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Martedì Della XXVII Settimana del Tempo Ordinario Anno C

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi.
E io vi darò ristoro.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Matteo. (Mt 11,25-30)

Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Troverete ristoro per la vostra vita.
Gesù è mediatore della vera vita per ogni uomo. Il suo ristoro, la sua consolazione, la pace e la gioia, la serenità e ogni altro suo dono, non sono però fuori di Lui, sono in Lui. Si prende Lui come nostro giogo, Lui come mitezza e umiltà, Lui come unico modello di obbedienza al Padre, Lui come unica e sola Parola di vita eterna, Lui come vero Pane di vita e di ogni benedizione, e la pace scenderà nel cuore. Urge porre somma attenzione per non stravolgere la sua verità di mediatore. La sua mediazione non è semplicemente per Lui. Ma è anche in Lui e con Lui. La mediazione è la sua stessa persona. Lui viene per darci Lui come nostra vita, nostro ristoro, nostra pace. È Lui che deve vivere in noi, con noi, per noi. Se Lui rimane fuori di noi, non vi è alcuna mediazione. È Lui il fuoco che deve consumarci dentro e trasformarci in vita eterna.
Gesù deve essere come il fuoco per la legna. Lui non è come un fiammifero dal quale si accende il fuoco e poi viene spento, perché inutile al fuoco. Lui è il fuoco che tiene accesa la nostra legna. Se Lui è tolto dal cuore, all’istante il fuoco si spegne e noi diveniamo gelidi nell’amore, nella fede, nella verità, nella speranza, nella vita. La sua mediazione è la sua trasformazione in nostra vita, nostra luce, nostra verità, nostra giustizia. Pensare che Cristo Signore sia un mediatore esterno, vederlo come un “Latore” di preghiere, un “Portatore” di grazie, un “Datore” di un qualche bene celeste, un profeta che ci annunzia la Parola di Dio, è non aver compreso nulla della sua mediazione. È Lui il Mediatore e la Mediazione, il Dono e il Datore del dono, la Grazia e il Portatore nei cuori di ogni grazia, la Parola e il suo Annunziatore. O Cristo Gesù diviene nostro fuoco e nostra vita, oppure la sua Mediazione è infruttuosa per noi.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri in Cristo Signore.

Lunedì Della XXVII Settimana del Tempo Ordinario Anno C

Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?
Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?

TESTO-
Dal Vangelo secondo Luca. (10,25-37)
Un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Il dottore della legge voleva trascinare Gesù nei dibattiti tipici dell’epoca: “Qual è il più grande dei seicentotredici precetti della legge?”. “E chi è il mio prossimo?”. Gesù orienta la conversazione in modo tale da precisare ciò che è più importante nella vita dei suoi discepoli: l’amore per Dio e per il prossimo, compresi i nemici. È il dottore della legge stesso che risponde alla prima domanda. Ma chiede ancora: “E chi è il mio prossimo?”. Per la mentalità dell’epoca, il prossimo non poteva essere né il pagano, né il samaritano, né uno qualsiasi. Alla seconda domanda, Gesù risponde con una parabola. Il samaritano non discute di problemi complessi di teologia, non chiede chi sia mai quell’uomo mezzo morto, semplicemente gli porta soccorso. “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”. Ciò significa: “Il tuo prossimo è ogni uomo che ha bisogno del tuo aiuto, del tuo amore, della tua misericordia. Non chiedere chi sia il tuo prossimo, sii piuttosto vicino a chi si trova in disgrazia, fosse anche un tuo nemico!”. Il samaritano sarà per me un esempio? Ecco ciò che sembrava assurdo al dottore della legge. I Giudei consideravano apostati i Samaritani. Provavano ostilità e ripugnanza nei loro confronti, come del resto i Samaritani verso i Giudei. I dottori della legge, poi, non volevano che si mostrasse loro benevolenza. Ecco che Gesù unisce nell’amore la famiglia umana dispersa e divisa dal muro di separazione (Ef 2,14).

È istruito, il dottore della Legge, sa disputare di sottigliezze teologiche con i rabbini. Nella selva degli oltre seicento precetti che ogni devoto israelita era chiamato ad osservare era difficile dipanarsi, provare a fare una graduatoria. Così lo scriba cerca di coinvolgere Gesù in una discussione da scuola rabbinica ma con scarsissimi risultati. La conclusione cui arriva Gesù è molto simile a quanto altri, il rabbino Hillel, ad esempio, avevano elaborato. Ma la differenza è palese: per lo scriba si tratta di un esercizio di intelligenza, di una riflessione teologica. Gesù, invece, lo invita a scendere dallo scranno e a riflettere: è inutile chiedersi chi si debba considerare “prossimo” ma occorre aprire il proprio cuore all’accoglienza di ogni uomo, diventando “prossimo”. Il nemico giurato degli ebrei, un samaritano, si rivela l’unico “prossimo” del poveraccio malmenato dai briganti. Gesù invita il povero scriba, e noi, a smetterla di fare dei bei ragionamenti e di metterci davvero in gioco. Finché la fede resta esercizio retorico e non si cala nella realtà polverosa e sanguinolenta, sudaticcia e affaticata, non potremo certo capire la forza innovativa del messaggio di Gesù…

XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C

Siamo servi inutili.
Abbiamo fatto quanto dovevamo fare.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 17,5-10)

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Siamo servi inutili, dobbiamo fare quello che è dovere fare
In un mondo, dove molti si sentono indispensabili, utili e insostituibili, oggi risuona il testo del vangelo che ci riporta alla realtà della nostra vita, quella vita che ha un valore per l’eternità e non per il tempo presente, che spesso sopravvaluta il servizio di qualcuno e sottovaluta quello di chi merita davvero di essere preso in considerazione.
Partendo proprio dal brano del Vangelo di Luca noi possiamo meglio comprendere il significato del servire la causa del vangelo, con umiltà e senza pretese di sorta. A noi tutti, come cristiani, spetta il compito che ognuno di noi ha scelto di assumere davanti a Dio con responsabilità e coscienza seguendo la propria vocazione e rispondendo alla chiamata di Dio.
Non dobbiamo attenderci, premi, gratificazioni, medaglie al valore o riconoscimenti, in memoria, dopo la nostra morte. Dobbiamo agire per valori superiori, attendendoci riconoscimenti e premi, dove contano davvero la realtà che avremo in possesso per sempre.
Si tratta di sviluppare una visione di fede in prospettiva di eternità. Sono gli stessi apostoli, che si accorgono dell’inconsistenza della loro fede, della fragilità e dell’assenza di contenuto del loro modo di credere, a chiedere a Gesù: “aumenta la nostra fede”. E Gesù replica con un esempio molto calzante alla situazione e che ci aiuta a capire il senso della crescita della fede, non in termini di quantità o di conoscenze teologiche e bibliche in più, ma di qualità, perché la fede non si misura, la fede si vive e si sperimenta nella propria vita e la si testimonianza con una degna condotta di vita.
Cosa chiedono esplicitamente gli apostoli al Signore?: «Accresci in noi la fede!».
Gesù, alla domanda degli apostoli, replica in un modo preciso e diretto al raggiungimento dello scopo della richiesta: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe”.Ed aggiunge come comportarsi in certe situazioni di vita quotidiana: “Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?”.
Domande mirate che fanno riflettere chi ascoltava allora e chi ascolta oggi Gesù, che parla a noi attraverso la Chiesa e i ministri della stessa parola.
La conclusione di questo modo di riflettere ponendo domande e includendo nelle domande la risposta, è quella che conosciamo e Luca ci riporta a conclusione di questo interessantissimo brano del suo vangelo: “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Penso che ognuno di noi sappia valutare il suo comportamento in tanti ambiti, ma soprattutto nel campo religioso e morale. Non abbiamo bisogno dei termometri della nostra temperatura morale e spirituale o della quantità della nostra fede. Dicendo io credo di più dell’altro. Sappiamo valutarci da solo. Alla fine delle nostre personali valutazioni possiamo avere chiara la coscienza del nostro bene operare, del nostro parziale operare o del non operare affatto.
I compiti nel campo della fede vanno assolti e svolti in modo egregio, senza centellinare energie nei confronti di Dio e dei fratelli. Tutto deve essere fatto con amore, generosità e dedizione.
Sono queste le condizioni indispensabili per essere a posto con la propria coscienza di fronte a quello che ci tocca fare, perché ne abbiamo il dovere e gli obblighi, oltre che morali anche giuridici e sociali.

Sabato Della XXVI Settimana del Tempo Ordinario Anno C

Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome.
Rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 10,17-24)
In quel tempo, i settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome».
Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete.
Gesù è luce eterna, luce divina, luce purissima di sapienza, verità, carità, amore, giustizia. Lui è la luce che illumina ogni mente, ogni cuore, ogni pensiero. Tutta la storia sempre dovrà essere illuminata dalla sua luce. Dopo la missione, i discepoli tornano dal Signore pieni di gioia. Loro hanno visto, sperimentato che anche i diavoli si sottomettevano a loro quando glielo comandavano nel none di Cristo Gesù. Gioire per la sottomissione dei diavoli è una gioia effimera, inutile, vana. È una gioia non vera. Fermarsi ad essa è perdere la gioia vera, quella eterna. Poiché i diavoli mi si sottomettono, mi obbediscono, io sono a posto con Dio e con gli uomini. Contro questa illusione Gesù aveva già illuminato i suoi nel Discorso della Montagna.
Non chiunque mi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”. (Mt 7,21-23).
Quale dovrà essere per il discepolo di Gesù la vera gioia? Lui si dovrà preoccupare di una cosa: che il suo nome sia scritto nei cieli. Poiché come è facile scriverlo così è anche facile cancellarlo, il cristiano dovrà impegnare tutto se stesso perché ogni giorno esso venga scritto attraverso una vita esemplare, una obbedienza perfetta ad ogni Parola di Gesù Signore. Se oggi vive la Parola, il suo nome verrà scritto e rafforzato. Se invece non vive la Parola, il suo nome viene sbiadito e cancellato. Quando il nome non è scritto nei cieli, al momento della morte non si entra in esso. Si va dove il nome è stato scritto e di sicuro esso è scritto nell’inferno. Con la nostra vita di obbedienza costante scriviamo il nome il Paradiso. Con la vita di peccato lo scriviamo nell’inferno.
Gesù non è luce accanto ad altre luci. È la sola luce vera del Padre. Chi vuole essere luce per gli uomini, deve rivestirsi di grande umiltà e chiedere a Lui ogni luce. Chi attinge luce dalla Luce vera dona luce. Chi non attinge, rimane tenebra e sparge tenebra attorno a sé. Dotti, sapienti, intelligenti si credono luce. Disprezzano, deridono, umiliano Cristo Gesù. Di Lui non hanno alcun bisogno. Rimarranno in eterno nelle tenebre. Mentre piccoli, semplici, umili sanno che essi non sono luce e si rivolgono a Gesù per ottenerla. Questi godono della rivelazione che il Padre fa loro per mezzo della sua unica e sola vera Luce. O si attinge da Lui, o si rimane nelle tenebre.
Gesù è il vero frutto della Legge, dei Profeti, dei Salmi. Legge, Profeti, Salmi vivevano nella speranza di vedere anche uno solo dei giorni del Rivelatore, Mediatore, Messia, Salvatore. Questa speranza è stata loro negata. Questa speranza si compie tutta per gli Apostoli, i discepoli, i contemporanei di Gesù. Essi possono gustare questo frutto benedetto nel quale il Padre ha posto la benedizione di tutti i popoli. È una grazia così grande per la quale non basta una eternità di benedizione e di ringraziamento al Signore. Eppure la nostra insensibilità è grande. È come se nulla fosse avvenuto.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci gustare Cristo Gesù.

Venerdì Della XXVI Settimana del Tempo Ordinario Anno C

Gesù disse: «Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida!
Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti qesti prodigi si sarebbero convertite.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 10,13-16)

Gesù disse: «Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi.
E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!
Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato». Parola del Signore.

 

RIFLESSIONI

Guai a te Corazin!
Gesù rimprovera coloro che credono mettendoli a paragone con coloro che sono atei.
Quante persone che hanno Fede, che credono in Dio, si comportano poi male. Quanti leggono i messaggi che il Signore invia loro, ma poi non li mettono in pratica per indolenza, per la voglia di fare altro, per fatica. Quanti errori commessi con la consapevolezza di stare sbagliando, di andare contro la Parola di Dio.
E quanti, invece, che pur non credendo seguono certi valori legati alla famiglia, all’aiuto del prossimo, al rispetto del mondo in cui vivono.
In realtà chi crede si abitua ai grandi doni, ai segni, ai miracoli che vede ogni giorno, si abitua al respiro, alla luce del sole, al seme che morendo origina un albero, si abitua al sacramento dell’eucarestia e del perdono. Si abitua alla presenza di Dio nella propria vita e si scorda di ringraziarLo con la preghiera, con piccoli gesti di solidarietà verso il prossimo, con un sorriso verso chi ci vuole male.
E’ un po’ come fare il bagno nel mare, prima di immergerci vediamo questa grande distesa con ammirazione, ne percepiamo la potenza, rimaniamo folgorati dalla bellezza di una tranquillità assoluta e dalla forza di un libeccio, ci innamoriamo di un tramonto ed esultiamo intravedendo i suoi abitanti. Quando poi facciamo il bagno e siamo immersi in questo mare che tanto abbiamo ammirato e cercato, tendiamo a vedere solo noi stessi che facciamo il bagno e tuttalpiù qualche goccia d’acqua che è vicina a noi, dimenticando quella magnificenza che tanto avevamo bramato.

Giovedì Della XXVI Settimana del Tempo Ordinario Anno C

“Come mi consce?”
Gli rispose Gesù: Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Giovanni. (Gv 1,47-51)
Gesù, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità».
Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!».
Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

“Come mi consce?” Gli rispose Gesù: ” Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi.” Gv 1,48
Come vivere questa parola?
Con questo brano, Giovanni presenta la chiamata di Natanaele. Dal versetto 35 del capitolo 9, c’è un susseguirsi di inviti da parte di Giovanni Battista a conoscere e seguire Gesù. Andrea e Filippo hanno incontrato Gesù di persona e adesso vogliono condividerne l’esperienza entusiasmante e liberante. La testimonianza è un aiuto valido per avvicinarci a Gesù ma l’incontro con lui è immediato e personale. Vedendo Natanaele che si avvicina accompagnato da Filippo, Gesù lo conosce dal di dentro come uomo giusto, senza falsità, alla ricerca della verità. Natanaele sorpreso di essere così conosciuto chiede: “Come mi conosce?” e Gesù gli rivela un momento personale in cui egli ha sperimentato la presenza intima di Dio. Questa memoria evoca la stupenda riconoscenza: “Tu sei il Figlio di Dio!”. Nel silenzio del nostro essere, anche noi avremmo avuto i nostri momenti di incontro personale, intimo con il Signore.
Nella mia pausa contemplativa oggi, cerco di richiamare alla memoria, rivisitare una mia esperienza di incontro con Dio, rievocando l’amore, la fede e la fiducia che ciò ha suscitato nella mia interiorità.
Signore, Tu sei il mio Dio, di Te ha sete l’anima mia! Signore, accresci in me la capacità di vederti, di conoscerti sempre più nel creato, nelle relazioni e negli della mia vita. Fa’ che anch’io possa essere testimone autentico che annuncia agli altri: Venite e vedete!
Alla reazione di Natanaele è data una risposta molto semplice: “Vieni e vedi”. Non è un ragionamento, non è una teoria; è un fatto, che Gesù stesso aveva già messo in moto quando ai due discepoli di Giovanni aveva detto: “Venite e vedete”. Gesù invita a fare esperienza pratica.

Mercoledì Della XXVI Settimana del Tempo Ordinario Anno C

Ti seguirò Signore dovunque tu vada.
Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 9,57.69)

Mentre camminavano per la strada, un tale disse a Gesù: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio».
Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio». Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Tu invece va’ e annuncia il regno di Dio
Gesù non scrive un trattato sulle esigenze della sequela. In tre piccolissime frasi racchiude tutti i volumi
che si sono scritti o si scriveranno sul missionario del Vangelo e sulla sua missione di salvezza. Gesù vuole dei missionari interamente dipendenti dal Padre, consegnati nelle sue mani, liberi da ogni legame con la terra, distaccati da tutte le convenienze e abitudini degli uomini. Queste condizioni devono stare insieme. Se una sola manca, la missione mai potrà essere vissuta secondo verità.
Tre uomini oggi si incontrano con Gesù. Due di essi si propongono loro per la sequela. Un terzo viene chiamato direttamente da Cristo Signore. Il primo si presenta con idee chiare sulla sequela: “Ti seguirò dovunque tu vada”. Lui è disposto a seguire il Maestro. Non conosce però come vive il Maestro. Lui è interamente dipendente dal Padre. Niente viene dal suo cuore, niente dalla sua volontà, niente dalle esigenze del suo corpo, niente dai suoi desideri, niente dalla sua fatica, niente dalla sua stanchezza. Il Padre è il suo Signore in tutto, sempre, in ogni momento. Lui ha un solo nutrimento da prendere: “Mio cibo è fare la volontà del Padre e compiere le sue opere”. Lui è infinitamente meno che gli uccelli del cielo e delle volpi. Questi hanno una certa sicurezza umana, un nido e una tana. Lui non sa dove posare il capo. Sicurezza del missionario è il Padre. È Lui il suo presente e il suo futuro. Può seguire Gesù chi sceglie il Padre come suo presente e suo futuro, come il suo tutto.
Il secondo è Gesù stesso che lo invita alla sequela. Costui ha però una esigenza familiare. Non può consegnarsi a Gesù per ora perché deve attendere che il padre prima muoia. Poi potrà seguire Gesù. Prima gli obblighi familiari e poi il servizio al Vangelo. Gesù ribalta le priorità. Il servizio al Vangelo è il primo obbligo. Tutti possono dare sepoltura ad un morto. Pochi invece possono portare in vita un uomo. Pochi lo potranno far risorge alla vita divina. L’annunzio del Vangelo non deve soggiacere a nessuna esigenza della terra. Per un chiamato da Gesù Signore il dono del Vangelo agli uomini è tutto. Altro non deve esistere. Niente è obbligo per lui. Anche questa libertà Gesù chiede ai suoi discepoli.
Il terzo, come il primo, è lui che si propone a Gesù. Vuole seguire, ma prima vi è una convenienza umana da rispettare. Lui si deve congedare da quelli di casa sua. Anche in questo altro caso Gesù è fermo, risoluto, chiaro. Non si deve perdere tempo nelle convenienze umane, che spesso sono infinite. Ne spunta una al giorno. Mai potrà essere a servizio del Vangelo chi insegue queste cose. La libertà del missionario deve essere piena, da tutto, da tutti, per il presente e per il futuro. Per lui deve esistere solo il Vangelo. Altre cose rallentano, ostacolano, impediscono il cammino della Parola. Privano l’uomo della cosa essenziale. Gli negano la vera salvezza.
Chi ha deciso di andare dietro Gesù mai dovrà inseguire se stesso. Mai cullare sogni e aspirazioni. Mai coltivare interessi personali. Mai cercare un qualche successo umano. Mai aspirare ad una gloria terrena. Mai fomentare intrallazzi per avere questo o quell’altro posto, questa o quell’altra carica. Lui appartiene al Vangelo, non più a se stesso. Lui è della Parola e di nessun altro. Lui è di Dio, non più del padre e della madre. Lui si è spogliato di se stesso, per rivestirsi di sola divina volontà.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, aiutateci a servire il Vangelo.

Martedì Della XXVI Settimana del Tempo Ordinario Anno C

Gesù si incammina verso Gerusalemme e manda messaggeri davanti a sé.
Ma essi non vollero riceverlo.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca. (Lc 9,51-56)

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé.
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme.
Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio. Parola del Signore.

RIFLESSIONI

Cattiva accoglienza di un villaggio di SamariaGesù sta per iniziare il suo ultimo viaggio verso Gerusalemme. La meta ultima che l’attende è però il monte calvario dove consumerà il suo sacrificio. Passando di villeggio in villaggio egli continua la sua missione di annunciare il Regno di Dio e di invitare tutti alla conversione. Lo precedono i suoi discepoli, inviati appositamente per preparare gli abitanti alla sua venuta. C’è un rifiuto e segue l’ira e l’indignazione degli Apostoli. I più zelanti invocano un immediato castigo dal cielo: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Gesù li rimprovera. È falso il loro zelo. La vendetta non ci appartiene. Lo stesso Dio si autodefinisce «Lento all’ira e grande nell’amore». La stessa persona di Gesù incarna il perdono e la misericordia. Quando in noi esplode l’ira, è ancora quel maledetto orgoglio che interviene minaccioso. A pensare che se il nostro Dio non fosse il Dio della misericordia e del perdono, tutti saremmo periti miseramente dopo il primo peccato. Gli Apostoli erano testimoni oculari degli atteggiamenti che Gesù praticava nei confronti dei peccatori: avevano assistito alla conversione di Zaccheo, di Levi il pubblicano. Avevano visto il loro maestro lasciarsi toccare non solo dai lebbrosi, ma perfino da una prostituta. Alcuni si scandalizzavano di ciò, ma i più ne restavano edificati. Dovranno però verificarsi alcuni eventi decisivi perché tutto possa apparire chiaro: la croce, la risurrezione e la pentecoste. Occorre lo Spirito Santo per comprendere al meglio che il Signore e «il mio Dio, il Dio della mia misericordia», come canta il Salmista.

Lunedì Della XXVI Settimana del Tempo Ordinario Anno C

Nacque una discussione tra i discepoli, chi di loro fosse più grande.
Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,46-50)
Nacque una discussione tra i discepoli, chi di loro fosse più grande.
Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino e disse loro: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande».
Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi». Ma Gesù gli rispose: «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi». Parola del Signore.

RRIFLESSIOONI

Chi di loro fosse più grande.
La grandezza o è in tutto simile a quella di Dio o è falsa grandezza.

Quella di Dio è una grandezza di purissimo amore. In Cristo questa grandezza si fa annullamento di sé fino a lasciarsi consumare sul legno della Croce come vero olocausto d’amore. È questa grandezza che San Paolo insegna sia ai Corinzi che ai Filippesi. Altre non esistono.
Desiderate invece intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime. Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita. E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta
(1Cor 12m11-13,7).
Se dunque c’è qualche consolazione in Cristo, se c’è qualche conforto, frutto della carità, se c’è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione, rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi. Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre (Fil 1,1-11).
Chi vuole essere vero discepolo di Gesù deve essere il primo nella carità. Gesù è saggio, divinamente saggio. Papa può essere uno solo nella Chiesa. Uno è anche il Vescovo in una Diocesi e uno il Parroco in una Parrocchia. Tutti invece possono avere il primo posto nella carità nella Chiesa universale, nella Diocesi, nella Parrocchia. Anzi tutti sono chiamati a manifestare la stessa grandezza di Dio e di Cristo Signore. Tutti sono invitati a prendere il loro posto nella storia. Ministri possono essere solo alcuni. Crocifissi per amore invece possono esserlo tutti. Questa è la bellezza della fede cristiana. Se tutti ambissero la Croce di Cristo, il suo olocausto l’amore di Gesù riempirebbe l’universo. Il nostro primo posto è la Croce. Questo è il posto di Dio.
Nel regno dei cieli si diviene grandi, facendosi piccoli. Ma cosa vuol dire esattamente farsi piccoli? Significa dipendere sempre dalla grazia e dalla verità del Padre. Diviene piccolo chi si spoglia della sua volontà, dei suoi desideri, di ogni sua ambizione, superbia, ricerca di posti da occupare, di troni sui quali innalzarsi, e prende la croce della più pura obbedienza ad ogni desiderio del Padre celeste. Piccolo è colui che ogni giorno è fatto dal suo Dio, perché si pone interamente nelle sue mani. È una piccolezza sempre nuova, sempre aggiornata, mai di ieri. Per questa piccolezza Dio può ogni giorno manifestare tutta la sua grandezza nell’amore. Più il discepolo di Gesù si fa piccolo e più diviene grande. Dio manifesta attraverso di Lui le profondità della carità.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci piccoli per Gesù.

XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C

Il Ricco Epulone.
Tra noi e voi vi è un grande abisso.

TESTO:-
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 16,19-31)
Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».Parola del Signore.

RIFLESSIONI

L’evangelista Luca ci parla oggi di una persona di nome Lazzaro.
Chi si ricorda di quando abbiamo incontrato, sempre nel Vangelo, un altro Lazzaro?
Bravi! Lazzaro era il fratello di Marta e Maria: era quell’uomo che era morto e che già da tre giorni era nel sepolcro, era colui per il quale il Signore ha pianto, era quell’uomo che il Signore fece tornare in vita.
Era un amico di Gesù.
Il povero che troviamo oggi nel Vangelo si chiama proprio così.
Gli evangelisti non usano mai nomi propri nelle parabole… solo qui succede.
Questo per dire che ogni povero è un amico di Dio.
“Ma come”- potreste dire voi- “ed i ricchi non sono amici Suoi?”.
Certo che sì!
Dio è amico di ognuno di noi, ci ama tutti allo stesso modo perché siamo suoi figli e, proprio perché tali, desidera che viviamo come Lui: con amore gli uni nei confronti degli altri.
Allora, i ricchi sono veri amici di Gesù quando amano condividendo quello che hanno con chi non ha.
Ora vi domando: il ricco festaiolo e mangione del Vangelo, con vestiti di porpora e lino finissimo, è una persona particolarmente malvagia? E’ cattivo? Fa del male a qualcuno?
Offende? Prende in giro?
Niente di tutto questo.
Forse era anche un uomo religioso, forse pregava e si recava al Tempio a fare i sacrifici e forse dava anche grosse offerte ai sacerdoti…
Ma questo ricco ha il cuore ammalato perché è troppo attaccato al modo di vivere del mondo. Inoltre, mentre il povero ha un nome, lui non ce l’ha e questo perché coloro che sono solo “del mondo” perdono il nome. Sono soltanto uno dei tanti benestanti che non hanno bisogno di niente. Sono appunto del mondo, non sono di Dio, per cui non hanno bisogno di Lui.
E allora qual è il suo peccato?
L’indifferenza. Questo ricco non si accorge nemmeno che alla sua porta c’è il povero Lazzaro, un mendicante affamato e pieno di piaghe. Non lo vede proprio… e non perché è cieco ma perché ha un cuore chiuso, un cuore che pensa solo a se stesso e ai propri comodi. Per lui, gli altri non esistono.
E pensare che ogni giorno passa davanti a Lazzaro uscendo di casa… chissà quante volte l’ha guardato o lo ha anche sfiorato con i piedi… ma non l’ha mai visto.
Vi capita mai di andare a fare qualche gita in posti bellissimi e poi, una volta a casa, di ricordare poco o niente?
Se sì, è perché guardate ma non vedete quello che guardate.
Potrebbe essere perché pensate ai fatti vostri, o perché non vi interessa, o perché con un occhio guardate il panorama e con l’altro il cellulare…
Il “guardare”, cioè, è molto diverso dal “vedere”.
Così faceva il ricco del Vangelo. Guardava Lazzaro ma non lo vedeva perché era concentrato solo su se stesso.
Non gli faceva del male, ma nemmeno faceva niente per lui.
Il male più grande che noi possiamo fare è quello di non fare il bene.
Quando succede questo è come trovarsi davanti ad un abisso, proprio come ci viene descritto nel Vangelo: “Coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
Quando non facciamo il bene non possiamo stare dalla parte di Abramo e Lazzaro perché c’è questo abisso che ci divide.
L’abisso, lo sappiamo tutti, è un burrone. Sono certa che ognuno di voi, facendo qualche camminata in montagna, ci si è trovato davanti. E’ una sensazione molto brutta perché ci si rende conto che non si può andare oltre e che, se si cade dentro, si può anche morire.
Ecco. La vita di questo ricco è un abisso, una morte sicura perché questo burrone è nel suo cuore, nelle sue preoccupazioni, nei suoi desideri egoistici che non gli permettono di fare quel lungo passo per superare questo baratro ed andare incontro a chi ha bisogno.
«Qualsiasi cosa avete fatto a uno di questi piccoli l’avete fatto a me!»: questo ci dice Gesù e questo è il lungo passo che ci permette di andare dalla parte di Abramo e Lazzaro.
“Ma io sono abbastanza buono… vado a Messa tutte le domeniche, metto sempre dei soldi nel cestino dell’elemosina in chiesa! Inoltre cerco di non litigare più di tanto con i miei colleghi antipatici, cerco di non prendere in giro… Ce ne sono così tanti peggiori di me!”.
Qualcuno di voi, in questo momento, potrebbe pensare così.
Potrebbero anche essere pensieri accettabili…
Ma questo, è proprio tutto quello che possiamo fare oppure il Signore ci chiede qualcosa di più?
Sappiamo bene, prima di “fare” dobbiamo “essere”, ed è questo che ci distingue come cristiani: tutti noi amici di Gesù, infatti, siamo chiamati a «vedere, capire, prenderci a cuore» gli altri, ad avere cioè «compassione».
Che non è dire: “poveretto quanta pena mi fa!”, ma è sentire, nei confronti dei nostri amici e anche nemici… lo stesso amore, lo stesso dolore, la stessa gioia che Dio prova per noi.
Se noi riuscissimo a provare gli stessi sentimenti di Dio, il mondo cambierebbe.
Quando impareremo ad “essere”, allora sì che potremo “fare”, e il Signore ci sarà a fianco in questo cammino.
Allora riusciremo sicuramente ad aprire gli occhi e “vedere” tutti i Lazzaro che stanno davanti alla nostra porta: riusciremo cioè a condividere.
In questa parabola l’uomo ricco, quando muore, si ritrova tra i tormenti negli inferi e chiede ad Abramo di inviare qualcuno dai morti ad ammonire i familiari ancora in vita. Ma Abramo risponde che se non ascoltano Mosè e i Profeti non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti.
Abramo è la figura di Dio, il Padre.
E come risponde Abramo?
«Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali».
Con quale parola Abramo inizia a parlare al ricco? Con la parola “Figlio”.
Fino alla fine, cioè fino all’ultimo momento, c’è la sicurezza che abbiamo un Padre che ci aspetta.
Affidiamoci allora a Dio Padre, con la certezza che ci vuole tutti con sé in Paradiso.