il prossimo.

Ma di esser sempre molestato, di vedersi divenuto oggetto di risa da parte di tutta la città per la persecuzione della vedova, e anche oggetto di biasimo, era stanco. Per questo un giorno disse fra sé:

“Per quanto io non tema Dio, né le minacce della donna, né il pensiero dei cittadini, pure, per porre fine a tanta molestia, darò ascolto alla vedova e le farò giustizia obbligando il ricco a pagare. Basta che essa non mi perseguiti più e mi si levi d’intorno”.

E chiamalo l’amico ricco gli disse:

“Amico mio, non è più possibile che io ti contenti. Fa il tuo dovere e paga, perché io non sopporto più di essere molestato per causa tua. Ho detto”.

E il ricco dovette sborsare la somma secondo giustizia.

Questa è la parabola. Ora a voi applicarla.

Avete sentito le parole di un iniquo: “Per porre fine a tanta molestia darò ascolto alla donna”. Ed era un iniquo. Ma Dio, il Padre buonissimo, sarà forse inferiore al cattivo giudice? Non farà giustizia a quei suoi figli che Lo sanno invocare giorno e notte?

E farà loro tanto attendere la Grazia sino a che la loro anima accasciata cessa di pregare? Io ve lo dico: prontamente farà loro giustizia, perché la loro anima non perda la Fede. Ma bisogna però anche saper pregare, senza stancarsi dopo le prime orazioni, e saper chiedere cose buone. E anche affidarsi a Dio dicendo:

“Però sia fatto ciò che la tua Sapienza vede per noi più utile”.

Abbiate Fede. Sappiate pregare con Fede nella preghiera e con Fede in Dio vostro Padre.

Ed Egli vi farà giustizia contro coloro che vi opprimono. Siano essi uomini o demoni, malattie o altre sventure.

La preghiera perseverante apre il Cielo, e la Fede salva l’anima in qual che sia il modo che la preghiera sia ascoltata ed esaudita. Andiamo!».

E si avvia all’uscita. È quasi fuori della cinta quando, alzando il capo ad osservare i pochi che Lo seguono e i molti indifferenti od ostili che lo guardano da lontano, esclama tristemente:

«Ma quando il Figlio dell’Uomo tornerà, troverà forse ancora della Fede sulla Terra?», e sospirando si avvolge più strettamente nel suo mantello, camminando a grandi passi verso il borgo di Ofel.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C Lc 17,11-19

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 17,11-19)
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

“La tua fede ti ha salvato”. Il lebbroso samaritano, il solo straniero nel gruppo che è andato incontro a Gesù per supplicarlo. Il solo, anche, a ritornare sui suoi passi per rendergli grazie. Il suo gesto religioso, prostrarsi ai piedi di Gesù, significava anche che egli sapeva di non avere nulla che non avesse ricevuto (cf. 1Cor 4,7). La fede, dono di Cristo, porta alla salvezza.
“E gli altri nove, dove sono?”. Gli altri nove avevano obbedito all’ordine di Gesù e si erano presentati ai sacerdoti, dando così prova di una fede appena nata. Ma non hanno agito di conseguenza, una volta purificati, tornando verso Gesù, la sola via per arrivare al Padre (cf. Gv 14,6), mediatore indispensabile per la glorificazione di Dio.
La misericordia di Gesù verso colui che non possiede altro che la sua povertà e il suo peccato, ma che si volge verso il Signore per trovare il perdono e la riconciliazione, non è solo fonte di salvezza personale, ma anche di reintegrazione nella comunità di culto del popolo di Dio. Nella Chiesa, la fede di coloro che sono stati riscattati diventa azione di grazie al Padre per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo (cf. Col 3,16-17).

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta
Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta. Capitolo 483

Sono sempre fra i monti, e monti ben rudi, su certe stradet­te dove non passano certo dei carri, ma soltanto viandanti a piedi o persone cavalcanti i forti somari della montagna, più alti e robusti dei soliti somarelli delle zone meno accidentate. Un’osservazione che a molti potrà parere inutile, ma che io faccio lo stesso.

In Samaria vi sono delle diversità dagli usi degli altri luo­ghi. Sia nel vestire come in tante altre cose. E una è l’abbon­danza di cani, insolita altrove, che mi colpisce, come mi ha colpito la presenza di porci nella Decapoli.

Gli apostoli parlano col Maestro e, nonostante siano incorreggibilmente israeliti, devono riconoscere e lodare lo spirito che hanno trovato negli abitanti di Sichem i quali, lo comprendo dai discorsi che sento, hanno invitato Gesù a sostare fra di loro.

«Hai sentito, eh?», dice Pietro, «come hanno detto chiaramente che sanno l’odio giudeo? Hanno detto: “Per Te e su Te c’è più odio che su noi samaritani per quanti siamo e quanti fummo. Ti odiano senza limite”».

«E quel vecchio? Come ha detto bene: “È in fondo giusto che sia così, perché Tu non sei un uomo ma sei il Cristo, il Salvatore del mondo, e perciò sei il Figlio di Dio, perché solo un Dio può salvare il mondo corrotto. Perciò, essendo Tu senza limite come Dio, senza limitazioni nel tuo potere, nella tua santità e nel tuo amore, come sarà senza limite la tua vittoria sul Male, così è naturale che il Male e l’Odio, tutt’una cosa col Male, siano senza limiti contro Te”.

Ha proprio detto bene! E questa ragione spiega tante cose!», dice lo Zelote.

«Che spiega secondo te? Io… io dico che spiega soltanto che sono degli stolti», dice Tommaso spicciativo.

«No. La stoltezza sarebbe ancora una scusante. Ma stolti non sono».

«Ebbri allora, ebbri di odio», replica Tommaso.

«Neppure. L’ebbrezza cede dopo essersi scatenata. Questo livore non cede».

«E sì che più scatenato di così! È tanto che lo è… che ormai avrebbe dovuto cadere».

«Amici, esso non ha ancora toccato la mèta», dice Gesù calmo, come se la mèta dell’odio non fosse il suo supplizio.

«No?! Ma se non ci lasciano in pace mai?!».

«Maestro, essi ancora non si persuadono che ho detto il vero. Ma l’ho detto. Oh! se l’ho detto! E dico anche che, se era per voi, sareste caduti tutti nella trappola come ci cadde il Battista. Ma non riusciranno perché io veglio…», dice l’Iscariota.

E Gesù lo guarda. E lo guardo anche io domandandomi, e me lo chiedo da qualche giorno, se la condotta dell’Iscariota è causata da un buono e reale ritorno sulla via del bene e dell’amore per il suo Maestro, una liberazione dalle forze umane e extraumane che lo tenevano, o se sia un più raffinato lavoro di preparazione al colpo finale, un asservimento maggiore ai nemici di Cristo e a satana.

Ma Giuda è un essere talmente speciale che non è decifrabile.

Solo Dio può capirlo. E Dio, Gesù, cala un velo di misericordia e di prudenza su tutte le azioni e sulla personalità del suo apostolo… un velo che si lacererà, completamente illuminando tanti perché, ora misteriosi, soltanto quando saranno aperti i libri dei Cieli.

Giuda Iscariota lo guarda e forse parlerebbe, ma è distratto da un grido che li raggiunge da un poggetto che sovrasta il paesino che stanno costeggiando cercando la via per entrarvi.

«Gesù! Rabbi Gesù! Figlio di Davide e Signore nostro, abbi pietà di noi».

«Dei lebbrosi! Andiamo, Maestro, altrimenti il paese accor­rerà e ci tratterrà fra le sue case», dicono gli apostoli.

Ma i lebbrosi hanno il vantaggio di essere più avanti di loro, alti sulla via, ma almeno a un cinquecento metri dal paese, e scendono zoppicando sulla via e corrono verso Gesù ripetendo il loro grido.

«Entriamo nel paese, Maestro. Essi non vi possono entra­re», dicono alcuni apostoli, ma altri ribattono: «Già delle don­ne si affacciano a guardare. Se entriamo sfuggiremo i lebbrosi, ma non di esser conosciuti e trattenuti».

E mentre sono incerti sul da farsi, i lebbrosi si fanno sempre più vicini a Gesù che, incurante dei ma e dei se dei suoi apo­stoli, ha proseguito per la sua strada. E gli apostoli si rasse­gnano a seguirlo, mentre donne coi bambini alle gonnelle e qualche uomo vecchio rimasto in paese vengono a vedere, stando a prudente distanza dai lebbrosi, che però si fermano a qualche metro da Gesù e ancora supplicano:

«Gesù, abbi pietà di noi!».

Gesù li contempla un istante; poi, senza accostarsi a questo gruppo di dolore, chiede: «Siete di questo paese?».

«No, Maestro. Di luoghi diversi. Ma quel monte, dove stia­mo, dall’altra parte guarda sulla via per Gerico, ed è buono per noi quel luogo…».

«Andate allora al paese vicino al vostro monte e mostratevi ai sacerdoti».

E Gesù riprende a camminare spostandosi sul ciglio della via per non sfiorare i lebbrosi, che Lo guardano avvicinare senza avere altro che uno sguardo di speranza nei poveri occhi mala­ti. E Gesù, giunto alla loro altezza, alza la mano a benedire.

La gente del paese, delusa, ritorna nelle case… I lebbrosi si inerpicano di nuovo sul monte per andare verso la loro grotta o verso la via di Gerico.

«Hai fatto bene a non guarirli. Non ci avrebbero più lasciati andare quelli del paese…».

«Sì, e bisognerebbe giungere ad Efraim prima di notte».

Gesù cammina e tace. Il paese ormai è nascosto alla vista dalle curve della via molto sinuosa, perché segue i capricci del monte ai piedi del quale è tagliata.

Ma una voce li raggiunge:

«Lode al Dio Altissimo e al suo vero Messia. In Lui è ogni potenza, sapienza e pietà! Lode al Dio Altissimo che in Lui ci ha concesso la pace. Lodatelo, uo­mini tutti dei paesi di Giudea e di Samaria, della Galilea e dell’Oltre Giordano. Sino alle nevi dell’altissimo Hermon, sino alle arse petraie dell’Idumea, sino alle arene bagnate dalle on­de del Mar Grande risuoni la lode all’Altissimo ed al suo Cristo.

Ecco compita la profezia di Balaam. La Stella di Giacobbe splende sul cielo ricomposto della patria riunita dal vero Pa­store. Ecco anche compiute le promesse fatte ai patriarchi. Ec­co, ecco la parola di Elia che ci amò. Uditela, o popoli di Pale­stina, e comprendetela. Più non si deve zoppicare da due parti, ma scegliere si deve per luce di spirito, e se lo spirito sarà retto bene sceglierà.

Questo è il Signore, seguitelo! Ah! che finora fummo puniti perché non ci siamo sforzati a comprendere! L’uomo di Dio maledisse il falso altare profetando: “Ecco, na­scerà dalla casa di Davide un figlio chiamato Jeosciuè, il quale immolerà sopra l’altare e consumerà ossa di Adamo. E l’altare allora si squarcerà fin nelle viscere della Terra e le ceneri dell’immolazione si spargeranno a settentrione e mezzogiorno, a oriente e là dove tramonta il sole”.

Non vogliate fare come lo stolto Ocozia, che mandava a consultare il dio di Acaron men­tre l’Altissimo era in Israele. Non vogliate essere inferiori all’asina di Balaam, la quale per il suo ossequio allo spirito di luce avrebbe meritato la vita, mentre sarebbe caduto percosso il profeta che non vedeva. Ecco la Luce che passa fra noi. Aprite gli occhi, o ciechi di spirito, e vedete», e uno dei lebbro­si li segue sempre più da vicino, anche sulla via maestra ormai raggiunta, indicando Gesù ai pellegrini.

Gli apostoli, seccati, si volgono due o tre volte intimando al lebbroso, perfettamente guarito, di tacere. E lo minacciano quasi l’ultima volta.

Ma egli, cessando per un momento di alzare così la voce per parlare a tutti, risponde: «E che volete, che io non glorifichi le grandi cose che Dio mi ha fatto? Volete che io non Lo benedi­ca?».

«Benedicilo in cuor tuo e taci», gli rispondono inquieti.

«No, che non posso tacere. Dio mette le parole sulla mia boc­ca», e riprende forte: «Gente dei due luoghi di confine, gente che passate per caso, fermatevi ad adorare Colui che regnerà nel Nome del Signore.

Io deridevo tante parole. Ma ora le ripeto perché le vedo compiute.

Ecco muoversi tutte le genti e venire giubilando al Signore per le vie del mare e dei deserti, per i col­li e i monti. E anche noi, popolo che abbiamo camminato nelle tenebre, andremo alla gran Luce che è sorta, alla Vita, uscendo dalla regione di morte. Lupi, leopardi e leoni quali eravamo, ri­nasceremo nello Spirito del Signore e ci ameremo in Lui, all’ombra del Germoglio di Jesse divenuto cedro, sotto il quale si accampano le nazioni raccolte da Lui ai quattro punti della Terra.

Ecco, viene il giorno in cui la gelosia di Efraim avrà fine, perché non c’è più Israele e Giuda, ma un solo Regno: quello del Cristo del Signore. Ecco, io canto le lodi del Signore che mi ha salvato e consolato. Ecco, io dico: lodatelo e venite a bere la sal­vezza alla fonte del Salvatore. Osanna! Osanna alle grandi cose che Egli fa! Osanna all’Altissimo che ha messo in mezzo agli uomini il suo Spirito rivestendolo di carne, perché divenisse il Redentore!».

È inesauribile. La gente aumenta, si affolla, ingombra la via. Chi era indietro accorre, chi era avanti torna indietro. Quelli di un piccolo paese, presso il quale sono ormai, si uni­scono ai passanti.

«Ma fallo tacere, Signore. Egli è il samaritano. Lo dice così la gente. Non deve parlare di Te, se Tu non permetti neppure che noi ti si preceda più predicandoti!», dicono inquieti gli apostoli.

«Amici miei, ripeto le parole di Mosè a Giosuè figlio di Num, che si lamentava perché Eldad e Medad profetavano ne­gli accampamenti: “Sei tu geloso per me, in mia vece? Oh! pro­fetasse così tutto il popolo, e il Signore desse a tutti il suo Spi­rito!”. Ma pure mi fermerò e lo congederò per farvi contenti».

E si ferma voltandosi e chiamando a sé il lebbroso guarito, che accorre e si prostra dinanzi a Gesù baciando la polvere.

«Alzati. E gli altri dove sono? Non eravate in dieci? Gli altri nove non hanno sentito bisogno di ringraziare il Signore. E che? Su dieci lebbrosi, dei quali uno solo era samaritano, non si è trovato altro che questo straniero che sentisse il dovere di tornare indietro a rendere gloria a Dio, prima di rendere se stesso alla vita e alla famiglia?

Ed egli è detto “samaritano”. Non più ubriachi sono allora i samaritani, posto che vedono senza traveggole e accorrono sulla via di Salute senza barcol­lare? Parla dunque la Parola un linguaggio straniero se lo in­tendono gli stranieri e non quelli del suo popolo?».

Gira gli splendidi occhi sulla folla di ogni luogo della Pale­stina che si trova presente. E sono insostenibili nei loro balenii quegli occhi… Molti chinano il capo e spronano le cavalcature o si danno a camminare allontanandosi…

Gesù china gli occhi sul samaritano inginocchiato ai suoi piedi, e lo sguardo si fa dolcissimo. Alza la mano, che teneva abbandonata lungo il fianco, in un gesto di benedizione e dice: «Alzati e vattene. La tua Fede ha salvato in te più ancora della tua carne. Procedi nella luce di Dio. Va».

L’uomo bacia nuovamente la polvere e prima di alzarsi chiede: «Un nome, Signore. Un nome nuovo, perché tutto è nuovo in me, e per sempre».

«In che terra ci troviamo?».

«In quella d’Efraim».

«Ed Efrem chiamati da ora in poi, perché due volte la Vita ti ha dato vita. Va».

E l’uomo si alza e va.

La gente del luogo e qualche pellegrino vorrebbero tratte­nere Gesù. Ma Egli li soggioga con il suo sguardo che non è se­vero, anzi è molto dolce nel guardarli, ma che deve sprigionare una potenza, perché nessuno fa un gesto per trattenerlo.

E Gesù lascia la via senza entrare nel paesino, traversa un campo, poi un piccolo rio e un sentiero, e sale sul poggio orien­tale, tutto boscoso, e si inselva con i suoi dicendo: «Per non smarrirci seguiremo la via, ma stando nel bosco. Dopo quella curva, la strada si appoggia a questo monte. Vi troveremo qualche grotta per dormire, superando all’alba Efraim…».

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

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