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Venerdì della XVIII settimana del Tempo Ordinario Anno C

Gesù disse ai suoi discepoli:
Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita?

TESTO:-

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 16.24-28)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?
Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni.
In verità io vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno, prima di aver visto venire il Figlio dell’uomo con il suo regno». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Pietro e gli altri undici avevano appena raggiunto la vetta spirituale che consiste nel riconoscere la filiazione divina, quando Gesù cominciò a darsi pena di ricordare loro che l’essere un vero discepolo implicava un reale sacrificio personale per il raggiungimento della beatitudine promessa.
Seguire Gesù, in vista della gloria futura, significa innanzi tutto seguirlo nella sua umiliazione, perché “un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone”. A causa del peccato di Adamo e di Eva, che ha portato nel mondo la morte e l’infelicità, non è possibile a noi, loro discendenti, seguire la verità e la giustizia nella nostra vita, senza dover affrontare e vincere nella nostra persona le forze del male dirette contro di noi. Ognuno dovrà inevitabilmente soffrire, sia pure in misura ridotta, ciò che Gesù stesso ha sofferto. È proprio questo che voleva far capire dicendo: “Chi perderà la propria vita, per causa mia, la troverà”.
Non possiamo evitare né rimandare questa lotta dolorosa, perché chi farà così finirà per perdere la vita, volendo salvarla.
La mia stessa vita, la mia persona: ecco cosa devo offrire al Signore! E certo perderò la mia vita e il mio Dio, candidandomi all’inferno, se mi lascerò spingere a preferire la ricchezza effimera di questo mondo in cambio della mia anima.
Salvami, Signore, da un tale destino!

Chi vuole salvare la propria vitaLa Chiesa mai si deve sostituire al Vangelo. Ad essa basta soltanto che predichi la Parola senza nulla aggiungere e nulla togliere. La deve predicare però nella saggezza e nella sapienza dello Spirito Santo, lasciandosi ogni giorno condurre da Lui a tutta la verità. Dalla Parola vera nasce una vita vera, dalla parola falsa scaturisce una vita falsa, un mondo falso. Se c’è falsità nel mondo è segno o che la Parola vera non viene più proferita o che l’uomo è divenuto sordo ad ogni appello alla vera conversione.
Non occorrono molte parole per dire la Parola. È sufficiente dire la Parola ad ogni cuore, ogni mente, ogni coscienza. La Parola va predicata a poveri e a ricchi, a santi e peccatori, a giusti e ingiusti, ai cristiani e ai non cristiani, a quelli che adorano il vero Cristo e a quanti oggi inseguono un messia secondo il mondo, un messia di peccato e di grande idolatria. A tutti si deve gridare che la salvezza è dalla vita posta nella Parola, fuori di essa non vi è vita, né sulla terra né nei Cieli. Fuori della Parola si è nella morte.
Un giorno ascoltavo un vero profeta del Dio vivente che parlando ad un presbitero, gli diceva: “Non occorre spiegare tante cose ai giovani e poi tacere le verità della salvezza. Tu devi dire prima di ogni altra cosa: questo è bene e questo è male. Questo è secondo Dio. Questo non è secondo Dio. Questo è morale. Questo è immorale. La coscienza va posta sempre dinanzi alla luce più grande. Non avere paura di fare luce. Tu sei ministro della luce non delle tenebre”. È questo il ministero di Cristo Gesù: essere luce del mondo. È questo il ministero di ogni suo discepolo: essere luce sempre, fare luce sempre. Essere però non luce autonoma, ma luce di Cristo Signore.
Ogni uomo è un cercatore di vita. La cerca però dove essa mai potrà essere trovata. Oggi si cerca nella droga, nell’alcool, nella delinquenza, nel denaro, nel potere, negli onori, nella gloria di questo mondo, nei piaceri, nel lusso, nella sfrenatezza, nel cibo, nel divertimento, in ogni altra stravaganza pensata dagli uomini. Tutto si inventa oggi per l’uomo, illudendolo che nelle sue invenzioni vi è la vera vita. Gesù lo afferma con divina chiarezza. Vi è un solo modo di avere la vita: porla interamente nella sua Parola. La si perde nella sua Parola, come il chicco di grano si perde nella terra, perché una nuova pianta venga fuori e produca molti frutti.
La salvezza è uno scambio. Noi diamo a Cristo Gesù la vita di morte e Lui ci dona la vita eterna nel tempo e nell’eternità. Noi gli diamo un corpo mortale, di terra, Lui ci dona un corpo di spirito, glorioso, immortale. È come se noi mettessimo del ferro vecchio, inutilizzabile, nel crogiolo per farne uscire dell’oro purissimo. Il guadagno è tutto nostro. Se però noi non ci inabissiamo nel forno rigeneratore e rinnovatore della Parola, rimaniamo perennemente nella nostra natura di morte. Possiamo fare qualsiasi cosa, ma rimaniamo sempre ferro inutilizzabile, arrugginito, mai diveniamo oro puro.
Questa verità oggi va predicata, annunziata, insegnata prima di tutto agli stessi cristiani. Sono essi che l’hanno smarrita. Tutti ormai pensano che la salvezza è entrare in Paradiso così come siamo, ferri arrugginiti, consumati dal peccato. La salvezza inizia oggi ed è con la nostra immersione nella Parola per divenire vera luce di Cristo in mezzo alle genti. Se non siamo luce oggi neanche domani lo potremo essere e finiremo nelle tenebre eterne. Evangelizzare la verità è obbligo del discepolo di Gesù.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri nella vera Parola.

Giovedì Della XVIII Settimana del Tempo Ordinario Anno C

La gente chi dice che io sia? Ma voi chi dite che Io sia?
Rispose Simon Pietro:
Tu sei il Cristo il Figlio del Dio vivente.

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 16,13-23)
In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’Uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che Io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei Cieli. E Io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del Regno dei Cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei Cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei Cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che Egli era il Cristo. Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro Lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma Egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». Parola del Signore.

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RIFLESSIONE

In terra pagana: fondazione della Chiesa di Gesù. Il punto culminante del vangelo è raggiunto. Gesù si trova nel nord della Galilea, in terra pagana, respinto dal suo popolo. I discepoli sono con lui. Egli rivolge loro la domanda decisiva. Il risultato dell’attività di Gesù in Galilea viene riassunto nella professione del Messia, fatta da Simone Pietro a nome dei discepoli, che contrasta con l’opinione del popolo. Egli separa il popolo e i discepoli. Simone Pietro, in nome dei dodici, fa questa dichiarazione: «Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente».

Pietro e la pietra

Non dobbiamo meravigliarci della scelta di Gesù. Egli sceglie Pietro e lo costituisce fondamento visibile della Sua Chiesa: chi può mettere in discussione la sua decisione? Chi può avere l’arroganza di dirgli: Che cosa stai facendo? Le decisioni di Dio, infatti, vanno accolte semplicemente, umilmente, gioiosamente: è l’unica risposta intelligente davanti ad una chiara Volontà di Dio. Non esiste e non può esistere la Chiesa di Cristo se essa non viene costruita costantemente sulla roccia scelta da Lui: Pietro e il successore di Pietro, che è il Papa. La fede ci dà la certezza che su questa pietra umanamente debole e fragile, Cristo, con la Sua onnipotenza, costruisce la Sua Chiesa. Fidiamoci di Dio e non resteremo delusi in eterno!

E voi chi dite che io sia?

Nel 1955 andò in scena al Piccolo Teatro di Milano il dramma Processo a Gesù di Diego Fabbri: l’opera, in breve tempo, fece il giro di tutti i teatri del mondo. L’autore immagina una troupe di ebrei che, dopo la seconda guerra mondiale, si sposta di città in città per rifare davanti al pubblico il processo a Gesù, al fine di verificare se Egli fu condannato giustamente o ingiustamente. A un certo punto la separazione tra pubblico e attori sembra cadere e tutto diventa un unico palcoscenico: il coinvolgimento è totale e veramente emozionante. Vengono ascoltati i testimoni di allora (Pilato, Caifa, Giuda, gli Apostoli) e anche questa volta la sentenza si preannuncia di condanna nei confronti di Gesù. E l’argomento principale della condanna è che nulla è cambiato con la Sua venuta: tutto continua come prima e, pertanto, Egli, secondo il Presidente del Tribunale, non può essere stato il Figlio di Dio.
Il Presidente, in conclusione, rivolto al pubblico dice: «Pronunceremo la sentenza, ma vorrei chiedere prima a voi cristiani qui presenti, chi era, chi è per voi Gesù di Nazareth». È a questo punto che tutto cambia. Si alza, infatti, un sacerdote che era lì in incognito; si alza un giovane fuggito di casa; si presenta una prostituta trascinata in teatro dal suo amante intellettuale; chiede la parola la donna delle pulizie del teatro: coraggiosamente ognuno grida chi è Gesù nel segreto della propria vita, affermando decisamente di non poter fare a meno di Lui. A questo punto appare chiaro che non è affatto vero che tutto è rimasto come era prima della venuta di Gesù: tante cose sono cambiate! Il Presidente del Tribunale, allora, conclude: «Perché non lo gridate forte, dovunque e sempre, quello che avete detto stasera? Tutti dovreste gridarlo! Tutti! Tutti! Perché altrimenti si ripete anche per voi quello che accadde per noi allora: di rinnegare, di condannare, di crocifiggere Gesù».

LA PAROLA PER ME OGGI

Gridiamo a tutti ciò che sappiamo di Gesù; diciamo a tutti che è Lui la nostra pace, la nostra via, la nostra vita: la Verità! Che cosa stupenda sarebbe se tutti i cristiani ritrovassero il coraggio di gridare: Gesù è il Signore! Gesù è l’unico Salvatore del mondo! Ieri, oggi e sempre!

LA PAROLA SI FA PREGHIERA

Gesù di Nazareth tu sei veramente quel Messia che noi aspettavamo, Tu solo alimenti e sostieni tutte le speranze del mondo. Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!

Mercoledì Della XVIII Settimana del Tempo Ordinario Anno C

Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cani.
Ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni.

Dal Vangelo secondo Matteo (15,21-28)
In quel tempo, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne.
Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio».
Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i discepoli gli si accostarono implorando: «Esaudiscila, vedi come ci grida dietro».
Ma egli rispose: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele».
Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: «Signore, aiutami!».
Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini».
«E’ vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni».
Allora Gesù le replicò: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

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RIFLESSIONI

La potenza della preghiera perseverante

La cananea, quando doveva desistere scoraggiata, si avvicina ancor più a Gesù e adorandolo gli dice: “Signore aiutami!” Ma allora, donna…, non l’hai sentito dire: “Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele”? L’ho sentito –  replica lei – ma il Signore di ogni cosa…
E’ perché prevedeva la risposta che Cristo ha ritardato a esaudire la preghiera. Rifiutava la richiesta per sottolinearne la fede. Se non avesse voluto esaudirla, non lo avrebbe fatto nemmeno dopo… Le sue risposte non volevano provocarle pena, piuttosto indurla a rivelare il tesoro che ella celava.
Ma considera, ti prego, la sua fede e nello stesso tempo la sua profonda umiltà. Gesù ha dato ai giudei il nome di figli; la Cananea aggiunge ancora a questo titolo e li chiama padroni, tanto era lontana di essere gelosa delle lodi prodigate ad altri: “I cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni”… E’ per la sua umiltà che è entrata tra i figli. Cristo le dice allora: “Donna, davvero grande è la tua fede!” Aveva esitato a pronunciare questa parola e a ricompensare questa donna: “Ti sia fatto come desideri”… Vedi, la cananea ha una grande parte nella guarigione della figlia. Infatti Cristo non dice: tua figlia sia guarita, ma: “Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri”. E nota ancora questo: dove gli apostoli non erano riusciti e non avevano ottenuto, lei è riuscita. Tale è la potenza della preghiera perseverante.

Martedì – XVIII Settimana del Tempo Ordinario anno c

Gesù cammina sulle acque.
comandami di venire verso di te sulle acque

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 14,22-36)
Dopo che la folla ebbe mangiato, subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.
La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!».
Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?».
Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».
Compiuta la traversata, approdarono a Gennèsaret. E la gente del luogo, riconosciuto Gesù, diffuse la notizia in tutta la regione; gli portarono tutti i malati e lo pregavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello. E quanti lo toccarono furono guariti. Parola del Signore.

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RIFLESSIONI

“Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque” (14,28). È Pietro che avanza questa richiesta, fin troppo audace. Ha visto Gesù camminare sulle acque e vuole imitarlo. La sua è una fede ingenua ma sincera, egli è pronto a fare anche quello che appare impossibile alla ragione ma non si butta nell’avventura senza avere un esplicito comando da parte del Signore. Chiede e attende la parola di Gesù che gli dice: “Vieni” (14,29). Nel linguaggio biblico il mare è un luogo infido e imprevedibile, camminare sulle acque significa dominare gli eventi. Solo Dio può farlo, come dice il salmista: “Tu domini l’orgoglio del mare, tu plachi il tumulto dei suoi flutti” (Sal 88,10). L’uomo, fatto ad immagine di Dio, porta nel cuore desideri infiniti ma non può realizzarli con le sue forze. Quel giorno sul lago di Galilea, camminando sulle acque, Gesù manifesta la sua identità divina. Pietro, invece, è icona dell’uomo che vorrebbe andare oltre se stesso ma sperimenta la sua costitutiva fragilità. Due condizioni apparentemente distanti e destinate a restare separate. Quel giorno, invece, s’incontrano. Quando Pietro cominciò ad affondare trovò la forza per gridare: “Signore, salvami!” (14,30). “E subito Gesù tese la mano e lo afferrò” (14,31).
La mano tesa è l’icona di quel patto originario tra Dio e l’uomo (Gen 1,26) che Gesù è venuto a restaurare. È il segno che Dio è venuto a condividere la nostra fragile condizione umana per comunicare la potenza della sua divinità. Quella mano non solo salva Pietro ma è un annuncio rivolto a tutti: “aggrappatevi a me se non volete affondare, restate uniti a me se volete fare della vita una splendida avventura”. Commenta Raissa Maritain: “Camminare sulle acque, ecco la vocazione del cristiano. Senza nessun appoggio umano, nella fede pura, nella speranza e nella pura carità. Senza nessun sentimento, a volte, tenendo unicamente lo sguardo levato verso Dio …” (Diario di Raissa, Brescia 2000, 65). Oggi chiediamo la grazia di trovare in Gesù Eucaristia la forza per non rinunciare ai grandi ideali.

Lunedì – XVIII Settimana del Tempo Ordinario anno c

La moltiplicazione dei pani.
Maestro, congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare.
Ma Gesù disse loro: “Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare”.

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 14,13-21)
In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte.
Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui».
E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini. Parola del Signore.
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RIFLESSIONI

“Spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla”
Semplicità della nostra vita contemplativa: ci fa vedere il volto di Dio in ogni cosa, in ogni essere, dovunque e sempre! E la sua mano presente in ogni avvenimento ci fa compiere tutto – la meditazione e lo studio, il lavoro e il cambio, mangiare e dormire – in Gesù, con Gesù, per Gesù e facendolo a Gesù sotto lo sguardo amante del Padre, se restiamo sempre nella disposizione a riceverlo sotto qualsiasi forma egli arrivi.
Sono impressionata dal fatto che Gesù, prima di commentare la Parola di Dio, prima di annunciare le Beatitudini alla folla, ne ebbe compassione, fece guarigioni e diede loro da mangiare. E solo dopo ha cominciato a insegnar loro.
Ama Gesù con generosità, amalo con fiducia, senza guardarti indietro e senza problemi. Datti tutto a Gesù. Ti prenderà come strumento per compiere meraviglie a condizione che tu sia infinitamente più cosciente del suo amore che della tua debolezza. Credi in lui, rimettiti nelle sue mani con uno slancio di fiducia cieca e assoluta, poiché è Gesù. Credi che Gesù, e solo Gesù, è la vita; sappi che la santità non è altro che questo stesso Gesù che vive nel tuo intimo; allora sarà libero di porre la sua mano su di te.

XVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C

Uno della folla disse a Gesù:
«Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità».
Ma egli rispose:
«O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?»

TEESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca (Lu 12,13-21)
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio». Parola del Signore.
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RIFLESSIONI

Tenetevi lontani da ogni cupidigia
Il corpo, per essere vero atleta che porta anima e spirito nella più pura grazia e verità di Gesù Signore, deve essere nutrito con un alimento particolare, speciale. Di certo non saranno cibi di questo mondo a renderlo atleta per le cose del cielo. Le cose di questo mondo non solo lo appesantiscono, lo stordiscono, a volte lo fanno ammalare, spesso anche lo uccidono. Un corpo appesantito, stordito, ammalato di peccato, morto conduce l’anima nella morte eterna dell’inferno. Tutto è dal corpo: la vita e la morte.
Qual è allora questo cibo squisito, celeste che deve nutrire il corpo per farne un vero atleta verso il Paradiso? Questo cibo non esiste in natura. Ognuno se lo deve costruire lui, con scienza, intelligenza, perizia, arte, molta esperienza. Esso si ottiene trasformando i beni di questo mondo in opere di misericordia, carità, compassione, elemosina. Si prendono i beni della terra, si danno ai poveri e ai bisognosi, il Signore al loro posto ci concede due cibi prodigiosi: la gioia perenne del cuore, la virtù della sobrietà o temperanza. Con questi due doni, il corpo diviene agile, anzi agilissimo e può percorrere ogni via che conduce al Paradiso. Può scalare anche le più alte montagne. Nulla diviene impossibile per un corpo formato nella temperanza.
Gesù oggi viene interpellato perché svolga la missione di mediatore tra un uomo e un altro uomo, in ordine all’eredità da dividere. Il pensiero di Gesù già lo conosciamo: “Se il tuo nemico ti chiede la tunica, tu dagli anche il mantello. Se ti costringe a fare con lui un miglio, tu fanne due”. Per le cose di questo mondo mai si deve litigare. Ciò che l’altro vuole, lo si dona. Ciò che chiede, lo si offre. Il Vangelo è pace perenne. Gesù si rifiuta perché Lui non è stato costituito mediatore tra l’uomo e l’uomo, per le cose di questo mondo. Lui è il Mediatore tra Dio e gli uomini, per far conoscere loro la volontà del Padre suo e dare loro tutto l’amore del Padre perché siano anche capaci di realizzarla, attuarla, facendola loro propria volontà.
Non si vive un giorno in più perché si possiedono molti beni. Né si muore prima perché si è privi delle cose di questa terra. La vita dell’uomo è alimentata solo e sempre dal Signore. È in Dio ogni sua sorgente. Se è in Dio, delle cose della terra possiamo disfarcene. Usiamo per noi l’indispensabile, secondo la virtù della temperanza o sobrietà, il resto lo diamo ai poveri. Così facendo diventiamo ricchi dinanzi a Dio. Lui ci aprirà le porte del suo cuore, non solo domani, nel suo Paradiso, ma anche oggi sulla terra. Se noi invece chiudiamo le porte del nostro cuore ai bisognosi, anche Dio lo chiuderà a noi e noi saremo nella tristezza, nella concupiscenza, nei molti desideri che tolgono ogni serenità e pace allo spirito. I beni del mondo rendono infelici.
Chi crede in questa parola di luce e verità eterna di Cristo Signore, sempre trasformerà i suoi beni terreni in cibo sublime per il suo corpo. Chi invece non crede, si lascerà conquistare il cuore da essi, non gusterà la vita nel presente e non la gusterà domani, quando questo tempo sarà finito. Anzi sono proprio i beni della terra che lo condurranno alla morte. Gesù non parla vanamente. Non annunzia il suo Vangelo solo per l’eternità. Lo annunzia perché oggi chi crede in esso trasformi il tempo in vero anticipo dell’eternità. Chi è libero dai beni della terra, vive come se fosse già nel cielo.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, rendete il nostro cuore libero.

Sabato Della XVII Settimana del Tempo Ordinario Anno C

Costui è Giovanni il Battista. È risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi!
Erode a motivo del giuramento e dei commensali ordinò che la testa del Battista fosse portata a sua figlia su un vassoio.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 14,1-12)
In quel tempo al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù. Egli disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista. È risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi!».
Erode infatti aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo. Giovanni infatti gli diceva: «Non ti è lecito tenerla con te!». Erode, benché volesse farlo morire, ebbe paura della folla perché lo considerava un profeta.
Quando fu il compleanno di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle quello che avesse chiesto. Ella, istigata da sua madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista».
Il re si rattristò, ma a motivo del giuramento e dei commensali ordinò che le venisse data e mandò a decapitare Giovanni nella prigione. La sua testa venne portata su un vassoio, fu data alla fanciulla e lei la portò a sua madre.
I suoi discepoli si presentarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e andarono a informare Gesù. Parola del Signore.
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RIFLESSIONE

Erode è un uomo perplesso. Nei confronti di san Giovanni Battista nutre sentimenti opposti. Da una parte egli lo ammira e lo teme, e, più tardi, giungerà anzi ad immaginare che Gesù è la sua reincarnazione; dall’altra non può sopportarlo, perché è venuto a disturbare la pace del suo matrimonio fasullo, di quella relazione, che egli certo non nasconde, con la cognata.
Ma come uccidere un essere che la folla considera santo?
L’occasione è data da un banchetto succulento nel corso del quale, euforico, Erode fa una promessa sconsiderata per ringraziare la ballerina delle sue evoluzioni. Ma la fanciulla, crudele come la madre, gli reclama la testa insanguinata di Giovanni su un vassoio di rame: una richiesta tale da risvegliare dal torpore del vino tutti i convitati! Nonostante la sua perversità, il re esita, probabilmente per una paura superstiziosa: ma come rifiutare e perdere la faccia? Ecco la storia di una decapitazione orribile, bella vendetta per Erodiade che riceve la testa nell’harem del palazzo.
“La sua testa fu il premio di una danza”, ha fatto scrivere il curato di Ars nella cappella del Santo, al fine di scoraggiare ogni tipo di ballo nella sua parrocchia. Ma non è piuttosto il frutto dell’immoderazione dei sensi, dell’orgoglio, della fanfaroneria, di un giuramento folle e, infine, di una semplice mancanza di coraggio? Tragico percorso di un istinto che si scatena, si lascia andare, fino alla crudeltà più atroce. Dio ci protegga da una tale sbandata!

La sua testa venne portata su un vassoio

Sia il bene che il male trovano la loro forza nella coalizione, nello stare insieme, nel dare forza l’uno all’altro. La forza di Dio è nella Trinità Beata. La forza del Verbo è nella sua Incarnazione. La forza dello Spirito Santo è nel cuore di ogni uomo che lo accoglie e si lascia fare da Lui strumento del suo amore. La forza del cristiano è l’altro cristiano pieno anche lui di Spirito Santo. Se i cristiani non creano comunione, unità, la loro forza è nulla. Il solo può fare poche cose. La forza di un vescovo è il profeta, il maestro, il dottore, l’evangelista, è anche ogni suo presbitero. Un vescovo senza presbiterio è ben misero, assai povero. Può fare poco. Invece con il suo presbiterio può rinnovare una porzione di umanità. Questa è la forza della comunione e dell’unità.
Anche il male è forte nella sua unità. È però una unità finalizzata. Una comunione mirata. Gesù fu Crocifisso perché farisei, scribi, sadducei, erodiani, sommi sacerdoti, anziani del popolo si coalizzarono contro di Lui. Una sola forza non avrebbe avuto alcun successo. Sarebbe rimasta priva di qualsiasi possibilità. Una forza avrebbe controbilanciato l’altra forza. Paolo, saggio e sapiente, mette le forze contrarie a lui, in contrapposizione tra di loro e così ha possibilità di poter salvare la sua vita.
Paolo, sapendo che una parte era di sadducei e una parte di farisei, disse a gran voce nel sinedrio: «Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei; sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti». Appena ebbe detto questo, scoppiò una disputa tra farisei e sadducei e l’assemblea si divise. I sadducei infatti affermano che non c’è risurrezione né angeli né spiriti; i farisei invece professano tutte queste cose. Ci fu allora un grande chiasso e alcuni scribi del partito dei farisei si alzarono in piedi e protestavano dicendo: «Non troviamo nulla di male in quest’uomo. Forse uno spirito o un angelo gli ha parlato». La disputa si accese a tal punto che il comandante, temendo che Paolo venisse linciato da quelli, ordinò alla truppa di scendere, portarlo via e ricondurlo nella fortezza. La notte seguente gli venne accanto il Signore e gli disse: «Coraggio! Come hai testimoniato a Gerusalemme le cose che mi riguardano, così è necessario che tu dia testimonianza anche a Roma» (At 23,6-11).
Giovanni il Battista trova la morte per una coalizione di peccatori: Erodìade, sua figlia, Erode. Senza questa unità e comunione di peccatori mai Giovanni avrebbe visto la morte. Nessuno da se stesso era capace di uccidere il grande profeta di Dio. Insieme vi sono riusciti. Oggi il male è potente perché ha trovato un alleato inatteso: il cristiano, il quale ha deciso di non predicare più Cristo Signore, la verità del suo Vangelo. Il cristiano è in tutto come Salomè. La sua danza di falsità rende incosciente l’uomo, la malvagità di alcuni opera il resto. Quando il cristiano deciderà di non danzare più la sua danza di falsità e di menzogna sulla salvezza, allora la potenza del male si sentirà venire meno. Manca dell’anello di congiunzione. È una catena spezzata.
Ogni cristiano, in ogni luogo dove lui vive, è questo anello di congiunzione tra due forze di male. Se lui danza il suo ballo lascivo, impuro, di falsità e menzogna, congiunge le potenze del male ed esse divengono inarrestabili. Se invece lui vive la sua missione con rettitudine di coscienza e purezza di cuore, manca il legame tra le forze e Giovanni il Battista mai sarà decapitato. Molti mali del mondo sono il frutto di questo anello.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci anello di solo bene.

Venerdì della XVII settimana del Tempo Ordinario Anno C

Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!
Tuo fratello risorgerà.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 11,19-27)

In quel tempo, molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Parola del Signore.

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Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo.

Nel Vangelo secondo Giovanni vi sono tante confessioni di fede. Tutti però conducono all’ultima, quella finale, che è poi lo scopo di tutto: “Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Gv 20,30-31).
C’è come un crescendo in Giovanni. Ogni testimone che segue aggiunge qualcosa a ciò che è stato detto in precedenza e così si avanza verso la perfezione della conoscenza di Gesù Signore. Questa progressione o completezza la troviamo tutta nel primo capitolo: “Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. – Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio». – Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. – Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i Profeti: Gesù, il figlio di Giuseppe, di Nàzaret». – Gli replicò Natanaele: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!». Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo»” (Cfr Gv 1,29-51). Alla fine della vita pubblica di Gesù Marta riassume le testimonianze precedenti e le esprime in una sola formula: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Leggiamo il testo:
E molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Cosa manca a questa confessione di fede per essere perfetta? Manca ciò che vi aggiunge Giovanni: “… Perché credendo, abbiate la vita nel suo nome”. Non basta dire che Gesù è il Figlio di Dio, il suo Unigenito, che si è fatto carne, che abita in mezzo a noi. Occorre aggiungere che la vita è nel suo nome e che essa ci è data mediante la professione della fede nella sua verità completa. Cristo Gesù è la vita del mondo, la luce, la grazia, la pace, il pane della vita, l’acqua che disseta. È tutto questo in quanto vero Dio e vero uomo. Non basta allora la fede di Marta per essere salvati. Essa è ancora non perfetta. È perfetta nella verità personale di Cristo Gesù. È ancora da rendersi esplicita nella relazione di Gesù con ogni uomo. Questa relazione è di vita eterna, salvezza, risurrezione, pace, grazia, verità, ogni altro dono celeste. Cristo è la via per cui tutto il Cielo passa nel nostro cuore. Questa fede oggi si è persa. Molti sono i predicatori che asseriscono una verità dell’uomo senza Cristo ed anche una possibilità di vita. Questo è impossibile. Perché solo Lui è la vita, la grazia, la verità.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi, fateci di fede perfetta.

Giovedì della XVII settimana del Tempo Ordinario Anno C

Il Regno dei Cieli è simile a una rete gettata nel mare.
Che raccoglie ogni genere di pesci.

Dal Vangelo secondo Matteo Mt 13,47-53

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Ancora, il Regno dei Cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli Angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del Regno dei Cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
Terminate queste parabole, Gesù partì di là. Parola del Signore.

RIFLESSIONE

Il regno dei cieli ammette pesci buoni e pesci cattivi. Sarà così finché ci sarà tempo, fino a quando il tempo passerà in eternità. Il realismo evangelico ci impedisce di progettare un paradiso in terra; ci libera così da tutte le utopie, perniciose per la fede come per la convivenza umana. In nome di ideali utopici si sono eliminati milioni di uomini concreti. Dobbiamo rassegnarci a convivere con il male che continuamente rinasce in noi e attorno a noi. La Chiesa, per non parlare del mondo, è fatta di santi e di peccatori; di santi che peccano e di peccatori che cercano di convertirsi. Non ci è lecito scandalizzarci e dimenticare che così come siamo, siamo cittadini del regno. Il peccato ci rattrista, ma non ci deprime.
D’altra parte la prospettiva del giudizio finale, “quando gli angeli separeranno i cattivi dai buoni”, non ci consente di attendere passivi l’ultimo giorno. Non possiamo essere utopici, ma ancor meno indifferenti. La lotta contro il male è d’obbligo anche se la prospettiva è di un combattimento che non finirà mai: “Militia est vita hominum super terram”. Dio e il diavolo combattono ancora nella storia e il campo di battaglia è il cuore dell’uomo (Dostoevskij). Si tratta di una lotta pacifica e violenta nello stesso tempo. “I violenti si impadroniranno del Regno di Dio” (Mt 11,12). La pace cristiana è inseparabile dalla spada (Mt 10,34) portata da Cristo, anche se la competizione obbliga a ferire se stessi prima degli altri.
Alla fine del combattimento sarà Cristo a concedere la vittoria. Presenteremo i nostri pochi meriti, ma conteremo soprattutto su chi ha guadagnato anche per noi. “Non possiamo dirci poveri finché possiamo contare sull’infinita ricchezza dei meriti di Cristo” (San Domenico).
 

Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare

Le parole di Gesù sono di una luce eterna, divina, soprannaturale. Esse squarciano le tenebre di questo mondo e irradiano la terra di una finissima e perfetta verità, vivendo la quale l’uomo trova la sua pace. La falsità è sempre generatrice di ogni guerra, ogni dissidio, ogni rivoluzione violenta, ogni distruzione dell’uomo e delle cose. La verità invece è farmaco di unione, condivisione, cooperazione, collaborazione tra gli uomini. Essa è la sola capace di dare serenità al cuore e alla mente.
Ciò che oggi Gesù dice del suo regno e in particolar modo della sua Chiesa sono di una saggezza unica, non sempre compresa nella storia e neanche oggi sembra che la si voglia comprendere. Ci accaniamo contro il peccato dei nostri fratelli, dimenticandoci che tutti siamo peccatori. Ci ostiniamo a mettere alla gogna certi peccati e ci dimentichiamo dei nostri peccati ancora più orrendi. Scagliamo pesanti pietre che uccidono l’anima e lo spirito degli altri, mentre ci assolviamo delle nostre gravissime nefandezze, spesse volte nascoste sotto il manto di una ipocrita religiosità.
Gesù ci dice che la bellezza della sua chiesa è la sua grande capacità di camminare gli uni insieme agli altri. Peccatori e santi, buoni e cattivi, giusti e ingiusti, veri e falsi, dotti e ignoranti, acculturati e intonsi di mente, tutti insieme, tutti nella stessa rete, tutti nell’unico ovile, tutti sulla stessa barca. Certo può farci schifo il peccato di chi ci sta accanto, ma dobbiamo anche pensare che fa anche schifo il nostro peccato, più di quanto noi non pensiamo, non sospettiamo, non immaginiamo. Il nostro peccato nascosto di certo non è meno grave di quello pubblico del fratello.
Questo non vuole dire in nessun modo che il peccato va giustificato, vuol dire semplicemente che il peccatore va sempre amato, sempre redento, sempre condotto sulla via della verità e della giustizia. L’uomo è il redentore dell’uomo, colui che espia in Cristo per ogni suo fratello. Se cade dal cuore questa verità, siamo una comunità di ipocriti, di falsari della vera religione, siamo un esercito di lussuriosi spirituali, che si dilettano, godono del male dei fratelli e soprattutto gioiscono nel gettare fango sugli altri. Quando questo accade, non siamo più in una comunità salvante. Siamo in un lager di distruzione dell’uomo da noi condannato anzitempo, senza dargli alcuna possibilità di potersi redimere, salvare, fare ritorno nella verità.
La Chiesa è questa stupenda rete nella quale tutti hanno il diritto di abitare. In essa ognuno deve divenire redentore, salvatore, luce, faro di verità e di amore per ogni suo fratello. Certo, vi sono delle leggi da osservare, la prima fra tutte è però la legge della carità, che brama la salvezza del fratello e per questo gli annuncia tutta la verità che apre le porte della salvezza. Un impedimento a ricevere l’Eucaristia è anch’esso annuncio di verità, dono di purissima carità. È la più alta carità che si possa dare al fratello. Se il suo amore verso l’Eucaristia è vero, puro, giusto, di certo lui farà ogni cosa perché questo ostacolo venga tolto. Lasciando invece che lui si accosti alla mensa del Signore è come se noi ci importassimo poco della sua salvezza. È come se noi ignorassimo il grave stato in cui versa la sua anima. Redimere, salvare, condurre alla salvezza avviene anche annunciando al fratello la sua condizione non regolare dinanzi al Signore e alla comunità. Avviene anche attraverso un impedimento che serva di monito agli altri perché non incorrano nello stesso peccato, che ferisce mortalmente tutta la comunità. Un impedimento è il più grande atto di carità.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci la verità della Parola.  

 

Mercoledì della XVII settimana del Tempo Ordinario Anno C Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo.

Pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 13,44-46)
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:
«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra». Parola del Signore.

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RIFLESSIONE

La vita dei santi ci mostra in che modo essi abbiano vissuto la rivoluzionaria scoperta del tesoro del Vangelo.
Sant’Antonio abbandona tutto, all’età di diciotto anni, per andare a vivere nel deserto; san Francesco d’Assisi prende alla lettera le parole che gli chiedono di non portare con sé, in cammino, né bisaccia né bastone; sant’Ignazio si converte alla lettura della vita dei santi nel suo ritiro forzato di Manresa; santa Teresa, alla fine della sua vita, dice: “Non mi pento di essermi donata all’amore”.
Il tesoro nascosto nel terreno della nostra vita chiede non solo di essere scoperto, ma anche di essere anteposto a tutto quanto. Per scoprirlo occorre lo sguardo perseverante di un cercatore che non si fermi sulla via. Ma, una volta capito che proprio là si trova il lieto messaggio, capace di dare senso alla nostra esistenza e di portare la salvezza al mondo, esclamiamo con sant’Agostino: “A lungo ti ho cercata, bellezza nascosta, tardi ti ho trovata; io ti cercavo fuori di me, e tu eri in me!”.
Saremo in grado oggi di dire al Signore che è il nostro tesoro? Diciamoglielo con tutto lo slancio di cui è capace il nostro cuore, donandoci a lui. Il tesoro non si nega a chi lo scopre, si lascia possedere per nascondersi poi di nuovo. Si dà a chi è pronto a perdere tutto pur di impossessarsene. Il solo modo per ottenerlo veramente è di darci a lui, dal momento che riconosciamo in lui il nostro Signore e il nostro Salvatore, Gesù Cristo. Questa perla di grande valore, che ha dato la propria vita per riscattarci dal potere del male, vuole farsi conquistare da noi in cambio della nostra fede e del nostro abbandono al suo amore, qualunque sia la nostra richiesta o il nostro modo di vita. Rivolgendoci a lui dicendo “Mio Signore e mio Dio”, noi possiamo possederlo e, insieme, farne dono agli altri. Questo tesoro, infatti, ha questa particolarità: per poterlo tenere, bisogna dividerlo con altri; esso si sottrae invece a chi vorrebbe privarne gli altri. L’“Amen” che oggi pronunceremo nel ricevere il Corpo di Cristo possa manifestare la nostra gratitudine e, insieme, il nostro desiderio di farne dono ai fratelli.

Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo.

Sappiamo come nasce il regno di Dio in un cuore: con la semina della vera Parola di Dio. Una Parola non di Dio mai potrà farlo nascere nel mondo. Cresce attraverso la sua interiore vitalità, in tutto come cresce una pianta, come si espande il lievito. Vive però condividendo il terreno con la zizzania, con il male, con il regno del principe di questo mondo. Bene e male mai potranno essere separati. Abitano nella stessa casa. Vivono nello stesso luogo. Formano la stessa Chiesa. Costituiscono la stessa comunità. Il regno di Dio è perennemente esposto agli attacchi del male.
Oggi Gesù ci dice qual è il valore del regno che Lui è venuto ad instaurare sulla nostra terra, nei nostri cuori. Ce lo manifesta attraverso due parabole: del tesoro nascosto nel campo, della perla di grande valore. Apparentemente potrebbero sembrare due parabole uguali, contenenti la medesima verità. Invece c’è una sottile distanza che separa la prima dalla seconda, perché differente è la verità dell’una e dell’altra.
La parabola del tesoro nel campo ci insegna la sagacia, la saggezza, l’intelligenza dell’uomo che trova il tesoro. Lo trova per caso. Non era andato a cercalo. Lo scopre lavorando. Il tesoro non gli appartiene, perché il campo non è suo. Ecco allora la sapienza di quest’uomo: nasconde il tesoro, vende tutto quello che possiede, si compra il campo. Entra così in possesso legittimo del tesoro. Tra ciò che ha venduto e ciò che ha comprato vi è una distanza siderale, infinita, incolmabile. Tra le cose della terra e quelle del cielo non vi è alcun paragone. Il valore è eterno, divino.
La Parabola della perla preziosa ci rivela invece l’occhio di quest’uomo, la sua capacità di discernimento, la scienza e l’arte del meglio, dell’ottimo, del sublime. Ci sono perle e perle. Ci sono perle più buone e perle meno buone. Lui ne trova una di inestimabile qualità. Non se la lascia sfuggire. Tutte le altre che possedeva sono spazzatura al confronto di questa. Lui si spoglia di tutte le altre e compra la più bella sul mercato.
Queste due parabole ci rivelano tutta la nostra stoltezza, insipienza, stupidità spirituale. Manchiamo di quella sapienza soprannaturale, frutto in noi dello Spirito Santo. A causa di questa carenza non comprendiamo quello che abbiamo trovato. Neanche lo consideriamo un tesoro. Lo lasciamo abbandonato. Non ci curiamo di esso. Anzi lo ricopriamo e continuiamo a zappare quel campo per un misero denaro al giorno.
Siamo privi di quel santo, vero, giusto discernimento che ci consente di valutare cosa da cosa, le cose del cielo e le cose della terra, le cose finite e quelle infinte, le cose che hanno valore e quelle che ne sono prive. Tutto è uguale. Tutto è indifferente. Tutto buono. Tutto santo. Tutto giusto. Tutto vero. Regna così l’indifferentismo a tutti i livelli: teologico, morale, spirituale, ascetico. L’indifferentismo veritativo si trasforma in relativismo morale. C’è veramente da riflettere.
Gesù chiede ad ogni uomo di servirsi della sua intelligenza, sapienza, razionalità allo stesso modo di quest’uomo che trova il tesoro nel campo e dell’altro che va in cerca di perle preziose. Se siamo capaci di intelligenza nelle cose della terra, tanto più lo dobbiamo essere per le cose del cielo, per quelle che sono eterne.
Vergine Maria, Madre della Sapienza, ottienici la sapienza del cuore e la sana intelligenza. Angeli e Santi di Dio fateci persone dal retto discernimento.